Running: i 5 principi della programmazione

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(Aggiornato al 04/05/2020)

Ti piacerebbe allenarti con le stesse competenze di un professionista, realizzando la tua migliore performance nella gara che preferisci? A chi non piacerebbe! Ma le variabili che incidono sulla performance sono veramente tante, e non è semplice padroneggiarle tutte.

A chi non è capitato di essere particolarmente in forma in un determinato momento della stagione e poi vedere calare inspiegabilmente la propria condizione e la motivazione? Oppure di prepararsi con il massimo impegno per una gara, e non riuscire a dare il meglio di sé? E quanti runner si sono semplicemente infortunati, dovendo interrompere per un certo periodo il rapporto con la corsa?

Certi errori capitano anche a livello professionistico, basta pensare a Stefano Baldini, costretto al ritiro alle Olimpiadi del 2000 a Sidney, a causa di una microfrattura da sovraccarico dovuta probabilmente ad una preparazione errata. Non si demoralizzò, cercò (insieme al proprio tecnico) di fare tesoro degli errori fatti e…dopo 4 anni alle Olimpiadi di Atene le cose andarono molto diversamente.

Clicca sull’immagine per vedere l’arrivo della gara

Questo per far capire come nel programmare il proprio allenamento sia necessario seguire alcune leggi generali (che vedremo in questo post), ma allo stesso tempo adattarle alla nostra individualità, perché non tutti i runner sono uguali.

Non solo, quello che è importante, è riuscire a dare il peso maggiore a ciò che può avere l’incidenza più significativa sul modo con cui viviamo la corsa (un po’ come per il Teorema di Pareto). In questo modo eviteremo gli errori che danno origine a inefficienze che possono compromettere (anche solo parzialmente) la performance, oppure incrementare il rischio di infortuni o modificare il rapporto che abbiamo con la corsa.

Per spiegare quest’ultimo concetto, facciamo un esempio riferito alla maratona: recenti studi hanno dimostrato come il tempo finale sui 42.195 Km per un amatore sia maggiormente correlato alla media Km settimanali e alla velocità media degli allenamenti (Tanda 2013); ininfluente è risultato il chilometraggio massimo dei lunghi effettuati. Questo non significa che non siano importanti i lunghi in maratona, ma che nell’impostare la preparazione, la precedenza va data alla possibilità di correre un congruo (per quelle che sono le possibilità dell’atleta) chilometraggio settimanale ed alla velocità con la quale si riesce a correre.

Bene, dopo questo esempio vediamo quali sono elementi fondamentali che hanno maggiore peso sulla performance del podista, che racchiuderemo nei “5 principi delle programmazione del runner”; questi sono:

  • Durata di una stagione
  • Carico, scarico e competizioni
  • Allenamento polarizzato
  • Periodizzazione
  • Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner

Nell’immagine sotto, potete vedere come questi principi si collocano in un contesto più ampio, cioè i 4 pilastri del runner.

allenamento corsa

Prima di andare a vedere i 5 principi sopra elencati, ci tengo a precisare che per i concetti espressi useremo sempre come riferimento i risultati della bibliografia internazionale, aspetto fondamentale per avere nozioni che abbiano una base il più possibile scientifica; malgrado questo, è possibile che determinati concetti vadano individualizzati in base alle caratteristiche dell’atleta. Vi consiglio pertanto di leggere un principio alla volta e poi confrontarlo con quella che è la vostra esperienza, per effettuare eventualmente un “saggio upgrade” delle vostre competenze. Buona lettura!

1) Durata di una stagione

A chi prende parte a molte gare, immagino sia capitato di arrivare a fine stagione abbastanza demotivato, con la sensazione di avere “poca benzina nelle gambe” e con un calo di condizione; questo accade in particolar modo a quei runner che gareggiano frequentemente, soprattutto nei periodi più caldi della stagione o a fine anno.

Gli appassionati delle due ruote, immagino che rivedano la stessa situazione nel ciclismo professionistico; infatti, i ciclisti professionisti programmano un picco di forma in concomitanza delle gare più importanti (che possono essere le classiche, un grande giro o i mondiali) e finalizzano tutto il lavoro (di allenamenti e di gare) in funzione di quello. Di conseguenza, dopo un grande giro (soprattutto il Giro e il Tour) chi ha lottato per le posizioni di vertice (cioè ha profuso più energie degli altri) ha un calo di forma che viene assecondato con un periodo di rigenerazione ed assenza dalle gare.

Ma perché ciò accade? Ma perché dopo un certo periodo la condizione cala drasticamente e l’organismo non risponde più prontamente agli stimoli allenanti, limitando la performance?

