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  1. Stretching o allungamento funzionale?

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    (Aggiornato al 09/04/2020)

    Nel corso della storia della metodologia dell’allenamento, sullo stretching (o allungamento muscolare) si sono viste diverse posizioni, dalle più critiche alle più entusiaste; tutto questo avveniva a seconda degli esiti delle ricerche scientifiche che, di anno in anno, si susseguivano. Con l’avvento dell’allenamento funzionale, la conoscenza su questo argomento, si è potuta convergere verso la direzione più costruttiva e sintetica possibile, cioè la funzionalità! Per questo, d’ora in avanti, abbiamo deciso di utilizzare il termine Allungamento funzionale tutte le volte che con l’allenamento si va ad agire sulla capacità delle catene muscolari non solo di “estendersi”, ma anche di gestire le posizioni di allungamento tipiche della disciplina praticata con disinvoltura (efficacia, rendimento atletico e benessere). Questo post è quindi rivolto agli allenatori, istruttori, atleti ed amanti del fitness che vogliono migliorare la conoscenza sull’argomento ed avere i mezzi per gestire i propri “movimenti allenanti” nella direzione più funzionale possibile alla propria disciplina e al proprio benessere.

    ALLUNGAMENTO FUNZIONALE E FISIOLOGIA

    Prima di passare all’aspetto pratico dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti) cenno alla fisiologia dell’allungamento. Nel post dedicato all’allenamento funzionale, abbiamo approfondito 2 aspetti molto importanti:

    • I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella flessoria, ecc.

    Infatti, all’interno del corpo umano, abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce connettivali; questi sono embricati tra di loro (cioè sovrapposti ed organizzati) in diverse catene muscolari, che possiamo definire come un insieme di muscoli e tessuti responsabili di determinate direzioni di forza (movimenti).

    • Il cervello umano riconosce il movimento delle catene muscolari e non le azioni solate di un singolo muscolo.

    Questo significa che anche l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento, affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene muscolari nel loro complesso. Infatti, il grado di allungamento di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente assunte in allenamento. In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli allenanti a determinare l’allungabilità di una catena muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.

    CATENE MUSCOLARI immagine tratta da www.giovanniferrariosteopata.it

    Spero che adesso sia più chiaro comprendere come per gestire angoli articolari estremi della propria disciplina (o solamente della vita quotidiana) è necessario allenarsi a determinati angoli, e non solo “allungare” le catene muscolari.

    PERCHE’ UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?

    La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”; ma è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento. Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:

    Perché un determinato soggetto non riesce a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?

    Le cause potrebbero essere diverse:

    • Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide: la rigidità solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal fatto di avere una semplice vita sedentaria. Ad esempio il classico lavoro “da scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.
    • Perché uno o più muscoli sono troppo deboli: un muscolo debole fa fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo. La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.

    DALL’ALLENAMENTO FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE

    Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli dell’allenamento funzionale.

    Nell’immagine sopra, sono elencati i movimenti dell’allenamento funzionale che abbiamo sintetizzato e semplificato (dalla versione originale) nel post dedicato all’argomento. Di conseguenza, è ovvio che i movimenti dedicati all’allungamento in ogni disciplina, andranno presi da questi e dalle loro variabili.

    Ma come fare a strutturare un corretto programma di allungamento funzionale?

    Ovviamente (com’è stato per l’allenamento funzionale) il punto di partenza è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di gara. Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi” della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da strutturare sempre con gradualità e progressività.

    Ogni disciplina deve quindi avere il suo protocollo di allungamento, che tiene in considerazione della funzionalità! Nell’immagine sotto, ad esempio, sono riportati gli allungamenti funzionali di un runner che effettua corsa su strada; come potete vedere, all’interno di questi è inglobato anche un protocollo di allenamento funzionale per il core, che è necessario per la funzionalità del “core” e di conseguenza per la gestione dei muscoli stabilizzatori, delle “cerniere” tra le varie catene anche in funzione del miglioramento della performance.

    Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Allungamenti-funzionali-1.png

    Un calciatore invece, rispetto ad un runner, si trova a dover gestire più movimenti legati ai cambi di direzione e alle rotazioni. Di conseguenza, l’esempio della figura sopra dovrà essere arricchito da affondi laterali e in diagonale, meglio se accoppiati a torsioni del busto. Gli stessi movimenti per la catena posteriore, dovranno essere gestiti anche a catena cinetica aperta, visto il rischio di infortuni a cui si può andare incontro quando si calcia il palone in condizioni di affaticamento. Sotto riportiamo alcune domande e risposte che possono insorgere alla luce di queste considerazioni sull’allungamento funzionale.

