La volontà di incrementare i propri ritmi di gara con l’inserimento in allenamento di prove ripetute non sempre sortisce effetti positivi (si può andare incontro ad affaticamenti o infortuni), soprattutto se queste vengono protratte nel tempo senza un adeguato criterio di prerequisiti e progressività. Infatti le prove ripetute (soprattutto quelle superiori al Km) sono allenamenti che sollecitano in maniera importante tutte le componenti della performance (metabolica, neuromuscolare e soprattutto ormonale), necessitando diversi giorni di recupero tra una seduta (di questo tipo) e l’altra. Ancor più delicato è il discorso quando si gareggia; le gare comportano per l’organismo un impegno ancor maggiore di quello delle ripetute. Allora quali sono le leggi dell’allenamento e i mezzi che permettono di lavorare al meglio sulla velocità di gara, minimizzando il rischio di infortuni e di affaticamenti che non sortirebbero gli effetti allenanti voluti?
Nel documento odierno cercheremo di analizzare alcuni mezzi che possono fare al nostro caso che abbiamo già approfondito in passato come:
I “Lunghi” sin dall’epoca di Arthtur Lydiard, rappresentano alcuni degli ingredienti fondamentali (insieme al Fartlek, alle ripetute, alle Salite, ecc.) del podista. L’evoluzione dell’allenamento ha portato nel tempo a perfezionare questo “ingrediente”, in particolar modo in relazione al periodo della preparazione, al tipo di gara preparata e agli obiettivi complementari che si vogliono dare a questo tipo di sedute. Nel documento odierno, cercheremo di partire dalla visione più “classica” del “lungo” per poi contestualizzarlo in maniera opportuna in base alle proprie esigenze. Già nel documento dedicato alle Corse continue abbiamo dato alcune indicazioni su come inserirlo e strutturarlo all’interno della stagione. Infatti, nella prima parte di stagione (fase Generale) è un mezzo che contribuisce ad innalzare il potenziale Aerobico di base del runner, ma è nelle fasi successive che acquisisce una specificità nei confronti della gara preparata. Preparare una gara di 10 Km è diverso da preparare una maratona, e i “lunghi” utilizzati ovviamente differiscono per lunghezza, intensità e variabilità dei percorsi.
Ovviamente non ci addentreremo in approfondimenti già effettuati per le distanze specifiche, ma cercheremo di elencare le varianti che possono “tornare utili” nei vari periodi della stagione. Per rendere l’approccio più schematico ed intuitivo, cercheremo, per ogni mezzo, di indicarne “l’Utilità” (definendo quello che allena…oltre al Potenziale Aerobico), il “Quando” inserirlo nel programma d’allenamento e il “Come” effettuare l’allenamento (cioè quali devono essere le caratteristiche della seduta).
Il Natural Running e l’utilizzo di scarpe minimaliste sta diventando un argomento sempre più attuale; nato da una moda (quello del correre scalzi) e i cui elementi son successivamente stati approfonditi a livello scientifico al fine di comprendere se questo tipo di approccio alla corsa sia più o meno funzionale (dal punto di vista della performance e prevenzione infortuni) del comune approccio alle calzature sportive. Nel Documento odierno (la seconda pubblicata prossimamente) approfondiremo:
La visione concettuale del natural running
L’esito delle ricerche al fine di avere riscontri pratici
Proposte delle case produttrici in termini di calzature ed adattamenti
Pubblichiamo la seconda parte del documento tratto dall’articolo “La sporca dozzina” (visibile a questo link). Come nella prima parte, non ci limiteremo ad una semplice traduzione, ma cercheremo di approfondire i punti che riteniamo più interessanti con citazioni scientifiche correlate. Nel documento odierno approfondiremo i seguenti errori:
ERRORE N° 7: rifiutarsi di modificare l’allenamento in caso di carente (e inaspettata) condizione di forma
ERRORI 8 E 9: utilizzare sempre lo steso mezzo di allenamento o provarne ogni giorno uno diverso
ERRORE 10: non attuare un piano di prevenzione per gli infortuni
ERRORE N° 12: non considerare le gare all’interno del proprio piano di allenamento
Infortuni e sottoprestazioni sono prevalentemente dovuti ad errori nell’allenamento; spesso si è alla ricerca di scarpe, accessori, integratori o del metodo più innovativo per essere più veloci, trascurando invece come siano gli errori nell’allenamento a non permetterci di esprimere il nostro potenziale.
Ad esempio, abbiamo visto come la caffeina in media possa incrementare la performance di corsa dell’1,1%, ma ha poco senso parlarne se si è sempre infortunati o ci si allena male.
È quindi necessario un approccio che parta dai presupposti che hanno maggiore incidenza sul modo con cui viviamo la nostra passione per la corsa; in altre parole, un approccio top/down (dalle cose che contano di più…fino a quelle che contano meno) è sicuramente il più efficace, e la prima cosa è proprio quella di evitare gli errori più comuni!
Per scrivere questo contenuto, ho preso spunto dall’articolo the dirty dozen (“Quella sporca dozzina”) di Pete Magill, il cui tutolo prende spunto proprio dal film del 1967. Ho comunque cercato di semplificare e raggruppare alcuni degli “errori” per rendere più agevole la lettura.
Nell’immagine sotto sono rappresentati gli errori più comuni dei runner in maniera tale da farvi selezionare i capitoli che ritenete per voi più interessanti.
Ricordatevi che per essere dei runner migliori non bisogna “soffrire di più”, è invece primario fare scelte intelligenti in sede di programmazione, allenamento e stile di vita.
Errore N° 1: iniziare gli allenamenti con eccessiva intensità
È l’errore tipico a cui si può andare incontro quando ci si allena in gruppo in sedute lunghe, oppure per chi si allena poche volte a settimana.
Prendete ad esempio Eliud Kipchoge per il quale viene riportato come inizi alcuni allenamenti di “rigenerazione” (18-20 Km) correndo anche a 6’/Km!
Le conseguenze deleterie di iniziare gli allenamenti troppo velocemente sono diverse: la prima è che comporta un più rapido dispendio di carboidrati (cioè i substrati energetici responsabili dei ritmi più elevati), che invece sarebbero risparmiati con un inizio più soft.
Il secondo è che non asseconda l’esigenza dell’organismo di incrementare il lavoro fisico gradualmente; questo non solo farà percepire più fatica, ma porterà anche eventuali irrigidimenti muscolari che possono essere (nel lungo termine) cause di acciacchi ed infortuni.
Per questo motivo il riscaldamento non dovrebbe essere solamente graduale, ma comprendere allungamenti funzionali che permettono di detendere e tonificare allo stesso tempo la muscolatura.
L’immagine sopra è presa dal nostro post dedicato al nostro protocollo di riscaldamento per la corsa, che prevede 3 movimenti di allungamento funzionale ed uno di attivazione per preparare al meglio le catene muscolari all’allenamento.
Errore N° 2: trasformare ogni allenamento in un medio
Una corretta metodologia d’allenamento prevede l’alternanza di giornate di carico a una o più giornate di scarico; le prime, comprendono allenamenti che per intensità o durata vanno a stimolare reazioni biologiche in grado di “migliorare nel tempo” (se opportunamente dosate), mentre le seconde danno al corpo il tempo di attuare le risposte biologiche desiderate (tramite riposo o allenamenti molto leggeri).
Di conseguenza è nelle giornate di scarico che la condizione incrementa.
L’errore comune di diversi podisti è quello invece di uniformare la velocità di tutti gli allenamenti ad intensità media; questo avviene per diversi motivi, come la paura di non allenarsi sufficientemente, il fatto di voler sfogare lo stress accumulato durante la giornata, ecc. Le conseguenze sono 2 (soprattutto se ci sia allena 4 volte o più alla settimana):
La prima, quella più ovvia, è quella di non dare al corpo il tempo di recuperare, in quanto un allenamento corso ad intensità media non permette all’organismo di assecondare le normali esigenze di ripristino della fatica.
La seconda è quella di dare all’organismo sempre gli stessi stimoli allenanti; come vedremo nei prossimi paragrafi, il runner deve inserire nel suo programma sia stimoli di intensità che di durata. Questo permette di ottenere miglioramenti da tutti i margini di guadagno prestativo.
Nelle tabelle degli atleti che alleno, spesso scrivo la frase “a volte, per essere veloci in gara è necessario avere il coraggio di andare piano in allenamento”; questa frase è ovviamente riferita alle sedute di corsa lenta di rigenerazione, cioè quelle che aiutano a recuperare adeguatamente gli sforzi fatti nelle sedute impegnative.
Ad esempio, per i top runner che effettuano più di 10 allenamenti settimanali, solo 3 sedute sono impegnative (per volume ed intensità). Quindi per chi si allena 3-5 volte a settimana, solo 2 sedute devono essere impegnative, considerando sempre l’incremento graduale del carico di lavoro durante la stagione. Consigliamo il nostro articolo sulla programmazione dell’allenamento per chi vuole approfondire l’argomento.
Errore N° 3: evitare ritmi intensi
La preferenza esclusiva ai ritmi lenti e medi non serve ad altro che abituarsi ad andare più piano. È il rischio principale che si corre quando si preparano maratone o addirittura gare più lunghe esclusivamente tramite ritmi medi e lenti; questo porta ad una perdita di tono muscolare e di efficienza di corsa a tutte le velocità di corsa.
Ma non solo: alcuni muscoli come il gastrocnemio (la parte alta della muscolatura del polpaccio) hanno caratteristiche tali (cioè molte fibre veloci), che vengono stimolate quasi esclusivamente con i ritmi veloci ed intensi.
(Clicca sull’immagine per ingrandire)
A fianco riportiamo un’immagine estremamente interessante (in rosso ho aggiunto le spiegazioni in Italiano): viene mostrato come sia gli allenamenti di alta intensità che di durata concorrono a migliorare il Potenziale aerobico del soggetto, cioè le qualità che permettono di correre veloce a lungo.
Ovviamente è la corretta programmazione dei ritmi (lenti, veloci e di gara) che, unita al giusto recupero, permetterà di ottimizzare al meglio il potenziale del corridore.
Nel nostro articolo dedicato alla programmazione abbiamo visto come nel periodo Generale sono da preferire i ritmi lenti/moderati alternati a stimoli di forza e di velocità; nel periodo Specifico invece, i ritmi di alcuni allenamenti si avvicineranno maggiormente a quelli di gara per indirizzare le proprie capacità verso il modello prestativo della competizione.
Non solo, gli allenamenti di alta intensità dovrebbero essere inseriti anche assecondando le caratteristiche del runner; ad esempio, un atleta con caratteristiche prevalentemente resistenti dovrebbe preferire (nella prima parte della stagione) lavori di forza soprattutto con salite. Un runner con caratteristiche veloci invece, potrebbe esaltare le proprie caratteristiche neuromuscolari con un moderato allenamento di forza ed un lavoro più importante di velocità.
Come abbiamo visto nel secondo punto, è importante far passare un arco di tempo adeguato tra gli allenamenti più impegnativi.
Nella figura a fianco viene semplificato come un recupero insufficiente possa far calare la condizione anziché migliorarla; nel grafico in mezzo (quello rosso) gli stimoli allenanti significativi sono troppo ravvicinati (di conseguenza il tempo di recupero è troppo breve) e di conseguenza la condizione atletica cala invece di crescere…in altre parole “si fa tanta fatica per nulla”. Questo solitamente accade agli amatori che fanno troppi allenamenti impegnativi a settimana.
Il grafico verde invece, prevede una giusta alternanza (ne abbiamo parlato anche sopra) tra carico e recupero.
In quello in basso (nero) è rappresentata una condizione atletica stabile, caratteristica di chi si allena meno di 3 volte a settimana.
Ma attenzione, non è solamente il tempo che intercorre tra uno stimolo impegnativo e l’altro a definire l’entità del recupero (come abbiamo visto sopra); anche gli allenamenti di rigenerazione/volume (se adeguatamente inseriti) facilitano questo processo, portando allo stesso tempo un contributo allenante (Resistenza aerobica).
Questo è il motivo per cui i top runner effettuano settimanalmente non più di 3 allenamenti veramente impegnativi (di fronte ai 10-13 totali), ma tutto il resto è occupato da stimoli che vanno ad incrementare drasticamente il volume di Km, ma ad intensità lente/moderate e di rigenerazione.
Ma esistono altre variabili che influenzano il recupero, e sono relative allo stile di vita; l’alimentazione, il sonno e la gestione dello stress quotidiano sono variabili significative per recuperare al meglio.
È inutile allenarsi duramente se poi lo stile di vita non è in grado di assecondare il carico di lavoro; a volte è meglio tenere un carico di lavoro più basso (e ridimensionare gli obiettivi) e gestire con maggiore intelligenza la propria quotidianità. Per chi non è un Top runner, la corsa deve aiutare a vivere meglio, e non a rendere più “difficili” le giornate.
Per chi vuole approfondire consiglio di leggere il nostro articolo sul recupero.
Errore N° 7: non modificare l’allenamento in caso di carente (e inaspettata) condizione di forma
Uno degli errori più gravi (soprattutto per chi si allena 5 o più volte a settimana) è quello di non voler aggiustare gli allenamenti durante l’esecuzione degli stessi. Alcune variabili inaspettate come modificazioni atmosferiche, affaticamenti a lungo termine e stress extrasportivi possono richiedere aggiustamenti “in corso d’opera”. Riportiamo sotto 2 esempi molto semplici:
Quando la temperatura è elevata (o tende ad essere superiore rispetto alle normali condizioni) è necessario rallentare l’andatura dei vari ritmi di allenamento, perché l’organismo tende a “limitare spontaneamente” le intensità per evitare di andare precocemente in crisi. Il non assecondare queste esigenze (senza rallentate opportunamente i ritmi di allenamento) comporta un esaurimento precoce delle energie.
