Tag Archive: ritmo maratona

  1. Running: come calcolare ed impostare il ritmo gara

    Leave a Comment

    Dividete una gara in 2 parti, e vedrete come la maggior parte dei runner amatori corre più lentamente il secondo settore rispetto al primo; se andiamo a vedere invece a livello di Top runner, scopriamo che negli ultimi record del mondo della maratona, la seconda parte è stata più veloce della prima.

    Allo stesso modo, se guardiamo alla TV una maratona o una corsa su strada, vediamo che chi vince, solitamente riesce ad aumentare la velocità nel finale di gara, oppure ha un calo minore rispetto agli altri.

    La differenza rispetto agli “avversari” diretti (cioè chi ha un tempo ipotetico molto simile al proprio) lo si fa impostando il ritmo della gara nella maniera più adeguata.

    Ma attenzione, di una corretta impostazione del ritmo gara non ne beneficia solo il cronometro o il piazzamento (che per un amatore può avere anche un’importanza relativa), ma anche il divertimento e il piacere di correre.

    Infatti, ogni runner nella propria esperienza conserva sicuramente ricordi di competizioni alle quali è arrivato negli ultimi Km stremato, facendosi superare da diversi atleti; in altre gare invece sarà capitato il contrario, cioè di finire pimpanti staccando i propri avversari diretti e sopravanzando chi invece era davanti.

    In quale delle 2 tipologie di prestazioni (indipendentemente dal tempo finale) vi siete divertiti di più? Quale delle 2 performance vi ha lasciato, nelle settimane successive, un ricordo più bello e maggiore fiducia nelle vostre capacità?

    Da questi elementi è possibile comprendere che indipendentemente dal fatto che gareggiate per il tempo, per il piazzamento, o per il solo piacere di farlo, è importante sapere calcolare ed impostare correttamente il ritmo gara.

    Attenzione, tra “calcolare” ed “impostare” c’è una certa differenza: il calcolo del ritmo gara si ottiene da dati numerici, come può essere da prestazioni recenti o fogli di calcolo nel caso in cui si passi da una distanza ad un’altra (come dai 10 km alla maratona); è praticamente un semplice calcolo matematico. Impostare il ritmo gara invece tenere in considerazioni altri aspetti come il clima, le sensazioni del giorno della gara, ecc.

    In questo post, andremo a vedere qual è il foglio di calcolo più adeguato (e come utilizzarlo) per “calcolare” la velocità ideale della competizione, e le variabili che permettono successivamente di “impostare” il corretto ritmo gara.

    Di questo, ne beneficeranno sia i podisti alle prime armi (che impareranno a gestirsi in competizione), che runner più esperti, consentendo loro di lavorare sui marginal gains (guadagni marginali) tramite una maggiora consapevolezza delle strategie di gara.

    Le nozioni presenti in questo articolo sono veramente tante, per questo consiglio di leggerlo con calma, anche in più momenti.

    Relazione tra distanza e velocità di gara

    Se ho un primato di 50’ sui 10 Km, quanto posso valere sulla mezza? Ecco questa è la risposta che permettono di ottenere diversi fogli di calcolo, cioè estrapolare un tempo finale ipotetico, partendo dalla performance su una distanza diversa. Ma quanto sono affidabili questi calcoli? Facciamo un esempio.

    Nel grafico sopra è rappresentato l’andamento dei primati di Eliud Kipchoge (detentore del record del mondo della maratona) dai 1500m alla maratona; non spaventatevi, è un grafico molto semplice e lo spiego subito. Sull’asse orizzontale è rappresentata la distanza di gara (in metri), mentre in quello verticale la velocità (Km/h); la linea blu rappresenta l’unione dei punti delle varie velocità associate ai suoi primati sulle varie distanze (1500, 5000, 10000m, mezza e maratona) prendendo i dati da Wikipedia. Bene, questo credo sia abbastanza chiaro.

    La formula in blu rappresenta invece il modello di calcolo estrapolato dalle sue performance; se ad esempio, volessi sapere la performance (cioè la velocità) su una distanza mai corsa, come i 30 Km, basterebbe inserire al posto di “x” all’interno della formula il valore 30000, cioè i metri della competizione da cui si vuole estrapolare il ritmo ipotetico. Nel nostro caso, darebbe 21.05 Km/h.

    La formula in bianco invece (r² = 0.9911) indica quanto la formula è aderente alla realtà; nel caso in cui fosse = 1 sarebbe perfetta, ma anche il valore di 0.9911 è ottimo. L’andamento della formula è espresso dalla riga tratteggiata bianca.

    Nell’immagine sopra invece, è stato fatto lo stesso procedimento per i primati di Francesco Panetta, vincitore dei Mondiali di Atletica di Roma (1987) sulle 3000 siepi. Come potete vedere, il suo modello estrapolato (formula in blu) è abbastanza diverso da quello di Kipchoge; probabilmente è dovuto al fatto che, malgrado abbiano entrambi partecipato sia a gare su strada che di mezzofondo, uno (Eliud) ha dato il suo meglio in maratona e Francesco nelle gare su pista.

    Questo significa che atleti d’elitè con diverse caratteristiche hanno modelli (cioè formule di riferimento) differenti; provate ad immagine quanto possano essere diversi i modelli tra i runner amatori, in cui sono presenti non solamente atleti con caratteristiche differenti, ma anche con training (riferiti soprattutto al numero di allenamenti settimanali) eterogenei.

    Da qui è possibile comprendere come questi modelli di calcolo non siano assolutamente da prendere alla lettera. Comprendendo le variabili che possono influenzarla (ambientali, relativi al tracciato, allo stato di forma, età, ecc.) è possibile comunque trovare un range di velocità all’interno del quale è possibile ipotizzare la performance teorica.

    Nel prossimo capitolo vedremo il modello di calcolo che per utilità e semplicità di utilizzo ritengo più utile per un amatore.

    Come estrapolare il ritmo gara dalle performance precedenti

    Questa operazione viene richiesta quando si affronta una gara di una lunghezza mai effettuata; stessa cosa può essere necessaria quando è da tanto tempo che non si effettuano certe distanze, e la condizione attuale è differente da quella che era quando si era affrontata l’ultima volta quella determinata competizione. Ma facciamo qualche esempio:

    • Desidero partecipare ad una competizione di 15 Km, distanza alla quale non ho mai preso parte; 2 settimane fa ho preso parte ad una maratonina. A che ritmo devo impostare la velocità di gara?
    • Non ho mai preso parte ad una maratona, ma conosco il mio primato sulla mezza: quanto devo correre più lentamente la maratona rispetto alla mezza?
    • Ho coso diverse gare di 10 Km in questo periodo, e tra un mese voglio partecipare ad una maratonina; che ritmo gara devo impostare?
    • Ho corso la mia ultima maratona 10 anni fa; quest’anno ho corso 2 mezze maratone e voglio prepararmi per una maratona. Per impostare il ritmo gara devo basarmi principalmente sulla velocità di gara della mia ultima maratona o sulle ultime prestazioni sulle mezze?

    Questi sono tutti dubbi leciti a cui può andare incontro un runner, ai quali è fondamentale dare risposta il più possibile realistica, visto che sappiamo tutti (basta basarsi sulla propria esperienza personale) quanto possa essere deleterio partire in gara con un ritmo errato (soprattutto se eccessivo). Prima di illustrarvi l’utilizzo dei fogli di calcolo, credo sia molto importante rispondere a questa domanda.

    Ma è meglio gareggiare “a sensazione” o con l’uso del cronometro?

    Nel nostro secondo post dedicato ai metabolismi energetici ed alla fatica, nel capitolo dedicato alla FATICA COSCIENTE, abbiamo visto come l’organismo è in grado di autoregolare l’intensità dello sforzo in base ai segnali della fatica ed in base alla “stima” (inconscia) del lavoro fisico che dovrà andare a compiere. In altre parole, l’esperienza e la percezione delle sensazioni in gara giocano un ruolo fondamentale nell’impostazione soggettiva del ritmo gara; ma attenzione, queste condizioni sono valide solamente per le distanze sulle quali si gareggia con frequenza, come possono essere le competizioni su strada di 10 Km.

    Quando si prende parte a manifestazioni alle quali non si corre con frequenza e regolarità, allora è necessario anche calcolare il ritmo gara; infatti, in queste condizioni correre a sensazione comporta il rischio di partire troppo forte, con un inevitabile calo (più o meno evidente) nel finale.

    Ma per quanto deve essere tenuto il ritmo gara impostato? Semplice, se si percepisce che non sia troppo intenso, l’ideale è circa metà-gara; oltre questo riferimento, starà poi all’atleta decidere (in base alla propria esperienza e sensazioni), se proseguire fino a 2/3 di gara con lo stesso ritmo o correre direttamente fino all’arrivo seguendo le proprie sensazioni. Nell’immagine sotto potete trovare i 2 importanti concetti appena esposti. Ma vediamo finalmente i fogli di calcolo e le condizioni nelle quali utilizzarli.

    Foglio di calcolo Ranucci-Miserocchi

    È possibile scaricare il file in fondo a questa pagina, nella quale potete trovare anche le semplici istruzioni. Questo modello di calcolo è estrapolato da uno studio Italiano effettuato da Marco Ranucci e Giuseppe Miserocchi, pubblicato sulla rivista Atletica-Studi nel 1986; la formula è estrapolata da un gruppo di atleti con primati migliori dei 40’ sui 10 Km, quindi è possibile ipotizzare come possa essere un modello che trovi la massima utilità per chi ha personal best di quel livello. Con opportuni accorgimenti, può essere utile anche per chi ha ritmi gara inferiori.

    È però necessario essere consapevoli che non può fornire indicazioni precise a causa delle differenza che esistono tra i vari atleti (come abbiamo visto sopra). Nel nostro post dedicato all’individualizzazione dell’allenamento abbiamo visto come, in base alle proprie caratteristiche, le qualità dei runner possono essere orientate verso sforzi di resistenza (cioè migliorano le proprie performance relative all’aumentare della distanza) o di velocità (sono maggiormente efficienti in relazione alla diminuzione delle distanze).

    Ma come applicare questo concetto al foglio di calcolo? 

    Facciamo l’esempio di un podista che vuole preparare una maratonina (non avendola mai corsa), conoscendo il proprio tempo sui 10 Km. Per un atleta “resistente” (o con caratteristiche “intermedie”), se adeguatamente allenato, è probabile che questo foglio di calcolo possa dare indicazioni interessanti per stabilire il proprio ritmo maratona (direttamente dal calcolo), ancor di più se ha un primato inferiore a i 40’ sui 10 Km.

    Per un atleta dalle caratteristiche “veloci” è invece probabile che questo modello sovrastimi il ritmo maratonina; in altre parole, per questa tipologia di podisti, è necessario utilizzare un range di velocità più lente rispetto a quelle ottenute dal foglio di calcolo.

    Volendo dare indicazioni che siano il più possibile pratiche, il tempo di riferimento e le caratteristiche dell’atleta sono le 2 variabili principali da tenere in considerazione per impostare il ritmo gara teorico. Sotto è possibile vedere un pratico esempio.

    Ma andiamo ora a fare qualche esempio, almeno in uno dei quali tutti possano ritrovarsi: un runner con caratteristiche intermedie che corre i 10 Km in 39′ (quindi un RG di 3’54″/km) avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 4’12”-4’22″/Km, visto che il calcolatore da 4’17″/Km. Un runner con caratteristiche veloci, ma con lo stesso primato, avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 4’17”-4’27”/Km.

    Un podista con caratteristiche intermedie che corre i 10 Km in 50’ (quindi un RG 5’00”/Km) avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 5’18”-5’38”/Km, visto che il calcolatore da 5’28”/km.