    • In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto l’allungamento funzionale? A mio parere il momento migliore è nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.
    • Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo stertching “classico” va abbandonato? Se parliamo di “Stretching dinamico”, credo che possa coesistere con profitto con l’allungamento funzionale in sport di squadra come il calcio. Personalmente in allenamento, inserisco lavori di stretching dinamico nelle esercitazioni di rapidità coordinativa, in cui i movimenti vengono vincolati da attrezzi (ostacoli, coni, nastro, ecc.) e di conseguenza è possibile (col tempo) richiedere maggiore precisione e velocità. L’utilità dello “stretching statico” è ormai relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione di forma; in queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni). Altra eccezione a mio parere lo può fare il prepartita, per soggetti che presentano un ipertono dovuto alla tensione pre-gara; in questi casi può essere utile (soprattutto dal punto di vista psicologico) allungare in maniera blanda i muscoli percepiti come più “rigidi”.
    • È consigliabile, quando possibile, individualizzare anche i protocolli di allungamento funzionale? Ovviamente si, soprattutto in base alla propensione agli infortuni e per i soggetti con una o più catene muscolari deboli o rigide. In questi casi, è da prendere in considerazione anche la ginnastica posturale come il Metodo Mezieres (che per prima ha sviluppato il concetto di catena muscolare), particolarmente mirato al recupero della lunghezza e dell’estensibilità delle catene; oltre a questo, sono da considerare anche protocolli di potenziamento muscolare mirati al rinforzo di catene o compartimenti muscolari deboli. Di conseguenza, eventuali paramorfismi o dismorfismi devono assolutamente essere inquadrati nella soggettività dell’atleta, per offrire la metodologia d’allenamento più appropriata.
    • Quali punti in comune e quali differenze hanno l’allenamento e l’allungamento funzionale? Il maggior punto in comune sono i movimenti di partenza sui quali strutturare i protocolli. Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune situazioni può essere sovrapponibile; ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare sia la forza che la mobilità della catena antero/interna. Se invece voglio lavorare sulla catena posteriore per allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita) utilizzerò il nordic hamstring stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò il single leg deadlift.

    CONCLUSIONI

    Il miglioramento dell’articolarità può avvenire per stimolo intensivo (cioè accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro muscolare). È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da preferire. Solo fondendo la funzionalità e la specificità con il principio dell’allungamento è possibile ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della disciplina praticata.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  2. Il riscaldamento prepartita: una visione personale sul come farlo

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    Di Alessandro Gelmi

    CENNI FISIOLOGICI E PSICOLOGICI APPLICATI AL RISCALDAMENTO…

    Dalla letteratura e dagli studi effettuati è risaputo quali sono gli obiettivi e gli effetti del riscaldamento nel determinare una performance sportiva; per questo mi limito ad una breve e sintetica descrizione degli aggiustamenti (che è diverso da adattamenti) PRINCIPALI fisiologici che con esso si ottengono:

    • Aumento dell’apporto di sangue ai muscoli
    • Aumento della temperatura che determina:
    • Aumento dell’elasticità dell’unità muscolo tendinea;
    • Aumento del liquido sinoviale all’interno delle articolazione con conseguente aumento della lubrificazione articolare
    • Diminuzione del rischio di infortuni muscolari ed articolari, dovuti ad una maggior predisposizione dell’organismo alla prestazione.

    Oltre agli aggiustamenti, e di conseguenza agli obiettivi, a carattere fisiologico, il riscaldamento ha anche lo scopo di preparare i giocatori dal punto di vista psicologico: in questo caso la bravura dello staff tecnico è quella di avere un comportamento, verso i propri giocatori, diverso a seconda di come il singolo vive l’attesa della partita.

    Per questo ci sarà chi ha bisogno di essere caricato emotivamente, chi invece ha bisogno di concentrarsi da solo e chi ancora necessita di parole di fiducia e di tranquillità perché “sente troppo” il match.

    …. CHE PORTANO AD UNA VISIONE PERSONALE DI COME AFFRONTARE UN RISCALDAMENTO PRE-GARA

    Personalmente, quando mi trovo ad affrontare un riscaldamento pre-gara ritengo che, perché esso sia svolto in maniera corretta, devo rispettare determinati principi:
    Innanzitutto rispetto il principio della progressività per quanto riguarda l’intensità; è fondamentale cominciare in maniera blanda e aumentare gradualmente l’intensità, parallelamente alla diminuzione della durata delle esercitazioni che propongo. In questo senso volume e intensità hanno un rapporto indiretto, poiché all’aumentare dell’uno, diminuisce l’altra.