Stessa cosa vale per l’esecuzione delle ripetute: se dopo un certo numero di esecuzioni non si riesce più a tenere il ritmo prestabilito (che deve ovviamente tenere in considerazione delle condizioni esterne) allora conviene fermarsi (o ridimensionare la seduta), senza intestardirsi nel voler finirle a tutti i costi; quest’ultimo atteggiamento infatti, porterebbe a prolungare oltremodo i tempi necessari per il recupero. Alcuni allenamenti come i fartlek basano invece le intensità allenanti sulla percezione dello sforzo, venendo incontro a quelle che sono le eventuali esigenze di modificare i ritmi in base alle sensazioni.
Concludendo, è necessario comprendere che gli allenamenti sono il “mezzo” attraverso il quale si costruiscono i risultati della gara, e non il fine di ogni corridore. Affidandosi alla propria esperienza ed alla percezione dello sforzo è possibile ottimizzare il proprio allenamento in base alla propria situazione giornaliera.
Errore 8 e 9: utilizzare sempre lo stesso mezzo di allenamento o provarne ogni giorno uno diverso
Alcuni atleti si focalizzano sempre lo stesso metodo di allenamento, mentre altri ne provano sempre dei nuovi, senza rendersi conto degli effetti (stimoli allenanti) che ogni mezzo ha sul proprio corpo. Ma dove sta la giusta misura?
Ovviamente sta nel compromesso, dato prima di tutto dalla propria esperienza, e successivamente dalle acquisizioni che si hanno provando anche nuove tipologie di training.
Ogni atleta, con il passare della sua vita sportiva dovrebbe consolidare (tramite l’esperienza) e acquisire (tramite un’adeguata e controllata “sperimentazione”) la corretta metodologia di allenamento per il proprio organismo; il tutto tramite tanti piccoli step.
Per la fase di acquisizione gioca un ruolo fondamentale lo studio e l’approfondimento della materia; permette di accelerare la competenza da mettere in pratica. L’esperienza è sicuramente quella che invece garantisce di evitare errori nel tempo.
Ovviamente non è possibile migliorare all’infinito perché l’invecchiamento riduce il potenziale biologico dell’atleta, ma studiando e facendo tesoro della propria esperienza è possibile diventare runner sempre più consapevoli e togliersi diverse soddisfazioni.
Per tutti i runner amatori che vogliono studiare contenuti facilmente comprensibili a tutti (anche per chi non ha competenze di biologia e fisiologia) consiglio il nostro canale telegram gratuito (mistermanager_running) nel quale troverete tutte le novità ed aggiornamenti del nostro sito, più articoli esclusivi per gli iscritti al canale.
Errore 10: non attuare un piano di prevenzione per gli infortuni
Diversi studi hanno accertato che tra il 50-80% dei corridori si infortunano almeno una volta l’anno. Diversi allenatori americani puntano sul fatto che l’esecuzione di determinati esercizi di riscaldamento/tonificazione (formati da esercizi di potenziamento a carico naturale e di allungamento muscolare) abbiano un ottimo effetto preventivo.
Questi sono tutti approcci generali e non individuali; in altre parole aiutano a ridurre il rischio di infortuni ma non sono individualizzati.
In alcuni casi (chi si infortuna con maggiore frequenza) è necessario individualizzare l’approccio preventivo; questo consiste nell’individuare i punti deboli del runner per poi andare ad agire con un allenamento mirato sulle specifiche carenze. In questo modo il programma preventivo diventa più efficace.
Il primo passo è quello di un’attenta valutazione funzionale del runner (compresa di analisi di corsa), in grado di dare informazioni fondamentali a personale esperto che realizzerà un protocollo individualizzato.
Errore N° 12: non considerare le gare all’interno del proprio piano di allenamento
Alla partenza di una competizione i livelli motivazionali sono maggiori rispetto ad un allenamento: l’adrenalina ed altri neurotrasmettitori riducono la percezione della fatica e migliorano le performance dei vari tessuti più di quanto accade in allenamento.
Questo porta a ad essere più performanti quando si indossa un pettorale!
Ciò rappresenta anche un ottimo stimolo allenante per le gare successive, perché offre sollecitazioni estremamente specifiche al nostro organismo.
Ma attenzione, gareggiare troppo spesso può comportare ad un precoce ristagno della prestazione; infatti, stimoli particolarmente elevati (come una gara) hanno bisogno di un maggior tempo di recupero rispetto ad un allenamento impegnativo.
Non solo, tutti quegli stimoli neuro-ormonali che permettono di ottenere il massimo dal proprio fisico (ne abbiamo parlato ad inizio paragrafo), possono andare incontro ad una sorta di assuefazione.
La conseguenza è che non si riesce più a dare il 100%.
Questo accade ai runner che gareggiano spesso con il massimo impegno; dopo poche gare la condizione si stabilizza e non si hanno più miglioramenti; nel peggiore dei casi si può andare incontro a periodi di demotivazione o infortuni.
Nel nostro articolo dedicato al numero di gare abbiamo visto come questa condizione si possa verificare in media dopo 4-5 competizioni fatte al 100%.
Questo dovrebbe dare indicazioni importanti su come inserire le gare nel proprio piano d’allenamento. Ciò non significa che si debba gareggiare pochissimo, ma considerare alcune manifestazioni come “gare d’allenamento”, correndole all’85-90%.
Lo so, non è facile andare con il limitatore quando si ha addosso un pettorale…ma torniamo alla frase scritta sopra “a volte per andare forte è necessario avere il coraggio di andare piano”.
Per chi, ad esempio, corre le gare di campionato per la propria categoria, la consapevolezza di rischiare di andare incontro ad un ristagno/peggioramento rappresenta un dato fondamentale; aiuterà ad organizzare l’allenamento per dare il 100% solo in alcune manifestazioni, cercando di gestirsi (senza forzare) nelle altre.
Se fatto con intelligenza, questo processo aiuterà ad avere un incremento progressivo della performance evitando ristagni della condizione o sottoprestazioni inaspettate.
Conclusioni: esperienza ed apprendimento
Partiamo da un presupposto: ottimizzare la propria corsa non significa necessariamente essere più veloci in gara. Significa essere dei runner migliori grazie ad una gestione più intelligente della propria vita e delle variabili che influiscono sulla corsa.
Vuole dire correre con più piacere, senza stop dovuti ad infortuni e beneficiare dei vantaggi psicologici e sociali che la corsa offre…e si, anche migliorare le prestazioni, ma considerando sempre che queste sono definite anche dall’età e dalle caratteristiche intrinseche del podista (i top runner sono pochi).
Se invece ci focalizziamo esclusivamente sulla performance o su battere il compagno d’allenamento, allora le scelte che faremo in sede di vita e di allenamento saranno dettate da una motivazione estrinseca che nel tempo non porterà a nulla di buono e duraturo.
Se invece siamo mossi da una motivazione intrinseca, saremo in grado di migliorare le nostre competenze, di sperimentare e di approcciare intelligentemente alla corsa, indipendentemente dal vincolo di pressioni esterne. Questo avviene grazie alla presenza di valori e nel trovare piacere in quello che si fa, indipendentemente dal risultato.
Ricordatevi sempre il motivo principale per il quale correte e per il quale volete correre per più anni possibile della vostra vita.
All’interno di questo contesto gioca un ruolo importante l’esperienza, data principalmente dagli errori da evitare…quegli errori che impediscono ai runner di godersi appiano la propria corsa. In questo articolo nel abbiamo visti alcuni tra i più frequenti.
Ma per chi vuole accelerare le proprie competenze è necessario studiare ed approfondire il mondo della corsa e tutto quello che gli ruota intorno (alimentazione, stile di vita, ecc.). Nel nostro canale telegram mistermanager_running trovate gratuitamente tutti gli aggiornamenti del nostro sito per quanto riguarda il running, compresi i nuovi articoli e la revisione di quelli già presenti. All’interno pubblicherò anche contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale e potrete scaricare la nostra guida sulla scelta delle scarpe da running in base alle vostre caratteristiche.
Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico ASD Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
L’utilizzo delle salite è da sempre stato uno dei mezzi principali di potenziamento a carico naturale per i podisti. Nei mesi passati abbiamo analizzato le diverse varianti (prima e seconda parte) optando comunque per quelle di Lydiard modificate come le esercitazioni ideali per gli amatori. Non tutti però hanno a disposizione salite di una certa lunghezza e devono adattarsi all’utilizzo di brevi “rampe” come dei cavalcavia o ascese di ponti/argini. Nell’articolo originario (sulle Salite Brevi), abbiamo lasciato comunque una certa variabilità nella strutturazione di questa tipologia di seduta (lunghezza, intensità, tecnica di corsa, ecc.) che può rivelarsi poco chiara a chi è poco abituato con questa tipologia di allenamenti.
Nel documento odierno, vogliamo invece fare maggiore chiarezza, adattando anche le diverse tipologie di salite brevi alla tipologia di podista.
Il documento scaricabile di oggi mira non tanto ad approfondire la cura dei singoli infortuni del runner (che va affidato a personale qualificato), ma a comprenderne le cause per rendere il runner più consapevole di quelle che sono i fattori di rischio e gli elementi che possano aiutare a prevenire questi eventi. Per ogni patologia saranno affrontati:
Le cause più probabili (fattori di rischio) che possono dare origine ad un determinato infortunio
Cosa può fare il runner alla comparsa dei primi sintomi (partendo dal presupposto che non ci si può sostituire alla diagnosi di personale qualificato).
Il ritorno alla corsa dopo il periodo di stop
La prevenzione di recidive (prevenzione secondaria)
Il nostro documento ovviamente non si può sostituire a quello che è il ruolo di figure professionali (Ortopedici, Fisioterapisti, ecc.) deputati alla cura di queste patologie, ma vuole essere una guida per aiutare il runner a comprendere al meglio questa tipologia di eventi al fine di individuare la corretta strutturazione dell’allenamento al fine di prevenire e individuare precocemente gli infortuni. Elenco patologie trattate:
Nel Documento non sono trattati i Crampi, perché gia approfonditi in un altro post. Per chi volesse approfondire ancor di più l’ergomento, consiglio il libro di Tom Michaud, Injury free Running.
Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
Il titolo del post, in parte serio ed in parte ironico, è riferito ad una pubblicazione del professor Bangsbo (conosciuto nell’ambito del calcio perché in passato è stato vice-allenatore della Juve, anche se svolgeva primariamente il ruolo di preparatore atletico) di quest’estate in cui trovò un miglioramento della performance in mezzofondisti amatori introducendo allenamenti ad alta intensità, ma con una riduzione del volume del 54% (14 contro 30 Km) dei chilometri settimanali. Com’è possibile vedere dalla Bibliografia sotto, la pubblicazione riporta il nome di Bangsbo e di un suo collega del Dipartimento di Scienze Motorie dell’Università di Copenhagen (Gunnarsson); l’articolo in questione, quest’estate ha riscosso un grande successo (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22556401) nei blog che parlano di preparazione atletica, ma una contestualizzazione dei risultati è doverosa, per far capire che non è stata scoperto niente di più di quanto si sapeva gia. In questo post andremo quindi ad analizzare la ricerca in questione cercando di contestualizzarla nell’ambito della Fisiologia sportiva e della metodologia dell’allenamento.
PROTOCOLLO E RISULTATI
Il periodo di allenamento è stato di 7 settimane. 18 podisti di basso livello (in termini di primati personali sulle distanze del mezzofondo; 22’23’ sui 5000m) sono stati divisi in 2 gruppi di lavoro. Un gruppo ha continuato a seguire la solita metodologia d’allenamento, mentre l’altro gruppo ha eseguito, 3 volte a settimana l’allenamento sperimentale che consisteva in:
1 Km di riscaldamento.
3-4 serie di 5’ di allenamento 10-20-30 con recupero di 2’ tra le serie (in media 30’ a seduta).
In ogni serie si susseguivano 10” ad un ritmo superiore del 90% della massima velocità + 20” ad un ritmo inferiore al 60% della massima velocità + 30” ad un ritmo inferiore al 30% della massima velocità.
In poche parole, ogni minuto veniva ripetuto il ciclo delle 3 velocità, in cui i 10” ad intensità elevata rappresentavano la fonte allenante principale.
Risultati: dopo 7 settimane per il gruppo sperimentale ci fù un miglioramento del 4% (48”) del primato sui 5000m e del 6% sui 1500m, malgrado la riduzione del 54% del volume di allenamento settimanale.
CONTESTUALIZZAZIONE DEI RISULTATI
Ovviamente è opportuno fare una revisione attenta della ricerca per non creare “falsi miti” sui miglioramenti indotti da metodologia d’allenamento.
Il primo punto fondamentale per interpretare correttamente i risultati sta nel fatto che gli atleti utilizzati correvano i 5000m in 22-23’: tali primati sono circa 10’ superiori al record del mondo sulla distanza (cioè 2’ in più ogni chilometro!!!!). Si trattava quindi di podisti di basso livello (ovviamente ci limitiamo a considerare i “primati” e non gli individui in toto!), quindi abituati ad una metodologia di allenamento che nella ricerca sono considerate “tradizionali”, ma che in realtà sarebbero da definire come “grossolane”. È quindi ovvio che introdurre un approccio metodologico con maggiore base scientifica (come quella di Bangsbo) non può fare altro che migliorare i risultati!!
La ricerca non apporta nessuna novità dal punto di vista metodologico, perché gia altre ricerche dello stesso autore (per di più su atleti di livello superiore) avevano prodotto risultati paragonabili utilizzando elevate intensità accompagnate ad una riduzione del chilometraggio; altre ricerche (come quella di Tabata), avevano trovato che intensità prossime a quelle massimali erano in grado di stimolare il potenziale aerobico.
La riduzione del chilometraggio settimanale è stato gran parte dovuto alla riduzione del riscaldamento. Nel protocollo sperimentale il riscaldamento è stato di 1 Km; è ovvio immaginare che il passare da 4 a 1Km di riscaldamento in 3 sedute, risulta nell’effettiva riduzione di 9 Km del totale settimanale, che per gli atleti considerati (30 km a settimana) è un valore notevole.