    Per runner con caratteristiche veloci, e con lo stesso tempo sui 10 Km, si considererà un ritmo compreso tra 5’32” e 5’48”/Km.

    Ovviamente questi dati vanno presi come “Cum grano salis” (cioè con un pizzico di buon senso), perché, come abbiamo visto nell’esempio sopra (quello tra Panetta e Kipchoge), ogni atleta ha andamenti della performance diverso dall’altro.

    Ma andiamo ora a vedere quali altre caratteristiche possono influenzare il tempo teorico calcolato.

    Come visto sopra, il calcolo è più affidabile quando la distanza di riferimento è la metà (o anche di più) di quella da calcolare; ad esempio può andare bene usare il tempo della mezza per estrapolare quello della maratona. Usare invece il tempo dei 10Km (sempre per la maratona) è estremamente azzardato.

    Altro aspetto importate da considerare è l’età; nell’ultima parte nostro post dedicato ai 5 pilastri della corsa, abbiamo visto come fino ai 40 anni le potenzialità degli amatori tendono ad essere sostanzialmente poco influenzate dall’età; quindi se si è under 40, non occorre fare modifiche al tempo teorico in base a questa variabile.

    Se invece si è over 40 (ancor di più se si ha più di 50 anni) è necessario tenerlo in considerazione. Ovviamente se tra la data della gara di riferimento (usato per il calcolo) e quella della competizione che andiamo a preparare ci sono meno di 5 anni, anche in questo caso non sono da fare aggiustamenti. Piccoli aggiustamenti sono necessari se si è over 40 e ci sono più di 5 anni tra le 2 competizioni; in questi casi è possibile diminuire la velocità di gara teorica aumentando il tempo al Km dello 0.2-0.5% all’anno. Ma facciamo un esempio: se ho estrapolato un RG di 4’17/Km prendendo spunto da una gara fatta a 47 anni (e ora ne ho 57), dovrò aggiungere il 2-5% a tale velocità, cioè tra 5 a 13”/Km.

    Quale gara usare come riferimento?  

    Per “riferimento” si intende la competizione dalla quale si estrapolano i dati (tempo e distanza) per stimare tramite il foglio di calcolo il ritmo della gara che si deve effettuare. È meglio usare il proprio primato o l’evento più recente?  Bella domanda!

    Il buon senso vuole che si utilizzino i dati dell’evento più recente e che dal punto di vista probabilistico presenti una condizione atletica paragonabile a quella della competizione che si andrà a correre. È fondamentalmente un fatto di onestà nei propri confronti: è inutile (ad esempio) usare come riferimento un primato personale, quando magari si è da poco reduci da uno stop, da un infortunio, o se non si ha avuto la possibilità di allenarsi adeguatamente. Se invece si vuole avere un dato più oggettivo, si può fare la media del Ritmo gara estrapolato dalle 3 gare più recenti.

    Altro fattore fondamentale è il tempo che si ha avuto per allenarsi. Mi spiego meglio; nel primo dei 5 principi della programmazione, abbiamo visto come un periodo preparatorio per una competizione possa durare idealmente 16-20 settimane (anche 12 settimane se si tratta di gare di 5-10 Km). Questi sono i tempi necessari per preparare al meglio un evento! Ma facciamo l’esempio della preparazione di una maratona autunnale usando come riferimento il tempo impiegato in una maratonina primaverile in cui si ha stabilito il proprio primato. Ovviamente non posso pretendere di ottenere il tempo calcolato con sole 5-6 settimane di preparazione; la maratona è un evento in cui alcune variabili che incidono sulla performance richiedono diverso tempo per essere stimolate, quindi se si vuole ottenere il meglio, è necessario rispettare i tempi necessari per la preparazione. Non a caso, Swain et al 2019 videro come a livello amatoriale, un passo più accurato in maratona (cioè senza cali evidenti nel finale) era correlato all’esperienza del runner ed al chilometraggio medio settimanale effettuato nel periodo di preparazione.

    Di contro, è molto più semplice se si “scende” verso una distanza inferiore: ad esempio se ho fatto il mio “primato” sulla mezza e voglio replicare sui 10 Km, probabilmente bastano veramente pochissime settimane per velocizzare i ritmi a tal punto di ottenere il meglio anche sui 10000m.

    Com’è possibile comprendere, è necessario anche molto buon senso non solo nello stabilire il ritmo gara teorico, ma anche nel prendersi i tempi di preparazione adeguati per ottimizzare la condizione atletica. Nella nostra Home page dedicata al running, potete trovare i nostri articoli dedicati alla preparazione delle varie distanze.

    Bene, fino a questo punto abbiamo visto 3 punti essenziali: il foglio di calcolo, come scegliere l’evento (o gli eventi) di riferimento e l’eventuale adattamento in base all’età del runner. È ovvio che il calcolo del ritmo gara teorico vale su un percorso pianeggiante e in condizioni climatiche favorevoli.

    Ma perché è importante stabilire un ritmo gara?

    È importante per evitare di correre la prima metà di gara (o nei primi 2/3) ad un’intensità troppo elevata, che vada a compromettere la velocità nella seconda parte e di conseguenza il tempo finale!

    Attenzione, questa non è una considerazione banale; leggendo il prossimo capitolo capirete perché correre in negative split (cioè la seconda parte della gara leggermente più veloce della prima) permetta al runner di ottimizzare le risorse fisiologiche di cui dispone, in particolar modo nelle competizioni di una certa durata.

    Perché correre in negative split è la condizione ottimale per la performance (di durata), e perché molti runner effettuano il contrario

    Nello studio di Diaz et al 2014 venne confrontato l’andamento delle migliori prestazioni mondiali in maratona (dal 1989 al 2014) con quelli del periodo precedente (dal 1967 al 1988); venne visto come nei record più recenti la distribuzione dello sforzo era più uniforme e la seconda parte è stata corsa ad un’intensità leggermente superiore (si parla comunque di pochi secondi  al Km) rispetto alla prima. Nei record più datati invece (dal 1967 al 1988) la seconda parte della competizione è stata corsa più lentamente della prima, in alcuni casi anche con cali evidenti dopo il 25°/30° Km.

    Questa inversione di tendenza è probabile sia dovuta ad un miglioramento della conoscenza e della pratica dell’allenamento della maratona; tutto ciò evidenzia come, con tutta probabilità, un atleta adeguatamente allenato alla distanza sia in grado di ottenere il meglio da sé stesso tenendo un ritmo il più possibile costante e correndo la prima metà leggermente più lenta (di qualche secondo al km) della seconda. Questo aspetto, evidenziato nello studio appena presentato, può trovare un razionale fisiologico in virtù delle ultime scoperte sui metabolismi energetici. Senza addentrarci eccessivamente su aspetti legati alla biochimica è importante comprendere come sia stato dimostrato (Shulman et al 2001 e Shulman 2005) che nella prima parte di uno sforzo a ritmo costante (anche molto basso) il consumo di glicogeno è maggiore rispetto alle altre fasi; di conseguenza, se si fa l’errore di partire troppo velocemente, il consumo di questo importante substrato energetico (glicogeno) avviene in maniera più veloce rispetto ad una partenza maggiormente in linea con il tempo finale (o leggermente più lenta). Non solo, partenze troppo veloci portano più facilmente alla comparsa dei crampi negli atleti maggiormente a rischio.

    In sostanza, è possibile affermare che impostare la competizione in leggera progressione (cioè in minimo negative split) consente di ottenere tempi migliori rispetto ad una partenza più veloce.

    È quindi importante riflettere su questo aspetto alla partenza di una competizione. Questo ovviamente è valido nel caso in cui ci si presenti alla partenza con una sufficiente Capacità di gara, cioè avendo fatto un percorso d’allenamento adeguato a supportare la distanza; questo aspetto non è banale quando si preparano gare oltre i 20 Km.

    Ma quali sono i margini (in termini di secondi al km) rispetto al ritmo gara teorico da adottare nel caso in cui si volesse correre in negative split?  In altre parole, nel caso in cui io debba affrontare la competizione ai 4’40”/Km, è meglio partire ipoteticamente a 4’43”/Km o 4’46”/km o 4’50”/Km? Risponderemo a queste domande nei prossimi capitoli, nei quali vedremo anche tutte le variabili da considerare nell’impostare il ritmo gara.

    Impostazione del ritmo gara: un pò di buon senso

    Fino ad ora abbiamo visto come calcolare il ritmo gara teorico; in questo capitolo approfondiremo come contestualizzarlo (ed eventualmente modificarlo) in base alle situazioni pre-gara, in base a quello che accade in competizione e (soprattutto) in base alle proprie sensazioni nella prima parte del tracciato. Nell’immagine sotto potete trovare un elenco delle variabili che influiscono sull’impostazione di gara; quelle in rosso le andremo ad analizzare nei prossimi capitoli.

    Partiamo con un dato di fatto: la maggior parte degli atleti (di tutti i livelli) corre la seconda parte della competizione più lentamente della prima, in particolar modo se si tratta di gare oltre i 20 km (Nicolaidis et al 2019). Da quello che abbiamo esposto fino ad ora, i motivi possono essere 2 (o entrambi): il primo è che non affronta la competizione adeguatamente allenato e il secondo è che parte troppo velocemente.

    In uno studio del 2016, Brian Hanley vide come nelle ultime 9 maratone di livello assoluto (Mondiali ed Olimpiadi) solo gli atleti medagliati riuscirono (si parla di dati statistici che ovviamente presentano eccezioni) a tenere un ritmo pressappoco costante o in negative split durante la gara; tutti gli altri presentavano un calo più o meno evidente della velocità. Questo testimonia come anche la maggior parte degli atleti Top level tendono a correre il rischio di effettuare comunque una partenza veloce; per i professionisti questo rappresenta un “rischio” comunque accettabile (entro certi limiti) per i seguenti motivi:

    • Una medaglia (o un piazzamento in una gara particolarmente importante) può dare una svolta alla propria carriera, o cambiare la vita. In questi casi fa parte della competizione il correre il rischio di partire velocemente con la speranza di riuscire a tenere tale intensità fino alla fine per giocarsi i piazzamenti che contano.
    • Nella prima parte delle competizioni i migliori atleti tendono a correre insieme (a volte in presenza di lepri), quindi è più facile sfruttare la scia o trarre vantaggio dalla corsa di gruppo; questa strategia è efficace nel caso in cui l’intensità sia pari o di poco superiore al proprio ritmo gara; vedremo successivamente nel dettaglio quali siano i benefici.

    Quindi, se per un Top Runner rischiare di partire ad un ritmo gara anche superiore a quello teorico rappresenta un “rischio calcolato”, è abbastanza evidente come per un amatore “il gioco non vale la candela”. Ma vediamo ora le variabili che possono contribuire a modificare (prima o dopo lo start) il ritmo gara.

    Cosa si intende per “Esperienza” e qual è il suo peso sulla performance?

    Nei capitoli precedenti abbiamo già visto l’importanza del peso delle proprie sensazioni nell’impostazione del ritmo gara in tracciati brevi (di durata inferiore ai 40-45’) e di cui si ha molta esperienza.

    Tale evidenza è avvalora dallo studio di Billat et al 2006, in venne visto come in gare relativamente brevi (10 Km) di cui l’atleta ha una certa esperienza, i podisti amatori tendono a partire leggermente più forte (della media finale), avere un leggero calo intorno al 7-8° Km ed aumentare nuovamente la velocità nel finale di gara (vedi grafico in alto dell’immagine a fianco). In questi casi, il consumo di ossigeno (cioè la spesa energetica) totale è più basso rispetto ad una gara a ritmo “forzatamente” costante ed allo stesso tempo percepita come meno stressante ed impegnativa. Non a caso la regolazione teleanticipatoria della performance implica che se si effettua una competizione particolarmente intensa di cui si ha grande esperienza, l’organismo tende a regolare spontaneamente il passo, con piccole variazioni che minimizzano la fatica per distribuire al meglio le energie; questo è un meccanismo inconscio di cui si hanno diverse prove sperimentali (puoi approfondire leggendo il capitolo sulla fatica cosciente).

