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  1. Le ripetute come non le avete mai fatte

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    Il mondo della ricerca si sta sempre più avvicinando alle esigenze dello sport di massa; questo sta portando ad approfondire e confrontare i vari mezzi allenanti al fine di poter comprendere quali di questi possano offrire i migliori stimoli in relazione alla fatica impiegata.

    Ad esempio, si sta comprendendo come possa essere più proficuo correre gli allenamenti di qualità ad intervalli più brevi (vedi l’intermittente o il nuovo interval training), piuttosto che ad intervalli più lunghi a ritmo costante (ad esempio le ripetute medie o lunghe).

    Oggi vedremo invece come possano esserci dei vantaggi nel variare la velocità all’interno della stessa ripetuta al fine di offrire uno stimolo più efficace rispetto ad una ripetuta a ritmo costante.

    Parleremo quindi delle Ripetute con partenza veloce!

    L’utilità di questo protocollo risiede anche nel fatto che non necessita dell’utilizzo del GPS o di percorsi misurati, perché l’intensità si baserà sulla fatica percepita. Ne trarrà giovamento in particolar modo chi non ha la possibilità di allenarsi su terreni pianeggianti, perché, come appena accennato, non è necessario focalizzarsi sulla velocità, ma solamente sull’intensità dello sforzo.

    L’unica raccomandazione, è che questo tipo di seduta venga effettuata con la giusta motivazione e che si sia già abituati a svolgere allenamenti con intervalli di velocità.

    Prima di andare a avere il protocollo nel dettaglio, vediamo come gli studi presenti in bibliografia internazionale hanno dimostrato come le Ripetute con partenza veloce garantiscono i benefici.

    Perché le ripetute con partenza veloce

    Lo spunto viene dalla ricerca di Billat et al 2013, nella quale si vide come modulando e variando l’intensità di un ritmo intenso (come quello di una ripetuta) si era in grado di mantenersi per più tempo ad un’intensità superiore al 90% del Vo2max, rispetto ad un ritmo costante.

    Chiarisco subito cosa significa Vo2max: è la massima quantità di ossigeno che un atleta è in grado di consumare in un minuto; potete ulteriormente approfondire a questa pagina. Il 90% del Vo2max è riconosciuta come quell’intensità minima alla quale si offre uno stimolo importante per stimolare la velocità di gara.

    In particolar modo, questo è possibile grazie ad una partenza veloce per poi ridurre il ritmo (ma senza mai scendere troppo) per permettere di mantenere un consumo di ossigeno sufficientemente elevato, cioè oltre il 90% del Vo2max. In questo modo, è possibile mantenere lo stimolo allenate per molto più tempo rispetto ad un’intensità elevata mantenuta costante; infatti, quest’ultima comporterebbe un rischio di dover interrompere la prova precocemente a causa della fatica.

    Prendetevi un minuto per visionare la figura sotto e capirete facilmente ed immediatamente il meccanismo fisiologico alla base; sotto la figura, potete leggere la spiegazione.

    Semplificazione della differenza tra ripetute classiche (riquadro in basso) e con partenza veloce (riquadro in alto).

    Nell’immagine sopra, con i segni verdi sono contrassegnati i momenti in cui il consumo di ossigeno arriva al 90%Vo2max, cioè nella zona di maggiore l’effetto allenante del metabolismo aerobico.

    Più precisamente nel riquadro in alto, le ripetute con partenza veloce (vedi linea arancione) provocano un immediato incremento del Vo2 (linea blu) che lo porta in poche decine di secondi oltre il 90% Vo2max (linea nera tratteggiata), cioè quell’intensità che sopra abbiamo definito come “allenante”. Il Vo2 (linea blu) rimane alto (grazie al debito d’ossigeno accumulato) anche quando l’intensità cala nella seconda parte della ripetuta.

    Nel riquadro in basso invece (ripetute classiche a ritmo costante), il Vo2 sale più lentamente e va oltre il 90%Vo2max dopo più tempio (segno verde); di conseguenza, il runner rimarrà per meno tempo oltre questa intensità di riferimento (linea nera tratteggiata), lasciando presumere un minor effetto allenante.

    A questo punto immagino ci si possa chiedere: “ma quanto è complesso l’allenamento di ripetute con partenza veloce?

    Dal punto di vista esecutivo è molto semplice…e sapete perché?

    Rispondo con una frase di Jem Arnold, fisiologo che più di altri attualmente ha sperimentato e sviluppato questo protocollo.

    Your brain knows how to take care of the details

    Traduzione: Il tuo cervello sa come prendersi cura dei dettagli

    Jem Arnold

    Questo significa che la consapevolezza della percezione dello sforzo è un indicatore estremamente utile e semplice per definire l’intensità dell’esercizio.

    Ma prima di entrare nei dettagli dell’allenamento, concludiamo la revisione bibliografica al fine di dimostrare quello che attualmente si conosce sugli effetti.