    Concettualmente differenzio il riscaldamento generale da quello specifico; comincio l’attivazione con dei lavori a carattere globale (corsa, mobilità articolare, ecc) al fine di preparare fisiologicamente l’organismo alle successive esercitazioni specifiche della disciplina con cui si lavora (nel caso del calcio, possessi palla, esercitazioni tecniche, ecc..).
    Devo rispettare i tempi di recupero tra le esercitazioni, stando molto attento affinché questo non sia né troppo corto né troppo lungo; ritengo che il tempo di recupero non debba essere determinato da un cronometro ma dalla sensazione del preparatore (o chi per esso) nel vedere come i suoi giocatori reagiscono durante l’intervallo che c’è tra le proposte. Per questo la bravura si trova nel capire quando riprendere, e ciò dipende da una moltitudine di fattori (condizione dei giocatori, temperatura, ora della giornata, condizioni atmosferiche, condizione del campo, ecc..).

    Lo stesso discorso è valido per la durata delle esercitazioni; a mio parere il cronometro serve per monitorare il tempo totale a disposizione mentre la durata delle singole proposte, siano esse la corsa, le andature o i possessi palla, è funzione dell’intensità e della reazione dei giocatori a quanto stanno facendo. È comunque ovvio che ogni proposta rientra all’interno di un range temporale (per esempio un possesso palla 5vs5 non durerà più di 2’, ma neanche meno di 30’’. I tempi indicati sono volutamente esagerati, per far capire il concetto).

    Infine cerco di riprendere la maggior parte dei gesti, sia motori sia tecnici, che vengono effettuati in partita; per questo è giusto, rispettando la quantità necessaria e con la corretta intensità, inserire dei cambi di direzione, frenate, ripartenze, balzi (o colpi di testa), passaggi, lanci, tiri in porta, ecc…

    Di seguito un esempio di riscaldamento pre-partita svolto da una prima squadra.
    Per prima cosa si deve preparare il campo disponendo il materiale che si utilizza e consegnando le casacche a 5 dei 10 titolari, prima del loro ingresso sul terreno di gioco, come mostrato in figura.

    Premessa: come detto sopra, i tempi sono indicativi e usati per dare dei riferimenti; è la sensazione e l’osservazione personale a determinare il tempo effettivo di durata delle esercitazioni, e dei rispettivi recuperi.
    L’uscita sul campo, in condizioni standard (temperatura gradevole, assenza precipitazioni, campo in discrete condizioni, nessun giocatore con problemi), avviene 35 minuti prima del fischio d’inizio ed è caratterizzata da pochi minuti liberi (2-3), nei quali i giocatori scelgono autonomamente cosa fare (posture, passaggi, corsa…..); in seguito, alla chiamata del preparatore o del mister si forma un cerchio (cerchio rosa in figura) al centro della metà campo dove si eseguono 3-4 minuti di stretching dinamico e di andature su posto (corsa calciata, skip, aperture, chiusure, slanci, torsioni del busto, circonduzioni caviglia, mobilità per ginocchio ecc..).

    A questo punto comincia la fase di attivazione in corsa blanda di circa 8-10 minuti; i primi 3 minuti sono caratterizzati da corsa libera nello spazio (tra area e metà campo, su tutta la larghezza) facendo girare 2-3 palloni con passaggi corti e rasoterra. I successivi minuti, con i giocatori schierati a scacchiera (3 righe da 3 più uno centrale dietro, le X nere in figura), sono composti da esercizi sincronizzati di mobilità articolare e andature tra i cinesini blu (in figura) con uscita di 3-4 metri fino ai cinesini gialli (in figura) e ritorno al punto di partenza in corsa blanda.

    Dal momento che l’intensità è ancora bassa si passa subito, all’interno del campo delimitato dai cinesini rossi (in figura), all’esecuzione di esercitazioni psicocinetiche, per un totale di 3-4 minuti, del tipo:

    • Passaggio al colore diverso con mani (40”, il tempo necessario per capire e dare ritmo all’esercitazione)Passaggio al colore diverso con piedi (circa 1’)
    • Passaggio al colore diverso con piedi, chiamando “uomo” o “solo”; se chiama “uomo” la si scarica al compagno che l’ha passata, se chiama “solo” si passa la palla ad un giocatore del colore opposto (circa 1’).

    La seconda parte del riscaldamento (totale 10’-12’), caratterizzata da un’intensità maggiore, è composta da una prima parte, nuovamente a secco, di andature brevi (5 metri, dai cinesini gialli a quelli blu in figura) con allunghi di distanza e intensità sempre crescenti, per un totale di 4-5 allunghi.