    Questo potrebbe essere in contrasto con quanto detto fino ad ora, ma ad un’analisi più concreta non è così; ciò che si evidenzia, è come accanto ad un aspetto teorico del calcolo del ritmo gara, è essenziale anche l’impostazione soggettiva della performance, in base alle sensazioni che l’atleta in competizione ha sin dall’inizio. Questo vale principalmente per le distanze brevi (inferiori ai 40-45’) di cui si ha esperienza. Più sono lunghe le gare e meno esperienza si ha, tanto più diventa invece importante il calcolo del tempo teorico.

    Ricordo che il peso dell’esperienza sulla performance è tanto maggiore tanto è evidente il dislivello della competizione. Anche modesti dislivelli invalidano totalmente i calcoli del ritmo gara teorico; quindi, se gareggiate da poco tempo (o avete poche gare alle spalle) non abbattetevi se vi accorgete di aver distribuito male lo sforzo. L’importante e fare tesoro dei propri errori ed essere consapevoli che, nel dubbio, è sempre meglio partire leggermente più lenti.

    Condizioni ambientali: quanto sono sfavorevoli?

    Malgrado caldo ed altitudine rappresentino variabili che hanno un’influenza deleteria sulla performance, è particolarmente difficile comprendere “quanto” possano effettivamente influire sul tempo finale.

    Il Jack Daniels’ VDOT Calculator ha all’interno un modello matematico che non solo è utile per estrapolare il passo (al Km o al miglio) in base al tempo finale su una determinata distanza, ma ipotizza quale possa essere l’influenza del clima (temperatura ed altitudine).

    Ma è veramente affidabile questo calcolatore?

    Purtroppo no, perché le variabili che si vanno ad intrinsecare con il dato della temperatura (o quello dell’altitudine) sono troppe per essere estrapolate da un modello generico. Quello che si conosce meglio è il perché in condizioni ambientali sfavorevoli l’organismo non riesca ad essere così performante. Comprendendo questi aspetti (cioè queste variabili), è possibile cercare di ridurne gli effetti (ad esempio con l’acclimatazione), ma non è possibile sapere con certezza matematica “quanto” il clima influenzi la prestazione.

    Clicca sull’immagine per ingrandirla

    Nel nostro post dedicato a correre e gareggiare con il caldo, abbiamo elencato quali sono le variabili che influenzano sul calo prestativo e le strategie per minimizzarne l’effetto.

    Nell’articolo dedicato all’allenamento e al gareggiare in quota abbiamo visto come all’aumentare dell’altitudine l’organismo tenda a ridurre l’entità della potenza muscolare erogata per via aerobica, peggiorando la performance di endurance. Per atleti non abituati a determinate condizioni, quote elevate possono anche generare malesseri che vanno oltre il decadimento della performance. Con l’acclimatazione (cioè dopo 14-21 giorni in cui si risiede in quota) le performance tendono a migliorare (in presenza di un allenamento adeguato), ma non come a livello del mare. La soggettività, l’abitudine e l’esperienza, sono criteri fondamentali quando si approcciano allenamenti o gare in quota.

    Gli atleti d’elitè utilizzano stage in altitudine per godere di quegli adattamenti dovuti all’acclimatazione che (solo in presenza di un allenamento adeguato) possono portare quei marginal gains, cioè quei piccoli guadagni, che in ambito elitè possono fare la differenza. Potete approfondire l’argomento leggendo il nostro post dedicato all’allenamento e alla competizione in quota.

    Correre in gruppo serve esclusivamente a sfruttare la scia?

    Chi ha visto il tentativo di Eliud Kipchoge di correre la maratona sotto le 2 ore, ha ben compreso quanto possa essere importante la scia.

    Guardando il video ci si rende conto come le lepri (gli atleti con la canotta nera) assumevano una formazione prestabilita per ridurre al minimo l’attrito di Eliud con l’aria; ma questo non era l’unico dettaglio che ha portato un atleta da 2h01’39” in maratona (l’attuale record del mondo) a correre sotto le 2 ore. Malgrado tale risultato non fu omologabile (principalmente per l’assenza di avversari), ci fornisce importanti dettagli per comprendere (anche se in forma empirica) i benefici che si possono avere correndo in gruppo.

    Il primo ovviamente è la scia, che indubbiamente offre dei vantaggi (Hoogkamer et al 2017), ma con tutta probabilità esistono anche altri benefici (Zouhal et al 2015). Infatti, il competere in prossimità di un altro atleta (non necessariamente in scia) comporta il vantaggio di ridurre lo sforzo mentale (cognitivo) per aggiustare la velocità in base alle condizioni di fatica (Renfree et al 2015); è come utilizzare una sorta di “cruise control” (regolazione automatica della velocità) nella parte iniziale e centrale della competizione. Questa riduzione di “sforzo mentale” comporta una diminuzione del consumo energetico della corsa.

    Racconto un aneddoto personale per chiarire l’importanza di questo concetto: qualche anno fa mi trovai dopo i primi km di una maratonina in un gruppetto di 8-10 unità che stava tenendo un ritmo analogo a quello a cui conclusi una gara di 10 km di qualche settimana prima. Era ovvio che non sarei mai riuscito a tenere quel ritmo per tutti i 21.097 Km, ma dietro a quel gruppo non si vedevano atleti per 200-300m; il dubbio fu quello di staccarmi immediatamente cercando di impostare “il mio passo” (rimanendo però da solo) o avanzare con quel gruppo, sfruttando scia e il vantaggio di correre in prossimità di altri il più possibile, fino a quando ce l’avrei fatta. Optai per la seconda opzione, riuscendo a rimanere con loro fino al 15/16° Km; la scelta si rivelò azzeccata in quanto negli ultimi Km (in virtù dell’elevato chilometraggio settimanale di quel periodo), pur da solo, riuscii a non rallentare troppo e conclusi con un tempo finale che probabilmente non sarei riuscito ad effettuare correndo da solo per tutta la gara.

    Questo non significa che è “sempre” efficace partire con un gruppetto che tiene un ritmo leggermente superiore al proprio ritmo gara; infatti, in assenza di un’elevata Capacità di gara, si rischia di “crollare” oltremodo nella parte finale. Quello che è fondamentale capire, è che pur impostando un ritmo gara teorico, è importante anche saper leggere la situazione (soprattutto in competizioni con pochi partecipanti) ed essere consapevoli dei rischi a cui si può andare incontro partendo comunque troppo forte.

    Analizzando il tempo finale, confrontandolo con il ritmo gara teorico ed il passaggio a metà percorso, ci farà comprendere (a posteriori) se la strategia si è rivelata positiva oppure no; questo andrà ad aumentare il bagaglio di esperienza del runner che sarà molto utile nelle competizioni successive. Ovviamente la condizione ideale è quella di poter sfruttare il rimanere in gruppo ed allo stesso tempo correre in negative split.

    Ma questi vantaggi sono effettivi a tutte le velocità?

    Sicuramente il competere in prossimità di uno o più atleti è di utilità per tutti i runner, mentre il vantaggio della scia è probabile che diventi significativa a velocità superiori ai 15 Km/h.

    Quanto conta la “testa”

    È ampiamente risaputo che stati emotivi come ansia, tensioni e stress modificano il tono muscolare, e con esso la vasodilatazione ed i sistemi metabolici, immunitari ed ormonali. La stessa cosa avviene quando si fa attività sportiva (Speciani et al 2003, Sullivan et al 2017, de Medeiros Andrade et al 2019, Song et al 2019); credo che sia a chiaro a tutti di come si percepisca meno fatica quando ci si allena in compagnia o su percorsi piacevoli dal punto di vista paesaggistico.

    Di contro, gareggiare in condizioni di forte stress ed ansia emotiva (relativi alla competizione) non può far altro che peggiorare quella che è la performance del runner; di per sé la competizione è un evento stressante per l’unità psico-fisica dell’organismo umano, per questo motivo è importante non aggiungere ulteriore nervosismo ed ansia alla gara.

    Per fare un esempio, provate a pensare a quanto sia importante il flusso di sangue nei muscoli per portare ossigeno, nutrienti e smaltire i cataboliti della fatica durante lo sforzo; particolari stati emotivi (come ansia, tensioni, ecc.) possono ridurre questo flusso, aumentando la costrizione dei vasi, incidendo di conseguenza sulla fatica.

    Nel precedente capitolo abbiamo visto come il correre in gruppo sia un elemento che permette di risparmiare energie mentali, e di conseguenza anche fisiche. Ovviamente non si conosce, all’atto pratico, quante calorie possa far risparmiare un atteggiamento mentale adeguato, rispetto ad un approccio psicologico errato, ma esiste un ramo della psicologia dello sport dedicato proprio a questa metodologia.

    Riassumo sotto alcuni punti che ritengo interessanti:

    • Gareggiare con l’ansia e la paura di non riuscire nel proprio obiettivo non può che influenzare negativamente la performance. Si fa sport per il piacere di farlo e si gareggia perché ci permette (in un certo senso) di tornare bambini; gli avversari non solo altro che compagni di gioco contro i quali si cerca di dare il meglio di sé stessi…ma alla fine, indipendentemente dal risultato, si è comunque felici di aver “giocato”; non è questo il senso della corsa per tantissimi podisti? Per altri invece, le competizioni rappresentano aspetto sociale particolarmente piacevole, oppure un modo di mettersi alla prova, di migliorarsi e di sentirsi “vivi”. Qualsiasi sia il motivo per cui si partecipa alle gare, è importante essere consapevoli che non c’è nessun motivo per essere ansiosi o spaventati se ci si prepara in maniera adeguata.
    • La percezione della fatica non dipende solamente dalla fatica stessa, ma anche dall’interpretazione che noi diamo a questa e da dove indirizziamo la nostra attenzione; è il classico esempio dell’allenamento in compagnia o del correre per un paesaggio piacevole che ci permette di ridurre la percezione dell’impegno. Focalizzare la nostra concentrazione su aspetti diversi dalla fatica, può aiutarci a minimizzare la percezione dello stress e focalizzare l’impegno nella direzione di ottimizzare l’intensità dello sforzo.
    • L’organismo è in grado di migliorare la tolleranza alla fatica con la costanza nell’allenamento e la specificità degli stimoli allenanti. Questo non è solamente un dato di fatto, ma una consapevolezza che infonde sicurezza se ci si allena e ci si prepara adeguatamente alle competizioni.

    Questi non sono altro che 3 semplici esempi di come l’aspetto mentale possa influenzare l’attività sportiva ed il piacere di farla. Per chi volesse approfondire, consiglio i libri di Pietro Trabucchi, uno psicologo dello sport che ha dedicato diverse pubblicazioni all’argomento, con un linguaggio accessibile a tutti; tra tutte segnalo Resisto dunque sono.

    Anche l’aspetto psicologico, quindi gioca un ruolo importante durante la competizione; alcuni podisti preferiscono stare “davanti” al gruppo per impostare il proprio ritmo, altri tendono a partire più cauti perché si sentono più a loro agio correndo in progressione. Quello che è importante, è fare in modo che la mente (vedi i 3 esempi sopra) faciliti la performance e non sia “d’intralcio”, partendo sempre da un corretto calcolo del ritmo gara teorico e di una gestione del ritmo possibilmente in negative split.