CONCLUSIONI e APPLICAZIONI PRATICHE
Gia in un nostro post abbiamo introdotto il concetto di alta intensità (più precisamente di speed-endurance) nel mondo del running con conseguenti ricadute applicative; vi rimandiamo all’articolo per le conclusioni. Il metodo 10-20-30 si può quindi considerare come mezzo di allenamento in grado di:
Mantenere il potenziale aerobico (Vo2max) e le qualità neuromuscolari per atleti di medio e alto livello a patto che venga effettuato un volume superiore (almeno 5-7 serie) rispetto a quello del protocollo di Bangsbo. Non consente quindi di sviluppare tali parametri, perché per runner con primati migliori sono probabilmente necessari stimoli superiori, ma solo di mantenerli.
Sviluppare e mantenere il potenziale aerobico (Vo2max) e le qualità neuromuscolari per atleti di medio-basso livello non trascurando altri fattori che influenzano la performance come la Velocità di gara e la Capacità di gara.
A mio parere, il pregio principale (rispetto ad altre simili) di questa metodologia sta nel fatto che può essere effettuata ovunque; infatti, nelle altre ricerche in cui sono stati studiati allenamenti di speed-endurance, venivano utilizzate intensità fisse (come il 95% del proprio primato sui 200m). Di conseguenza, gli allenamenti andavano effettuati su tratti opportunamente misurati con particolari vincoli riguardanti la velocità. Il metodo 10-20-30 invece utilizza “intervalli di intensità”: i 10” devono essere corsi ad un’intensità superiore al 90% del massimale, i 20” ad un’intensità inferiore al 60% del massimale e i 30” ad un’intensità inferiore al 30% del massimale. La conseguenza è che un mezzo d’allenamento del genere può essere svolto ovunque, purchè in piano e con un cronometro.
Ma passiamo ora ad un interessante esempio pratico: prendiamo un podista di medio livello che corre i 10 Km in 38’ (media di 3’48”/Km) ed ha un primato sui 100m (per valutare la velocità massima) di 14” (25.7 Km/h). A che velocità dovrà correre le varie frazioni?
I 10” verranno corsi ad una velocità superiore ai 23.1 Km/h (circa 71m) con uno sforzo estremamente impegnato.
I 20” ad un ritmo inferiore a 3’54”/Km, cioè una velocità leggermente inferiore a quella dei 10Km.
I 30” più lenti di 7’47”/km, cioè di corsa estremamente blanda.
Speriamo che la nostra revisione abbia aiutato ad interpretare al meglio questa ricerca e che abbia dato (che non guasta mai) qualche spunto interessante per l’allenamento.
Gunnarsson TP, Bangsbo J. The 10-20-30 training concept improves performance and health profile in moderately trained runners. J Appl Physiol. 2012 Jul;113(1):16-24.
In questo post cercheremo di comprendere l’analogia tra 2 mezzi d’allenamento di origine diversa e la loro importante ricaduta applicativa per gli sport di squadra e di endurance. Sia gli Esercizi statico-dinamici che l’Allenamento della forza a bassa velocità sono 2 metodologie per lo
sviluppo della forza muscolare che si basano su stimoli biologi indotti da una diminuzione del flusso di sangue nei capillari dei muscoli durante esercizio.
La caratteristica principale (che poi andremo ad analizzare separatamente nelle 2 metodologie) è l’utilizzo di movimenti lenti (nel sollevare i pesi) sia in fase eccentrica che concentrica, in maniera tale che non si assista mai ad un rilassamento della muscolatura; in questo modo si viene a creare una pressione intramuscolare tale da contrastare il flusso di sangue nei gruppi muscolari più coinvolti nell’esercizio. Ciò, insieme al lavoro muscolare (solitamente vengono sollevati pesi di natura inferiore alla metà del massimale) costituisce lo stimolo biologico principale a questa metodologia d’allenamento. L’originalità di questa situazione sta nell’analisi storica di questi 2 mezzi che non hanno radici storiche comuni, ma sono giunti a risultati (seppur in discipline diverse) soddisfacenti presumibilmente senza “conoscersi”. Infatti:
Sulla descrizione degli esercizi Statico-dinamicisi ha un solo documento in Italiano, cioè un’intervista apparsa nel 2002 su SDS (N° 44, pg 42-44) all’autore Victor Seluyanov di un articolo scritto in originale su una rivista Russa (Legkaja Atletika). L’argomento affrontato era l’ipetrofia delle fibre lente (variabile difficilmente allenabili con i pesi) mirata all’incremento della forza di queste, il conseguente innalzamento della Soglia Anaerobica e il miglioramento della prestazione negli sport di resistenza (in particolar modo per la corsa). Di questo metodo esiste anche un’applicazione nella canoa effettuata da Amisano (Nuova Canoa Ricerca 2008, N°63-64).
Per quanto riguarda invece l’allenamento della forza a bassa velocità, la pubblicazione di riferimento è illibro scritto da Alberti-Garufi-Silvaggi (edito da Calzetti Mariucci). Contrariamente al primo metodo (di cui si ha a disposizione poche pagine di una rivista), la descrizione e l’approfondimento di questo è particolarmente dettagliata con ricerche, esperienze pratiche e approfondimenti fisiologici. I campi d’applicazione su cui è stato sperimentato sono diversi, tra i quali il ciclismo (velocità su pista), salti&lanci (atletica leggera) e sport di squadra (basket).
Prima di approfondire questi mezzi, è necessaria una breve (e semplice) spiegazione fisiologica dei diversi stimoli biologici che stanno alla base dello sviluppo della forza muscolare; ciò aiuterà a comprendere al meglio le differenze tra questi e gli altri metodi per potenziamento muscolare.
STIMOLI ALLENANTI PER LO SVILUPPO DELLA FORZA
L’analisi delle varie espressioni della forza (cioè i parametri neuromuscolari) e del relativo allenamento richiederebbe un lungo e complesso trattato; per questo cercheremo di riassumere in maniera semplificata i concetti necessari per comprendere le metodologie di training di cui parliamo.
Gli stimoli biologici che stanno alla base dell’allenamento della forza sono:
La tensione alla quale è sottoposto il muscolo: tensioni elevate corrispondono a stimoli elevati sia per l’apparato endocrino (ormoni) che per quello nervoso. Queste caratteristiche sono tipiche delle metodologie rivolte all’incremento della forza massima, in particolar modo quando la durata delle tensioni massimali è superiore a 0.7-0.8” (Colli 2012). Quando invece la durata delle contrazioni è inferiore e si associa il riflesso da stiramento, l’effetto allenante è prevalentemente verso le componenti esplosivo-elastiche.
L’accumulo di metaboliti indotti dalla fatica che deve sopportare il muscolo per il lavoro muscolare richiesto: ciò stimola sia reazioni endocrine (ormoni) che metaboliche locali.
Le microlesioni muscolari (indotte da movimenti veloci ed esplosivi) che comportano ad un’ulteriore accumulo/rilascio di metaboliti indotto dalle micrlesioni delle fibre: ciò è evidenziabile dalla fuoriuscita (nel letto vascolare) di elementi cellulari e l’attivazione delle fibre satelliti.
In parole povere, tensione muscolare, accumulo di metaboliti e microlesioni muscolari sono i 3 principali stimoli biologici che inducono adattamenti nel sistema neuromuscolare al fine di incrementare i parametri di forza. Andando ad analizzare questi 3 stimoli, il secondo (accumulo di metaboliti) è quello che necessita di minori mezzi a disposizione (nei confronti di quelli che utilizzano elevate tensioni muscolari) ed è allo stesso tempo meno “rischioso” per gli infortuni (evita microlesioni o tensioni eccessive).
L’accumulo di cataboliti si ottiene prevalentemente con carichi inferiori al 50% del massimale ed è ulteriormente enfatizzato dalla riduzione di flusso sanguigno, come avviene nelle 2 metodiche presentate.
Le 2 tipologie di esercitazioni che andremo a seguire utilizzeranno proprio questo principio!
ESERCITAZIONI STATICO-DINAMICHE
Malgrado abbia un minore approfondimento scientifico esiste un’anedottica particolarmente dettagliata in riferimento all’inserimento di questi protocolli per le corse di fondo/mezzofondo. Ciò non esclude che tale metodo (con varianti relative alla biomeccanica specifiche di ogni disciplina) possa essere utilizzato anche per altri sport di resistenza come il ciclismo, nuoto, canoa/canottaggio, ecc. Nell’intervista apparsa su SDS, Seluyanov indica come sia fondamentale per lo sviluppo della massa delle fibre lente (particolarmente responsabili della funzionalità muscolare nelle discipline di endurance) utilizzare:
Sforzi specifici per questa tipologia di fibra, per cui il peso sollevato non deve essere eccessivo(inferiore al 50% del massimale).
Essendo le fibre lente difficilmente affaticabili, è necessario (per allenarne lo sviluppo della massa, e quindi della forza) durante le serie non permettere al muscolo di rilassarsi, in maniera tale da creare uno stimolo biologico sufficientemente elevato.
L’effetto allenante “presunto” degli esercizi Statico-dinamici sarebbe quello di incrementare inizialmente lo spessore delle miofibrille delle fibre lente migliorandone la forza; la conseguenza sarebbe quella di aumentare la richiesta di ossigeno da parte del muscolo incrementandone (con gli allenamenti di corsa) il potenziale ossidativo ed in toto tutta la performance di endurance; in altre parole, si avrebbero muscoli più forti e resistenti. Questa potrebbe rappresentare un’ipotesi abbastanza fantasiosa; ma cosa dice la bibliografia internazionale sull’argomento? A quasi vent’anni dalle prime pubblicazioni tradotte dal Russo (su base prevalentemente anedottica), si è riusciti ad avere una conferma (o smentita) di tali teorie?
La review (cioè un articolo di revisione, che riassume i risultati di studi sperimentali) attualmente più aggiornata è quella di Gric e coll 2018; non giunge a conclusioni certe (visto che la mole di ricerche attualmente è limitata), ma conferma sostanzialmente quanto riportato nelle esperienze Sovietiche dello scorso secolo, cioè la conseguente ipertrofia delle fibre lente. Infatti, i metodi tradizionali per lo sviluppo dell’ipertrofia (esempio 3 serie di 8 ripetizioni per esercizio al 70-80% del massimale) hanno minori effetti nei confronti delle fibre lente (rispetto agli altri tipi di fibre), con la conseguenza di ridurre il potenziale ossidativo del muscolo. Per incrementare in maniera predominate lo spessore delle fibre lente, sono invece necessari questi 2 requisiti:
Carico basso, inferiore al 50%, ma comunque superiore al 25%.
Tenere sempre il muscolo “in tensione”, cioè non inserire fasi di rilassamento durante le serie (tra una ripetizione e l’altra).
Ma quali devono essere i parametri ideali (N° ripetizioni, durata della varie fasi, ecc.) per l’esecuzione del protocollo? Sulla base delle poche ricerche su cui fare riferimento, il tempo totale della serie dovrebbe andare dai 40 ai 60”, con recupero da 30” a 2’30” tra le serie. Altra condizione essenziale è il raggiungimento di un elevato livello di affaticamento alla fine della serie. Ma quanto deve durare una ripetizione? Risposta difficile da dare, ma dalla ricerca di Gillies e coll 2004, sembra che sia importante che la fase eccentrica sia più lenta di quella concentrica; nello studio in questione la tempistica ideale era di 2″ la fase concentrica e 6” la fase eccentrica.
Il razionale di questo metodo risiederebbe nel fatto che utilizzando carichi bassi, verrebbero attivati prevalentemente i motoneuroni a più bassa soglia di eccitazione, cioè ipoteticamente quelli che innervano prevalentemente le fibre lente (Ogborn e coll 2014).
Rimangono comunque altre domande a cui gli studi dei prossimi anni dovranno dare una risposta: gli effetti sono gli stessi sia sugli atleti che sui sedentari? Sono gli stessi tra uomini e donne? Questi esercizi possono anche “cambiare” il tipo di fibra? Quante serie e quanti esercizi sono necessari a seduta? Quali esercizi sono i migliori per ogni disciplina (si presuma che la massima utilità possa sempre venire dai movimenti funzionali)?
Quest’ultima domanda credo sia la più interessante. Prendiamo ad esempio un maratoneta ed un ciclista: quest’ultimo effettua sforzi prevalentemente concentrici, anche contro resistenze abbastanza elevate (a seconda del rapporto utilizzato) in un regime in cui il movimento è abbastanza vincolato. Un maratoneta effettua uno sforzo elastico (eccentrico/concentrico), in cui è particolarmente importante anche la tecnica di corsa, soprattutto la coordinazione dei vari movimenti al fine di garantire stiffness e spinta orizzontale. Il potenziamento delle fibre lente può avere effetto su entrambe le discipline (corsa e ciclismo) allo stesso modo? Andiamo ora a strutturare un’ipotesi di protocollo.
Esempio di esercitazioni statico dinamiche per un runner
L’esigenza concettuale di questo protocollo è di carattere generale, quindi è importante che vada ad occupare una minima parte dell’allenamento settimanale. Inoltre, può considerarsi una metodologia di tipo sperimentale che può essere intrapresa in maniera estremamente graduale per verificarne l’effettiva utilità soggettiva ed evitare che possa portare ad infortuni:
Durata di una serie 40-48”(in alcuni casi si può arrivare anche a 60”).
Ripetizioni: come sopra, idealmente 6” di fase eccentrica e 2” di face concentrica.
Carico: tale da arrivare ad un affaticamento medio-alto, ma non al dolore muscolare.
N° esercizi: (allenamento funzionale) squat monopodalico, affondo, single leg deadlift, nordic hamstring stretching ed eventualmente (N° di serie dimezzato) sollevamenti sulle punte monopodalici.
N° di serie per esercizio: da 2 a 4 serie.
N.B.: a questo, va abbinato ad un corretto allenamento per la core stability.
In quali casi, per un runner, può essere utile ricorrere agli esercizi statico-dinamici?