Semplice, perché l’atleta esaurisce la sua “energia adattativa”. Già dal 1936 Hans Selye (definito il padre della “Sindrome Generale d’Adattamento”) scoprì che i topi, sottoposti a determinati stimoli di stress (come può essere l’esercizio fisico) erano in grado di tollerare sollecitazioni progressivamente superiori, aumentando la loro capacità di adattarsi ad essi (documento originale). È un po’ come avviene con l’allenamento; se i carichi allenanti sono correttamente dosati, con il passare del tempo il runner incrementa il proprio livello di forma (cioè la capacità di tollerare carichi più elevati).

Lo stesso Selye però, vide che dopo un certo periodo di tempo (1-3 mesi) i topi perdevano e peggioravano la capacità di adattarsi agli stimoli stressanti; questo fenomeno ha attinenza con il calo di condizione atletica che avviene dopo un periodo di allenamento in cui viene incrementato il carico atletico.

Selye nel 1938, definisce questo fenomeno con la perdita di “energia adattativa”; in altre parole, dopo un periodo in cui determinati stimoli sono stati incrementati (oltre un certo livello ovviamente), l’organismo non reagisce più ad adattarsi come prima, perché diminuisce la sua “energia adattativa” in riferimento a quello stimolo.

Malgrado questo fenomeno sia conosciuto sin dal 1938 (ed è sotto gli occhi di tutti quelli che occupano di preparazione atletica), non è ancora misurabile a livello numerico; in ogni modo si sa che non è possibile incrementare la propria condizione fino all’infinito e si pianifica il proprio allenamento di conseguenza:

in altre parole, quando si programma la propria stagione, è importante stabilire un inizio, una fine ed un picco di forma

È da precisare che questo principio vale per chi effettua carichi di lavoro finalizzati ad ottenere il meglio (in relazione alle proprie possibilità ed al tempo per allenarsi) in funzione di un obiettivo o per chi gareggia molto. Chi effettua jogging 3-4 volte a settimana per rimanere in forma non risente di modificazioni dell’energia adattativa.

Quante settimane dovrebbe durare una “stagione atletica”?

Per chi corre a livello amatoriale, l’ideale è compreso tra le 16 e le 20 settimane; questi 4-5 mesi, sono un lasso di tempo ideale per programmare in maniera efficace una competizione (o un gruppo di competizioni), senza correre il rischio di andare incontro a cali prestativi. Per chi prepara gare di 5-10 Km, il periodo può essere accorciato anche a 12 settimane.

Ovviamente queste sono solamente indicazioni di base riferite ad una programmazione effettuata correttamente; affinchè ciò sia possibile, è necessario seguire alcuni concetti di base:

  • Aumentare con gradualità gli stimoli allenanti; questo perché è stato visto come incrementi troppo repentini del carico allenante (come può essere il chilometraggio settimanale o l’intensità degli allenamenti/gare) possono portare ad un rapido incremento di forma, ma allo stesso tempo un calo altrettanto veloce ed anticipato; in più si incrementa il rischio di infortuni (Damsted 2019). In altre parole, è necessario avere pazienza!
  • Più gare sono effettuate al massimo dell’impegno e più precoce sarà il calo della condizione; lo vedremo meglio nel prossimo capitolo.
  • Come sempre, è da rispettare l’individualità dell’allenamento; non tutti i runner sono uguali, quindi alcuni possono concedersi stagioni più lunghe, ed altri più corte.
  • Iniziare la stagione in condizioni di elevata freschezza atletica (aspetto non banale).

Mi soffermo brevemente sull’importanza di quest’ultimo punto; solitamente l’inizio della stagione coincide con la fine del periodo di rigenerazione, cioè una fase in cui il carico allenante è molto basso (o ci si riposa). Questa fase permette di recuperare le energie psicofisiche, quella che Selye ha definito “energia adattativa”; infatti, cosa succederebbe se dopo la fine della stagione precedente si iniziasse immediatamente la successiva? Succederebbe che il fisico non reagirebbe in maniera funzionale agli stimoli allenanti con la conseguenza di “fare tanta fatica per nulla”. Con un adeguato periodo di rigenerazione invece, si recuperano le energie psico-fisiche ed alla ripresa degli allenamenti il fisico sarà reattivo (cioè si adatterà velocemente) nei confronti degli stimoli allenanti.

Ma facciamo l’esempio di Eliud Kipchoge, l’attuale primatista del mondo in maratona e autore dell’unica performance sotto le 2 ore in maratona (seppur non omologata); Eliud dopo una maratona effettua un riposo quasi assoluto per ben 1 mese!