    Partiamo dal presupposto che non è mai stato confrontato a lungo termine questo protocollo con altri al fine di valutare gli effetti diretti sulla performance, ma attualmente è possibile dimostrare che Ronnestad et al 2019 trovarono che in un protocollo intermittente 5 x 5’ (rec 3’), quello con partenza veloce (e calo successivo del ritmo) permetteva di allenarsi ad un consumo di ossigeno maggiore (è quello che abbiamo visto nell’immagine sopra) ed una minore percezione della fatica rispetto ad un protocollo in cui le 5 ripetute venivano fatte a velocità costante; la velocità media dell’allenamento era la stessa.

    Studi che trovano risultati similari (anche se con protocolli leggermente diversi) furono quelli di Lisboa et al 2015 e Bossi et al 2020.

    In più, già nel 2011, Bailey et al trovarono che in prove ripetute di 3’, una partenza veloce permetteva una migliore performance, probabilmente per un più rapido incremento del consumo di ossigeno, evitando un contributo eccessivo della glicolisi nella prima fase dell’esercizio. Ancor prima Jones et al 2008 giunsero a conclusioni similari, e successivamente anche Turnes et al 2014.

    Possiamo quindi concludere che malgrado non esistano studi a lungo termine, attualmente i lavori intervallati con partenza più veloce (e rallentamento successivo) possono sollecitare per durate maggiori, intensità elevate del Vo2, probabilmente anche con una percezione leggermente inferiore di fatica; l’importante è che l’intensità iniziale non sia massimale (cioè eccessiva).

    Le differenze sono maggiormente evidenti nel ciclismo rispetto alla corsa (Beltrami et al 2021).

    Bene, ma com’è possibile, per un runner amatore, strutturare un allenamento sfruttando questi presupposti? Lo vediamo nel prossimo capitolo.

    Istruzioni per l’uso

    Prima di passare al protocollo nei dettagli, riprendo un concetto già espresso nel nostro articolo sulle ripetute: quando si approccia a questo tipo di allenamenti, il segreto per ottenere il massimo dei benefici è “non esagerare!

    Per questo, nuovi protocolli dovrebbero sempre essere iniziati con volumi minimi per capire l’effetto allenante ed il tempo necessario per recuperarli, perché ogni runners è diverso dall’altro e può avere risposte diverse.

    Prendendo sempre spunto dal blog di Jem Arnold, possiamo iniziare con una seduta di 4 ripetute di 4’ in cui i primi 90” dovrebbero essere veloci, mentre nel tempo restante si dovrebbe rallentare l’andatura mantenendo un livello di fatica di 8-9 (su scala 1/10), oppure la massima intensità senza andare in iperventilazione; la velocità deve comunque essere superiore a quella di una gara di 50-60’.

    Ok, non preoccupatevi, mi spiego meglio (poi vedremo sotto un’immagine semplificata); ogni ripetuta si divide in 2 parti: la prima (di circa 90”) deve essere corsa ad un’intensità leggermente maggiore a quella che si terrebbe in una gara di 5 Km; in linea di massima, l’intensità alla quale verrebbe fatta una ripetuta sui 400m. Se volete estrapolarla in maniera teorica, potete usare il foglio di calcolo di Ranucci-Miserocchi.

    Ovviamente si parla sempre di “intensità percepita”, quindi non è necessario utilizzare il GPS.

    Nella seconda parte della ripetuta si può rallentare, ma non troppo; l’ideale è regolarsi sul massimo sforzo senza andare in iperventilazione, cioè evitando quella sensazione tipica dell’ultimissima parte di una gara di 10 Km. In altri termini, nella seconda parte si dovrebbe tenere un livello di fatica di 8-9 in una scala da 1 a 10; quindi non deve essere massimale, ma quasi. La velocità (affinchè lo stimolo sia allenante) dovrebbe essere sempre superiore o pari alla velocità che si tiene in una gara di 50-60’ (anche in questo caso è possibile regolarsi a sensazione). Se nel finale di ripetuta si sente la fatica calare, è possibile accelerare di nuovo, ma gradualmente e senza esagerare.

    Ripetute corsa benefici

    È evidente come non sarà semplice, le prime volte, gestire al meglio questo allenamento; per questo motivo, non mi dimenticherò mai di ripetere che gli allenamenti di ripetute vanno introdotti con gradualità.

    Ad esempio, se la prima volta ci si accorge che dopo i 90” intensi si rallenta troppo, nelle ripetute successive è necessario partire più piano, o ridurre a 60-70” la fase intensa.

    Il senso di questo allenamento è quello di incrementare immediatamente il consumo di ossigeno con uno sforzo intenso (ma mai massimale) per poi portarsi (nella seconda fase) ad un ritmo meno intenso, ma che mi consente di mantenere molto alta l’intensità fisiologica; per questo, la percezione della fatica nella seconda parte dovrebbe essere la massima intensità senza andare in iperventilazione, oppure un livello di 8-9 in una scala da 1 a 10.  Arnold 2019 consiglia di concentrarsi su respiri profondi piuttosto che frequenti, perché si sfrutta una maggior area di scambio di ossigeno nei polmoni.

    Le pause tra ogni ripetizione dovrebbero essere di 4’.