    Conclusioni ed applicazioni pratiche

    Prima di concludere con ultimi importanti consigli, facciamo un rapido check-up delle variabili che possono influenzare l’approccio iniziale al ritmo gara; parlo di “approccio iniziale”, perché la gestione della velocità è giusto che sia accurata nella prima metà (o nei primi 2/3) di gara. Nella parte finale, le sensazioni del momento, l’esperienza e l’aspetto mentale diventano preponderanti rispetto a tutti i calcoli teorici.

    Ma se il percorso non è pianeggiante? Ovviamente in questo caso si evita di calcolare il ritmo gara teorico, ma rimane l’importanza di tutte le altre variabili, prima fra tutte l’esperienza; in particolar modo il saper gestire il ritmo in salita ed in discesa. L’esperienza non si ottiene solamente con la pratica delle gare, ma confrontando, ad ogni competizione, i tempi teorici con le condizioni di gara, la condizione di forma ed il modo con cui si è gestito lo sforzo (negative split, approccio mentale, ecc.). In questo modo, si potrà far tesoro dei propri errori e conoscere meglio i propri punti forti e deboli.

    Per chi volesse approfondire ulteriori aspetti significativi, consiglio di leggere il capitolo “Massimo numero di gare” nel post dedicato alla programmazione, come riscaldarsi prima di una gara (comprende anche l’approccio mentale al warm-up), l’idratazione ed integrazione e la gestione del clima.

    Concludiamo ribadendo l’effettivo vantaggio (dal punto di vista fisiologico) che può dare un approccio in negative split; affrontare (in linea teorica) la prima metà gara 2-6” più lenti di quello che è il ritmo gara teorico potrebbe rappresentare la soluzione ottimale per un amatore. Non vale la pena rischiare di penalizzare la propria performance per una partenza troppo veloce; l’analisi delle precedenti gare non può altro che aiutare nel rafforzare questo concetto.

    Ovviamente non si deve essere “schiavi” del cronometro, ma considerare questo strumento come un’importante fonte di informazioni, con la consapevolezza che altre variabili possono influenzare l’andamento della gara.

    Queste raccomandazioni valgono anche per quei percorsi non pianeggianti, in cui una partenza meno intensa è anche meno faticosa e permette di essere anche mentalmente più tranquilli (soprattutto in caso di salite impegnative) nella gestione non facile delle energie su determinati percorsi.

    Concludo con un ultimo vantaggio, non trascurabile, nell’utilizzo del calcolatore per i ritmi gara teorici; questo può anche aiutare a comprendere su quali, delle prestazioni passate sulle distanze classiche (maratona, mezza, 10000m, ecc.), il runner ha più margini di miglioramento. In questo modo, atleti più esperti, potranno trovare obiettivi e motivazioni nello stabilire i propri programmi di preparazione.

    Se ti è piacito l’articolo e vuoi rimanere aggiornato sulle nostre future pubblicazioni ed aggiornamenti, iscriviti al nostro Canale Telegram; potrai anche scaricare gratuitamente la nostra guida per trovare, scegliere ed acquistare le scarpe ideali per il running.

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

  2. Gli allenamenti per la maratona

    Leave a Comment

    (Aggiornato al 01/02/2022)

    Per ridurre la complessità della preparazione di una maratona è necessario focalizzarsi inizialmente sugli aspetti primari, per poi “scendere” su quelli secondari per rifinire il tutto; è il solito approccio “Top-down”, che aiuta a semplificare notevolmente la programmazione per ottimizzare la programmazione.

    Nel precedente post abbiamo visto proprio questi elementi essenziali, come il chilometraggio settimanale, la velocità media degli allenamenti ed il calcolo del Ritmo Maratona (RMAR); in questo, secondo “capitolo” invece andremo a vedere un po’ più nel dettaglio come organizzare le settimane di allenamento e quali sono gli allenamenti fondamentali come i Lunghi e quelli a RMAR.

    come ci si allena per una maratona

    Per chi non avesse letto il precedente articolo, consigliamo di approfondirlo prima di passare a questo.

    Step N° 1: quanti Km nelle settimane di allenamento?

    L’incremento progressivo del chilometraggio, e degli allenamenti lunghi, rappresentano gli stimoli principali, soprattutto per chi non è un professionista.

    Malgrado questo, sono convinto che per una preparazione fatta bene, debbano essere inserite delle settimane di scarico al fine di dare al runner la possibilità di avere la certezza di recuperare al meglio gli sforzi. Vedremo nel prossimo capitolo come organizzare queste settimane.

    Nel precedente articolo abbiamo visto come in linea teorica si dovrebbero correre almeno 60 Km a settimana (in quelle fondamentali) per preparare una maratona; questo nel rispetto dell’incremento del carico.

    Ma facciamo un esempio per capirci meglio: un runner che è abituato a correre (nelle settimane di carico più impegnative) 48 Km a settimana quando prepara delle maratonine, dovrebbe incrementare non più del 10-30% il suo chilometraggio settimanale; potrebbe quindi arrivare a 53-62 Km. Questa distanza settimanale è ovviamente riferita alle ultime settimane di carico; a questo chilometraggio ovviamente si dovrà arrivare gradualmente.

    Vediamo sotto un esempio di programmazione di un runner (alla prima maratona) abituato a fare 48 Km nelle settimane più impegnative nella preparazione di una maratonina.

    maratona quanti km a settimana

    L’immagine sopra è solamente a scopo esemplificativo, in quanto molto dipende dalle caratteristiche del soggetto; alcuni runner riescono agevolmente ad incrementare il chilometraggio, mentre altri devono farlo con maggiore gradualità. Solitamente sono i runner resistenti e/o con maggiore forza muscolare a tollerare al meglio un incremento graduale del chilometraggio.

    L’immagine sopra è riferita ad un runner alla prima maratona, ma può essere un’indicazione valida anche per atleti esperti che corrono quel tipo di chilometraggio.

    Per i maratoneti che invece vogliono migliorare la propria performance, possono agire sulle variabili che abbiamo indicato nel post relativo alle componenti essenziali dell’allenamento del maratoneta; in quell’articolo potete vedere 3 semplici esempi relativi all’incremento del chilometraggio, all’aumento della velocità media degli allenamenti e alla riduzione del grasso corporeo. Ma dopo aver definito il chilometraggio settimanale, passiamo al secondo step.

    Step N° 2: inserire i lunghi

    Malgrado questa tipologia di allenamento non è una variabile essenziale per la performance in maratona, sono evidenti 2 cose:

    • I lunghi permettono di “alzare” il chilometraggio settimanale
    • Qualche lungo di lunghezza adeguata è comunque necessario per abituare la parte metabolica ed osteoarticolare a tollerare la durata di una maratona.

    Riporto una tabella/esempio della disposizione dei lunghi per il runner (di sopra) che non ha mai corso una maratona.

    distanza lunghi maratona
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Nei prossimi capitoli vedremo meglio come può essere fatta la progressione dei lunghi e la velocità alla quale devono essere corsi.

    Step N° 3: come modulare l’allenamento

    Questo rappresenta sicuramente l’aspetto più difficile, cioè l’eventuale suddivisione in blocchi d’allenamento. Per “blocchi d’allenamento” si intende suddividere l’intera preparazione in 2 o 3 periodi, all’interno dei quali alcune qualità vengono particolarmente stimolate. Ma facciamo alcuni esempi.

    pianificazione allenamento corsa
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Nell’immagine a fianco, tratta dal nostro post sulla periodizzazione dell’allenamento, potete vedere come la suddivisione in periodo Generale e Specifico permetta di incrementare il potenziale del runner, per poi realizzarlo con i lavori più “vicini” ai ritmi di gara. Questo tipo di modello è particolarmente efficace per gare di 21 Km o di lunghezza inferiore. Non è invece particolarmente utile per la maratona, soprattutto per un amatore.

    Ma come dovrebbe essere strutturata una periodizzazione per una maratona?

    A mio parere dipende dalla tipologia di atleta; un runner alla sua prima maratona (e con sole 12 settimane a disposizione), potrà effettuare un blocco unico nel quale cercare un incremento progressivo dei lunghi e del chilometraggio, con all’interno settimane di scarico (vedi gli esempi riportati sopra).

    Un maratoneta esperto che invece ha 16 settimane per preparare la gara, potrà dedicare le prime 4-6 settimane al potenziamento neuromuscolare (Forza/Velocità) e/o alla Velocità di gara, mentre la seconda parte all’incremento del chilometraggio ed al RMAR.

    Di norma, si può affermare che, per un amatore, le ultime 10-12 settimane devono essere prevalentemente dedicate all’incremento del chilometraggio (ed al RMAR), mentre quelle precedenti allo sviluppo delle qualità neuromuscolari (Forza/Velocità) e/o alla velocità di gara. Inoltre, più l’atleta è esperto e più tempo potrà dedicare a queste ultime 2 qualità; allo stesso modo, anche un elevato chilometraggio settimanale (se rappresenta la norma) può propendere a dedicare più tempo al primo blocco.

    programma maratona

    Nell’immagine sopra potete vedere un riassunto concettuale, ma che rappresenta solamente un criterio di massima, in quanto le strade per preparare la maratona possono essere diverse e possono anche tenere conto delle caratteristiche del soggetto.

    Mi permetto di fare solo 2 ultime precisazioni:

    • Più corto è il blocco iniziale e più leggeri dovranno essere i lavori generali (Neuromuscolari e Velocità di Gara); inoltre dovranno essere introdotti con estrema gradualità, dando la precedenza e la preferenza ai lavori di forza. Questo perché in questa fase il livello d’allenamento (e di conseguenza la capacità di recupero) è limitata.
    • Anche nel secondo blocco si lavorerà su queste qualità, ma in maniera tale da non andare ad interferire con l’aumento del chilometraggio.

    Se sei in cerca di tabelle professionali ti consiglio il libro di Fulvio Massini (Tipi che corrono), nel quale i vari programmi sono adattati a 3 livello d’allenamento per andare incontro alle esigenze di tutti.

    Bene, ora passiamo ad analizzare i vari mezzi d’allenamento; leggete attentamente, perché anche il modo con il quale vengono affrontati determina lo stimolo allenante.

    Il lungo del maratoneta

    Rappresenta l’allenamento fondamentale per gli amatori, perché permette di abituare/migliorare la tolleranza dell’organismo allo sforzo particolarmente prolungato. Inoltre, contribuisce a “costruire” il chilometraggio settimanale necessario per correre la maratona.

    La maggior parte dei tecnici consiglia di incrementare gradualmente la distanza fino ad arrivare a 32-35 Km o 3 ore; in ogni modo non si dovrebbe mai andare oltre le 3 ore, altrimenti il tempo necessario per recuperare questo tipo di sforzo sarebbe eccessivo e verrebbe compromessa la settimana successiva di allenamento, oltre ad incrementare il rischio di infortuni.

    Come distribuire questi allenamenti?

    Orlando Pizzolato consiglia la seguente progressione nelle ultime 12 settimane di allenamento: 1h30’ (o 20 Km), 1h45’ (o 23 Km), 2h (o 25 Km), 2h15’ (o 28 Km), 2h30’ (o 30 Km), 2h45’ (o 32 Km), 3h (o 35 Km).

    Personalmente, agli atleti abbastanza esperti che alleno faccio fare: 4 lunghi da 20-25 Km + 2 da 25-29 Km + 2 oltre 30 Km (non più di 2h45’-3h00’). Ai più allenati (e che hanno più pazienza) aggiungo fino ad un paio di lunghi tra i 25-30 Km.

    Come più volte ripetuto, non è così importante fare tanti lunghi quanto invece lo è il chilometraggio dell’intera settimana; in ogni modo, i lunghi contribuiscono proprio ad incrementare tale chilometraggio ed abituano l’organismo a tollerare lo sforzo prolungato che incontrerà poi in gara.