“Quando la tua mente è rilassata e in forma, la parte fisica può andare avanti tranquillamente”

Eliud Kipchoge

Ovviamente questa non è la pratica di tutti i Top Runner, altri riposano per periodi inferiori; quello che è importante capire è che

il primo passo per una buona stagione atletica è un ottimo periodo di rigenerazione!

Ovviamente un amatore non può permettersi di riposare senza correre per un mese (altrimenti la condizione scenderebbe oltremodo), ma sarà fondamentale ridurre il carico di lavoro (meno allenamenti e/o più leggeri) o effettuare sport alternativi.

Nel prossimo capitolo vedremo l’importanza dell’alternanza degli stimoli allenanti.

2) Carico, scarico e competizioni

Tutti sanno che solo una corretta alternanza tra carico e recupero permette di migliorare nel tempo la propria condizione; nell’immagine sotto potete vedere una semplificazione del concetto di supercompensazione.

È da precisare che gli allenamenti di “carico” sono quelli che permettono di dare all’organismo un adeguato stimolo allenante in grado di innalzare la sua condizione dopo il recupero successivo. La “fase di recupero” invece è il periodo di tempo che intercorre tra 2 allenamenti di “carico”. Ovviamente durante la fase di recupero è possibile allenarsi, ma facendo carichi che per l’atleta siano leggeri, permettendo di facilitare il recupero. Preciso che la supercompensazione (cioè l’incremento di condizione) non dipende solamente dalla durata del tempo di recupero, ma anche da quanto è stato impegnativo l’allenamento e da come l’atleta gestisce questa fase. Nel nostro articolo dedicato al recupero, potrete vedere tutte le variabili che influenzano questa fase importante.

“Run hard in your hard days and run easy in your easy days”

Questa frase è spesso ripetuta nei siti americani che parlano di allenamento per la corsa, e credo incarni piuttosto bene il concetto di come nei giorni di carico sia importante dare uno stimolo allenante che permetta di incrementare la condizione, ma allo stesso tempo, nei giorni in cui sono previsti allenamenti leggeri si limiti l’intensità dello sforzo (indipendentemente dalla durata).

Nella figura a fianco, è possibile vedere come un’adeguata alternanza tra carico e scarico (grafico a) permetta di incrementare la condizione, mentre recuperi inadeguati (grafico b) in relazione al carico effettuato, non permettano adattamenti adeguati. Nel grafico c invece è possibile vedere cosa succede quando i carichi di allenamento sono troppo distanti o inefficaci.

Appare quindi evidente come sia errata la convinzione che “spingere” ad ogni allenamento possa essere produttivo; non solo, un incremento troppo rapido del chilometraggio settimanale può aumentare il rischio di infortuni (Boullosa et al 2020 e Damsted et al 2019).

Di conseguenza, chi si allena oltre un certo livello d’impegno, è bene inserisca ogni 2-3 settimane, una settimana più leggera detta di “scarico”. Per chi invece ha molto tempo e voglia di allenarsi, piuttosto che incrementare in maniera errata il carico, è consigliabile dedicarsi anche ad attività complementari come il cross training.

Lo scarico pre-gara

Le gare a cui si tiene particolarmente è necessario farle precedere da un periodo di scarico (cioè di allenamenti più leggeri) che permettano di attuare con certezza la supercompensazione; infatti, non tutti i sistemi dell’organismo recuperano alla stessa “velocità”. Facciamo un esempio: gli elementi cellulari responsabili della produzione di energia (cioè legati al metabolismo) recuperano più velocemente rispetto agli elementi contrattili delle fibre muscolari; questo perché più un sistema biologico è complesso, tanto più necessita di tempo affinchè avvenga la supercompensazione. Non a caso, nelle tabelle d’allenamento c’è sempre alternanza tra stimoli di intensità (fartlek, ripetute, ecc.) e di durata (lunghi, medi, ecc.).

È quindi logico comprendere come prima di una gara che si reputa importante, sia necessario qualche giorno in più di recupero rispetto al solito; più è lunga la gara e più lungo deve essere lo scarico. Nella nostra pagina principale dedicata al running potete trovare i programmi d’allenamento dedicate alle varie distanze.