    Il recupero, svolto in cerchio e caratterizzato ancora da esercizi dinamici, precede due blocchi (di circa 1’ l’uno) di possesso palla a due squadre (5 contro 5), prima con mani e poi con piedi, dove si vanno a ricercare situazioni di gara (contrasti, attacco palla, copertura, uscite in pressing ecc) ad alta intensità.

    I pochi minuti che rimangono prima dell’appello vengono utilizzati per lasciare ai giocatori alcuni attimi liberi per lanciare e/o calciare e, ultimissima cosa, per svolgere 5-6 passaggi di rapidità sul breve (6-8 mt in tutto).

    Qui i giocatori si dispongono in cerchio al centro della metà campo (cerchio rosa in figura) con il preparatore disposto nel mezzo; al suo via la squadra, eseguendo l’andatura richiesta, si compatta verso il centro del cerchio per poi, al battito di mano del preparatore, compiere un cambio di direzione di 180° e sprintare nel campo per circa 5-6 metri.

    Entrando nello specifico, le andature possono essere:

    • Skip
    • Corsa calciata
    • Doppio impulso
    • Piccoli balzi laterali o frontali
    • Corsa a gambe tese
    • Corsa scivolata rapida
    • Scivolamenti laterali rapidi

    A questo punto la squadra è pronta per affrontare la partita con le giuste condizioni psicologiche e fisiologiche.

    Variazioni nella durata delle proposte si possono verificare, con i giusti adattamenti, nel caso di:

    • Temperatura molto alta o molto bassa
    • Campo pesante
    • Pioggia intensa
    • Giocatori in dubbio (in questo caso l’intervento è individuale)
    • Orario di gara (le condizioni fisiologiche alla mattina sono diverse rispetto al pomeriggio, le quali sono diverse rispetto alle condizioni presenti alla sera).

    DIFFERENZE NELLA PROPOSTA SE SI PARLA DI SETTORE GIOVANILE
    (GIOVANISSIMI-ALLIEVI-JUNIORES/BERRETTI/PRIMAVERA)

    Rispetto a quello della prima squadra, il riscaldamento del settore giovanile, che comunque si differenzia all’interno di ogni categoria che lo va a comporre, tendenzialmente prevede una più breve fase “a secco” per lasciare maggior spazio alle esercitazioni con palla (in cerchio, a coppie, a terne ecc..).

    In più spesso ci si trova a dover lavorare più sull’aspetto mentale e sulla concentrazione che su quello organico, dal momento che i ragazzini non sempre entrano in campo con il giusto approccio e la giusta determinazione.
    Tutto questo non deve comunque non rispettare i principi che il riscaldamento, indipendentemente dalla categoria, deve avere, poiché è fondamentale che prima di entrare in campo un giocatore, sia esso bambino, ragazzo o adulto, sia pronto dal punto di vista fisico e mentale per potersi esprimere al meglio riducendo il più possibile il rischio di infortuni; in questo caso ciò che cambia è il tempo che l’organismo necessità per essere pronto, il quale è diverso a seconda dell’età.

    IL RUOLO DELLO STRETCHING ALL’INTERNO DELLA FASE DI RISCALDAMENTO

    Da quanto scritto nell’esempio di riscaldamento pre-partita si può osservare che è assente lo stretching statico; questo perché personalmente ritengo più utile utilizzare esercizi dinamici di stretching, o di mobilità articolare, da inserire dopo la corsa o nelle fasi di recupero tra le esercitazioni.

    Se comunque, nei momenti in cui ai giocatori vengono concessi istanti di recupero libero, c’è qualche giocatore che esegue un esercizio di allungamento statico, nulla e nessuno vieta loro di farlo, ma nel momento in cui il recupero lo gestisce il preparatore (o il mister) credo sia giusto ottimizzare il tempo a disposizione per lavorare in altri modi.
    Questa idea deriva dalla consapevolezza che un programma di stretching statico, per ottenere adattamenti muscolari, richiede la somministrazione dello stimolo per almeno 30 secondi, ripetuta in più cicli (3-4 per ogni distretto); questo implica molto tempo, cosa che in un riscaldamento pre-partita non si ha assolutamente.

    DIFFERENZE DA ALLENAMENTO A PARTITA

    Rispetto al riscaldamento pre-partita quello previsto nella fase iniziale di una seduta di allenamento può essere molto vario; oltre alla proposta di esercizi nuovi, sconosciuti ai ragazzi e per i quali ci vuole più tempo per acquisirli, spesso si fanno eseguire esercitazioni con palla al fine di sviluppare la tecnica individuale o si propongono delle situazioni tattiche da sviluppare in maniera didattica (frequentemente si utilizzano prima le mani e poi i piedi); il tutto è sicuramente corretto ed in linea con la filosofia di una seduta anche se, a mio parere, una parte “a secco” di tipo preventivo ed/o integrativo è necessaria al fine di evitare o ridurre il rischio di problemi (sia immediati che in prospettiva futura).