    Solitamente il lungo più impegnativo (ad esempio quello di 3 ore o 32-35 Km) viene effettuato a 21 giorni dalla gara, per dare tempo al fisico di smaltirne completamente la fatica.

    lungo per la maratona

    Ovviamente questa non deve essere una legge particolarmente ferrea, ma dipende anche dalle caratteristiche del runner; ad esempio, un runner con caratteristiche resistenti o particolarmente abituato a correre le maratone, può effettuare il più “impegnativo” anche 14 giorni prima della gara. Personalmente mi è capitato di allenare un podista estremamente esperto e con caratteristiche particolarmente “resistenti”, che 14 giorni prima della maratona ha corso un’Ultra collinare di 50 Km (senza forzare) con impatto estremamente positivo sulla 42,195 Km; questo esempio rappresenta un’eccezione piuttosto che la regola, ma fa capire come l’individualizzazione dell’allenamento giochi un ruolo fondamentale.

    A quale ritmo va corso il lungo?

    Molte volte viene indicato di correre il lungo in riferimento al RMAR, ma senza fare importanti considerazioni; prendendo spunto dal foglio di calcolo di Ranucci-Miserocchi e dal nostro articolo sui ritmi di corsa continua, possiamo fare alcune interessanti semplificazioni.

    • Per chi corre la maratona in 3h30’-4h, il RMAR è sovrapponibile alla Corsa Lenta.
    • Per chi la corre in 3h15’, il RMAR cade nella Corsa lunga svelta (CLS).
    • Per chi ambisce ad un tempo sotto le 3h-3h10’, è sovrapponibile alla Corsa media.

    Questo significa che un maratoneta da più di 3h15’, correndo il lungo di CL o CLS lo effettua già al RMAR.

    Per chi ambisce ad un tempo inferiore alle 3 ore, correre i lunghi di distanza maggiore al RMAR (cioè di CM) sarebbe una “faticaccia enorme”…e probabilmente difficile da realizzare.

    Dal punto di vista oggettivo, saremmo quindi portati ad indicare di correre i lunghi a CL-CLS per chi ambisce a correre la maratona sopra le 3h-3h10’; per chi invece dovrebbe chiudere i 42.195 Km sotto le 3h-3h10’, si potrebbe ipotizzare di effettuare il lungo sempre di CL-CLS, e se le condizioni a fine allenamento lo consentono, di terminare l’allenamento in progressione di CM (senza esagerare).

    E se facessi un lungo collinare? Come dovrei comportarmi visto che in salita/discesa il consumo energetico è diverso?

    Quello che è importante comprendere, è che un lungo dovrebbe essere un allenamento impegnativo, ma recuperabile nel giro di 2-3 giorni per non andare a compromettere il resto della preparazione. Mi spiego meglio; se corro un lungo la Domenica e nell’allenamento del mercoledì sono ancora affaticato, allora significa che ho effettuato il lungo troppo velocemente o la progressione chilometrica che sto applicando è troppo “incalzante”. Allo stesso tempo, se finisco il lungo “raschiando il barile”, cioè rallentando vistosamente nella fase finale, allora vuol dire che la velocità che ho tenuto nella parte finale è stata eccessiva o l’allenamento è stato troppo lungo.

    Se i 2 casi citati sopra (recupero difficile e raschiamento del barile) accadono 1 volta all’interno di un’intera preparazione non è un problema (sarebbe la norma); anche 2 volte (ma non consecutive) nel caso in cui la preparazione sia di 16 settimane.

    Sono comunque segnali che indicano come il lungo sia stato corso a velocità troppo alta, o che la progressione chilometrica che sto utilizzando è eccessiva; in questi casi, è necessario ridimensionare i parametri (velocità o lunghezza) dei lunghi successivi.

    baldini atene 2004

    Ma è lo stimolo biologico dell’allenamento ad essere importante, non tanto i parametri oggettivi della velocità; ad esempio, nel caso in cui abbia fatto una settimana pesante di allenamenti e percepisca di non aver ancora recuperato del tutto, allora potrò correre il lungo più lentamente rispetto ad una maggiore condizione di freschezza.

    Per questo motivo ben vengano i lunghi collinari, più divertenti e che aggiungono un blando stimolo di potenziamento; come potete vedere dal nostro articolo sulle corse continue, l’intensità di un’andatura è regolabile non solo dal GPS, ma anche dalla percezione dello sforzo. In questo modo non è necessario guardare (e nemmeno utilizzare) il GPS per monitorare la velocità di un lungo.

    Per chi corre frequentemente con salite/discese, dovrebbe solitamente ricordarsi che almeno il 50-60% dei chilometri dell’intera settimana andrebbero corsi in piano (ovviamente se la maratona è pianeggiante) per una sorta di specificità dello stimolo allenante.

    Come ridurre la percezione di fatica dei lunghi

    Oltre a correre i lunghi collinari piuttosto che in pianura, esistono altre strategie per ridurre l’eventuale disagio di questo tipo di allenamenti. Il primo è quello di correrne almeno una parte in compagnia; se si effettua il lungo la Domenica mattina, sarà normale conoscere altri runner che si allenano in quel momento della giornata, per fare almeno una parte dell’allenamento insieme. Va da sé che l’intensità dovrà anche poi essere tarata dal compromesso di correre insieme ad altre persone.

    Altra opzione è quella di partecipare a delle “Non competitive”; infatti, di questo tipo di manifestazioni ne esistono anche di lunghezza pari o superiore ai 25 Km. Partecipando a queste, sarà possibile usufruire dei ristori e correre alcuni tratti in compagnia di altri runner. Anche nel caso in cui il percorso sa solo di 12 km, sarà possibile fare un paio di giri ed aggiungere qualche Km in più in solitudine (se necessario).

    Anche la partecipazione a gare di 30 Km può essere utile al fine di preparare una maratona; l’unica accortezza è quella di non partecipare alla gara per “dare il meglio di sé stessi”, ma per fare un allenamento proficuo in vista della maratona. In questi casi, per non farsi prendere dall’adrenalina, è consigliabile stabilire a priori un ritmo da tenere, sforzandosi di non andare oltre ad una certa intensità; correre troppo velocemente una gara del genere, potrebbe portare ad affaticamenti che possono poi compromettere il resto della preparazione. Anche per questo, consiglio di non svolgere per 3-4 giorni (dopo la 30 Km) allenamenti impegnativi, per evitare di sovraccaricare l’organismo. È ovvio che la partecipazione a gare di questa distanza debba essere fatto solamente nel momento della preparazione nel quale si è in grado di tollerare questo chilometraggio.

    Allenamenti a RMAR

    Abituarsi a correre a RMAR, soprattutto nella parte finale della preparazione, aiuta il runner a stabilizzare ed economizzare i meccanismi metabolici e biomeccanici che avvengono a quel determinato ritmo.

    Come abbiamo visto prima, è ovvio che l’interpretazione di questo tipo di andatura è da commisurare al tempo finale; mi spiego meglio con alcuni esempi.

    Per un atleta con una proiezione finale superiore alle 3 ore e 30’, il RMAR si sovrappone alla CL; per questo motivo, nella maggior parte degli allenamenti effettuerà già questo ritmo.

    Per un runner la cui ipotesi di tempo finale sia compresa tra le 3h15’ e 3h30’, il RMAR corrisponderà indicativamente alla CLS (Corsa lunga svelta); in questo caso sarà conveniente inserire anche degli allenamenti a questo ritmo, o cercare di correre a questa andatura in una parte dei lunghi. La CLS non è comunque un’andatura impegnativa, quindi è abbastanza semplice inserirla all’interno di alcuni allenamenti.

    Diverso è per un atleta che ha una proiezione sotto le 3h-3h10’; in questo caso probabilmente il RMAR cade nella Corsa media (CM), un’andatura da effettuare quando si è in condizioni di sufficiente freschezza. Può essere inserita nella parte finale dei lunghi (se si percepisce, quel giorno di stare bene) o in allenamenti specifici, soprattutto nell’ultima fase della preparazione.

    Ovviamente le proiezioni indicate sopra sono solo a scopo esemplificativo, in quanto il RMAR (come abbiamo visto nel post precedente) dovrebbe essere calcolato con estrema cura.

    Inoltre, in allenamento si può correre con una tolleranza di circa 4-5”/Km; in altre parole, se il RMAR è di 4’30”/Km, in allenamento si può correre tra 4’25” e 4’35”/Km.

    Analogamente per i lunghi, può essere profittevole sfruttare maratonine o anche delle “non competitive” per correre a questo ritmo.

    Soprattutto per chi ambisce a correre la maratona sotto le 3 ore, gli allenamenti a RMAR (soprattutto nella prima parte della preparazione) possono essere fatti sottoforma di ripetute lunghe di 3-4 Km con recupero di 1 Km CL (non corsa blanda), per un volume totale a RMAR che va dai 10 ai 20 Km.

    dorando pietri 1908

    Per chi invece ha una proiezione oltre le 3h30’, è possibile inserire queste andature all’interno delle fasi lente degli Interval training, preferibilmente nella parte centrale-finale della preparazione.

    Gli allenamenti complementari

    Prima di passare al concetto ed alla gestione delle settimane di scarico (fondamentali le ultime 2-3 prima della gara), faccio un breve elenco degli allenamenti complementari più importanti per la maratona; questi, sono mezzi allenanti come la CL o quelli per migliorare le qualità neuromuscolari (corse con salite) o la Velocità di gara (ripetute, allenamenti intermittenti, ecc.). Ma vediamo ora alcuni esempi

    La Corsa lenta rappresenta sicuramente il mezzo principale, che permette di definire il volume settimanale; nel nostro post dedicato alle corse continue potete leggere come interpretare correttamente questo tipo di andatura.

    Gli allenamenti per le componenti neuromuscolari sono invece molto importanti nella prima fase della preparazione, in quanto permettono di strutturare la resistenza muscolare locale e la Velocità del runner, qualità fondamentali per correre veloce ed evitare cali di rendimento muscolare negli allenamenti più lunghi ed in gara; quest’ultimo fattore è molto importante e si sviluppa con mezzi allenanti (come le salite) in grado di mettere in difficoltà la tecnica di corsa del runner. Consiglio di approfondire nel dettaglio questo argomento, non solo in funzione della maratona, ma per tutta la propria carriera podistica; potete trovare un ampio e chiaro approccio nel nostro post dedicato alla forza ed alla velocità del runner. Se sono qualità (soprattutto la forza muscolare) importanti nella prima parte, andrebbero comunque “mantenute” con volumi più bassi per tutta la preparazione.

    Chiudiamo con gli allenamenti per la Velocità di gara; questi sono solitamente mezzi in cui l’intensità è superiore al 10% di quella di gara; ad esempio per un maratoneta da 4 ore, già la CM è un allenamento per la velocità di gara. Chi invece ha una proiezione sotto le 3 ore (in cui la CM è il ritmo gara) dovrà preferire allenamenti in forma di ripetute, fartlek, intermittenti, ecc. In ogni modo, anche i maratoneti da 4 ore saltuariamente dovrebbero inserire ripetute, fartlek o intermittenti (anche se con volumi bassi) per mantenere l’elasticità muscolare. Questa tipologia di allenamenti è da “diluire” in tutta la stagione (soprattutto nella prima parte), ma con volumi inferiori rispetto a chi prepara gare di 10-21 Km, in quanto le risorse psico-fisiche andrebbero indirizzate verso gli stimoli più importanti per la maratona. Trovate tutti i mezzi allenanti dedicati alla velocità di gara nel nostro capitolo dedicato agli ingredienti dell’allenamento del runner.

    allenamenti maratona

    Consiglio sempre il libro di Fulvio Massini (Tipi che corrono) per chi è alla ricerca di tabelle professionali adatte a tutti i podisti.