Il periodo di scarico pre-gara, in letteratura internazionale viene definito “Tapering”; di norma, in questo intervallo di tempo c’è una riduzione del volume d’allenamento (cioè dei Km) a tutte le intensità. Praticamente è come se la settimana d’allenamento tipo venisse svolta “in miniatura”. Il vantaggio di questo approccio (rispetto al normale mantenimento del proprio regime d’allenamento) è stato quantificato in media del 2-3% (Latter 2014) di incremento prestativo, qualcosa come 65-70” sul tempo finale, per un runner che corre i 10 Km in 45’. Esiste comunque una certa differenza tra podista e podista; sono portati a beneficiare maggiormente del tapering, runner di caratteristiche veloci, piuttosto che runner di caratteristiche resistenti.

Massimo numero di gare

Correre al 100% a troppe gare rende difficoltoso e lungo il tempo di recupero, non permettendo di svolgere correttamente gli allenamenti settimanali e quindi impedendo il costante incremento dello stato di forma.

Partecipare ad una competizione cercando di dare il meglio di sé stessi, permette al proprio organismo di mobilitare al meglio tutte le proprie risorse energetiche ed ottimizzare il regime di contrazione muscolare; per questo motivo in gara, quando si è particolarmente motivati, si riesce a dare molto di più che in allenamento. Questo vale per tutti gli sport, e potete vederne un esempio lampante in questo video.

L’altra faccia della medaglia (soprattutto se la gara è lunga) è che queste situazioni richiedono un maggiore tempo di recupero perché mobilitano una quantità elevata di risorse ormonali (adrenalina, noradrenalina, ecc.) e nervose, maggiori di quelle mobilitate in allenamento.

Inoltre, il gareggiare spesso al massimo delle proprie possibilità, porta ad una desensibilizzazione agli stimoli adrenergici, una sorta di “assuefazione” agli stimoli della competizione, che faranno sentire l’atleta più spossato e meno motivato, oltre ad incrementare il rischio di infortuni.

Per questo motivo, è ragionevole ipotizzare come 4-5 gare al massimo delle proprie possibilità siano la condizione ideale per ogni stagione. Ovviamente il numero può variare in base alla distanza di ognuna (ad esempio non si possono correre 4-5 maratone nell’arco di 4-5 mesi), dal tipo di preparazione affrontata e dalla tipologia di atleta.

Non rientrano in questo “conteggio” le gare effettuare “non al massimo del proprio impegno”; infatti, il correre una competizione all’85-90% delle proprie possibilità, avvicina questa alle caratteristiche di un allenamento, permettendo di dare comunque stimoli specifici ed allo stesso tempo relativamente brevi da recuperare.

Nell’immagine sotto potete vedere lo schema riassuntivo dei concetti espressi, con in aggiunta altri interessanti consigli.

gare running

3) L’allenamento Polarizzato è l’ideale anche per gli amatori?

Nel 2010 Stephen Seiler pubblicò uno studio intitolato What is Best Practice for Training Intensity and Duration Distribution in Endurance Athletes? (Qual è la soluzione ideale in termini di distribuzione di volume ed intensità per gli atleti di endurance?).

Questo studio divenne un vero e proprio punto di riferimento per l’allenamento degli sport di resistenza. In questa ricerca Seiler cercò di capire quali fossero le caratteristiche che accomunavano i programmi di allenamento di diverse discipline di endurance di atleti professionistici (10-13 allenamenti a settimana), arrivando a queste conclusioni:

  • Circa l’80% dell’allenamento totale è svolto ad intensità inferiori alla soglia delle 2 mM (millimoli/litro di lattato), in altre parole, a ritmi medio-bassi.
  • Circa il 20% invece, è svolto tramite allenamenti intervallati ad intensità pari o leggermente superiori a quelle di gare della durata di circa 40’ (Ripetute brevi e medie); circa 2 allenamenti a settimana avevano queste caratteristiche.

Questi dati (rappresentano ovviamente una media) fanno riflettere come gli atleti di alta qualificazione diano grande importanza ad un elevatissimo volume di allenamento, che per forza di cose deve essere effettuato a ritmi medio-bassi. L’alta intensità invece viene effettuata a ritmi pari o leggermente superiori a quelli di gara, in maniera intervallata, per dare qualità all’allenamento limitando lo stress. Visto che la predominanza degli allenamenti viene fatta agli “estremi” dei ritmi possibili, prese il nome di allenamento polarizzato.

Immagine tratta da https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/j.1600-0838.2010.01184.x

Nell’immagine sopra, è riportato uno schema presente nello studio di Laursen 2010, nel quale viene evidenziato come a livello biologico sia gli allenamenti di durata che quelli ad alta intensità (in forma intervallata) vadano a stimolare il potenziale aerobico. Questo spiega molto bene il senso dell’allenamento polarizzato, che sfrutta tutti gli stimoli biologici disponibili per migliorare la potenza aerobica del runner.