    Per questo inserisco sempre, variandone la forma e i contenuti, lavori di mobilità articolare, stretching dinamico, andature per il rinforzo delle caviglie e per stimolare la propriocezione, esercizi di forza isometrica od eccentrica, un programma di tonificazione del tronco, ecc…
    Il tempo di questa parte specifica, rispetto al tempo degli esercizi con palla, va adattato, sia come forma che come quantità, alla categoria con cui si lavora e ritengo tali proposte utili a partire dai giovanissimi (consigliati degli interventi anche negli esordienti).

    CONCLUSIONI

    Ben sapendo che le strade e gli esercizi per arrivare ad una condizione fisiologica che rende il nostro giocatore pronto ad affrontare una partita sono molteplici, ciò che fa la differenza dal punto di vista qualitativo è la cura delle piccole cose.

    La disposizione del materiale prima che la squadra esca dallo spogliatoio, il fatto di tenere i giocatori il più possibile in campo per evitare poi di rimanere fermi a lungo prima dell’appello dell’arbitro, l’ottimizzazione del tempo a disposizione, l’eliminazione di tempi morti, la gestione del volume, dell’intensità e dei recuperi delle esercitazioni, sono tutti fattori che, se presenti, trasmettono a chi deve affrontare il riscaldamento un senso di organizzazione e di professionalità che per i giocatori è necessario avere affinché abbiano fiducia in colui che li riscalda.

    In linea con questo non si deve dimenticare come la specificità di ogni esercitazione sia importante per aiutare gli atleti ad entrare in partita già dal riscaldamento e ad immedesimarsi il prima possibile nelle situazioni che poco tempo dopo troveranno in campo.
    In questo modo tali condizioni permettono, nella mezzora a disposizione, di preparare un giocatore a giocare la partita con la giusta intensità psico-fisica e ciò che essa comporta (contrasti, scontri, ecc.

     

     

  3. Lo stretching nel calcio: “statico” o “dinamico”? Utile o dannoso?

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    Le tecniche di stretching per migliorare la flessibilità del calciatore si sono evolute nel corso degli anni.

    La tecnica di allungamento più datata è denominata stretching balistico e si basa sull’effettuazione di movimenti rapidi con molleggio.

    Un’altra tecnica, conosciuta come stretching statico, prevede l’allungamento di un muscolo fino al punto in cui si avverte un certo fastidio e il man
    tenimento di tale posizione per un periodo di tempo prolungato; tale metodica è stata utilizzata per molti anni.

    Più di recente è stato introdotto un altro gruppo di tecniche di allungamento a cui è stato dato il nome di tecniche di facilitazione neuromuscolare propriocettiva (PNF), consistenti nell’alternare fasi di contrazione a fasi di rilassamento.

    I ricercatori hanno dibattuto a lungo su quale di queste tecniche fosse la più efficace nel migliorare la mobilità, ma non esiste ancora un chiaro consenso comune.

    Gli esercizi di allungamento devono essere eseguiti non soltanto al termine dell’allenamento e della partita, ma anche verso la
    fine del riscaldamento, negli intervalli tra una serie di esercitazioni e l’altra o dopo una sostituzione.
    Queste procedure hanno lo scopo:

    • di facilitare i processi di recupero del tendine;
    • di migliorare, con l’aiuto delle esercitazioni di sensibilizzazione neuro-muscolare, la capacità delle componenti elastiche contrattili del muscolo di trasformare parte dell’energia cinetica di caduta in energia potenziale elastica, riducendo così le tensioni che agiscono sui tendini e sulle zone di inserzione. L’energia potenziale elastica viene poi nuovamente trasformata in energia cinetica al momento della fase di spinta verso l’alto.

    La flessibilità è definita come la massima escursione articolare possibile da parte di una singola articolazione o di una serie di articolazioni. Il mantenimento di un ampio intervallo di mobilità articolare è considerato da tempo una componente essenziale dell’efficienza fisica del calciatore, ed è importante non solo per una buona prestazione atletica, ma anche e soprattutto per prevenire gli infortuni.

    L’obiettivo di ogni programma volto ad incrementare la flessibilità deve essere quello di migliorare l’ampiezza del movimento di ogni singola articolazione, variando l’estensibilità dell’unità muscolo-tendinea, responsabile dello specifico movimento articolare. È ben documentato che gli esercizi in grado di allungare le unità muscolo-tendinee determinano un incremento della massima escursione possibile dell’articolazione coinvolta.