    Le 3 settimane che precedono la gara

    Se la preparazione è stata svolta nel migliore dei modi, solitamente nelle ultime 3 settimane si assiste ad un progressivo calo dell’impegno degli allenamenti al fine di trovare la massima freschezza psico-fisica in vista della gara. Non è un calo netto del carico di lavoro, ma un decalage progressivo; vediamo sotto un esempio:

    • A 3 settimane dalla maratona il volume (chilometri totali settimanali) viene ridotto del 10-15% (rispetto alla settimana con il maggiore chilometraggio); il lungo (solitamente 14-15 giorni prima della gara) viene “accorciato” del 10-20% e si mantengono stimoli allenanti come il RMAR. I lavori di maggiore intensità (velocità di gara e neuromuscolari) devono essere fatti eventualmente solo per il mantenimento.
    • A 2 settimane dalla gara il volume si riduce del 20-25% (rispetto alla settimana con maggiore chilometraggio della preparazione); il weekend prima della gara si corre solitamente un allenamento di 15-18 Km, a seconda di quanto si percepisce di aver recuperato in questa fase. In un paio di allenamenti (non impegnativi) dovrebbero essere inseriti diversi Km a RMAR. I lavori Neuromuscolari e di velocità di gara possono essere fatti (se l’atleta ne trae beneficio e se si ritiene necessario) con volumi estremamente bassi.
    • L’ultima settimana prima della gara invece è estremamente soggettiva; è ovvio che il volume deve essere ulteriormente ridotto; è comunque consigliabile effettuare 5 Km a RMAR nella prima parte o a metà settimana. Il giorno che precede la gara è possibile fare una corsetta di 10-30’ a velocità più lenta del solito.

    Quello presentato sopra è solo un esempio; infatti, alcuni maratoneti si limitano a sole 2 settimane. Quello che è importante comprendere, è che maggiore è il grado di affaticamento raggiunto a 2-3 settimane dalla gara, e maggiore sarà la necessità di ridurre il carico di lavoro per ritrovare freschezza psico-fisica. Ma le ultime 2-3 non sono le uniche settimane in cui è necessario inserire momenti di scarico. Vediamo meglio nel prossimo capitolo.

    scarico maratona

    Le settimane di scarico all’interno della preparazione

    In base alla mia esperienza, introdurre una settimana di scarico ogni 2 settimane di carico aiuta il runner ad avere la certezza di recuperare gli allenamenti impegnativi e prevenire gli infortuni. È comunque da considerare che queste sono da considerare settimane di allenamento a tutti gli effetti; cioè, se all’interno della preparazione effettuo 6 settimane totali di carico e 6 settimane di scarico (incluse le ultime 3), dovrò considerare il periodo preparatorio di 12 settimane. Anche il chilometraggio delle settimane di scarico (ad eccezione di quella che precede la gara) viene conteggiato per la media totale dei Km effettuati.

    Quello che è importante comprendere, è che le settimane di scarico devono dare una sorta di alleggerimento del carico allenante, ma non eccessivo, altrimenti si perderebbe la continuità degli allenamenti. Di norma il volume è ridotto del 10-20%, a seconda della necessità di recuperare, ma dipende molto dalle caratteristiche dell’atleta; atleti “veloci” di norma necessitano di una riduzione maggiore rispetto a runner “resistenti”. Anche elevati livelli di forza muscolare aiutano a recuperare meglio. Scrivo sotto alcuni consigli estremamente pratici in aggiunta alla riduzione del volume indicato sopra.

    • Programmare allenamenti con margini di tolleranza in maniera tale da adattarli alla situazione: esempio, invece di programmare 11 Km di CL, si può indicare 9-12 km di CL.
    • Correre per alcuni allenamenti più lentamente del solito; aiuta tantissimo a mantenere il volume ed allo stesso tempo ridurre lo stress sulle strutture muscolo-scheletriche.
    • Evitare o limitare al minimo gli allenamenti intensi (neuromuscolari o di velocità di gara)
    • È possibile fare una gara (non al massimo delle proprie possibilità) od un allenamento particolarmente impegnativo nel weekend, a patto che il resto della settimana sia stato sufficientemente “leggero” da rigenerare in gran parte le risorse psico-fisiche dell’atleta.

    Consigli finali e conclusioni

    Bene, siamo giunti alla fine della seconda parte dedicata alla maratona; abbiamo visto quanti Km fare per preparare una maratona, e come distribuire le intensità ed i volumi (carico e scarico) all’interno della preparazione. Abbiamo anche analizzato i mezzi allenamenti più importanti (lunghi e RMAR) e quelli complementari.

    Prima di concludere, mi limito a darvi 2 consigli: il primo è quello di cercare dei compagni di allenamento. Questo “alleggerisce” notevolmente il carico mentale della fatica. Ovviamente non tutti i runner sono uguali, quindi quando ci si allena in gruppo è sempre bene utilizzare ritmi che vadano bene per tutti; se fai meno fatica negli allenamenti in compagnia, avrai altri allenamenti in solitudine per caricare maggiormente.

    Altro consiglio è riferito alle proprie ambizioni cronometriche; nel precedete post abbiamo visto le variabili che possono influire sul tempo finale. Per ottimizzare ulteriormente la performance (per chi ne ha il desiderio) consiglio di scegliere una maratona vicino a casa, in maniera tale, la notte, di dormire nel proprio letto e non doversi alzare troppo presto la mattina.

    Come conclusione, vi anticipo quello che troverete nell’ultimo post (l’ultimo sulla maratona), cioè i marginal gains del maratoneta; andremo ad analizzare tutti i “dettagli” che, se sommati, possono aiutare ad ottenere miglioramenti evidenti non solo in maratona, ma anche altre competizioni di durata come i Trail.

    Ti è stato utile l’articolo?  Spero di si; in tal caso puoi collegarti al nostro Canale telegram nel quale sarai aggiornato su tutte le nostre pubblicazioni, oltre a ricevere i contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale. In più, potrai scaricare gratuitamente la nostra guida pratica per scegliere la scarpa da running ideale per le tue caratteristiche.

    come scegliere scarpe corsa

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  3. Come si prepara una maratona

    Leave a Comment

    (Aggiornato al 23/01/2022)

    Per preparare una maratona serve un approccio Top-down, cioè capire inizialmente quali sono i presupposti essenziali per prenderne parte e di conseguenza come strutturare l’allenamento.

    I vari programmi che si possono trovare in rete sono tutti diversi, ma allo stesso tempo tutti uguali, nel senso che seguono i corretti principi logici che stanno alla base della preparazione di una maratona.

    In questo post vedremo i principi logici fondamentali, e più precisamente risponderemo ai seguenti quesiti:

    1) Come capisco se sono pronto per iniziare a preparare una maratona?

    2) Quali sono le variabili dell’allenamento che influiscono maggiormente sul tempo finale?

    3) Come definire il ritmo teorico della maratona (RMAR)?

    Questo articolo è stato scritto sia per i principianti che voglio approcciare con gradualità a questa distanza, sia per podisti esperti che vogliono approfondire gli elementi dell’allenamento che permettono di massimizzare la performance.

    Tutti potranno trovare informazioni utili; ma passiamo subito alla prima parte del nostro post.

    Perché non è necessario correre una maratona

    Il titolo di questo capitolo potrà sembrare in controtendenza con il senso dell’articolo, ma leggendolo con attenzione, capirete che non lo è. Già perché preparare una maratona e correrla, mette a dura prova l’organismo dal punto di vista psico-fisico.

    Vediamo ora 2 scenari abbastanza tipici:

    • Il primo prevede di iniziare a preparare una maratona senza avere le giuste basi di allenamento, sia in termini di velocità, che di abitudine a fare certi carichi di lavoro. Le conseguenze concrete sono quelle di andare incontro ad infortuni o pesanti affaticamenti durante la preparazione con conseguente rinuncia a correre la gara o il prenderne parte senza un’adeguata preparazione; per quest’ultimo punto, vi rimando al seguente scenario.
    • Il secondo scenario è la partecipazione alla gara senza un’adeguata preparazione: ciò può avvenire a causa di intoppi nell’allenamento o a causa di una preparazione insufficiente dovuta alla mancanza di attività di base (poca abitudine ad effettuare un chilometraggio adeguato o primati insufficienti sulle distanze inferiori). Questo secondo scenario può prevedere magari di portare a termine la maratona, ma potrà lasciare un “fardello psico-fisico” che per molto tempo causerà demotivazione (e/o infortuni), con il rischio di un lungo periodo di inattività o un ridimensionamento eccessivo della pratica sportiva.

    Ovviamente questi sono scenari ai quali chi è motivato a correre una maratona (senza averne i requisiti, magari inconsapevolmente) non immaginerà mai potranno capitargli, ma sono molto più frequenti di quanto si possa pensare; allora cosa fare?

    La soluzione migliore credo possa essere quella di affidarsi a parametri abbastanza oggettivi, in maniera tale da poter capire con un maggiore approssimazione (la certezza non esiste) se si è pronti o meno per intraprendere questo viaggio (preparazione + gara).

    maratona atene 1896

    Prima di vedere questi pre-requisiti, credo sia importante fare alcune considerazioni sulla corsa e sulla maratona; chi corre a livello amatoriale lo fa prima di tutto per il piacere che quest’attività infonde, sia durante l’allenamento che nel resto della giornata. Infatti, i benefici dell’attività sportiva sono noti da tanto tempo e permettono a tutti gli effetti di avere una vita migliore.

    Credo che ognuno di noi abbia iniziato a correre per i motivi più disparati…chi per dimagrire, chi per noia, chi per passare del tempo con amici, ecc. Ma ad un certo punto, ognuno di noi ha deciso di continuare a correre per il “piacere che quest’attività infonde”; poi per molti sono arrivati anche altri obiettivi, come gareggiare o migliorare sé stessi.

    Ma ricordatevi sempre che è il “piacere che la corsa infonde” a determinare il nostro benessere, e non le gare o l’aspetto “social”; di conseguenza ben venga la partecipazione alle competizioni o il correre in compagnia, ma dovranno sempre essere subordinate al piacere della corsa.

    In altre parole, se io corro esclusivamente per battere il mio “avversario”, se sono motivato solo se corro con gli altri, oppure se voglio fare una maratona solo perché “trascinato” dai propri compagni d’allenamento, allora credo sia giusto fare una riflessione sulle motivazioni attuali, altrimenti questa sarà la strada che mi potrà portare nel tempo verso l’abbandono della corsa.

    Ecco perché è importante prima capire se si è nelle condizioni di poter preparare e prendere parte ad una maratona; è quello che vedremo nel prossimo capitolo.

    Sono pronto per preparare una maratona?

    L’aspetto più delicato della maratona non è la gara in sé, ma la preparazione fatta di Km ed allenamenti impegnativi; infatti, se al 35° Km non ce la farò più dalla fatica, possono comunque camminare e portare a termine la gara. Ma se durante le settimane di preparazione vado a sovraccaricare un fisico non ancora pronto a sostenere quel tipo di allenamento, allora rischierò seriamente di infortunarmi o di andare incontro a quelle famose “demotivazioni” di cui abbiamo sopra.

    Secondo la mia formazione tecnica e la mia esperienza di runner ed allenatore, i prerequisiti per capire se è possibile iniziare una preparazione per la maratona sono 2:

    • Estrapolare (dalle precedenti competizioni) un tempo teorico finale inferiore alle 4 ore: vedremo meglio nell’ultimo capitolo come effettuare questa semplice operazione. Indicativamente, è necessario correre in almeno 1h47’-1h51’ una maratonina recente.
    • Avere la percezione concreta e realistica di riuscire ad effettuare almeno 60 Km a settimana (in alcuni periodi) con lunghi che arrivano fino alle 3 ore (o 32-35 Km): questo perché altrimenti non possibile preparare adeguatamente questo tipo di competizioni.