Ma l’allenamento polarizzato è necessario anche per gli amatori?

A livello di ricerca, è stato visto che runner non professionisti possono raggiungere (in media) livelli di allenamento paragonabili tra di loro, utilizzando mezzi diversi tra loro, come i ritmi medi, i ritmi gara, gli allenamenti intervallati (Paquette et al 2017 e Jarstad et al 2019) o quelli ad altissima intensità come la speed endurance. Questo significa che anche per gli amatori è quantomai importante:

  1. Variare gli stimoli allenanti, in maniera tale da non stressare univocamente il proprio organismo, utilizzando sia le intensità tipiche dell’allenamento polarizzato che altri ritmi allenanti. In altre parole, non fate sempre gli stessi allenamenti…informatevi e studiate al fine di migliorare la vostra competenza!
  2. Utilizzare comunque un programma progressivamente strutturato e finalizzato alla distanza che si vuole preparare (vedi prossimo capitolo).
  3. Adattare l’allenamento alle caratteristiche ed all’età del soggetto; questa condizione è quantomai necessaria, visto che tra i podisti troviamo soggetti delle più svariate caratteristiche neuromuscolari e metaboliche.

Quanti Km a settimana?

Ovviamente non è possibile dare una risposta univoca per tutti, ma si può indicare una soglia minima (cioè necessaria) in base a quelli che sono gli obiettivi di ogni runner.

  • Principianti: per chi non ha mai corso e sta iniziando, o vuole iniziare, gli imperativi sono 2: gradualità ed idoneità. Gradualità perché per chi non ha mai corso è fondamentale iniziare alternando corsa e cammino come nel nostro programma per principianti. Idoneità, perché una visita medica è fondamentale per comprendere se le intensità della corsa sono o non sono adeguate al proprio stato di salute.
  • Correre per stare bene: per chi fa sport con regolarità, correre almeno 150’ alla settimana (suddivisi in 3-4 sedute) è il requisito essenziale per ottimizzare il proprio stato di salute. Compatibilmente con la propria idoneità (attestata da personale medico) si possono inserire anche tratti più intensi all’interno degli allenamenti.
  • Preparazione di gare di 10 Km: in questo caso, valgono le stesse indicazioni del punto precedente, con in più l’assoluta necessità (per legge) di avere l’idoneità agonistica e riuscire a correre i 10 Km in meno di 1 ora.
  • Preparazione maratonine: in questo caso i requisiti sono più complessi del semplice chilometraggio settimanale. Infatti, si dovrebbero effettuare una serie di lunghi di distanza progressiva per arrivare a correre con disinvoltura i 21.097 Km in gara ed avare un tempo sui 10 Km inferiore ai 51-54’; potete trovare tutti i requisiti necessari e le indicazioni per l’allenamento nel nostro post dedicato alla preparazione per la maratonina per principianti.
  • Preparazione maratona: in questo caso i requisiti minimi sono diversi e più complessi. Leggi il nostro post dedicato all’allenamento per la maratona.

4) Periodizzazione, ovvero come pianificare la stagione

Abbiamo visto che l’organismo, se correttamente allenato, è in grado di incrementare la propria condizione nel tempo, migliorando la capacità di tollerare carichi di lavoro crescenti. Ma con quale “ordine” devono essere somministrati i vari carichi? È meglio partire con ritmi lenti e poi incrementare l’intensità? Oppure mantenere la stessa tipologia di allenamento, ma aumentando solo i volumi?

Come abbiamo spesso ripetuto, non tutti gli atleti sono uguali, quindi è possibile che alcuni si possano trovare meglio con una determinata progressione allenante, mentre altri con un altro approccio. Malgrado questo, alcune leggi fondamentali devono essere comuni a tutte le programmazioni:

  • Legge N° 1: l’allenamento di volume deve precedere quello di intensità: infatti l’incremento dei ritmi allenanti deve essere supportato da un’elevata capacità di tollerare lo sforzo, sviluppata nella parte Generale della stagione (vedremo poi meglio sotto).
  • Legge N° 2: l’utilizzo dei ritmi gara (o genericamente intensi) è possibile solamente se le qualità neuromuscolari del soggetto sono adeguate: in altre parole, per migliorare la velocità alla quale corro in gara, è necessario essere sufficientemente forti e veloci.
  • Legge N° 3: le gare o gli allenamenti che sviluppano per periodi prolungati il ritmo gara (come le ripetute lunghe) richiedono più tempo per essere recuperate rispetto agli allenamenti intervallati o a quelli a ritmi medio-bassi. Questo spiega anche il motivo dell’allenamento polarizzato che utilizza poco gli allenamenti a ritmo gara, se non in forma intervallata.