    I still believe that RPE is the best real-time indication of training load and fatigue

    Traduzione: Continuo a credere che la “percezione dello sforzo” sia la migliore indicazione in tempo reale del carico di allenamento e dell’affaticamento

    Jem Arnold

    Con il passare delle sedute, sarà molto più facile regolare lo sforzo, visto che il nostro cervello (se abituato) è in grado di percepire il grado di fatica ed adattare i ritmi di conseguenza.

    Ma come individualizzare l’allenamento nelle prime sedute?

    Come abbiamo ripetuto più volte, ogni atleta è diverso dall’altro, quindi è lecito attendersi risposte eterogenee ai vari stimoli; per questo motivo, un runner da caratteristiche veloci ed intermedie, sicuramente non avrà problemi a correre i primi 90” intensi, ma dovrà stare attento a non esagerare in questa fase per non rallentare troppo nella seconda parte.

    Un atleta dalle caratteristiche resistenti, probabilmente vedrà salire molto più velocemente il consumo di ossigeno (e quindi la percezione della fatica), quindi per lui la prima parte potrà essere accorciata a 60-70”.

    Ripeto che l’obiettivo di questa seduta non è determinata dal “GPS”, ma portare a termine la seduta nel migliore dei modi in base alle condizioni di forma di giornata.

    Ma come organizzare la progressione esecutiva?

    Analogamente a quanto consigliato nelle Ripetute medie classiche, è importante lasciare 6-9 giorni tra 2 sedute di questo tipo, affinchè si recuperi ed avvengano gli adattamenti prestativi. Inoltre, gare effettuate al massimo delle proprie possibilità dovrebbero essere distanziate 7-9 giorni da queste sedute. Qualsiasi allenamento di prove ripetute andrebbe effettuato in condizioni di freschezza.

    Come fare ripetute corsa

    Una volta stabilito questo importante presupposto, andiamo a vedere come poter incrementare il carico allenante seduta dopo seduta.

    Come accennato sopra, la prima volta (per non esagerare) è bene partire da un semplice 4 x 4’ (4 ripetizioni di 4’), cioè 16’ totali (4’ di recupero). Se si è riusciti a portare a termine la seduta nel migliore dei modi (cioè senza andare in difficoltà nella parte finale) è possibile aggiungere 1-2’ al tempo totale in quella successiva; ad esempio, se ho portato a termine la prima seduta nel migliore dei modi, nella successiva (dopo 6-9 giorni) potrò fare un totale di 18’: 2 ripetute da 5’ e 2 da 4’.

    Se invece non sono  riuscito a portare a termine la seduta nel migliore dei modi, allora la volta dopo ripeto la stessa seduta, riducendo il ritmo della prima fase intensa o il tempo della stessa fase.

    Con l’aumentare dell’esperienza, uno step potrà essere anche quello di ridurre il numero di ripetute a pari tempo totale; ad esempio, la seduta successiva a una 6’+5’+5’+5’ (21’ totali) potrà essere 7’+7’+7’ (21’ totali). In quest’ultimo caso, il contributo del metabolismo aerobico sarà maggiore.

    Benefici al di là delle evidenze sperimentali e differenza con le ripetute classiche

    Le ripetute con partenza veloce allenano principalmente la Velocità di gara, cioè il ritmo teorico  sul quale impostare la competizione; questa componente della performance viene stimolata sia da ritmi leggermente superiori a quelli di competizione, che da tratti di corsa con consumo di ossigeno molto elevato (com’è il caso delle ripetute con partenza veloce).

    Come abbiamo precedentemente visto, la Velocità di gara è anche stimolata dalla Ripetute medie classiche; ma quali sono i possibili vantaggi delle ripetute con la partenza veloce? Provo ad elencarli sotto:

    • Sicuramente quelle con partenza veloce consentono di conoscere molto meglio il proprio corpo e le risposte fisiologiche allo sforzo; questo aiuta ad abituare ad ottimizzare al meglio le proprie risorse anche in gara.
    • Inoltre, migliorano la consapevolezza della propria respirazione, aiutando a fare respiri più profondi, e di conseguenza più efficaci, soprattutto in condizioni di fatica.
    • Eliminano tutta la parte relativa allo stress di dover seguire velocità imposte dal GPS o dai rilevamenti metrici. Molti amatori non amano correre seguendo i ritmi imposti a priori, ma preferiscono correre (anche le sedute impegnative) a sensazione. Per loro, questa tipologia di sedute sono tra le migliori per allenare la Velocità di gara.
    • È possibile farle anche su percorsi non completamente pianeggianti (cosa non fattibile per le ripetute classiche), purchè non ci siano discese ripide.

    Ovviamente ciò non significa che siano la soluzione migliore per tutti i runner; i podisti che amano utilizzare riferimenti cronometrici o regolarsi in base alle indicazioni del GPS, sicuramente preferiranno correre le ripetute nella forma classica.

    Quello che le ripetute con partenza veloce non allenano è la Capacità di gara, cioè l’attitudine di correre tutta la competizione alla velocità ideale senza cali nel finale; per questa qualità sono necessari altri stimoli come la Corsa media, il progressivo, ecc.