    Ovviamente i parametri indicati sopra sono relativi a chi non ha mai corso una maratona; per chi è più esperto e rientra tranquillamente in questo tipo di parametri, può passare direttamente al capitolo dedicato ai “fattori cardine per la preparazione di una maratona”.

    preparazione maratona
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Ma perché ho indicato un tempo teorico di 4 ore?

    Ovviamente è indicativo e riferito alla “media”; quello che è importante capire, è che il correre il tanto tempo lentamente, porta con sé tantissimi fattori rischio. Il primo è ovviamente relativo alle strutture osteoarticolari, mentre il secondo di natura motivazionale (che per ora tralasciamo).

    Nella mia carriera da runner e tecnico, ho visto smettere tanti podisti per motivi legati all’usura di natura fisica dell’apparato osteo-articolare; la maggior parte ha concluso la loro carriera per problematiche relative alle ginocchia ed una parte meno consistente per difficoltà legate alla schiena. Non ho mai visto nessuno smettere per problematiche relativi ai muscoli e tantomeno ai tendini (malgrado siano gli infortuni più frequenti).

    Cosa significa tutto questo?

    Vuol dire che le strutture (ginocchio e schiena) che sono maggiormente sollecitate da alti volumi ad intensità molti basse sono quelle che potranno poi mettere fine alla carriera di un runner.

    Ovviamente esistono anche altri motivi che agiscono sull’usura, come un tecnica di corsa inappropriata, la carenza di forza muscolare, o banalmente quante maratone si corrono durante l’anno; ad esempio, è meno “usurante” correre una maratona all’anno in 4h01’ che finire 5 maratone all’anno in 3h58’.

    Per questo motivo, credo che 4 ore sia il tempo limite (teorico ed approssimativo) oltre il quale è meglio desistere a preparare una maratona.

    Allora cosa fare se non posso preparare una maratona?

    Prima di tutto ricordati i motivi per i quali corri (ne abbiamo parlato sopra) e vedrai che con una breve riflessione troverai nuove motivazioni. Ad esempio, puoi continuare a cercare di migliorarti sulle distanze inferiori (10Km o maratonine); c’è la possibilità, nel tempo, di riuscire a rimanere sotto quel tempo teorico nella mezza di 1h47’-1h51’  che potrebbe poi darti la conferma di essere pronto (in presenza della disponibilità di correre un corretto volume di allenamento) anche per i 42.195 Km. Oppure puoi dedicarti ai Trail; questo tipo di competizioni è molto apprezzato perché i problemi legati all’ansia della performance vengono meno. Infatti, il correre su un terreno vario aiuta a “far passar velocemente” il tempo, abbassando notevolmente la percezione della fatica; personalmente in uno dei miei primi trail mi è capitato di guardare l’orologio dopo ben 1 ora dalla partenza…mentre nelle gare su strada capita praticamente ogni Km.

    Inoltre, di trail ne esistono veramente di tutti i tipi e di tutte le distanze; sarà quindi facile trovare quello più adeguato alle proprie caratteristiche.

    Principianti e non solo: da zero a maratona

    Sopra abbiamo visto come il tempo teorico della maratonina fornisce un indizio valido per capire se posso essere pronto o meno per affrontare la preparazione di una maratona. Ma come faccio a capire se sono pronto a partecipare ad una maratonina?

    Allora, fermiamoci un attimo e proviamo ad ipotizzare tutti gli step teorici che un principiante (che non ha mai corso) dovrebbe affrontare prima di preparare i fatidici 42.195 Km.

    Non solo i principianti, ma tutti i runner aspiranti maratoneti potranno inserirsi in questa serie di step, ed affrontare con estrema gradualità tutti i passi che possono portare tramite a traguardi intermedi al proprio obiettivo.

    requisiti per correre maratona

    L’immagine sopra è molto semplice; per chi, ad esempio, non ha mai corso, o corre da poco tempo, lo step N° 1 è quello di riuscire a correre 1 ora di continuo senza fermarsi. Nel nostro post dedicato ai principianti trovate una tabella adatta a tutti; è sufficiente avere l’idoneità medica per poter iniziare il programma.

    Lo step N° 2 è quello di riuscire a correre 10 Km in meno di 1 ora per poter partecipare alla prima gara di 10 Km senza il “timore” di arrivare ultimi; in questo caso potete leggere il nostro post dedicato proprio alla prima gara sui 10 Km.

    Con lo step N° 3 cominciano le prime difficoltà; l’obiettivo infatti è quello di riuscire a correre una gara di 10 Km in meno di 51-54’; questa è una condizione necessaria (a mio parere) per poter preparare la vostra prima maratonina e riuscire a concluderla in un tempo inferiore alle 2 ore. Per i dettagli, potete leggere il nostro post dedicato alla preparazione della maratonina per principianti.

    Bene, come abbiamo visto sopra, un tempo tra 1h47’ e 1h51’ sulla mezza può indicare (riuscirci, rappresenta lo step N° 4) la probabilità di essere pronti ad affrontare la preparazione di una maratona…sempre se si è disposti a sobbarcarsi il carico di lavoro allenante.

    Con questo metodo dei 4 step si riusciranno ad avere degli obiettivi intermedi che ci faranno capire passo dopo passo come sta evolvendo il nostro percorso verso la maratona, e se ci sono i presupposti per poterla preparare.

    Ma una volta raggiunto l’obiettivo di aver corso la mezza in 1h47’-1h51’, quanto tempo sarà necessario per preparare una maratona? Come dovrà essere strutturato l’allenamento?   Lo vedremo nel prossimo capitolo.

    I fattori cardine nella preparazione della maratona

    Prima di approfondire il discorso sull’allenamento, cerchiamo di chiarire quante settimane sono necessarie per preparare una maratona. Di norma sono consigliate da 10 a 16 settimane, a seconda del grado di esperienza del runner; ad un maratoneta esperto che desidera concludere la gara partendo già da una buona condizione di forma, probabilmente 10 settimane sono sufficienti per prepararla in maniera dignitosa; per un principiante, o per chi desidera preparala con la massima meticolosità, 14-16 settimane possono considerarsi necessarie.

    Ma passiamo ora agli elementi essenziali dell’allenamento che influiscono sul tempo finale della maratona; dal 2012 ad oggi in bibliografia internazionale sono stati effettuati alcuni studi su larga scala per identificare quali caratteristiche del maratoneta e dell’allenamento fossero maggiormente correlate con la performance finale (Tanda et al 2013, Barandun et al 2012, Schmid et al 2012, Salinero et al 2017, Gordon et al 2017).

    Non tutti gli studi hanno indagato le stesse variabili, ma dai risultati è possibile riassumere che la prestazione finale dipenda principalmente dai Km effettuati, dalla velocità media degli allenamenti e della percentuale di grasso corporeo; possono sembrare risultati banali, ma son quei “parametri” che devo primariamente considerare quando effettuo una tabella di preparazione per una maratona.

    allenamento maratona

    Questo semplifica notevolmente il lavoro per chi è soprattutto alla prima maratona o per chi vuole migliorarsi agendo su un singolo parametro fondamentale minimizzando il rischio di sovraccarico. È però da precisare che queste variabili possono avere un’influenza sulla performance che va dal 44 al 60%; cosa significa?

    Vuol dire che ognuno di questi singoli parametri (velocità media degli allenamenti, Km totali o percentuale di grasso corporeo) influiscono per circa la metà della prestazione; l’altra metà dipende da altri fattori che possono essere relativi alle caratteristiche del soggetto, dallo stile di vita, dalla tipologia di allenamenti affrontati, ecc.

    Ma lo studio più interessante attualmente è quello di Tanda et al 2013, in cui venne estrapolata (dai dati ottenuti) una formula che in base a queste 3 variabili (velocità, Km e grasso corporeo) è in grado di predire il tempo finale della maratona (ovviamente con una certa approssimazione).

    tempo teorico maratona

    Usando tutte le variabili nella stessa formula, si arriva ad una “accuratezza” (coefficiente di determinazione) di circa il 66%.

    Da questi studi possiamo trarre parecchie indicazioni per l’allenamento; vediamole nel prossimo capitolo.

    Come agire sui parametri chiave dell’allenamento per migliorare in maratona

    I risultati ottenuti sopra, tramite l’analisi statistica, permettono di fare importanti considerazioni ai fini dell’allenamento, a patto che siano contestualizzati in base alla fisiologia. Infatti, osservando in maniera superficiale i risultati, si potrebbe incorrere nell’errore di incrementare entrambe le 2 variabili che influiscono sul tempo finale (”Km settimanali” e “velocità media degli allenamenti”); ciò non è possibile visto che è palesemente ovvio che, aumentando il Km settimanali, si è portati a correrli più lentamente (riducendo quindi la velocità media).

    Non a caso, in un programma di allenamento standard, i ”Km settimanali” e la “velocità media degli allenamenti” sono inversamente proporzionali, cioè incrementando l’una, si rischia di ridurre l’altra variabile (Emig et al 2020).

    Lo studio approfondito della formula proposta però ci può aiutare a lavorare sugli accorgimenti che ci possono permettere di migliorare il proprio personale.

    • Km settimanali: l’andamento di questa variabile è esponenziale. Per spiegare meglio facciamo un esempio. Passando da 50 a 60 Km a settimana c’è un miglioramento teorico sul tempo della maratona di 4’; passando invece da 80 a 90 Km a settimana c’è un miglioramento inferiore, cioè di 2’30”. Questo significa che se percorro abitualmente pochi km settimanali, avrò grandi margini di miglioramento incrementando il Km settimanale, mentre se percorro già molti km, avrò meno margini di miglioramento a pari incremento dei Km (ad esempio 10 Km).
    • Velocità media: questa variabile invece è direttamente proporzionale al tempo finale. In tutti i casi incrementando di 10”/Km la velocità media, si avrà un miglioramento di 4’ sul tempo finale della maratona.

    In base alle considerazioni fatte sopra, è quindi necessario individuare ed agire sui punti deboli e sui margini di miglioramento al fine di ottimizzare l’allenamento. Vediamo sotto i casi più frequenti.

    Atleta in sovrappeso o con massa corporea non ottimizzata

    In questi casi, rivolgersi a personale qualificato (nutrizionista o dietologo) permette assolutamente di migliorare un parametro (cioè la massa grassa) che in un maratoneta può incidere fino al 36% sulla performance finale. Infatti, circa 1 Kg di grasso in più può rallentare in media 2-3”/Km, ma è plausibile ipotizzare che questo valore sia più grande quando si tratta di gare lunghe. Non solo, con una percentuale inferiore di massa grassa, anche gli allenamenti saranno più veloci e si potranno correre più Km senza il rischio di infortunarsi; in questo modo si inciderà anche sulle altre 2 variabili che influenzano il tempo finale (Km totali e velocità in allenamento). Per chi volesse approfondire l’argomento, vi rimando al nostro articolo sull’alimentazione. Ma oggi sappiamo qualcosa in più sul legame tra performance ed alimentazione, che non riguarda solamente il grasso corporeo, ma anche la salute del nostro intestino; potete approfondire l’argomento leggendo il nostro post su microbiota e sport.