Consigliando estrema cautela e gradualità nell’utilizzo di questo mezzo nel podismo, come in altre discipline, è ragionevole ipotizzare che atleti non dotati di particolare forza muscolare possano beneficiare di un regolare utilizzo di questa metodologia. A mio parere, è possibile considerarlo un ottimo mezzo per l’incremento della resistenza muscolare locale, efficace particolarmente per migliorare la capacità di correre in salita.
Il punto forte di questo tipo di esercitazioni è la comodità di non dover avere particolari attrezzi a disposizioni; infatti, vista la natura statico-dinamica dell’esercitazione, non sono necessarie attrezzature particolari per creare il carico. Le prime volte, è possibile addirittura eseguire i movimenti a corpo libero, come l’affondo (vedi video sotto), lo squat monopodalico e il nordik hamstring stretching.
Come eventuale carico aggiuntivo, un manubrio o un kettlebell del peso variabile di 6-15 Kg (a seconda del livello di allenamento) sono gli unici pesi accessori, oltre a quello corporeo, di cui si può necessitare per raggiungere il Carico necessario.
ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA VELOCITA’
Per approfondire il metodo dell’Allenamento della forza a bassa velocità c’è a disposizione un intero libro (vedi la Bibliografia). Ovviamente non è possibile sviscerare l’intero contenuto in un post, ma ci limiteremo a riportare gli elementi di base; personalmente consiglio a tutti di leggere il libro perchè apporta novità dal punto di vista metodologico che attualmente non sono ritrovabili in altre fonti. Ricordiamo che l’effetto biologico allenante principale di queste metodologie (approfondito nel precedente post) è quello di allenare la forza muscolare tramite contrazioni che per intensità/durata provocano una diminuzione del flusso sanguigno nei muscoli che lavorano, inducendo adattamenti (reazioni periferiche ed ormonali) enfatizzati dai metaboliti che si accumulano.
Di questo metodo esistono attualmente 2 varianti: il metodo della forza a bassa velocità e il metodo della serie lenta a scalare. Il primo viene fatto a carico costante, mentre il secondo implica l’abbassamento del carico (2 volte) durante la serie (senza fermarsi) al fine di prolungare il numero di ripetizioni malgrado la fatica. Altre differenze sono evidenziabili sotto:
Metodologia Forza a bassa velocità (metodo semplice)
Ripetizioni: 5-6 ripetizioni, ognuna di 10” (5” fase concentrica e 5” fase eccentrica); esistono variazioni di qualche secondo tra le varie sperimentazioni.
Durata di una serie:50-60”
Carico: 50% di 1 RM per gli arti superiori, 40-50% per gli arti inferiori
N° esercizi: 1 esercizio per gruppo/catena muscolare.
N° di serie per esercizio: non viene ampiamente specificato, ma è ragionevole ipotizzare un numero pari/inferiore a 5 (a seconda della tipologia di seduta).
Metodologia Forza a bassa velocità (serie lenta a scalare)
Questa è quella che tra le due in cui si riscontra un numero maggiore di dati
Ripetizioni: ad esaurimento, a seconda dei protocolli e dei gruppi muscolari utilizzati si raggiungono in media 8-16 ripetizioni abbassando il carico 2 volte (ogni volta del 20% del carico utilizzato). Ogni ripetizione dura 10” (5” fase concentrica e 5” fase eccentrica).
Durata di una serie: essendo ad esaurimento dipende dal numero di ripetizioni che si riescono a fare.
Carico: 50% di 1 RM per gli arti superiori, 40-50% per gli arti inferiori.
N° esercizi: 1 esercizio per gruppo/catena muscolare.
N° di serie: 1 per esercizio, perché già alla seconda serie il numero delle ripetizioni si dimezzerebbe a causa della fatica.
Effetti riscontrati
Riduzione della patologia dolorosa (caratterizzate da stato infiammatorio) in atleti affetti da patologie muscolo-tendinee da sovraccarico.
Efficace incremento dell’ipertrofia.
Efficace incremento forza massima, anche se altri metodi possono considerarsi più efficaci.
In soggetti allenati all’esplosività/potenza mantiene o incrementa parametri di potenza ed esplosività malgrado l’esecuzione lenta del protocollo.
Recupero della seduta entro 24h nella maggior parte dei casi.
N.B.: non sono reperibili (perché non indagatati) effetti relativi a discipline di endurance.
Malgrado la maggiore esperienza scientifica rispetto ai metodi Statico-dinamici, non esiste ancora una completa uniformità dei protocolli; per questo motivo anche questo è da considerare un metodo a carattere sperimentale; in particolar modo è da prestare attenzione al fatto che la maggior parte delle sperimentazioni è stata fatta per gli arti superiori. Quindi la corretezza dell’applicazione del carico (50% di 1RM) in quelli inferiori è meno certa, in particolar modo perché, in esercizi come lo squat, è da considerare anche il peso corporeo in esercizi. Sempre a differenza del metodo Statico-Dinamico si ipotizza ci sia anche un reclutamento delle fibre veloci, oltre di quelle lente, testimoniato dai livelli dei tracciati elettromiografici. Gli esercizi ideali da utilizzare sono i movimenti dell’Allenamento funzionale, con la preferenza nell’utilizzo di pesi liberi, piccoli attrezzi (come kettlebell) o i cavi.
Vantaggi: malgrado sia un metodo estremamente faticoso e spossante, la fatica viene totalmente recuperata in 24 ore, permettendo agli atleti di lavorare il giorno successivo su altri parametri della performance. Inoltre, gli effetti presunti abbastanza completi (esplosività, potenza, forza massima, ipertrofia) nei confronti della forza muscolare, lo rendono un ottimo mezzo per lo sviluppo generale di questa qualità con un più basso rischio di infortuni da sovraccarico rispetto ad altri. In più, i carichi moderati (40-50% di 1RM) e la bassa potenza sviluppata riducono drasticamente il rischio di infortuni acuti di cui abbiamo già parlato in precedenti post.
Svantaggi: poche indicazioni sulla tipologia di esercizi da utilizzare per i vari gruppi muscolari (biomeccanica) in relazione alle singole discipline. Inoltre, la seconda variante (serie lenta a scalare) obbliga ad avere almeno 2 assistenti per alleggerire il carico.
RIASSUNTO CONCLUSIVO
Malgrado l’origine diverse di queste metodologie, il punto in comune preponderante appare la lentezza esecutiva con la quale vengono eseguiti i movimenti, in aggiunta all’utilizzo di carichi non elevati. Il raggiungimento di un grado di affaticamento più o meno marcato e il numero di serie/esercizi da eseguire, rappresentano le diversità di queste metodiche allenanti.
In ogni modo, queste metodologie sembrano estremamente interessanti per la componente Generale della forza e dell’allenamento, la cui importanza è riconosciuta in tutti gli sport di squadra e discipline individuali con forte base atletica (sia di endurance che di esplosività). Nello specifico è stata riscontrata la capacità di incrementare/mantenere i vari indici di forza (massa muscolare, forza massima, esplosività, ecc) di entrambe le fibre muscolari, accoppiate ad un basso rischio di infortuni (da sovraccarico ed acuto) e un rapido recupero funzionale. Questo tipo di mezzi ovviamente non consente di soppiantare tutte le altre metodologie di allenamento della forza, ma semmai di ampliare gli strumenti metodologici (e le conoscenze) a disposizione degli allenatori/preparatori al fine di fare le scelte più appropriate per ilcondizionamento generale della forza muscolare.
A questo link potrai trovare la recensione completa del libro Allenamento della forza a bassa velocità.
Bibliografia
Alberti G, Garufi M, Selvaggi N. Allenamento della forza a bassa velocità; Il metodo della serie lenta a scalare. 2012. Calzetti e Mariucci Editori.
Amisano V. La preparazione immediata alla gara; aspetti teorici, metodologici e pratici. Nuova Canoa Ricerca, N° 63/64 Aprile-Maggio 2008. Pag. 3-14.
Iourtchenko O, Mulinelli M (a cura di…). Lente o rapide? L’allenamento della forza nelle corse di mezzofondo e fondo. SDS N° 54, Gennaio-Marzo 2002. Pag. 42-44
Autore dell’articolo: Melli Luca(melsh76@libero.it), istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AS Sorbolo e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.
Il posizionamento degli allunghi all’interno del piano d’allenamento è un aspetto spesso trascurato dal runner perché permette di modulare il tono muscolare (cioè la contrazione “di fondo”, involontaria, del muscolo, che permette di ottimizzare le contrazioni muscolari) che ai più rappresenta un meccanismo fisiologico sconosciuto. Senza addentrarsi eccessivamente in aspetti che riguardano la fisiologia neuromuscolare è possibile affermare che un adeguato tono muscolare è in grado di permettere al podista di gestire al meglio la frequenza e l’ampiezza del passo durante la gara, con una percezione dello sforzo inferiore; è anche da ricordare che questo si abbassa dopo l’effettuazione di allenamenti lunghi e/o estremamente faticosi, mentre si alza (per qualche decina di ore) quando si è riposati o dopo un allenamento di poche brevi azioni quasi massimali.
Per questo motivo, uno scarso tono (caratteristica di alcuni runner, in particolar modo oltre i 50 anni, quando tende a calare la forza muscolare) potrebbe rendere la corsa più “faticosa” anche quando il sistema aerobico è in buona condizione. Nel documento scaricabile sono presentati 2 tipologie di allunghi per il mantenimento delle qualità muscolari e per la modulazione del tono. È comunque da precisare che un incremento indiscriminato del tono muscolare (caso raro, ma possibile per quei podisti con un tono gia elevato e che si allenano troppo poco) può causare contratture, infortuni o crampi.
L’audio-video di oggi è dedicato alla corsa, e più precisamente ai concetti affrontati nel post dedicato alla Strutturazione dell’allenamento. In maniera estremamente semplice e chiara verranno affrontati i concetti di Allenamento Generale e Allenamento Specifico esemplificando quelli che possono essere gli errori più frequenti che può effettuare un amatore quando organizza il proprio allenamento.
Verrà inoltre introdotto il concetto del “Tetto delle 5 gare” come elemento limitante dell’Allenamento Specifico e di pianificazione dei ritmi da affrontare in gara.
Gli allenamenti sottoforma di ripetute sono da molti considerati come mezzi fondamentali per correre veloci in gara; troppo spesso però non si è a conoscenza dell’adeguato “dosaggio” da utilizzare (quante ripetute? di che distanza? a che velocità? con quanto recupero?) con il rischio di non fornire i giusti stimoli allenanti.
Non solo, un utilizzo eccessivo di questi mezzi allenanti non supportati dalle qualità di base (forza e resistenza) può portare ad infortuni o limitare fortemente i miglioramenti prestativi nel corso della stagione.
Chissà a quanti runner sarà capitato di notare un rapido miglioramento della condizione di forma durante la fase iniziale della stagione, ma poi rilevare un’improvvisa stagnazione della performance malgrado il continuo impegno in allenamenti e gare.
O ancora, a quanti è capitato di soffrire di tendiniti o fastidi muscolari dopo l’esecuzione di questo tipo di sedute, con la conseguenza di ridurne sempre di più l’utilizzo, fino a rinunciare definitivamente ad effettuarle.
L’inserimento delle ripetute nel proprio piano d’allenamento deve avere dei criteri, grazie ai quali è possibile massimizzarne l’utilità ai fini della performance.
Seguendo i 3 semplici punti che vedremo sotto, sarà così più facile introdurle proficuamente nel proprio programma; analizziamoli ora brevemente per poi approfondirli di seguito:
Conoscere gli effetti allenanti: nell’immagine sopra, abbiamo diviso questa tipologia di allenamento in base agli effetti allenanti (e non in base alla distanza). Questo permette di comprenderne meglio l’utilizzo.
Quando inserirle nel proprio piano d’allenamento: introdurli precocemente senza avere prima un livello di forza e resistenza sufficienti, ne limita l’efficacia e incrementa il rischio di infortuni.
Quali scegliere: esistono tantissimi tipi di ripetute. Considerando i vari parametri (lunghezza, intensità, pause, volume, ecc.) è facile intuire come possa esserci confusione nella scelta della soluzione più appropriata. In questo post vedremo quelle che ritengo le più efficaci in termini di benefici/fatica effettuata.
Cosa allenano le ripetute?
Come visto sopra, la divisione categorica può essere fatta con estrema semplicità in base alle grandezze indicate sotto:
Velocità: detta anche “Velocità di base” è la massima velocità che l’atleta più raggiungere per un breve tratto. Rappresenta una qualità fondamentale affinchè il runner possa correre con disinvoltura (e di conseguenza con una tecnica di corsa appropriata) ai ritmi di gara. Chi ha una bassa velocità di base invece, tende a fare eccessiva fatica anche a quelle di gara, con una conseguente tecnica di corsa poco efficiente. Questo tende ad incrementare il rischio di infortuni, oltre a far percepire eccessivamente faticosa la corsa. Per chi prepara gare di 10-20Km, si allena con ripetute brevi (vedremo sotto meglio nel dettaglio) ad intensità stimata pari o superiore al RG3000m (vedremo poi come calcolarlo)
La Velocità di Gara è la velocità teorica sulla quale si imposta la competizione. Si allena in particolar modo correndo a ritmi leggermente superiori a quelli di gara per intervalli non troppo lunghi e con pause adeguate. Per chi prepara gare di 10-20 Km solitamente si utilizzano ripetute medie classiche (500-1000m) ad intensità 5-15”/Km più veloce di quella di una gara di 10Km.
La Capacità di Gara è la capacità di riuscire a correre alla “Velocità di gara” per tutta la competizione, cioè senza cali indotti dalla fatica nella fase finale. È una qualità che si allena correndo a velocità pari o non troppo più lente a quelli di gara per una distanza sufficientemente lunga.
Come potete intuire, non ci si regola sulla “lunghezza” delle ripetute, ma sullo scopo allenante che queste hanno.
Quando vanno inserite affinchè risultino efficaci?
Il corretto inserimento nel proprio programma d’allenamento rappresenta la base affinchè la fatica fatta nello svolgere questa tipologia di seduta contribuisca ad un incremento progressivo della prestazione durante la stagione.