Seguendo queste 3 regole elementari (oltre a considerare l’individualità dell’atleta), diventa più semplice programmare una stagione atletica; in maniera semplificata, la divideremo nel periodo Generale e Specifico.

Periodo Generale e Specifico

Se il mio obiettivo realistico è di correre 10 Km in meno 40’, significa che la mia velocità di gara sarà di almeno 4’/Km per una capacità di gara di almeno 40’; soddisfatti questi requisiti, riuscirò raggiungerò il mio obiettivo.

I miei 2 periodi (Generale e Specifico) saranno quindi orientati ad incrementare queste 2 mie qualità (velocità e capacità di gara) nella maniera più efficiente e con il minor rischio di infortuni. Nel post dedicato alla programmazione dell’allenamento potete leggere in dettaglio come pianificare la stagione. Ma cerchiamo comunque di fare un esempio per comprendere meglio i concetti, preparando un’ipotetica gara di 10 Km.

Nel periodo Generale, l’obiettivo sarà quello di incrementare la capacità di correre a lungo per migliorare le qualità di recupero e permettere all’organismo di tollerare successivamente gli allenamenti per la capacità di gara, come ad esempio i medi ed i progressivi. Parallelamente, si dovrà lavorare sulle qualità neuromuscolari (partendo da volumi relativamente bassi) per acquisire la forza e velocità necessarie per poi innalzare la velocità di gara.

Nel periodo Specifico, la capacità di gara sarà stimolata prevalentemente da allenamenti che utilizzano ritmi medi o progressivi; parallelamente, gli allenamenti per le qualità neuromuscolari saranno sostituiti dalle varie tipologie di allenamenti intervallati per innalzare la velocità di gara. Nella parte finale del periodo specifico, altre gare (non sempre corse con il massimo impegno) e qualche allenamento a ritmo gara specifico (di una certa durata) permetteranno di indirizzare le risorse dell’atleta in maniera specifica al fine di ottenere il proprio obiettivo.

Semplificazione della preparazione per una o più gare di 10 Km

Ovviamente i 2 periodi indicati sopra non seguono una divisione netta, ma modulata (“sfumata” per dare meglio l’idea) al fine di ottimizzare gli stimoli allenanti. Non solo, a seconda della tipologia di atleta, alcuni mezzi allenanti del periodo generale (Lunghi o salite brevi, per fare un esempio) possono essere riproposti anche nel periodo specifico per il mantenimento delle qualità aerobiche o muscolari.

Nel post dedicato a come preparare un programma d’allenamento per la corsa, potete trovare le istruzioni step-by-step per pianificare al meglio la vostra stagione atletica.

Inframezziamo il periodo Speciale

Le periodizzazioni più sofisticate (e che possono godere di una lunghezza maggiore) inframezzano il periodo Speciale tra quello Generale e Specifico; senza rendere più complesso il concetto di quello che sia già, questo periodo è una sorta di via di mezzo (come caratteristiche) degli altri 2. Per fare un esempio, la velocità di gara viene allenata come se si stesse preparando una competizione più corta di quello che è il proprio obiettivo.

Prendiamo un podista che in autunno deve preparare una maratona; esso dedicherà assolutamente l’autunno per finalizzare il ritmo gara e la capacità di gara (soprattutto, perché si tratta di una gara molto lunga), ma nella parte finale dell’estate si concentrerà sulla preparazione di qualche gara su strada di 10 Km per dare uno stimolo allenante importante alla velocità di gara. Ovviamente non sarà lo stesso allenamento di chi prepara solo le gare di 10 km, perché dovrà continuare a lavorare sulla capacità di gara, anche se in maniera meno “importante” rispetto al periodo Specifico.

Per chi invece dovrà preparare una maratonina, potrà dedicare il periodo Speciale alle gare di 5-10 Km, come chi prepara una gara di 10 Km, potrà dedicarsi alle competizioni di 3-5 Km.

In ogni modo per chi non è ancora esperto in termini di programmazione della propria stagione, consigliamo di organizzarsi considerando solamente il periodo Generale e Specifico; quando conosceranno meglio le proprie caratteristiche ed avranno migliorato la propria competenza in termini di programmazione, potranno inserire anche il periodo Speciale.

Ricordo che scorrendo l’home page dedicata al running, potete trovare le Preparazioni per le gare specifiche.

5) Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner

Questo “principio” (il quinto ed ultimo) è importante non tanto per sapere “quanto corro più lentamente ogni anno che passa”, ma per comprendere se ed in che modo l’invecchiamento influenza la performance e come poter influire sul decadimento prestativo. Ma iniziamo rispondendo ad una prima domanda:

Da che età incomincia a peggiorare la performance?

Si contano sulle dita di una mano gli studi che hanno approfondito questa tematica con gruppi di atleti particolarmente elevati.

Nell’immagine sotto è possibile vedere il tempo medio associato all’età dei partecipanti maschili della maratona di Stoccolma (312,342 finisher) in un lasso di tempo di 35 anni (dal 1979 al 2014).

Letho 2016, J Sport Health Sci

Osservando il grafico, si potrebbe ipotizzare che a 34 anni (in media) si raggiunga il minore tempo finale in maratona, cioè la migliore performance. Per verificare questa ipotesi, ovviamente è necessario trovare altri studi che ne confermino o meno i risultati. Una ricerca osservazionale analoga, è quella di Zavorsky et al 2017 che analizzarono i tempi finali delle maratone di Boston-New York-Chicago dal 2011 al 2016; questi realizzarono come l’età media dei vincitori fosse di 28.3 anni (tutti compresi in un range di 25-34 anni).

Le prime conclusioni ci portano quindi ad indicare come probabilmente, dal punto di vista biologico il “declino” della performance possa iniziare dai 34 anni.

Ma altri fattori incidono sulla performance, non solo l’età: l’esperienza nell’allenarsi, la motivazione e lo stile di vita sono solo alcuni fattori che possono avere un peso sulle performance, anche maggiore; infatti, se si comparano fasce d’età di 5-10 anni alla volta, sia nella ricerca di Zavorsky et al 2017 che in quella di Letho 2016 (quella del grafico sopra), il declino della performance avviene in particolar modo dalla categoria 40-50 anni.

Risultati analoghi, furono visti da Celie et al 2010, che analizzarono 12 anni (dal 1995 al 2007) di arrivi (194560 partecipanti) di una gara di 15 Km, la Nijmegen Seven Hills Run in Olanda. Non fatevi “spaventare” dal nome della competizione (“la gara delle 7 salite di Nijmegen”), in quanto ha un percorso particolarmente veloce, visto che nel 2018 venne stabilito su questo tracciato il record del mondo su strada dei 15 Km. Evidentemente in Olanda hanno un concetto di “salita” diverso dal nostro. Scherzi a parte (era una battuta), lo studio Olandese osservò come in meda ci fu un peggioramento dello 0.2% annuo della performance a partire dai 40 anni; secondo questi calcoli, un runner che corre i 10 Km in 40’, è presumibile che rallenti di 0.5”/Km all’anno dopo i 40 anni.

Ultimo studio rilevante fu quello di Leyk et al 2007, che videro  (405515 runners Tedeschi) come la performance in maratona ed in mezza maratona il calo iniziasse dopo i 50 anni con un peggioramento del 2.6-4.4% per decade. Le differenze con lo studio precedente probabilmente erano dovute alla diversa analisi statistica dei dati e della distanza di gara di riferimento.

Quello che è importante comprendere da questi studi, è che il calo prestativo in un runner è da attendersi dai 40-50 anni circa, ma con un tasso di decrescita estremamente basso (solo 0.2-0.5% annuo). Ma il dato più interessante, è che l’età è in grado di “spiegare” solo il 4.5% della prestazione (Letho 2016); il restante 95.5%, è attribuibile all’allenamento, allo stile di vita, alla motivazione, allo stato di salute, ecc. È tanto il 4.5%? Se l’obiettivo è quello di vincere le gare, ovviamente è tanto, perché trai i primissimi le differenze prestative spesso sono inferiori all’1%; ma se l’obiettivo è quello di correre per stare bene, divertirsi (anche gareggiando) o dare il meglio di sé stessi, allora l’età non è una scusa!