    In un recente sondaggio promosso nel più famoso dei Social Network in cui MisterManager.it annovera una cerchia di amicizie considerevole tra Preparatori Atletici e Allenatori di calcio ho voluto lanciare un sasso:

    “Stretching nel calcio: utile o dannoso? Dinamico o statico? Che ne pensate, quale utilizzate?”

    Beh, le risposte sono state diverse e come si prevedeva diverse sono anche le correnti di pensiero.

    C’è chi adotta tutte e due le tecniche di stretching a seconda della fase di allenamento e chi ha risposto (pur senza dare una spiegazione), che assolutamente adotta lo stretching dinamico.

    Dannoso fatto prima, durante o dopo l’allenamento. Lo stretching è una disciplina, come tale va fatto con regolerità almeno 5 giorni la settimana, lontano dalle sedute di allenamento e seguendo tutte le prescrizioni (luogo, clima, correttezza nelle esercitazioni, etc.) Per chi voglia approfondire sul sito www.allenarebene.it trovate un saggio sulla materia del Prof. Rovida. Questo il parere di Massimiliano Sorgato che poi aggiungerà: ” Come dice il prof. Rovida per fortuna che nel 99% dei casi è fatto talmente male da non far assolutamente nulla, né bene né male. Io non faccio il preparatore, ma ho avuto la fortuna di incontrare preparatori che vivono questo tempo e si adattano alla scoperte della scienza. Un mister, quando ha un preparatore, dovrebbe ascoltarlo invece che dirgli lui cosa fare! Ormai il calcio è rimasto l’unico sport dove a livello professionistico si veda fare dello stretching prima di una gara. Basta aprire un po’ gli orizzonti nell’ultimo mondiale di atletica (dove la prestazione fisica è al top) non solo non si è visto un atleta farlo, ma il “riscaldamento” è ridotto praticamente a nulla che non sia semplicemente una rivisitazione dei gesti che si andranno a compiere…bah…prima o poi ci arriveremo anche noi”.

    Sulla stessa linea d’onda è anche il Prof. Manuele Margheri che replica: ” Completamente d’accordo con Massimiliano… poi, come sempre del resto, dobbiamo anche adattarci alle volontà del mister che, utilizzando il classico esercizio di allungamento per parlare alla squadra, vuole da noi che lo stretching sia inserito nella seduta… allora che si fa?…qualcosa che non danneggi le prestazioni dei nostri atleti e che dia comunque loro la sensazione di aver fatto qualcosa di “utile” (dobbiamo essere anche psicologi! E in alcuni casi psichiatri!!!).

    E ancora il Prof. Manuele Margheri (partner di MisterManager.it con il suo www.ilpreparatoreatletico.it): ” Chapeu!!! purtroppo nel calcio (in Italia), viviamo ancora di ricordi e ciò che si è fatto per tanti anni va bene ma se provi a portare delle novità devi fare una fatica immensa per farle accettare! Comunque spero veramente (ma ho i miei dubbi), che presto ci adegueremo al resto degli sport…e per fare questo c’è bisogno di tutti, a partire da noi preparatori che dovremmo avere più forza nel portare avanti le nostre idee…”

    Dal canto suo il Prof. Antonello Di Gregorio, anch’egli Preparatore Atletico: ” Lo stretching statico l’ho ridotto al minimo indispensabile per far sì che per i giocatori ci sia quella parvenza di riscaldamento “classico”. Questo è più per una loro questione mentale anche se gli viene detto che quello dinamico è molto più utile ai fini del calcio…. Il dinamico lo uso molto perchè è molto più efficace e gli studi eseguiti in merito lo dimostrano”.

    E con lui è molto d’accordo “Leo Messi: ” Sei l’unico che ha capito qualcosa… E’ piu’ un discorso psicologico che hanno bisogno i giocatori che altro… Puo’ essere anche un ritorno alla calma dopo una seduta di allenamento, prima di rientrare nello spogliatoio!!!”.

    Il punto è far cultura…soprattutto per chi lavora con i giovani, perché non ci si ritrovi ancora tra 10 anni con abitudini che, invece, dovrebbero essere morte e sepolti da decenni! Che poi nel 99% dei casi sia fatto talmente male da non produrre alcun risultato, né utile né dannoso è un altro discorso. Per calmarsi alla fine dell’allenamento (poi perché a fine allenamento uno dovrebbe essere nervoso?), si possono trovare nuove strade non dannose…” Gli replica Massimiliano Sorgato.