Clicca sull’immagine per ingrandire
Nell’immagine a fianco è possibile vedere una semplificazione di quando è pensabile inserire le ripetute nel proprio programma di allenamento (si riferisce alla preparazione di gare di 10-20 Km). Malgrado sia una semplificazione (la programmazione non lavora a compartimenti stagni), si intuisce come queste rappresentino una parte degli stimoli allenanti solo nella seconda parte di una preparazione finalizzata ad un singolo evento (o ad un periodo di gare).
Se consideriamo queste come i mezzi allenanti fondamentali per la velocità di gara e la capacità di gara, possiamo paragonarle al tetto di una casa; senza le fondamenta (resistenza aerobica) e le mura portanti (qualità neuromuscolari), questo non potrà mai essere montato.
Non ci dilunghiamo eccessivamente sull’argomento che potete approfondire nel nostro post dedicato alla programmazione dell’allenamento; quello che è importante comprendere, è che senza una resistenza aerobica e qualità neuromuscolari (soprattutto forza) adeguate, le ripetute non permetteranno di realizzare in maniera efficace la velocità di gara e la capacità di gara.
Quali ripetute utilizzare?
In particolar modo per chi corre a livello amatoriale, il segreto nell’utilizzo di questi mezzi allenanti è non esagerare! Sì perché in questo modo è più facile comprendere gli effetti allenanti ed il tempo necessario per recuperare le singole sedute.
Infatti, ogni atleta è diverso dall’altro, e non è detto che un determinato numero di ripetute (come ad esempio può essere sui 200m) possa essere l’ideale per 2 atleti che hanno lo stesso primato (ad esempio, sui 10Km).
Ad esempio, un runner con caratteristiche resistenti (più efficiente sulle lunghe distanze) solitamente utilizza un numero di ripetizioni inferiori rispetto ad un runner con caratteristiche veloci o intermedie (più adatto alle gare medio-brevi); potete approfondire l’argomento nel nostro post dedicato all’individualizzazione dell’allenamento.
Ma andiamo ora a vedere nello specifico i singoli mezzi allenanti e le loro caratteristiche.
Prima di iniziare ad inserire le ripetute nel proprio piano d’allenamento è sempre consigliabile effettuare una gara (al massimo impegno) pianeggiante di lunghezza compresa tra i 5-10 Km, proprio per avere una velocità di riferimento su cui basare i ritmi; in assenza di questa, è possibile ipotizzare il proprio primato attuale sulla distanza dei 10 Km, ma ovviamente non potrà mai avere la stessa precisione di una competizione svolta da poco.
Nel caso in cui si ipotizzi un tempo teorico, è sempre consigliabile rimanere “pessimisti” nell’evenienza; questo per “non esagerare” con i ritmi…che abbiamo detto prima essere il segreto per approcciare correttamente a queste sedute.
Ripetute per incrementare la velocità
Ovviamente questi mezzi non lavorano a “compartimenti stagni”, quindi le ripetute per il miglioramento della velocità di base allenano anche (anche se in misura minore) la velocità di gara. Queste sono caratterizzate da una lunghezza che va dai 200 ai 400m.
Prima di fare alcuni esempi, mi preme sottolineare che questa tipologia di lavori diventa efficace solamente per atleti che hanno, o hanno sviluppato nelle settimane precedenti adeguati livelli di forza muscolare. Questo perché, non mi stancherò mai di dirlo, la forza è il presupposto della velocità; in questo post potete trovare la spiegazione di natura fisiologica del concetto appena espresso.
Visto che la velocità è un importante presupposto della velocità di gara, solitamente queste vengono introdotte per prime, all’inizio della seconda fase della stagione; vengono corse a ritmi pari o più intensi del RG3000m (ritmo gara teorico 3000m).
Ma come fare a conoscere il proprio RG3000m?
Semplice, grazie al foglio di calcolo Ranucci-Miserocchi. Ad esempio, prendiamo come esempio un runner che ha appena corso i 10Km in 45’; il RG3000m sarà circa 25”/Km più veloce.
Vediamo ora alcuni esempi:
Ripetute sui 200m: 12-15 x [200m (RG3000m-5/10”/Km) + 200m di corsa blanda]. Per il nostro atleta che corre i 10 Km in 45’ (4’30”/Km), il ritmo da tenere sarà di circa 4’00-3’55”/Km, cioè concludere i 200m in 47-48”.
Ripetute sui 300m: 12-13 x [300m (RG3000m-0/5”/Km) + 200m di corsa blanda]. Per il nostro atleta che corre i 10 Km in 45’ (4’30”/Km), il ritmo da tenere sarà di circa 4’05-4’00”/Km, cioè concludere i 300m in 1’12-1’13”.
Ripetute sui 400m: 10-12 x [400m (RG3000m) + 200m di corsa blanda]. Per il nostro atleta che corre i 10 Km in 45’ (4’30”/Km), il ritmo da tenere sarà di circa 4’05/Km, cioè concludere i 400m in 1’38”.
Ovviamente i ritmi indicati non vanno intesi come “tassativi”, ma forniscono un’indicazione di massima sulla velocità da tenere; ad esempio, un runner con caratteristiche resistenti può anche correrli a velocità leggermente più lente, mentre un atleta con caratteristiche veloci ad intensità leggermente superiori. Ricordatevi sempre che l’imperativo (soprattutto nelle prime sedute) è “non esagerare”!
Ma quale progressione esecutiva inserire nel proprio piano d’allenamento?
Si può iniziare con una seduta di 200m, per poi passare (dopo 6-10 giorni) ad una di 300m e infine (sempre dopo 6-10 giorni) ad una seduta sui 400m. L’intervallo di tempo tra una seduta e l’altra dipende dalla tipologia di atleta (un runner resistente necessita di più giorni) e dalle altre sedute inframezzate tra le ripetute. Andrebbero tenute “distanti” anche 6-8 giorni da gare corse al massimo delle proprie possibilità.
Queste, ovviamente vanno sempre corse in condizione di freschezza muscolare, cioè non in condizioni di affaticamento.
Riassumendo, il beneficio principale delle Ripetute brevi è quello di incrementare la velocità di base del runner (ed in parte la velocità di gara), costruendo importanti presupposti su cui lavorare nei momenti successivi. Infatti, una bassa velocità limiterebbe lo sviluppo della velocità di gara. Inoltre, non mi dimenticherò mai di ricordare come la forza (su cui lavorare nel periodo precedente) sia la base della velocità!
Con le dovute semplificazioni possiamo considerare di 2 tipi gli stimoli allenanti che portano ad un incremento della velocità di gara. Per comodità, ci riferiremo alla preparazione di gare di 10-20 Km.
Il primo è quello di correre dei tratti non troppo lunghi (idealmente sotto i 4’ di durata) utilizzando come riferimento il RG5000m, con pause di corsa blanda e della lunghezza tale da garantire un adeguato recupero tra una ripetuta e l’altra. In questo modo, l’atleta si abituerà a correre a ritmi leggermente superiori a quelli di gara (di 10-20Km), ma in maniera intervallata, così da poter effettuare un chilometraggio abbastanza elevato, limitando gli effetti della fatica.
Il secondo tipo di stimoli è quello di correre, sempre in maniera intervallata, ma con fasi attive e di recupero molto brevi; come abbiamo visto nell’allenamento intermittente, queste permettono di mantenere un consumo di ossigeno più elevato rispetto al tipo di stimoli prima elencato, mantenendo la stessa percezione della fatica.
Ma quale dei 2 stimoli è più adeguato?
Sicuramente il primo stimola maggiormente la sensibilità del ritmo, cioè abitua l’atleta maggiormente alla biomeccanica del ritmo di gara, mentre il secondo ha un maggiore effetto allenante dal punto di vista fisiologico; sta alla soggettività del runner comprendere quale sia quello che si confà maggiormente alle proprie caratteristiche ed alla propria logistica, fermo restando che anche variare il tipo di stimoli può essere una buona soluzione per essere maggiormente motivati e soddisfare tutte le esigenze allenanti. Ma andiamo a vedere nel dettaglio alcuni esempi che riguardano la prima tipologia di stimoli, cioè le Ripetute medie classiche.
Queste sono di una lunghezza che va dai 500m ai 1000m, corse al RG5000m con pause adeguate (di corsa blanda), cioè che consentono un recupero tale da effettuare un volume allenante abbastanza elevato di ripetizioni; riducendo l’entità del recupero si rischierebbe di affaticare eccessivamente l’organismo non consentendo di fare un chilometraggio adeguato alla velocità voluta.
Come seduta iniziale, si può partire dalla seguente:
Ripetute sui 500m: 12 x [500m (RG5000m) + 300m di corsa blanda]. Per il nostro atleta che corre i 10 Km in 45’ (4’30”/Km), il ritmo da tenere sarà di circa 4’15-4’20”/Km, cioè concludere i 500m in 2’07”-2’10”.
Il calcolo del ritmo di riferimento è analogo a quello per le Ripetute Brevi elencate sopra.
Nel caso in cui si sia riusciti a correre la seduta rispettando i ritmi indicati, dopo un adeguato periodo di tempo è possibile incrementare il carico di lavoro; questo può avvenire in diversi modi:
Aumentando leggermente il volume di Km effettuati al RG5000m: si può passare, ad esempio, da 6000m (come nella seduta sopra) a 7000m, mantenendo gli stessi parametri. In ogni modo, non è consigliabile andare oltre i 7-8 Km.
Ridurre il recupero, facendolo passare da 300m a 200m (mantenendo costanti gli altri parametri).
Allungare la distanza della ripetuta, ad esempio da 500m a 600m, mantenendo tutti gli altri parametri, compresi i Km al RG5000m. Ad esempio, passando a ripetute sui 600m, si potrebbe correre [(10 x 600m) + 300m di corsa blanda]. La lunghezza massima della singola ripetuta non dovrebbe essere superiore ai 1000m o ai 4’.
È importante modificare solo 1 parametro alla volta!
Semplificazione dell’utilizzo delle Ripetute medie classiche per la preparazione di gare di 10-20 Km
Nel caso in cui si segua questo tipo di progressione, è importante lasciare il giusto periodo di recupero tra stimoli di questa tipologia; 6-9 giorni sono il lasso di tempo ideale. Andrebbero tenute “lontane” anche 7-9 giorni da gare corse al massimo delle proprie possibilità. Inoltre, questi mezzi allenanti vanno effettuati in condizioni di freschezza.
Questo tipo di sedute è molto utile anche per la verifica della condizione; nel caso in cui sia palese un peggioramento della propria forma fisica, le cause possono essere 2. La prima è che si è ancora stanchi dagli allenamenti di carico precedenti (o gare); in questo caso è sufficiente lasciare qualche altro giorno di allenamenti leggeri e riprovare la stessa seduta. L’altra causa può essere che non si ha lavorato in maniera sufficiente sulla parte generale della programmazione (qualità neuromuscolari e resistenza aerobica); in questo caso è da tenerne in considerazione nella programmazione della stagione successiva.
Altri allenamenti per la velocità di gara
Premesso che tutti i mezzi allenanti potete trovarli catalogati nel nostro post introduttivo dedicato al running, cito sotto alcuni di quelli maggiormente utilizzati per incrementare la velocità di gara in alternativa alle Ripetute medie classiche.
Allenamento intermittente: come abbiamo visto sopra, lo stimolo allenante avviene principalmente dalla frequente variazione di ritmo che incrementa notevolmente il consumo di ossigeno. Il fatto che le varie fasi siano relativamente brevi (30” circa), riduce l’accumulo di fatica dovuto alla durata elevata dei tratti più intensi, diminuendo anche la percezione della fatica. Nell’articolo corrispondente potete trovare 4 varianti di questo mezzo allenante, alcune delle quali non necessitano di percorsi pianeggianti o del GPS.
Ripetute con partenza veloce: in questa tipologia, l’intensità iniziale è molto elevata, per poi calare progressivamente (senza mai scendere troppo) nella seconda parte. Questo permette di avere uno stimolo allenante maggiore rispetto alle ripetute medie classiche, perché il consumo di ossigeno (stimolo biologico per l’effetto allenante) aumenta più velocemente nella fase iniziale. Le intensità di questa forma di ripetute inoltre è solitamente gestita dalla percezione dello sforzo, e non dalla velocità; per questo motivo, è più facile da tollerare e si può effettuare anche su percorsi collinari.
Alcune varianti de Fartlek: è l’allenamento “a sensazione” per eccellenza, che permette di organizzare le sedute con criteri semplici, senza l’utilizzo del GPS. Esiste anche il Fartlek mp3, per stimolare anche la velocità di gara allenandosi con la musica.
L’utilizzo del RG5000m migliorarsi sui 10 Km: questa struttura allenante divide lo sforzo effettuato su circa 5000m in più tratti, con brevi pause, adatte ad affrontare questo tipo di sforzo in allenamento, cioè quando i livelli di motivazione e di adrenalina sono inferiori. La progressione esecutiva e le caratteristiche del programma lo rendono anche un protocollo-test anche molto utile per valutare la propria condizione.
Il test di Yasso: anche questo allenamento rappresenta congiuntamente un test, ideale per valutare le potenzialità sul ritmo gara in maratonina ed in maratona.
Bene, abbiamo quindi visto quali siano gli stimoli ideali per incrementare la velocità di gara, cioè l’utilizzo di andature leggermente superiori alla gara preparata in maniera intervallata, così da poter effettuare un volume di andature elevato, compatibilmente con i livelli di fatica indotti.
L’adattamento (cioè i miglioramenti prestati) che ne deriva, dipende ovviamente dal giusto dosaggio allenante (“mai esagerare”) e da quanto si ha lavorato sulle componenti generali (qualità neuromuscolari e resistenza aerobica) nel periodo precedente.
Ma attenzione, un’elevata velocità di gara deve essere anche supportata da un’adeguata capacità di gara, cioè il fatto di poter mantenere tale intensità durante la gara, evitando cali nel finale di competizione. È quello che vedremo meglio nel prossimo capitolo.