L’aspetto a cui prestare invece più attenzione è un altro, cioè come il nostro organismo cambia con il passare degli anni e quali sono i fattori che con l’invecchiamento peggiorano le nostre performance; questo ci permette di capire come modificare il nostro allenamento in funzione dell’età. Ma andiamo per ordine indicando i punti più importanti:

  • Con il passare degli anni, soprattutto dopo i 50, si tende a perdere in particolar modo forza muscolare e flessibilità. Il tasso di infortuni tende ad incrementare.
  • Il decadimento prestativo è maggiore se non si segue uno stile di vita adeguato; ad esempio un incremento di 1 Kg di massa grassa, corrisponde ad un peggioramento dell’1% della prestazione (Cureton et al 1978 e Barnes et al 2015): ciò equivale a circa 2.4”/Km per chi corre i 10000m in 40’. Per “stile di vita” non si intende solamente l’alimentazione, ma tutti i fattori che incidono sulla salute psicofisica ed il recupero.
  • La motivazione può calare e dopo diversi anni si tende a correre soprattutto per “stare bene” e meno per “migliorare le proprie performance”.
  • Unico aspetto in controtendenza con l’età, è che con il passare degli anni si impara a conoscersi meglio, e si fanno meno errori nell’allenamento; questo è un fattore positivo.

Bisogna quindi essere consapevoli che i sintomi dell’invecchiamento possono essere “rallentati” mantenendo il soggetto (non solo atleticamente) “più giovane”. Riportiamo di seguito le indicazioni di base per mantenere il più possibile l’efficienza fisica; sotto potete vedere anche l’infografica.

  1. Tra i 40-50 anni iniziare a lavorare in misura maggiore sulla prevenzione infortuni, sulle qualità neuromuscolari (soprattutto forza) e mobilità articolare.
  2. Ridurre leggermente il chilometraggio settimanale, non diminuendo i lavori di intensità. Preferire un numero minore di competizioni lunghe.
  3. Mantenere uno stile di vita corretto (salvaguardando salute e peso corporeo), consapevoli che con il passare degli anni aumenta la necessità di riposarsi e curare maggiormente il recupero.
  4. Mantenere elevata la motivazione a fare sport per la salute e per il piacere di farlo, utilizzando il cross training, trovando compagni di corsa e stabilendo anche obiettivi diversi, ma pur sempre realistici.
  5. Sfruttare la propria esperienza e la conoscenza di sé stessi per individualizzare al meglio gli allenamenti.
Semplificazione dei processi di invecchiamento e consigli per minimizzarne gli effetti. Clicca sull’immagine per ingrandire.

Un doveroso riassunto

Sono sicuro che i principi illustrati in questo post  potranno aiutarvi a pianificare con attenzione il vostro allenamento; ma facciamo un breve riassunto, per organizzare le idee:

  • Durata di una stagione: abbiamo visto il concetto di “energia adattativa” dedotto da Seyle sin dal 1938, e come questo implica il fatto che una stagione atletica debba essere organizzata per avere un inizio ed una fine (massimo 4-5 mesi), unita a gradualità (e pazienza) nell’incrementare il carico allenante.
  • Carico, scarico e competizioni: la giusta alternanza tra carico e recupero permette di incrementare nel tempo la condizione di forma. Affinchè ciò avvenga, le gare effettuate al massimo impegno devono essere “razionate” per non avere impedimenti nella realizzazione del proprio programma come infortuni, demotivazione o cali della condizione.
  • Allenamento polarizzato: questo concetto indica come il miglioramento del potenziale aerobico possa avvenire a ritmi lenti come ad intensità particolarmente elevate, fornendo al runner (soprattutto amatore) un ampio spettro di intensità e mezzi, per diversificare l’allenamento ed adattarlo soprattutto alle proprie caratteristiche. Abbiamo anche visto il chilometraggio minimo in base ai propri obiettivi.
  • Periodizzazione e pianificazione della stagione: il passaggio (non netto) da un periodo caratterizzato da una forma di allenamento generale ad uno più specifico, permette di innalzare il potenziale dell’atleta per poi indirizzarlo in maniera specifica. L’inserimento del periodo speciale può rappresentare quel qualcosa in più nel momento in cui si avrà una certa esperienza nel programmare la propria stagione.
  • Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner: abbiamo visto come dai 40-50 anni è presumibile attendersi un peggioramento della performance, ma come questo possa essere un declino quantomai lieve quando si approccia con il giusto modo alla gestione fisica e mentale dell’allenamento e del proprio stile di vita.

Bene, spero che le informazioni contenute in questo articolo possano esserti utili per migliorare la conoscenza del processo d’allenamento ed individualizzare sempre al meglio il vostro training; il mio consiglio è di leggere l’articolo sempre prima della stesura della tua programmazione ed alla fine della stagione, in maniera tale da verificare e confrontare la tua esperienza con la parte teorica. In questo modo acquisirai una maggior consapevolezza ed esperienza; ricordati che il miglioramento della propria performance, passa anche attraverso la conoscenza della scienza dell’allenamento…e di se stessi.

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Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

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