    Ma “Leo Messi” replicherà non senza toni polemici: ” …A fine allenamento non si è nervosi!!!….Parlo di ritorno alla calma per il corpo dopo sforzi fisici sostenuti nella seduta!!!…Poi non si sta’ parlando di bambini spero, ma di atleti evoluti. Quindi cerchiamo di non andare troppo avanti se non si conosce il ”ritorno alla calma” dopo una seduta di allenamento!!!!”

    Il dibattito sicuramente proseguirà sul Social Network e quest’articolo verrà correntemente aggiornato, ma potete liberamente lasciare commenti qui sotto, nell’apposito form al fine di poter portare vostri pareri e opinioni sulla materiache si presenta interessante e ricca di sfaccettature.

  4. Ahi, il crampo!

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    Capita a volte, praticando l’attività sportiva, di avvertire un dolore al polpaccio, alla parte posteriore della coscia o al piede, improvviso e spesso molto acuto. E’ un dolore intenso e lancinante, che non scompare e impedisce il protrarsi dell’attività fisica stessa; questa situazione si chiama “crampo”.

    I crampi sono delle contrazioni muscolari violente, involontarie ed improvvise che solitamente si presentano durante uno sforzo, o perfino durante la notte, nel sonno. Queste contrazioni sono favorite dalla perdita di liquidi e sali minerali che avviene con la sudorazione durante l’attività fisica.

    In effetti, quando si suda durante un allenamento, si crea uno squilibrio elettrolitico nei muscoli, dovuto proprio alla perdita di liquidi e sali minerali contenuti nel sudore. Questi elementi vanno, quindi, reintegrati al più presto possibile. Se ciò non accade, è possibile andare incontro ai crampi.

    I crampi però possono essere evitati, innanzitutto praticando stretching prima e dopo l’attività fisica e prolungando le sedute di allenamento ogni volta un po’ di più, in modo che il corpo si abitui gradualmente allo sforzo fisico. Abbinate a questa pratica anche un immediato reintegro di liquidi e sali minerali con appositi cibi o bevande che contengano le giuste quantità di sodio, magnesio, calcio e potassio.

    Può essere utile anche, prima di iniziare l’allenamento, bere del succo di frutta e dell’acqua minerale, che serviranno a contrastare la successiva perdita di liquidi. Evitate di assumere diuretici, antistaminici o alcolici prima dell’allenamento perché i primi aumentano la perdita di liquidi mentre i secondi favoriscono la disidratazione.

    Evitate anche di fare attività fisica subito dopo aver mangiato, poiché la digestione utilizza la maggior parte del sangue in circolo sottraendolo a tutto il resto del corpo, quindi anche ai muscoli, predisponendo più facilmente all’insorgenza dei crampi. Anche l’abbigliamento può essere d’aiuto: non indossate nulla di scuro, ma preferite indumenti chiari perché questi assorbono meno calore e quindi vi fanno sudare di meno.

    Inoltre assicuratevi che il materiale con cui sono fatti gli indumenti che utilizzate per l’allenamento siano capaci di far traspirare la pelle, garantendovi così la giusta temperatura; evitate quindi indumenti “plastificati”, che alterano la termoregolazione (e non servono a far dimagrire!). Per quanto riguarda le calzature evitate le scarpe troppo strette o di stringere troppo i lacci.

    Non vi sono cure particolari per i crampi. L’unica soluzione è quella di reintegrare immediatamente i liquidi persi e di agire direttamente sul muscolo colpito. Se il crampo vi ha colpito al polpaccio, sedetevi a terra con la gamba dolorante tesa e l’altra piegata, afferrate le dita del piede e tirate verso di voi finché non sentite che la rigidità del muscolo diminuisce.

    Se il crampo, invece, ha colpito la coscia, dovete ricorrere all’aiuto di qualcuno che vi alzi il calcagno e spinga forte il ginocchio verso il basso, mentre voi massaggiate il muscolo colpito. Entro pochi secondi tutto dovrebbe passare. Se il crampo colpisce il piede, fate come per il polpaccio, tirate verso di voi le dita e spingete il calcagno in avanti; se colpisce la mano, congiungete la mano dolorante con quella che non vi fa male e spingete le dita verso il polso.

    Tutte queste tecniche, così come lo stretching, servono ad allungare il muscolo ed evitare che questo si contragga più del dovuto, o a riportarlo ad una lunghezza normale quando viene colpito dal crampo. E’ importante eseguire queste azioni di “allungamento” in maniera dolce e graduale: un movimento “brusco” potrebbe accentuare la contrattura del muscolo invece di favorire la scomparsa della stessa.

    Fonte: Paginemediche.it

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  5. Il riscaldamento pre-gara dei portieri.