Ripetute per incrementare la Velocità di gara e la Capacità di gara
Possiamo inquadrare nelle Ripetute lunghe i mezzi allenanti universalmente riconosciuti per allenare congiuntamente la velocità e la capacità di gara; per gare di 10-20 Km, si tratta di correre fasi comprese tra 1.6-3 Km al ritmo gara, con pause adeguate tra una ripetizione e l’altra.
A mio parere, questo è il tipo di allenamento che un amatore dovrebbe evitare! I motivi sono 3, e li vediamo brevemente sotto:
Apportano benefici ridotti in base alla fatica percepita: chi ha provato questo tipo di sedute è ben conscio di quanto sia faticoso correre al RG10Km in allenamento per 2-3 Km alla volta. Non solo, correndo in maniera intervallata la pausa riduce parzialmente lo stimolo allenante dell’allenamento. Infatti, in competizione non avrò mai la possibilità di fare pause di recupero, quindi questa forma d’allenamento non è poi così “specifica” per la gara come si potrebbe ipotizzare. Insomma, si corre il rischio di fare tanta fatica per uno stimolo allenante insufficiente per l’obiettivo che si vuole raggiungere.
Esiste un mezzo d’allenamento più efficace: è il nuovo interval training! Non mi dilungo eccessivamente sull’argomento perché potete trovare tutte le indicazioni nel post specifico. In sostanza questo mezzo prevede dei tratti di 400m a velocità leggermente superiori al Ritmo gara (ad esempio il RG5000m per chi prepara i 10 Km), alternati a tratti più brevi ad intensità non troppo lente (ad esempio, dalla CL alla CM). Questo rappresenta un ottimo stimolo allenante per Velocità di gara e Capacità di gara in quanto si corre a ritmi superiori, ed allo stesso tempo senza pause troppo lente che ridurrebbero lo stimolo per la Capacità di gara. Il fatto di correre il tutto con fasi relativamente brevi (400m), aiuta anche psicologicamente a sopportare meglio l’allenamento.
Non è necessario lavorare sulla Velocità di gara e sulla Capacità di gara nella stessa seduta: com’è possibile
Clicca sull’immagine per ingrandire
vedere nell’immagine a fianco, esisto allenamenti finalizzati allo sviluppo della velocità di gara (li abbiamo visti sopra) ed altri alla capacità di gara (ad esempio, medi e progressivi). Quindi, alternando in maniera opportuna queste 2 tipologie di allenamenti, è possibile ottimizzare la massima condizione di forma in base al periodo considerato, senza stimoli che congiuntamente vadano ad incidere su velocità di gara e capacità di gara. Inoltre, è da ricordarsi che il migliore allenamento per la gara è la gara stessa; ma su questo aspetto è importante fare una doverosa precisazione che vedremo di seguito.
Ma i professionisti corrono le Ripetute lunghe?
La tendenza più recente per i top runner è l’utilizzo dell’allenamento polarizzato, cioè correre un chilometraggio molto elevato durante la settimana, introducendo un 20% di allenamenti con tratti ad intensità superiore a quella di gara, come possono essere (ad esempio) stimoli forniti dalle Ripetute Brevi e Medie viste sopra. Il tutto in maniera estremamente individualizzata in base alle caratteristiche dell’atleta. Nei rari casi in cui corrono le Ripetute Lunghe, queste vengono effettuati con recuperi qualificati, cioè ad un’intensità compresa tra la CM (Corsa media) e la CLS (Corsa lunga svelta). Questo per mantenere il carico medio-alto durante tutta la seduta, senza pause che riducano lo stimolo allenante.
Personalmente non consiglio questo tipo di allenamento agli amatori, perché necessitano di elevata freschezza mentale e di motivazione, condizioni rare per chi si allena dopo 8 ore di lavoro, oppure alla mattina molto presto con tutta una giornata di impegni davanti.
Qual è la soluzione ideale per il runner che corre a livello amatoriale?
A livello amatoriale, credo invece sia molto più proficuo la partecipazione a gare con finalità allenante; mi spiego meglio. Visto che la gara è il miglior allenamento per la gara stessa, effettuare competizioni all’85-90% del proprio impegno massimo rappresenta un ottimo stimolo per sollecitare la propria Velocità di gara e Capacità di gara. In questo modo, si evitano allenamenti pesanti in solitudine, si è maggiormente motivati e non si deve stare troppo tempo a calcolare/seguire i ritmi.
Ma perché non correre le gare di allenamento al 100% delle proprie possibilità?
Nella parte finale del nostro capitolo dedicato al Massimo numero di gare, sono spiegati con precisione i motivi per i quali troppe manifestazioni “tirate” (al 100%) rischiano di compromettere il miglioramento prestativo durante la stagione. Nell’immagine sotto potete vedere un breve riassunto concettuale. Per questo motivo, se si utilizzano come allenamento, è consigliabile effettuarle all’85-90% del proprio impegno massimo.
Altra soluzione potrebbe essere quella di partecipare a manifestazioni “non competitive” (meglio se in gruppo) cercando di correre solo gli ultimi Km del percorso con un impegno quasi massimale.
Prima di concludere faccio un’importante considerazione sulla Capacità di gara: per sfruttare al meglio la condizione atletica del runner, non è necessario solamente allenarsi bene, ma anche approcciare la gara nel giusto modo. Ad esempio, se parto troppo forte (indipendentemente dalla mia Capacità di gara) nella seconda parte del tracciato avrò inevitabilmente un calo di velocità dovuta all’errata interpretazione del ritmo nella prima metà. Trovate tutti i dettagli relativi all’impostazione del ritmo gara nel nostro post specifico.
Possiamo quindi concludere che le ripetute lunghe effettuate con il metodo classico non sono assolutamente consigliate per gli amatori, sia per lo stress che impongono che per l’effetto allenante non aderente agli scopi di sviluppare stimoli allenanti specifici. Sopra abbiamo visto quali siano le soluzioni migliori per alternare allenamenti che stimolano la Velocità di gara ad altri che stimolano la Capacità di gara, oppure partecipare a manifestazioni con finalità allenante (all’85-90% del proprio massimale).
Il mezzo che ritengo più adatto anche agli amatori per allenare congiuntamente queste 2 qualità è il nuovo interval training.
Conclusioni
Vi lascio con questa frase tratta dalle conclusioni di una recente revisione internazionale di Rosemblat et al 2021:
Our analysis suggests that increasing interval training dose beyond minimal requirements may not augment the training response
Traduzione: la nostra analisi suggerisce che l’aumento della dose di allenamento a intervalli oltre i requisiti minimi potrebbe non aumentare la risposta all’allenamento
Fonte: Rosemblat et al 2021 (Sports Medicine)
Di conseguenza, il concetto più importante che deve passare, è che le ripetute vengono solitamente inserite nella seconda parte della stagione; queste rappresentano la punta della piramide, quindi permetteranno un incremento della condizione evidente tanto più la base della stessa (resistenza aerobica e qualità neuromuscolari) è stata ben sviluppata ed a lungo. Per chi è allenatore di sé stesso e vuole approfondire in maniera semplice e chiara a tutti il tema della programmazione di una stagione atletica, potete leggere in nostro post sulla pianificazione dell’allenamento del runner amatore.
Ricordo che in questo tipo di sedute è quantomai importante il riscaldamento, che dovrebbe comprendere sia i movimenti funzionali per migliorare il tono e mobilità delle catene muscolari, che tratti ad alta intensità (ma di breve durata) per attivare al meglio la muscolatura ed il metabolismo.
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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
Ti piacerebbe allenarti con le stesse competenze di un professionista, realizzando la tua migliore performance nella gara che preferisci? A chi non piacerebbe! Ma le variabili che incidono sulla performance sono veramente tante, e non è semplice padroneggiarle tutte.
A chi non è capitato di essere particolarmente in forma in un determinato momento della stagione e poi vedere calare inspiegabilmente la propria condizione e la motivazione? Oppure di prepararsi con il massimo impegno per una gara, e non riuscire a dare il meglio di sé? E quanti runner si sono semplicemente infortunati, dovendo interrompere per un certo periodo il rapporto con la corsa?
Certi errori capitano anche a livello professionistico, basta pensare a Stefano Baldini, costretto al ritiro alle Olimpiadi del 2000 a Sidney, a causa di una microfrattura da sovraccarico dovuta probabilmente ad una preparazione errata. Non si demoralizzò, cercò (insieme al proprio tecnico) di fare tesoro degli errori fatti e…dopo 4 anni alle Olimpiadi di Atene le cose andarono molto diversamente.
Clicca sull’immagine per vedere l’arrivo della gara
Questo per far capire come nel programmare il proprio allenamento sia necessario seguire alcune leggi generali (che vedremo in questo post), ma allo stesso tempo adattarle alla nostra individualità, perché non tutti i runner sono uguali.
Non solo, quello che è importante, è riuscire a dare il peso maggiore a ciò che può avere l’incidenza più significativa sul modo con cui viviamo la corsa (un po’ come per il Teorema di Pareto). In questo modo eviteremo gli errori che danno origine a inefficienze che possono compromettere (anche solo parzialmente) la performance, oppure incrementare il rischio di infortuni o modificare il rapporto che abbiamo con la corsa.
Per spiegare quest’ultimo concetto, facciamo un esempio riferito alla maratona: recenti studi hanno dimostrato come il tempo finale sui 42.195 Km per un amatore sia maggiormente correlato alla media Km settimanali e alla velocità media degli allenamenti (Tanda 2013); ininfluente è risultato il chilometraggio massimo dei lunghi effettuati. Questo non significa che non siano importanti i lunghi in maratona, ma che nell’impostare la preparazione, la precedenza va data alla possibilità di correre un congruo (per quelle che sono le possibilità dell’atleta) chilometraggio settimanale ed alla velocità con la quale si riesce a correre.
Bene, dopo questo esempio vediamo quali sono elementi fondamentali che hanno maggiore peso sulla performance del podista, che racchiuderemo nei “5 principi delle programmazione del runner”; questi sono:
Durata di una stagione
Carico, scarico e competizioni
Allenamento polarizzato
Periodizzazione
Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner
Nell’immagine sotto, potete vedere come questi principi si collocano in un contesto più ampio, cioè i 4 pilastri del runner.
Prima di andare a vedere i 5 principi sopra elencati, ci tengo a precisare che per i concetti espressi useremo sempre come riferimento i risultati della bibliografia internazionale, aspetto fondamentale per avere nozioni che abbiano una base il più possibile scientifica; malgrado questo, è possibile che determinati concetti vadano individualizzati in base alle caratteristiche dell’atleta. Vi consiglio pertanto di leggere un principio alla volta e poi confrontarlo con quella che è la vostra esperienza, per effettuare eventualmente un “saggio upgrade” delle vostre competenze. Buona lettura!
1) Durata di una stagione
A chi prende parte a molte gare, immagino sia capitato di arrivare a fine stagione abbastanza demotivato, con la sensazione di avere “poca benzina nelle gambe” e con un calo di condizione; questo accade in particolar modo a quei runner che gareggiano frequentemente, soprattutto nei periodi più caldi della stagione o a fine anno.
Gli appassionati delle due ruote, immagino che rivedano la stessa situazione nel ciclismo professionistico; infatti, i ciclisti professionisti programmano un picco di forma in concomitanza delle gare più importanti (che possono essere le classiche, un grande giro o i mondiali) e finalizzano tutto il lavoro (di allenamenti e di gare) in funzione di quello. Di conseguenza, dopo un grande giro (soprattutto il Giro e il Tour) chi ha lottato per le posizioni di vertice (cioè ha profuso più energie degli altri) ha un calo di forma che viene assecondato con un periodo di rigenerazione ed assenza dalle gare.
Ma perché ciò accade? Ma perché dopo un certo periodo la condizione cala drasticamente e l’organismo non risponde più prontamente agli stimoli allenanti, limitando la performance?
Semplice, perché l’atleta esaurisce la sua “energia adattativa”. Già dal 1936 Hans Selye (definito il padre della “Sindrome Generale d’Adattamento”) scoprì che i topi, sottoposti a determinati stimoli di stress (come può essere l’esercizio fisico) erano in grado di tollerare sollecitazioni progressivamente superiori, aumentando la loro capacità di adattarsi ad essi (documento originale). È un po’ come avviene con l’allenamento; se i carichi allenanti sono correttamente dosati, con il passare del tempo il runner incrementa il proprio livello di forma (cioè la capacità di tollerare carichi più elevati).
Lo stesso Selye però, vide che dopo un certo periodo di tempo (1-3 mesi) i topi perdevano e peggioravano la capacità di adattarsi agli stimoli stressanti; questo fenomeno ha attinenza con il calo di condizione atletica che avviene dopo un periodo di allenamento in cui viene incrementato il carico atletico.
Selye nel 1938, definisce questo fenomeno con la perdita di “energia adattativa”; in altre parole, dopo un periodo in cui determinati stimoli sono stati incrementati (oltre un certo livello ovviamente), l’organismo non reagisce più ad adattarsi come prima, perché diminuisce la sua “energia adattativa” in riferimento a quello stimolo.
Malgrado questo fenomeno sia conosciuto sin dal 1938 (ed è sotto gli occhi di tutti quelli che occupano di preparazione atletica), non è ancora misurabile a livello numerico; in ogni modo si sa che non è possibile incrementare la propria condizione fino all’infinito e si pianifica il proprio allenamento di conseguenza:
in altre parole, quando si programma la propria stagione, è importante stabilire un inizio, una fine ed un picco di forma
È da precisare che questo principio vale per chi effettua carichi di lavoro finalizzati ad ottenere il meglio (in relazione alle proprie possibilità ed al tempo per allenarsi) in funzione di un obiettivo o per chi gareggia molto. Chi effettua jogging 3-4 volte a settimana per rimanere in forma non risente di modificazioni dell’energia adattativa.
Quante settimane dovrebbe durare una “stagione atletica”?