    Quando inserirle nel proprio piano d’allenamento?

    Come tutti gli allenamenti per la Velocità di gara, vanno inserite nella seconda fase finale della preparazione, dopo un lavoro generale ottimale, cioè dopo aver lavorato sulla resistenza aerobica, e qualità neuromuscolari (forza e velocità). Nell’immagine a fianco potete vedere una semplificazione di periodizzazione; per i dettagli potete leggere il nostro post su come fare un programma di allenamento per la corsa.

    Programma allenamento 10 Km
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    Come potete vedere, le ripetute con partenza veloce possono rappresentare solamente una piccola parte dell’intero programma; non bisogna illudersi che una singola seduta d’allenamento (rispetto ad un’altra) possa fare troppa differenza. Com’evidenziato da diversi studi e dalla pratica degli atleti d’elitè, è la prima parte (cioè la base della piramide) a definire maggiormente le potenzialità prestative di una stagione atletica, insieme alla capacità di individualizzare l’allenamento in base alle proprie caratteristiche.

    Prima delle conclusioni, dedichiamo l’ultimo paragrafo a come deve essere effettuato il riscaldamento nelle ripetute con partenza veloce; deve essere fatto come se si stesse preparando una gara!

    Questo perché le ripetute iniziano immediatamente con le intensità più impegnative; senza dilungarci eccessivamente nei dettagli (potete trovarli nel nostro post dedicato al riscaldamento), ricordo che è necessario effettuare (oltre alla corsa lenta) sia i movimenti di allungamento funzionale che gli allunghi.

    Per chi solitamente fa fatica nella prima ripetuta, è possibile prolungare anche di 5-10’ il riscaldamento introducendo (tra ampie pause) anche 2-3 tratti di 1’ all’intensità alla quale si cercherà di correre la fase intensa della prima ripetuta.

    Conclusioni e raccomandazioni finali

    Attualmente non c’è certezza che le ripetute con partenza veloce siano migliori di altri mezzi allenanti finalizzati allo stesso scopo (Velocità di gara), ma un approccio corretto a questa forma d’allenamento può risultare efficace, soprattutto considerando le differenze con i protocolli più classici.

    In ogni modo, ricordatevi sempre che qualsiasi forma di ripetute potrà portare dei miglioramenti evidenti della performance solamente se preceduti da un adeguato lavoro generale (resistenza aerobica e qualità neuromuscolari) e in presenza di una tecnica di corsa adeguata.

    Il consiglio per godersi appieno la propria corsa ed ottimizzare la performance è quella di curare con estrema attenzione l’intera strutturazione dell’allenamento e a come si corre; solo in questo modo sarà possibile essere dei runner migliori. Per chi è allenatore di sé stesso, è quindi fondamentale studiare per arricchire la propria esperienza, ed imparare dai propri errori.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: [email protected]

  2. Running: il nuovo interval training

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    (Aggiornato al 09/12/2022)

    Malgrado il termine “New interval training” sia stato coniato nel 1995, tutt’oggi molti runner utilizzano ancora le vecchie modalità dell’allenamento intervallato; questo porta ad errori metodologici proprio quando si eseguono le ripetute (che sono forme più comuni di allenamento intervallato) per migliorare le capacità specifiche di gara.

    Infatti, com’è logico ipotizzare, l’abitudine a correre in gara (in termini di velocità e capacità) si sviluppa con mezzi allenanti che sfruttano intensità il più prossime possibili a quelli della competizione. L’errore che però molti fanno, è quello di utilizzare ritmi troppo lenti nei recuperi, perché effettuano le fasi attive troppo intense.

    Questo infatti, permette di incrementare la velocità di gara, ma non costruisce una capacità di gara sufficiente; la conseguenza, è quella di avere cali nei finali della competizione.

    Spesso nei nostri articoli indichiamo come la maggior parte dei runner sia carente in forza e velocità, qualità alle quali andrebbe dedicata (parallelamente alla resistenza aerobica) una parte consistente del periodo preparatorio; ma una volta costruita una buona base generale di resistenza e qualità neuromuscolari, è fondamentale realizzare il proprio potenziale verso le necessità di gara. È in questo contesto che si colloca l’interval training.

    In questo articolo, andremo ad analizzare come organizzare questa forma d’allenamento ideata da Peter Thompson, cercando di comprenderne i benefici e la modalità di inserimento nella preparazione stagionale.

    Personalmente, gradisco somministrare questa forma d’allenamento ai runner che alleno perché (rispetto alle ripetute classiche) è più digeribile dal punto di vista della fatica mentale, e mette nelle condizioni il runner di modificare autonomamente la struttura dell’allenamento nel caso in cui non riesca a tenere i ritmi teorici stabiliti.

    Dall’interval training “Friburghese” al “New interval training”

    Il termine interval training compare nella bibliografia internazionale intorno al 1930, con il metodo detto Interval Training Friburgese, ideato dal coach Woldemar Gerschler e dal fisiologo Hans Reindell; la caratteristica di questa forma d’allenamento era quella di alternare ritmi molto elevati, che nel giro di 200m portassero la frequenza cardiaca fino a 180 battiti, per poi recuperare nei 90” successivi (camminando o di corsa blanda) fino a far scendere i battiti sotto i 120, per poi riprendere la stessa sequenza più volte.