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    Il riscaldamento pre-gara è un momento importante da gestire in maniera attenta e minuziosa sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista psicologico, non tralasciando nessun aspetto, dalla scelta più opportuna delle scarpe a quella del vestiario. Infatti, la cura del guanto (che deve essere pulito e in condizioni ottimali), la decisione di indossare pantaloncini corti o pantaloni lunghi a seconda delle condizioni meteorologiche e del fondo del campo, e tante altre piccoli “grandi “ dettagli, devono permettere al portiere di scendere in campo fisicamente e direi soprattutto mentalmente sicuro e tranquillo, in modo che l’attenzione sia riversata esclusivamente sulla partita da disputare.
    Deve poi seguire un adeguato programma di riscaldamento fisico in modo da portare l’atleta ad iniziare l’incontro calcistico nelle migliori condizioni. Tale preparazione comincia circa 35-40 minuti prima della possibile chiamata all’appello dell’arbitro.
    Gli indumenti da indossare non devono essere quelli di gara e quindi bisogna prevedere un cambio completo che ci permetta di entrare poi in campo asciutti e puliti.
    La fase di riscaldamento vero e proprio prevede poi 7 fasi distinte:

    1ª Fase
    Messa in moto del fisico con i piedi (5-6 minuti)
    In questa fase il portiere esegue con l’aiuto del preparatore o del suo secondo una serie di passaggi semplici di piede, calciando il pallone di prima, con due tocchi, al volo, a mezz’altezza, di collo, di piatto. Il tutto và fatto in modo tranquillo, giusto per iniziare a prendere dimestichezza con il terreno di gioco e con il pallone.

    2ª Fase
    Vascolarizzazione e allungamento della muscolatura (7-8 minuti)
    Fase molto importante in cui si inizia il vero e proprio riscaldamento del corpo. In questa fase si alternano esercizi di presa del pallone restando fermi sul posto coadiuvati sempre da un compagno. Si cerca di interessare tutte le fasce muscolari eseguendo le esercitazioni ad un buon ritmo. Curare poi tra un esercizio ed un altro la fase di stretching che deve essere adeguatamente eseguita.

    3ª Fase
    Esercizi con la palla in porta (7-8 minuti)
    Iniziare con esercitazioni per la presa facendo calciare il nostro aiuto sulla persona e concentrandosi sulla presa ottimale del pallone. Passare poi a delle prese fatte solo con spostamenti laterali con palloni lanciati rasoterra, a mezz’altezza, rimbalzanti. Analogamente passare a palloni lanciati nella stessa sequenza ma questa volta andando in tuffo. Gli interventi devono essere svolti nella misura di 4-6 ma alla massima velocita’, consentendo sempre un adeguato recupero. Prevedere anche un’esercitazione per la reattività che può essere ad esempio eseguita ponendosi spalle al compagno in porta girandosi ad un suo cenno vocale e parando il pallone lanciato nella nostra direzione.

    4ª Fase
    Palle alte (7-8 minuti)
    Il portiere si sistema in porta e và in uscita alta su cross del preparatore o del suo secondo eseguiti da varie direzioni

    5ª Fase
    Tiri in porta (4-5 minuti)
    Sempre in porta ma questa volta vengono effettuati una serie di tiri

    6ª Fase
    Rinvii (3 minuti)
    Il portiere effettua alcuni rinvii dal fondo, alcuni rinvii con palla in mano ed alcuni rilanci su passaggio indietro.
    A questo punto termina la fase di riscaldamento e il portiere può tornare nello spogliatoio per iniziare la vestizione -gara. Dopodiché ha inizio la 7ª ed ultima fase del nostro programma che riguarda la preparazione mentale.

    7ª Fase
    Preparazione mentale (3-4 minuti)
    L’allenamento mentale è importante perché consente di correggere eventuali pensieri che possono influire sulla prestazione. Il controllo della mente porta il portiere a trovarsi pronto, sicuro di se stesso. Il portiere deve eliminare agitazioni o paure in modo tale da concentrarsi solo ed esclusivamente sulla prestazione. In questa fase, anticipa mentalmente i movimenti che potrebbe eseguire durante la partita secondo la loro successione, immaginando la parata finale.

    Ogni dettaglio và immaginato e mentalmente ripassato: sistemare la barriera, ricercare la posizione, immaginare il tiro, effettuare una presa alta, ecc.. Tutto questo deve essere attivato nel minor tempo possibile, in modo tale da migliore i tempi di risposta, e immaginare il tutto porta il cervello in una condizione di allerta che lo rende più pronto nel memento in cui bisogna effettuare il gesto tecnico più appropriato alla situazione che si verrà a creare.

    Gino De Luca
    Allenatore di base e preparatore dei portieri.

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