Per chi corre a livello amatoriale, l’ideale è compreso tra le 16 e le 20 settimane; questi 4-5 mesi, sono un lasso di tempo ideale per programmare in maniera efficace una competizione (o un gruppo di competizioni), senza correre il rischio di andare incontro a cali prestativi. Per chi prepara gare di 5-10 Km, il periodo può essere accorciato anche a 12 settimane.
Ovviamente queste sono solamente indicazioni di base riferite ad una programmazione effettuata correttamente; affinchè ciò sia possibile, è necessario seguire alcuni concetti di base:
Aumentare con gradualità gli stimoli allenanti; questo perché è stato visto come incrementi troppo repentini del carico allenante (come può essere il chilometraggio settimanale o l’intensità degli allenamenti/gare) possono portare ad un rapido incremento di forma, ma allo stesso tempo un calo altrettanto veloce ed anticipato; in più si incrementa il rischio di infortuni (Damsted 2019). In altre parole, è necessario avere pazienza!
Più gare sono effettuate al massimo dell’impegno e più precoce sarà il calo della condizione; lo vedremo meglio nel prossimo capitolo.
Come sempre, è da rispettare l’individualità dell’allenamento; non tutti i runner sono uguali, quindi alcuni possono concedersi stagioni più lunghe, ed altri più corte.
Iniziare la stagione in condizioni di elevata freschezza atletica (aspetto non banale).
Mi soffermo brevemente sull’importanza di quest’ultimo punto; solitamente l’inizio della stagione coincide con la fine del periodo di rigenerazione, cioè una fase in cui il carico allenante è molto basso (o ci si riposa). Questa fase permette di recuperare le energie psicofisiche, quella che Selye ha definito “energia adattativa”; infatti, cosa succederebbe se dopo la fine della stagione precedente si iniziasse immediatamente la successiva? Succederebbe che il fisico non reagirebbe in maniera funzionale agli stimoli allenanti con la conseguenza di “fare tanta fatica per nulla”. Con un adeguato periodo di rigenerazione invece, si recuperano le energie psico-fisiche ed alla ripresa degli allenamenti il fisico sarà reattivo (cioè si adatterà velocemente) nei confronti degli stimoli allenanti.
“Quando la tua mente è rilassata e in forma, la parte fisica può andare avanti tranquillamente”
Eliud Kipchoge
Ovviamente questa non è la pratica di tutti i Top Runner, altri riposano per periodi inferiori; quello che è importante capire è che
il primo passo per una buona stagione atletica è un ottimo periodo di rigenerazione!
Ovviamente un amatore non può permettersi di riposare senza correre per un mese (altrimenti la condizione scenderebbe oltremodo), ma sarà fondamentale ridurre il carico di lavoro (meno allenamenti e/o più leggeri) o effettuare sport alternativi.
Nel prossimo capitolo vedremo l’importanza dell’alternanza degli stimoli allenanti.
2) Carico, scarico e competizioni
Tutti sanno che solo una corretta alternanza tra carico e recupero permette di migliorare nel tempo la propria condizione; nell’immagine sotto potete vedere una semplificazione del concetto di supercompensazione.
È da precisare che gli allenamenti di “carico” sono quelli che permettono di dare all’organismo un adeguato stimolo allenante in grado di innalzare la sua condizione dopo il recupero successivo. La “fase di recupero” invece è il periodo di tempo che intercorre tra 2 allenamenti di “carico”. Ovviamente durante la fase di recupero è possibile allenarsi, ma facendo carichi che per l’atleta siano leggeri, permettendo di facilitare il recupero. Preciso che la supercompensazione (cioè l’incremento di condizione) non dipende solamente dalla durata del tempo di recupero, ma anche da quanto è stato impegnativo l’allenamento e da come l’atleta gestisce questa fase. Nel nostro articolo dedicato al recupero, potrete vedere tutte le variabili che influenzano questa fase importante.
“Run hard in your hard days and run easy in your easy days”
Questa frase è spesso ripetuta nei siti americani che parlano di allenamento per la corsa, e credo incarni piuttosto bene il concetto di come nei giorni di carico sia importante dare uno stimolo allenante che permetta di incrementare la condizione, ma allo stesso tempo, nei giorni in cui sono previsti allenamenti leggeri si limiti l’intensità dello sforzo (indipendentemente dalla durata).
Nella figura a fianco, è possibile vedere come un’adeguata alternanza tra carico e scarico (grafico a) permetta di incrementare la condizione, mentre recuperi inadeguati (grafico b) in relazione al carico effettuato, non permettano adattamenti adeguati. Nel grafico c invece è possibile vedere cosa succede quando i carichi di allenamento sono troppo distanti o inefficaci.
Appare quindi evidente come sia errata la convinzione che “spingere” ad ogni allenamento possa essere produttivo; non solo, un incremento troppo rapido del chilometraggio settimanale può aumentare il rischio di infortuni (Boullosa et al 2020 e Damsted et al 2019).
Di conseguenza, chi si allena oltre un certo livello d’impegno, è bene inserisca ogni 2-3 settimane, una settimana più leggera detta di “scarico”. Per chi invece ha molto tempo e voglia di allenarsi, piuttosto che incrementare in maniera errata il carico, è consigliabile dedicarsi anche ad attività complementari come il cross training.
Lo scarico pre-gara
Le gare a cui si tiene particolarmente è necessario farle precedere da un periodo di scarico (cioè di allenamenti più leggeri) che permettano di attuare con certezza la supercompensazione; infatti, non tutti i sistemi dell’organismo recuperano alla stessa “velocità”. Facciamo un esempio: gli elementi cellulari responsabili della produzione di energia (cioè legati al metabolismo) recuperano più velocemente rispetto agli elementi contrattili delle fibre muscolari; questo perché più un sistema biologico è complesso, tanto più necessita di tempo affinchè avvenga la supercompensazione. Non a caso, nelle tabelle d’allenamento c’è sempre alternanza tra stimoli di intensità (fartlek, ripetute, ecc.) e di durata (lunghi, medi, ecc.).
È quindi logico comprendere come prima di una gara che si reputa importante, sia necessario qualche giorno in più di recupero rispetto al solito; più è lunga la gara e più lungo deve essere lo scarico. Nella nostra pagina principale dedicata al running potete trovare i programmi d’allenamento dedicate alle varie distanze.
Il periodo di scarico pre-gara, in letteratura internazionale viene definito “Tapering”; di norma, in questo intervallo di tempo c’è una riduzione del volume d’allenamento (cioè dei Km) a tutte le intensità. Praticamente è come se la settimana d’allenamento tipo venisse svolta “in miniatura”. Il vantaggio di questo approccio (rispetto al normale mantenimento del proprio regime d’allenamento) è stato quantificato in media del 2-3% (Latter 2014) di incremento prestativo, qualcosa come 65-70” sul tempo finale, per un runner che corre i 10 Km in 45’. Esiste comunque una certa differenza tra podista e podista; sono portati a beneficiare maggiormente del tapering, runner di caratteristiche veloci, piuttosto che runner di caratteristiche resistenti.
Massimo numero di gare
Correre al 100% a troppe gare rende difficoltoso e lungo il tempo di recupero, non permettendo di svolgere correttamente gli allenamenti settimanali e quindi impedendo il costante incremento dello stato di forma.
Partecipare ad una competizione cercando di dare il meglio di sé stessi, permette al proprio organismo di mobilitare al meglio tutte le proprie risorse energetiche ed ottimizzare il regime di contrazione muscolare; per questo motivo in gara, quando si è particolarmente motivati, si riesce a dare molto di più che in allenamento. Questo vale per tutti gli sport, e potete vederne un esempio lampante in questo video.
L’altra faccia della medaglia (soprattutto se la gara è lunga) è che queste situazioni richiedono un maggiore tempo di recupero perché mobilitano una quantità elevata di risorse ormonali (adrenalina, noradrenalina, ecc.) e nervose, maggiori di quelle mobilitate in allenamento.
Inoltre, il gareggiare spesso al massimo delle proprie possibilità, porta ad una desensibilizzazione agli stimoli adrenergici, una sorta di “assuefazione” agli stimoli della competizione, che faranno sentire l’atleta più spossato e meno motivato, oltre ad incrementare il rischio di infortuni.
Per questo motivo, è ragionevole ipotizzare come 4-5 gare al massimo delle proprie possibilità siano la condizione ideale per ogni stagione. Ovviamente il numero può variare in base alla distanza di ognuna (ad esempio non si possono correre 4-5 maratone nell’arco di 4-5 mesi), dal tipo di preparazione affrontata e dalla tipologia di atleta.
Non rientrano in questo “conteggio” le gare effettuare “non al massimo del proprio impegno”; infatti, il correre una competizione all’85-90% delle proprie possibilità, avvicina questa alle caratteristiche di un allenamento, permettendo di dare comunque stimoli specifici ed allo stesso tempo relativamente brevi da recuperare.
Nell’immagine sotto potete vedere lo schema riassuntivo dei concetti espressi, con in aggiunta altri interessanti consigli.
3) L’allenamento Polarizzato è l’ideale anche per gli amatori?
Nel 2010 Stephen Seiler pubblicò uno studio intitolato What is Best Practice for Training Intensity and Duration Distribution in Endurance Athletes? (Qual è la soluzione ideale in termini di distribuzione di volume ed intensità per gli atleti di endurance?).
Questo studio divenne un vero e proprio punto di riferimento per l’allenamento degli sport di resistenza. In questa ricerca Seiler cercò di capire quali fossero le caratteristiche che accomunavano i programmi di allenamento di diverse discipline di endurance di atleti professionistici (10-13 allenamenti a settimana), arrivando a queste conclusioni:
Circa l’80% dell’allenamento totale è svolto ad intensità inferiori alla soglia delle 2 mM (millimoli/litro di lattato), in altre parole, a ritmi medio-bassi.
Circa il 20% invece, è svolto tramite allenamenti intervallati ad intensità pari o leggermente superiori a quelle di gare della durata di circa 40’ (Ripetute brevi e medie); circa 2 allenamenti a settimana avevano queste caratteristiche.
Questi dati (rappresentano ovviamente una media) fanno riflettere come gli atleti di alta qualificazione diano grande importanza ad un elevatissimo volume di allenamento, che per forza di cose deve essere effettuato a ritmi medio-bassi. L’alta intensità invece viene effettuata a ritmi pari o leggermente superiori a quelli di gara, in maniera intervallata, per dare qualità all’allenamento limitando lo stress. Visto che la predominanza degli allenamenti viene fatta agli “estremi” dei ritmi possibili, prese il nome di allenamento polarizzato.
Immagine tratta da https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/j.1600-0838.2010.01184.x
Nell’immagine sopra, è riportato uno schema presente nello studio di Laursen 2010, nel quale viene evidenziato come a livello biologico sia gli allenamenti di durata che quelli ad alta intensità (in forma intervallata) vadano a stimolare il potenziale aerobico. Questo spiega molto bene il senso dell’allenamento polarizzato, che sfrutta tutti gli stimoli biologici disponibili per migliorare la potenza aerobica del runner.
Ma l’allenamento polarizzato è necessario anche per gli amatori?
A livello di ricerca, è stato visto che runner non professionisti possono raggiungere (in media) livelli di allenamento paragonabili tra di loro, utilizzando mezzi diversi tra loro, come i ritmi medi, i ritmi gara, gli allenamenti intervallati (Paquette et al 2017 e Jarstad et al 2019) o quelli ad altissima intensità come la speed endurance. Questo significa che anche per gli amatori è quantomai importante:
Variare gli stimoli allenanti, in maniera tale da non stressare univocamente il proprio organismo, utilizzando sia le intensità tipiche dell’allenamento polarizzato che altri ritmi allenanti. In altre parole, non fate sempre gli stessi allenamenti…informatevi e studiate al fine di migliorare la vostra competenza!
Utilizzare comunque un programma progressivamente strutturato e finalizzato alla distanza che si vuole preparare (vedi prossimo capitolo).
Adattare l’allenamento alle caratteristiche ed all’età del soggetto; questa condizione è quantomai necessaria, visto che tra i podisti troviamo soggetti delle più svariate caratteristiche neuromuscolari e metaboliche.
Quanti Km a settimana?
Ovviamente non è possibile dare una risposta univoca per tutti, ma si può indicare una soglia minima (cioè necessaria) in base a quelli che sono gli obiettivi di ogni runner.
Principianti: per chi non ha mai corso e sta iniziando, o vuole iniziare, gli imperativi sono 2: gradualità ed idoneità. Gradualità perché per chi non ha mai corso è fondamentale iniziare alternando corsa e cammino come nel nostro programma per principianti. Idoneità, perché una visita medica è fondamentale per comprendere se le intensità della corsa sono o non sono adeguate al proprio stato di salute.
Correre per stare bene: per chi fa sport con regolarità, correre almeno 150’ alla settimana (suddivisi in 3-4 sedute) è il requisito essenziale per ottimizzare il proprio stato di salute. Compatibilmente con la propria idoneità (attestata da personale medico) si possono inserire anche tratti più intensi all’interno degli allenamenti.
Preparazione di gare di 10 Km: in questo caso, valgono le stesse indicazioni del punto precedente, con in più l’assoluta necessità (per legge) di avere l’idoneità agonistica e riuscire a correre i 10 Km in meno di 1 ora.
Preparazione maratonine: in questo caso i requisiti sono più complessi del semplice chilometraggio settimanale. Infatti, si dovrebbero effettuare una serie di lunghi di distanza progressiva per arrivare a correre con disinvoltura i 21.097 Km in gara ed avare un tempo sui 10 Km inferiore ai 51-54’; potete trovare tutti i requisiti necessari e le indicazioni per l’allenamento nel nostro post dedicato alla preparazione per la maratonina per principianti.
Preparazione maratona: in questo caso i requisiti minimi sono diversi e più complessi. Leggi il nostro post dedicato all’allenamento per la maratona.
4) Periodizzazione, ovvero come pianificare la stagione
Abbiamo visto che l’organismo, se correttamente allenato, è in grado di incrementare la propria condizione nel tempo, migliorando la capacità di tollerare carichi di lavoro crescenti. Ma con quale “ordine” devono essere somministrati i vari carichi? È meglio partire con ritmi lenti e poi incrementare l’intensità? Oppure mantenere la stessa tipologia di allenamento, ma aumentando solo i volumi?
Come abbiamo spesso ripetuto, non tutti gli atleti sono uguali, quindi è possibile che alcuni si possano trovare meglio con una determinata progressione allenante, mentre altri con un altro approccio. Malgrado questo, alcune leggi fondamentali devono essere comuni a tutte le programmazioni:
Legge N° 1: l’allenamento di volume deve precedere quello di intensità: infatti l’incremento dei ritmi allenanti deve essere supportato da un’elevata capacità di tollerare lo sforzo, sviluppata nella parte Generale della stagione (vedremo poi meglio sotto).
Legge N° 2: l’utilizzo dei ritmi gara (o genericamente intensi) è possibile solamente se le qualità neuromuscolari del soggetto sono adeguate: in altre parole, per migliorare la velocità alla quale corro in gara, è necessario essere sufficientemente forti e veloci.
Legge N° 3: le gare o gli allenamenti che sviluppano per periodi prolungati il ritmo gara (come le ripetute lunghe) richiedono più tempo per essere recuperate rispetto agli allenamenti intervallati o a quelli a ritmi medio-bassi. Questo spiega anche il motivo dell’allenamento polarizzato che utilizza poco gli allenamenti a ritmo gara, se non in forma intervallata.
Seguendo queste 3 regole elementari (oltre a considerare l’individualità dell’atleta), diventa più semplice programmare una stagione atletica; in maniera semplificata, la divideremo nel periodo Generale e Specifico.
Periodo Generale e Specifico
Se il mio obiettivo realistico è di correre 10 Km in meno 40’, significa che la mia velocità di gara sarà di almeno 4’/Km per una capacità di gara di almeno 40’; soddisfatti questi requisiti, riuscirò raggiungerò il mio obiettivo.
I miei 2 periodi (Generale e Specifico) saranno quindi orientati ad incrementare queste 2 mie qualità (velocità e capacità di gara) nella maniera più efficiente e con il minor rischio di infortuni. Nel post dedicato alla programmazione dell’allenamento potete leggere in dettaglio come pianificare la stagione. Ma cerchiamo comunque di fare un esempio per comprendere meglio i concetti, preparando un’ipotetica gara di 10 Km.
Nel periodo Generale, l’obiettivo sarà quello di incrementare la capacità di correre a lungo per migliorare le qualità di recupero e permettere all’organismo di tollerare successivamente gli allenamenti per la capacità di gara, come ad esempio i medi ed i progressivi. Parallelamente, si dovrà lavorare sulle qualità neuromuscolari (partendo da volumi relativamente bassi) per acquisire la forza e velocità necessarie per poi innalzare la velocità di gara.
Nel periodo Specifico, la capacità di gara sarà stimolata prevalentemente da allenamenti che utilizzano ritmi medi o progressivi; parallelamente, gli allenamenti per le qualità neuromuscolari saranno sostituiti dalle varie tipologie di allenamenti intervallati per innalzare la velocità di gara. Nella parte finale del periodo specifico, altre gare (non sempre corse con il massimo impegno) e qualche allenamento a ritmo gara specifico (di una certa durata) permetteranno di indirizzare le risorse dell’atleta in maniera specifica al fine di ottenere il proprio obiettivo.
Semplificazione della preparazione per una o più gare di 10 Km
Ovviamente i 2 periodi indicati sopra non seguono una divisione netta, ma modulata (“sfumata” per dare meglio l’idea) al fine di ottimizzare gli stimoli allenanti. Non solo, a seconda della tipologia di atleta, alcuni mezzi allenanti del periodo generale (Lunghi o salite brevi, per fare un esempio) possono essere riproposti anche nel periodo specifico per il mantenimento delle qualità aerobiche o muscolari.
Le periodizzazioni più sofisticate (e che possono godere di una lunghezza maggiore) inframezzano il periodo Speciale tra quello Generale e Specifico; senza rendere più complesso il concetto di quello che sia già, questo periodo è una sorta di via di mezzo (come caratteristiche) degli altri 2. Per fare un esempio, la velocità di gara viene allenata come se si stesse preparando una competizione più corta di quello che è il proprio obiettivo.
Prendiamo un podista che in autunno deve preparare una maratona; esso dedicherà assolutamente l’autunno per finalizzare il ritmo gara e la capacità di gara (soprattutto, perché si tratta di una gara molto lunga), ma nella parte finale dell’estate si concentrerà sulla preparazione di qualche gara su strada di 10 Km per dare uno stimolo allenante importante alla velocità di gara. Ovviamente non sarà lo stesso allenamento di chi prepara solo le gare di 10 km, perché dovrà continuare a lavorare sulla capacità di gara, anche se in maniera meno “importante” rispetto al periodo Specifico.
Per chi invece dovrà preparare una maratonina, potrà dedicare il periodo Speciale alle gare di 5-10 Km, come chi prepara una gara di 10 Km, potrà dedicarsi alle competizioni di 3-5 Km.
In ogni modo per chi non è ancora esperto in termini di programmazione della propria stagione, consigliamo di organizzarsi considerando solamente il periodo Generale e Specifico; quando conosceranno meglio le proprie caratteristiche ed avranno migliorato la propria competenza in termini di programmazione, potranno inserire anche il periodo Speciale.
5) Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner
Questo “principio” (il quinto ed ultimo) è importante non tanto per sapere “quanto corro più lentamente ogni anno che passa”, ma per comprendere se ed in che modo l’invecchiamento influenza la performance e come poter influire sul decadimento prestativo. Ma iniziamo rispondendo ad una prima domanda:
Da che età incomincia a peggiorare la performance?
Si contano sulle dita di una mano gli studi che hanno approfondito questa tematica con gruppi di atleti particolarmente elevati.
Nell’immagine sotto è possibile vedere il tempo medio associato all’età dei partecipanti maschili della maratona di Stoccolma (312,342 finisher) in un lasso di tempo di 35 anni (dal 1979 al 2014).
Osservando il grafico, si potrebbe ipotizzare che a 34 anni (in media) si raggiunga il minore tempo finale in maratona, cioè la migliore performance. Per verificare questa ipotesi, ovviamente è necessario trovare altri studi che ne confermino o meno i risultati. Una ricerca osservazionale analoga, è quella di Zavorsky et al 2017 che analizzarono i tempi finali delle maratone di Boston-New York-Chicago dal 2011 al 2016; questi realizzarono come l’età media dei vincitori fosse di 28.3 anni (tutti compresi in un range di 25-34 anni).
Le prime conclusioni ci portano quindi ad indicare come probabilmente, dal punto di vista biologico il “declino” della performance possa iniziare dai 34 anni.
Ma altri fattori incidono sulla performance, non solo l’età: l’esperienza nell’allenarsi, la motivazione e lo stile di vita sono solo alcuni fattori che possono avere un peso sulle performance, anche maggiore; infatti, se si comparano fasce d’età di 5-10 anni alla volta, sia nella ricerca di Zavorsky et al 2017 che in quella di Letho 2016 (quella del grafico sopra), il declino della performance avviene in particolar modo dalla categoria 40-50 anni.
Risultati analoghi, furono visti da Celie et al 2010, che analizzarono 12 anni (dal 1995 al 2007) di arrivi (194560 partecipanti) di una gara di 15 Km, la Nijmegen Seven Hills Run in Olanda. Non fatevi “spaventare” dal nome della competizione (“la gara delle 7 salite di Nijmegen”), in quanto ha un percorso particolarmente veloce, visto che nel 2018 venne stabilito su questo tracciato il record del mondo su strada dei 15 Km. Evidentemente in Olanda hanno un concetto di “salita” diverso dal nostro. Scherzi a parte (era una battuta), lo studio Olandese osservò come in meda ci fu un peggioramento dello 0.2% annuo della performance a partire dai 40 anni; secondo questi calcoli, un runner che corre i 10 Km in 40’, è presumibile che rallenti di 0.5”/Km all’anno dopo i 40 anni.
Ultimo studio rilevante fu quello di Leyk et al 2007, che videro (405515 runners Tedeschi) come la performance in maratona ed in mezza maratona il calo iniziasse dopo i 50 anni con un peggioramento del 2.6-4.4% per decade. Le differenze con lo studio precedente probabilmente erano dovute alla diversa analisi statistica dei dati e della distanza di gara di riferimento.
Quello che è importante comprendere da questi studi, è che il calo prestativo in un runner è da attendersi dai 40-50 anni circa, ma con un tasso di decrescita estremamente basso (solo 0.2-0.5% annuo). Ma il dato più interessante, è che l’età è in grado di “spiegare” solo il 4.5% della prestazione (Letho 2016); il restante 95.5%, è attribuibile all’allenamento, allo stile di vita, alla motivazione, allo stato di salute, ecc. È tanto il 4.5%? Se l’obiettivo è quello di vincere le gare, ovviamente è tanto, perché trai i primissimi le differenze prestative spesso sono inferiori all’1%; ma se l’obiettivo è quello di correre per stare bene, divertirsi (anche gareggiando) o dare il meglio di sé stessi, allora l’età non è una scusa!
L’aspetto a cui prestare invece più attenzione è un altro, cioè come il nostro organismo cambia con il passare degli anni e quali sono i fattori che con l’invecchiamento peggiorano le nostre performance; questo ci permette di capire come modificare il nostro allenamento in funzione dell’età. Ma andiamo per ordine indicando i punti più importanti:
Con il passare degli anni, soprattutto dopo i 50, si tende a perdere in particolar modo forza muscolare e flessibilità. Il tasso di infortuni tende ad incrementare.
Il decadimento prestativo è maggiore se non si segue uno stile di vita adeguato; ad esempio un incremento di 1 Kg di massa grassa, corrisponde ad un peggioramento dell’1% della prestazione (Cureton et al 1978 e Barnes et al 2015): ciò equivale a circa 2.4”/Km per chi corre i 10000m in 40’. Per “stile di vita” non si intende solamente l’alimentazione, ma tutti i fattori che incidono sulla salute psicofisica ed il recupero.
La motivazione può calare e dopo diversi anni si tende a correre soprattutto per “stare bene” e meno per “migliorare le proprie performance”.
Unico aspetto in controtendenza con l’età, è che con il passare degli anni si impara a conoscersi meglio, e si fanno meno errori nell’allenamento; questo è un fattore positivo.
Bisogna quindi essere consapevoli che i sintomi dell’invecchiamento possono essere “rallentati” mantenendo il soggetto (non solo atleticamente) “più giovane”. Riportiamo di seguito le indicazioni di base per mantenere il più possibile l’efficienza fisica; sotto potete vedere anche l’infografica.
Ridurre leggermente il chilometraggio settimanale, non diminuendo i lavori di intensità. Preferire un numero minore di competizioni lunghe.
Mantenere uno stile di vita corretto (salvaguardando salute e peso corporeo), consapevoli che con il passare degli anni aumenta la necessità di riposarsi e curare maggiormente il recupero.
Mantenere elevata la motivazione a fare sport per la salute e per il piacere di farlo, utilizzando il cross training, trovando compagni di corsa e stabilendo anche obiettivi diversi, ma pur sempre realistici.
Sfruttare la propria esperienza e la conoscenza di sé stessi per individualizzare al meglio gli allenamenti.
Semplificazione dei processi di invecchiamento e consigli per minimizzarne gli effetti. Clicca sull’immagine per ingrandire.
Un doveroso riassunto
Sono sicuro che i principi illustrati in questo post potranno aiutarvi a pianificare con attenzione il vostro allenamento; ma facciamo un breve riassunto, per organizzare le idee:
Durata di una stagione: abbiamo visto il concetto di “energia adattativa” dedotto da Seyle sin dal 1938, e come questo implica il fatto che una stagione atletica debba essere organizzata per avere un inizio ed una fine (massimo 4-5 mesi), unita a gradualità (e pazienza) nell’incrementare il carico allenante.
Carico, scarico e competizioni: la giusta alternanza tra carico e recupero permette di incrementare nel tempo la condizione di forma. Affinchè ciò avvenga, le gare effettuate al massimo impegno devono essere “razionate” per non avere impedimenti nella realizzazione del proprio programma come infortuni, demotivazione o cali della condizione.
Allenamento polarizzato: questo concetto indica come il miglioramento del potenziale aerobico possa avvenire a ritmi lenti come ad intensità particolarmente elevate, fornendo al runner (soprattutto amatore) un ampio spettro di intensità e mezzi, per diversificare l’allenamento ed adattarlo soprattutto alle proprie caratteristiche. Abbiamo anche visto il chilometraggio minimo in base ai propri obiettivi.
Periodizzazione e pianificazione della stagione: il passaggio (non netto) da un periodo caratterizzato da una forma di allenamento generale ad uno più specifico, permette di innalzare il potenziale dell’atleta per poi indirizzarlo in maniera specifica. L’inserimento del periodo speciale può rappresentare quel qualcosa in più nel momento in cui si avrà una certa esperienza nel programmare la propria stagione.
Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner: abbiamo visto come dai 40-50 anni è presumibile attendersi un peggioramento della performance, ma come questo possa essere un declino quantomai lieve quando si approccia con il giusto modo alla gestione fisica e mentale dell’allenamento e del proprio stile di vita.
Bene, spero che le informazioni contenute in questo articolo possano esserti utili per migliorare la conoscenza del processo d’allenamento ed individualizzare sempre al meglio il vostro training; il mio consiglio è di leggere l’articolo sempre prima della stesura della tua programmazione ed alla fine della stagione, in maniera tale da verificare e confrontare la tua esperienza con la parte teorica. In questo modo acquisirai una maggior consapevolezza ed esperienza; ricordati che il miglioramento della propria performance, passa anche attraverso la conoscenza della scienza dell’allenamento…e di se stessi.
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Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto,istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.