    Secondo gli ideatori del metodo, l’effetto di questo stimolo allenante era quello di incrementare le dimensioni cardiache, migliorando quindi la possibilità dell’organismo di pompare sangue ai muscoli; sempre secondo gli autori, sarebbe proprio la fase di recupero (i 90”), quella più allenante, nella quale il ritorno venoso (in assenza di sforzo intenso) porterebbe a dilatare in maniera funzionale le cavità cardiache. Tale meccanismo venne detto anche “colpo d’ariete”.

    Negli anni successivi, si sono susseguite modifiche e variabili a questo metodo, tra i quali l’allenamento Intermittente, le cui caratteristiche e vantaggi applicativi potete leggerli nel nostro articolo specifico.

    Tornando al nostro Interval Training, con gli anni si comprese l’errore di base del metodo Friburghese, cioè il considerare solamente le qualità cardiovascolari come i fattori limitanti la performance; infatti, gli atleti che utilizzarono questo metodo, mostrarono dei rapidi miglioramenti, ma seguiti da difficoltà successive nel sostenere mentalmente e fisicamente la condizione atletica.

    Oggi, sappiamo che le variabili che influenzano la performance sono molteplici (non solo di natura cardiovascolare), alcune delle quali richiedono più tempo per migliorare (come la resistenza aerobica e le qualità neuromuscolari); di conseguenza, l’organizzazione dell’allenamento deve essere tale da dedicare maggiore tempo alle qualità generali per incrementare il potenziale dell’atleta, per poi indirizzare tale potenziale verso le caratteristiche tipiche di gara.

    Potete vedere una semplificazione riassuntiva nell’immagine sotto o leggere l’articolo a questo link.

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    Nel 1995 Peter Thompson coniò con il termine New Interval Training, la versione più recente, quella considerata uno dei modi migliori per trasformare il lavoro generale (la base della piramide) in stimoli specifici (cioè la punta della piramide). A questo link potete trovare testimonianze di tecnici illustri che hanno utilizzato questo mezzo allenante.

    Ma attenzione, non esistono mezzi d’allenamento miracolosi, ma un insieme di stimoli allenanti che in successione (durante la stagione), portano al miglioramento del potenziale dell’atleta ed alla realizzazione dello stesso.

    La caratteristica principale del New Interval Training (NIT) è il correre gli intervalli intensi leggermente più lenti, e le fasi di recupero più velocemente rispetto ai metodi intervallati tradizionali, come possono essere le ripetute brevi. Ad esempio, invece di effettuare le ripetute sui 400m al RG3000m con recupero di corsa blanda o cammino, si eseguono i 400m al RG5000m e nel recupero 200m ad andatura moderata (definita dall’autore “roll-on”) come può essere un ritmo compreso tra la CL e la CLS (“Corsa Lenta” e “Corsa Lunga Svelta”) o anche leggermente più veloce (a seconda del livello dell’atleta e del periodo della stagione).

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    Nel prossimo capitolo vi spiegheremo il motivo; se invece vi interessa passare direttamente alle “istruzioni per l’uso”, potete saltare al capitolo successivo.

    L’utilizzo del lattato come fonte energetica

    Molte volte si sente ancora dire “ho ancora l’acido lattico da ieri” per intendere il dolore muscolare post esercizio che insorge il giorno successivo allo sforzo; niente di più sbagliato!

    L’acido lattico (anche se è più corretto usare il termine lattato) è un prodotto del metabolismo energetico; anni fa si credeva fosse la causa del mal di gambe (sottosforzo) in quanto in alcune discipline la sua comparsa nel sangue era contemporanea al fenomeno della fatica.

    Ossi sappiamo che non è così, e il lattato rappresenta si un prodotto del metabolismo energetico, ma allo stesso tempo un substrato energetico; per semplificare, possiamo affermare che il lattato viene prodotto dalle cellule muscolari (a partire dal glicogeno/glucosio) per soddisfare la richiesta di energia da parte del muscolo, ma poi viene successivamente “smaltito” per produrre ulteriore energia. Praticamente, è un intermedio nelle vie metaboliche che portano alla produzione di energia.

    Nell’immagine sotto potete vedere una semplificazione di alcuni dei processi metabolici in cui è coinvolto il lattato; se invece vuoi leggere una trattazione molto più completa, leggi il nostro articolo sui metabolismi energetici.

    Semplificazione della provenienza (frecce rosse) e smaltimento (frecce blu) del lattato

    Già dagli anni ’90, si capì come l’organismo (in prove di endurance) non facesse fatica a produrre lattato, quanto invece potesse essere un fattore limitante il non riuscire ad utilizzarlo efficacemente ai ritmi gara.

    Il New Interval Training (NIT) ha proprio l’obiettivo di stimolare l’organismo ad utilizzare efficacemente il lattato prodotto, migliorando la capacità di resistere all’insorgenza della fatica. Può considerarsi uno dei metodi migliori per trasformare il lavoro generale in lavoro specifico in gare della lunghezza compresa tra i 5-15 km.

    Prima di vedere i vari protocolli, è necessario comprendere come l’allenamento specifico venga solitamente indirizzato alla velocità di gara o alla capacità di gara (o entrambi).

    Mi spiego meglio; se voglio allenare la velocità di gara, utilizzerò mezzi allenanti che sfruttano ritmi leggermente superiori, intervallati da pause che permettano di non affaticare eccessivamente la muscolatura; è l’esempio delle ripetute brevi/medie o i mezzi finalizzati alla velocizzazione dei ritmi. Ad esempio, se si prepara una gara di 10 Km, la velocità di riferimento utilizzata sarà il RitmoGara 5000m.

    Altro aspetto fondamentale, è riuscire a mantenere la velocità di gara fino al termine della competizione, senza che la fatica comprometta la performance; in questi casi si parla di capacità di gara. Alcuni allenamenti che sviluppano questa qualità sono principalmente la Corsa media e il Progressivo.

    Quella presentata sopra, è comunque una semplificazione, in quanto ogni allenamento oltre una certa intensità sviluppa in parte la velocità e la capacità di gara.

    Alcuni mezzi allenanti stimolano in maniera importante entrambe le qualità; è il caso delle gare (anche non corse al massimo delle proprie possibilità), delle ripetute lunghe e del NIT.

    Differenza tra ripetute lunghe e il NIT

    Per comprendere meglio, facciamo un esempio di un runner che deve preparare gare di 10Km; le ripetute lunghe sono di una lunghezza che va dai 1.5 e 3 Km, e vengono corse a ritmi il più possibile prossimi al RitmoGara.  La specificità è data dal fatto che si corre alle andature di competizione; in questo modo, l’organismo si abitua a smaltire il lattato alla velocità di gara, migliorando sia la capacità che la velocità di gara.

    Il problema di questi mezzi allenanti, è che sono particolarmente impegnativi dal punto di vista mentale, per questo rappresentano uno stress psico-fisico notevole e difficile da recuperare. Inoltre, le pause tra ogni ripetuta vengono corse a ritmo molto blando, permettendo al runner di “rifiatare”, ma non stimolando la metabolizzazione del lattato (perché corse troppo lentamente).

    Nel NIT invece, le ripetizioni sono più brevi, e corse ad intensità leggermente superiori (circa RG5000m) in maniera tale da produrre una quantità leggermente superiore di lattato; i recuperi saranno più brevi e svolti ad un ritmo non troppo blando (solitamente compreso tra la CL e la CM), proprio per abituare a metabolizzare il lattato per tutto l’allenamento.

    Essendo più corte, le fasi intense saranno tollerate più facilmente dal punto di vista psico-fisico; infatti, in questo caso si raggiungeranno più velocemente quei “minitraguardi” che rappresentano la fine delle fasi intense dell’allenamento. Non a caso, Ronnestad et al 2020, videro come a pari sforzo percepito, intervalli brevi fossero più efficaci, in termini allenanti, rispetto ad intervalli più lunghi.

    Invece un’alternativa al NIT che ritengo efficace, è il Lactate dynamic training di Renato Canova.

    Cosa dice la bibliografia internazionale

    Il razionale di questo protocollo allenante è sostenuto da anni di studi e ricerche sulla Soglia anaerobica e l’effetto degli allenamenti su di essa. Possiamo considerare la Soglia Anaerobica come “il valore massimo dell’intervallo di velocità alla quale vi è costanza di valori di lattato nel sangue per alcune decine di minuti”; è solitamente una grandezza atletica che si misura in test da laboratorio. Per semplificare, si identifica con il ritmo che un amatore tiene in una gara di 45-60’ (a seconda del livello d’allenamento).

    Keith et al 1992 confrontarono 2 protocolli allenanti; il primo gruppo introdusse allenamenti di 30’ alla SAN (Soglia Anaerobica), mentre per il secondo i 30’ erano alteranti correndo 7.5’ appena sopra la SAN e gli altri 7.5’ ad intensità paragonabile alla corsa lenta.

    I miglioramenti prestativi tra i 2 gruppi furono comparabili, ma è da considerare che il secondo gruppo svolse solamente la metà del tempo appena sopra la SAN di quanto il secondo corse alla SAN. Insomma, il secondo gruppo con metà tempo (ed un’intensità solo di poco superiore) ebbe gli stessi risultati del primo.

    Questo evidenzia come l’allenamento specifico debba includere ritmi appena superiori alla SAN, cioè quelli indicati dal NIT.

    Non solo, Messonier et al 2013 videro come il massimo tasso di metabolizzazione del lattato (cioè il suo utilizzo a scopo energetico) fosse ad un’intensità non troppo inferiore alla SAN. Questo giustifica come sia giusto alternare tratti veloci a tratti più lenti (ma non troppo) per produrre, ed allenare a smaltire in maniera efficiente, il lattato prodotto.

    Non a caso, anche nelle pubblicazioni di tecnici autorevoli (come Steve Magness e Renato Canova), alternare ritmi superiori alla SAN ad andature non troppo inferiori, è più allenante rispetto alle classiche Ripetute Lunghe o il Corto Veloce, durante le quali la produzione di lattato è inferiore.

    Quello che è importante, è il comprendere il momento della stagione in cui inserire questa tipologia di allenamenti, il volume settimanale minimo (in minuti) e le andature da utilizzare. Vedremo tutto nel prossimo capitolo.

    New Interval training: istruzioni per l’uso

    Come abbiamo visto sopra, l’autore del NIT (cioè Peter Jhon L Thompson) fu un vero e proprio pioniere nell’allenamento del running, in quanto propose questa metodologia già dal 1995.

    Andiamo ora a vedere come poter strutturare un allenamento di questo tipo.

    La struttura di base è correre 15 x 400m al RG5000m con recupero 100-200m di CL-CLS; non è da confondere con una sessione di ripetute brevi, in quanto queste solitamente vengono corse a ritmo leggermente superiore (RG3000m), con recuperi di corsa molto lenta.

    Se non conoscete il vostro primato attuale sui 5000m, potete estrapolarlo dal foglio di calcolo Ranucci-Miserocchi; per chi volesse semplificare ulteriormente, può togliere 10”/Km al proprio ritmo attuale sui 10 Km.

    Ovviamente le varianti sono relative alla lunghezza della fase di recupero (200, 300, fino a 400m) o la velocità del recupero, che può arrivare fino alla Corsa Media (CM).

    La progressione allenante, si ottiene quindi riducendo la lunghezza del tratto di recupero, o incrementando la velocità della fase di recupero.

    I protocolli indicati sopra, sono riferiti alla preparazione di gare di 10 Km; se non si corrono competizioni tra un NIT e l’altro, è consigliabile effettuarli ogni 10-14 giorni, anche come verifica della crescita atletica. Se invece si effettuano in periodi in cui si corrono gare, allora è necessario diluire ulteriormente la distanza tra i NIT.

    È ovvio che questo protocollo è impegnativo, e strutturato per atleti (anche amatori) di buona esperienza nella gestione dei ritmi e in buona condizione di forma. Runner meno esperti (soprattutto se non hanno mai corso allenamenti intervallati) possono iniziare tranquillamente con sole 6 ripetizioni, mentre atleti più esperti, ma non abituati a tale lavoro, è importante che inizino solo con 10-12 ripetizioni.

    Per chi invece prepara mezze maratone, nel periodo specifico sarebbe meglio ridurre la forbice delle andature, cioè correre più lentamente le fasi intense (ad esempio al RG10Km) e più velocemente i recuperi (RGmaratonina o RMAR). In questi casi il numero di ripetizioni è estremamente soggettivo (consiglio di iniziare semplicemente da 12 x 400 (RG10Km) con rec. 200m), per poi incrementare il carico, aumentando il numero delle ripetizioni.

    Per chi si appresta ad effettuare una maratona invece, è importante che i recuperi vengano effettuati a RMAR (RitmoMaratona), proprio per allenarsi a correre a questa andatura in condizioni di fatica.

    Ulteriori varianti potete trovarle nel sito dell’autore del NIT, ma sono applicabili principalmente ad atleti esperti, o che sono abituati a correre in pista anche i 3000m.

    Ma alla luce di queste considerazioni, è errato fare le ripetute brevi (quelle di 400m) con recuperi di corsa blanda?

    No, non è errato, è che le Ripetute brevi nella loro forma classica, sono mezzi allenanti finalizzati ad incrementare la velocità del runner e la velocità di gara; il NIT invece, è finalizzato prevalentemente al miglioramento della velocità di gara e della capacità di gara.

    Dal punto di vista metodologico, solitamente le ripetute brevi, precedono (inteso come momento della stagione) le sedute di NIT.

    Cosa fare se non si riesce a seguire il ritmo?

    Fermo restando che questi sono allenamenti da fare in condizione di freschezza atletica, può capitare di non riuscire a seguire i ritmi imposti; quando questo accade nelle ripetute, solitamente si tende a correre molto lentamente i recuperi, in maniera tale da ridurre il più possibile lo sforzo nelle fasi meno intense. Nel NIT invece, i recuperi non sono corsi liberamente; quindi, cosa fare se ci sia accorge dopo qualche ripetizione di andare in difficoltà eccessiva?

    A questo viene incontro sempre la guida di PJL Thompson, nella quale viene consigliato di inserire 3-5’ di CL nel caso in cui si percepisca di non riuscire a finire l’allenamento ai ritmi imposti. Facciamo un esempio: se la seduta prevede 10 x 400m (rec. 200) e dopo 5 ripetizioni vado in difficoltà, posso inserire 3-5’ di CL e poi riprendere le successive 5 ripetute di seguito. Se all’8° ripetuta ritorno in difficoltà, posso inserire altri 3-5’ prima di effettuare le altre 2.

    Questo, aiuta non poco a completare la seduta assecondando la propria condizione di forma; è comunque ovvio, che questa deve essere l’eccezione e non la regola. Se capita diverse volte, significa che si sovrastimano i ritmi dell’allenamento (RG50000m e CL), con la necessità di ridimensionarli.

    Come inserire il NIT nel proprio piano d’allenamento

    È stato dimostrato che la Soglia Anaerobica (che corrisponde all’intensità di una gara di 45-60’) è una qualità molto allenabile, con importanti ripercussioni nei confronti delle qualità specifiche di gara.

    Detto questo, non mi stancherò mai di ripetere come l’allenamento specifico è efficace solamente se sorretto da un allenamento generale fatto di volume di Km a basse intensità e di un lavoro sulle qualità neuromuscolari adeguato alle caratteristiche dell’atleta.

    Come potete vedere sotto, l’allenamento specifico (nel quale si configura anche il NIT) rappresenta solo la punta della piramide di una preparazione effettuata in maniera adeguata. Non a caso, l’allenamento polarizzato, tipico degli atleti d’elitè, solitamente prevede come in media ben l’80% degli allenamenti di una stagione siano dedicati al volume (cioè corse ad intensità lenta-moderata).

    L’introduzione precoce (o con volumi eccessivi) dei ritmi specifici (come il NIT), comporta un incremento del rischio di infortuni e il raggiungimento di un precoce e basso plateau della performance. Potete trovare alcune indicazioni su come strutturare l’intero periodo preparatorio nel nostro post dedicato alla programmazione dell’allenamento.

    Detto questo, può essere importante stabilire un minutaggio settimanale minimo e standard, dedicato ai ritmi paragonabili o leggermente superiori alla SAN (ricordo che la SAN per un amatore si identifica con il Ritmo gara di una competizione di 45-60’); questo ovviamente nel periodo specifico. È naturale che questo “minutaggio” dipenda dalle caratteristiche dell’atleta, oltre al livello d’allenamento; è probabile che atleti con caratteristiche intermedie (a pari livello d’allenamento) possano tollerare maggiormente questo tipo di lavori rispetto ad atleti resistenti che invece gestiscono meglio volume elevati di ritmi lenti.

    Un minutaggio (si intende sempre nel periodo specifico) di circa 20’ nelle settimane di carico, secondo Owen Anderson può essere una base di partenza per un atleta amatore. Questo numero va ovviamente preso come “cum grano salis”, in quanto ogni atleta è diverso dall’altro. Inoltre, è da considerare che il successivo incremento del carico può avvenire grazie ad un aumento del minutaggio totale, ad una velocizzazione (o accorciamento) delle fasi di recupero, o ad un incremento delle velocità dei ritmi intensi.

    Un lavoro inferiore deve essere invece effettuato nelle settimane di scarico.

    Ricordo che anche le gare sono da considerare all’interno di questo tipo di “minutaggio”; da questo è possibile comprendere come gareggiare troppo spesso al massimo delle proprie possibilità, porti ad un precoce plateau della propria condizione atletica. Questo è ancor più evidente se è breve il periodo dedicato all’allenamento generale (base della piramide).

    Di conseguenza, gare affrontate con il massimo impegno e il NIT sono da considerare stimoli allenanti abbastanza sovrapponibili.

    Come effettuare il riscaldamento per il NIT

    Il warm-up di questa tipologia allenamenti rappresenta una fase molto importante, perché deve permettere al runner di presentarsi alla prima ripetizione in condizioni ideali; un riscaldamento approssimativo, rischierebbe di affaticare precocemente l’atleta, in quanto la capacità di smaltimento della fatica sarebbe ridotto.

    La modalità dovrebbe essere sovrapponibile a quella che si effettua in gara, con le 3 Fasi fondamentali, cioè la prima dedicata solamente alla CL, la seconda agli allungamenti funzionali e la terza ad alcune fasi intense; queste ultime sarebbe l’ideale farle allo stesso ritmo (o solamente leggermente superiore) alle fasi intense dell’allenamento stesso.

    Conclusioni e consigli finali

    Oggi sappiamo che il lattato non è una causa della fatica, ma un importante substrato, il cui smaltimento svolge un ruolo importante nella produzione di energia e nel ritardare l’insorgenza della fatica. Probabilmente in futuro, il mondo della ricerca fornirà ulteriori indicazioni sul metabolismo di questa molecola e di tutte le variabili associate alla fatica.

    Nella nostra home page dedicata al running, potete vedere come le qualità di gara si allenano sul versante della velocità di gara (incrementando il ritmo potenziale che si potrebbe tenere in competizione) e della capacità di gara (aumentando il tempo al quale si riesce a correre a tale intensità). Il NIT allena contemporaneamente queste qualità, per questo motivo è necessario effettuarlo in condizioni di sicura freschezza atletica; in altre parole, è da prestare attenzione a posizionali alla giusta “distanza” dalle competizioni e dagli altri mezzi allenanti che stimolano la velocità di gara (come le ripetute brevi/medie o l’intermittente), la capacità di gara (come medi e progressivi), allenamenti specifici (Lactate dynamic training) o da altri stimoli impegnativi come possono essere i lunghissimi.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: [email protected]

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