    Atleti che corrono pochi Km a settimana

    (e che hanno margine per incrementare il volume d’allenamento)

    Per chi si allena 3 volte a settimana, nelle ultime 9-10 settimane (ad esclusione delle ultime 2) potrebbe arrivare a correre (nelle settimane di carico) almeno 50-60 Km a settimana, con punte di 60-70Km nella/e settimana in cui si effettua/no i/il lunghi più significativi. Per chi corre 4 volte a settimana, può aggiungere fino a 5-10 Km. Attenzione però, perché l’incremento (rispetto al proprio standard) non dovrebbe essere superiore al 10-30% dell’abituale. In altre parole, se preparando altre gare come mezze e competizioni di 10 Km sono abituato correre 48 Km (si intende in media), nella preparazione di una maratona non dovrò comunque andare oltre ai 53-62 Km. In questi casi è importante considerare l’incremento dei Km ad andatura lenta, in quanto rappresenta il margine di miglioramento maggiore (l’abbiamo visto dalle considerazioni fatte sopra); soprattutto all’inizio, sarà normale che la velocità media (soprattutto dei ritmi lenti) diventi più bassa, ma ciò non rappresenta un problema; infatti, lo stesso Eliud Kipchoge inizia alcuni allenamenti di corsa lenta di rigenerazione a 6’/Km, e Kenenisa Bekele corre la cora lenta di rigenerazione più di 1’/Km più lenta del Ritmo maratona. Quindi, quando si incrementa il chilometraggio non bisogna avere paura di correre lentamente gli allenamenti di “corsa lenta”.

    Maratoneti che non hanno la possibilità di incrementare il chilometraggio

    Secondo le considerazioni fatte sopra, l’impossibilità di incrementare il chilometraggio totale (che ripetiamo, rappresenta il modo più “sicuro” per migliorarsi in maratona) può far optare per un incremento della velocità media degli allenamenti. Questo vale per atleti esperti, che da anni sono abituati a correre gli stessi Km. Ma attenzione, l’incremento della velocità deve essere riferito ad un aumento medio, per chi ha già effettuato maratone ed è in grado di correre un chilometraggio sufficiente (60 Km). Faccio un esempio per spiegarmi meglio: se corro una seduta di ripetute brevi o intermittente, effettuerò un allenamento impegnativo, ma la velocità media dell’allenamento non sarà molto diversa da una seduta di corsa lenta. Ancor più lento, sarà se effettuo una seduta di salite brevi o medie. Questo, perché in questa tipologia di sedute i recuperi vengono corsi molto lentamente, con la conseguenza di rallentare il ritmo medio; ciò non rappresenta un problema se si preparano gare più brevi della maratona, perché in questi contesti la qualità dell’allenamento riveste un ruolo importante. Ma cosa significa questo a livello metodologico? Vuol dire che chi non può incrementare il chilometraggio delle sedute, nelle 5-6 settimane che precedono la maratona, dovrebbe lavorare principalmente su ritmi medi, o con ripetute con pause più veloci, utilizzando molto le velocità più prossime al Ritmo Maratona (RMAR). In questo modo, la velocità media degli allenamenti sarà superiore. I ritmi più veloci, i lavori di forza e velocità, dovrebbero invece essere preferiti nelle prime settimane di preparazione, e svolti con basso volume (per il mantenimento) nelle ultimissime settimane che precedono la gara.

    Bene, spero che con quest’ultimo capitolo sia un po’ più chiaro quello che è possibile fare per migliorarsi in maratona; ricordate sempre che questi fattori possono incidere (nella migliore delle ipotesi) per poco più della metà sul tempo finale; altre variabili relative all’allenamento, allo stile di vita e alle caratteristiche intrinseche dell’atleta hanno influenza sul risultato finale, compresa l’incidenza del rischio di infortuni.

    A partire dal prossimo articolo analizzeremo gli altri fattori; ma continuiamo il nostro viaggio nella preparazione della maratona con il calcolo del tempo teorico.

    Se invece non hai voglia o tempo di approfondire la preparazione, e vuoi adattare il tuo allenamento ad una tabella professionale, ti consiglio il libro di Fulvio MassiniTipi che corrono”.

    Come calcolare il Ritmo Maratona (RMAR)

    Estrapolare il RMAR non è solo un calcolo matematico, ma una proiezione di un ritmo che ha larghi margini di errori, soprattutto in maratona. Un errato calcolo teorico potrebbe portare ad una partenza troppo “allegra”, con conseguente calo vistoso nel finale di gara.

    Per questo motivo, è essenziale non solamente estrapolare un dato abbastanza realistico, ma affrontare la competizione con la giusta distribuzione dello sforzo; in questo capitolo vedremo proprio come effettuare un calcolo del RMAR il più possibile aderente, ed allo stesso tempo alcuni consigli per gestire la gara nel migliore dei modi.

    Ma partiamo prima da alcune considerazioni che emergono dalla bibliografia internazionale; nei capitoli precedenti abbiamo visto quali variabili relative all’allenamento possono influenzare la performance finale.

    Sono stati fatti anche studi che hanno indagato come la distribuzione dello sforzo influenzi il tempo finale; sostanzialmente un approccio alla gara “pragmatico (vedremo poi cosa significa) permette di ottenere un tempo migliore (Keogh et al 2020), per questo motivo gioca un ruolo molto importante l’esperienza nella gestione del ritmo gara (Swain et al 2020).

    È anche da fare una distinzione tra quello che è il calcolo del RMAR e l’impostazione di gara; vediamo ora questa importante distinzione.

    Il calcolo del RMAR non è altro che un’estrapolazione matematica da un foglio di calcolo (vedremo a breve quale) in base all’ultimo primato sulla distanza di riferimento, idealmente una maratonina. Si deve scegliere ovviamente una maratonina corsa nel periodo precedente alla preparazione della maratona, ovviamente in ottime condizioni di forma; ad esempio, se voglio partecipare ad una maratona primaverile, l’ideale è riferirsi ad una mezza corsa nell’autunno precedente. Per una maratona autunnale, l’ideale è invece calcolare il RMAR da una maratonina fatta nel periodo primaverile.

    Il RMAR teorico si otterrà quindi dal tempo della mezza grazie al foglio di calcolo di Ranucci-Miserocchi; nel nostro post dedicato al calcolo dei ritmi gara (per tutte le distanze) potete trovalo in formato excel. Dopo aver ottenuto questo dato, si dovranno ovviamente fare delle correzioni in base al proprio primato sui 10 Km ed al fatto di essere atleti veloci e resistenti; non preoccupatevi, nel capitolo dedicato a questi calcoli trovate tutte le indicazioni necessarie. Non mi dilungo ulteriormente, visto che nel link fornito trovate tutte le info.

    calcolo passo maratona
    Per approfondire, vai a questa pagina https://www.mistermanager.it/running-come-calcolare-ed-impostare-il-ritmo-gara/

    Cosa significa “impostare” il ritmo gara

    Una volta trovato il RMAR, questo sarà di utilità per affrontare gli allenamenti del periodo preparatorio in cui verrà inserita questa andatura (li vedremo nel prossimo articolo), ma rappresenta un dato puramente teorico; non è detto che si riuscirà a correre la maratona a questa andatura. La prestazione finale dipenderà dal periodo preparatorio (ne abbiamo parlato sopra) e da come sarà impostata la gara.

    Ad esempio, partire troppo veloce avrà come conseguenza un calo drastico nel finale che comporterà un peggioramento notevole della performance attesa; anche la temperatura può influenzare la prestazione finale, come il fatto di correre in prossimità di altri atleti.

    Ma andiamo con ordine e vediamo quali sono le variabili da considerare:

    • Esperienza: abbiamo visto sopra come sia fondamentale. Un approccio pragmatico solitamente emerge da parte degli atleti più esperti che tendono ad interpretare al meglio anche le sensazioni di inizio, metà e fine gara. L’esperienza insegna anche correre una prima parte leggermente più lenta del RMAR possa (a pari altre condizioni) aiutare ad ottimizzare la performance; è il concetto di “negative split”.
    • Condizioni ambientali: esistono calcolatori (vedremo di seguito) che in base a temperatura ed umidità lasciano intuire come e quando queste variabili possano limitare la performance.
    • Correre in prossimità di altri atleti: aiuta a “estraniarsi” parzialmente dall’impegno mentale del tenere il ritmo prestabilito (è il classico caso dei “pacemaker”) riducendo leggermente la spesa energetica. Ovviamente questo vantaggio è efficace se si corre a RMAR o a velocità leggermente inferiori.
    • Aspetto mentale: l’ansia, la direzione dell’attenzione e l’attitudine mentale alla fatica (si acquisisce con l’allenamento) sono fattori che possono agire sulla spesa energetica e sulla percezione della fatica.

    gara maratona
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Potete approfondire questi importanti aspetti che riguardano la gestione dello sforzo nel nostro articolo dedicato all’impostazione dei ritmi gara. Vi consiglio di leggere con estrema attenzione il paragrafo dedicato al Negative split, in quanto è un aspetto fondamentale per l’ottimizzazione del tempo finale. Infatti, possiamo semplificare come un eccessivo dispendio energetico nella prima metà di gara (cioè partire più velocemente del RMAR) provocherà un calo sproporzionato nella seconda parte. Un approccio più pragmatico invece (partire a RMAR o meglio, leggermente più lenti), permette di risparmiare risorse i cui effetti alla fine potranno anche essere enfatizzati. Questo è il motivo per il quale i record del mondo sono stati corsi quasi tutti a ritmo costante o in leggero negative split (seconda parte della gara più veloce della prima).

    Questi aspetti ovviamente non riguarderanno solamente il tempo finale, ma anche i ricordi ed il piacere della gara.

    Conclusioni

    Siamo giunti alle fine di questo primo articolo, in cui abbiamo visto i criteri di base per la preparazione di una maratona; proviamo a riassumerli brevemente:

    • Prima di correre una maratona è necessario essere in grado di affrontare la preparazione; tramite il nostro approccio step-by-step sarà possibile capire quando si è in grado di sostenerne l’allenamento. Non necessariamente si deve preparare e correre una maratona!
    • Esistono dei requisiti minimi da considerare quando si prepara una gara di 42.195 Km, soprattutto relativi al chilometraggio settimanale; se non si riesce a rispettarli, è consigliabile desistere. Il volume d’allenamento, la velocità media degli allenamenti e la composizione corporea sono le 3 variabili principali che incidono sul tempo finale.
    • Calcolare ed impostare il RMAR correttamente consente di ottimizzare ed enfatizzare il giusto approccio ai ritmi d’allenamento e di gara. Trascurare questi aspetti vuol dire non realizzare il potenziale costruito in allenamento ed avere un’esperienza di gara peggiore di quella che si potrebbe avere.

    Nel prossimo post vedremo alcuni dettagli che riguardano l’allenamento, ed in quelli successivi i marginal gains del maratoneta.

    Per non perdere tutte le nostre nuove pubblicazioni e gli aggiornamenti, iscriviti al nostro Canale Telegram; in più potrai scaricare gratuitamente la nostra guida su come scegliere la scarpa da running adeguata alle tue caratteristiche.

    come scegliere scarpe corsa

    Autore dell’articolo: Melli Luca, Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo. Email: melsh76@libero.it

  4. AUDIO/VIDEO: Le corse continue

    Leave a Comment

    Dopo quello dedicato alla Strutturazione dell’allenamento, l’audio-video di oggi è dedicato all’approfondimento delle Corse continue; non verranno solamente analizzate le caratteristiche metodologiche di questi mezzi allenanti (intensità, lunghezza, recupero, periodo preparatorio, ecc.), ma anche le motivazioni fisiologiche del loro utilizzo. L’elevata semplicità con la quale verrà approfondito l’argomento aiuterà sicuramente a scegliere e introdurre con maggiore consapevolezza questi mezzi nel proprio piano di allenamento, in particolar modo in riferimento alla necessità del recupero dopo le sedute con velocità superiori alla soglia aerobica.

    Guarda il video a dimensioni originali su youtube.

    È possibile scaricare anche la presentazione in formato PDF: Le corse continue

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore dell’articolo: Melli Luca istruttore Atletica Leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

Mistermanager.it © Tutti i diritti riservati - Privacy Policy - Realizzazione siti internet www.christophermiani.it

In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei