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  1. I benefici del kefir per gli sportivi

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    Il Kefir è un latte fermentato che per caratteristiche può essere considerato un alimento ad azione probiotica con un alto valore nutritivo; nel nostro post dedicato al legame tra microbiota e sport, abbiamo visto come la salute del proprio microbiota intestinale non sia solamente legata ai possibili disturbi all’apparato digerente che possono insorgere durante la pratica sportiva.

    Infatti, dal proprio apparato digerente dipende anche come vengono assorbiti e metabolizzati gli alimenti che ingeriamo; non solo, nell’intestino risiede il 70% del nostro sistema immunitario oltre ad essere connesso con il sistema nervoso centrale tramite l’asse intestino-cervello.

    Conoscendo la connessione tra benessere e recupero funzionale, appare quindi evidente come tutto ciò che incide positivamente sul proprio stato di salute, ha anche implicazioni favorevoli nei confronti del recupero e di conseguenza sui miglioramenti prestativi (in presenza di un allenamento corretto).

    Il kefir è un alimento dalla storia molto antica, la cui conoscenza nel mondo occidentale si sta approfondendo solo negli ultimi anni. Andando a vedere su Pubmed (il portale delle ricerche pubblicate su riviste indicizzate), nel 2000 furono effettuate solo 4 pubblicazioni sul Kefir, ma nel 2010 divennero 28 e nel 2020 addirittura 114. Ma è proprio in questi ultimi 2-3 anni che si sono diffuse le prime revisioni che riassumono quanto emerso fino a questo momento dagli studi su questa bevanda.

    Questo ha permesso di comprenderne in maniera estremamente logica e realistica i possibili benefici di questo alimento. In questo articolo, andremo a riassumere quanto attualmente emerge dalla scienza e dalle evidenze, nel legame tra kefir, salute ed attività sportiva; non solo, daremo tutti i consigli necessari per scegliere i prodotti che garantiscono la migliore produzione di questa bevanda.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog sono esclusivamente a scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    Cos’è il Kefir

    La collocazione del Kefir in ambito nutritivo ha molte analogie con lo Yoga nell’ambito dello sport; ambedue hanno radici antiche ed entrambi recentemente stanno riscuotendo sempre più approfondimenti da parte della bibliografia internazionale. Ma che origini ha il Kefir?

    Già Marco Polo nella sua opera Il Milione parla di una bevanda (Chemmisi) con caratteristiche estremamente simili, consumata dagli abitanti del Caucaso; ma fu solo nello scorso secolo che si diffuse dal Caucaso a tutta l’Unione Sovietica, grazie alle presunte attività benefiche e curative. Fu il premio Nobel Il’ja Il’ič Mečnikov ad interessarsi particolarmente alle abitudini alimentari di queste popolazioni, perché particolarmente longeve. Egli riconobbe nel latte acido e nel latte fermentato la “fonte” della loro giovinezza, grazie alla loro capacità di tenere a bada la proliferazione patogena nell’intestino.

    La fermentazione è un processo utilizzato da decine migliaia di anni allo scopo di conservare il cibo e migliorare la qualità degli alimenti; basti pensare al pane, al vino, alla birra, allo yogurt, ecc.

    Nel Kefir invece, lo scopo principale è quello di lasciare fermentare il latte con i granuli di Kefir per migliorare le condizioni di salute di chi lo assume (De Filippis et al 2020); questo avviene grazie alla presenza di probiotici in grado di moltiplicarsi e di metabolizzare alcuni nutrienti del latte in sostanze benefiche (in particolar modo per l’apparato digerente).

    Secondo la FAO e l’OMS, sono “micro-organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”

    Definzione di probiotico

    Nell’immagine sotto è possibile vedere una semplificazione del processo pratico di fermentazione del Kefir (che tutti possiamo fare a casa) utilizzando latte e granuli di Kefir; sostanzialmente i granuli vanno lasciati circa 24 ore nel latte affinchè possano riprodursi e metabolizzare alcuni nutrienti.

    Finite le 24 ore, si filtra il contenuto separando i granuli dalla parte rimanente, che non sarà altro che la bevanda di kefir; questa si potrà consumare immediatamente, si potrà conservare o utilizzare a scopo culinario. Tale prodotto ha una consistenza leggermente più liquida ed il sapore tipico dello Yogurt bianco senza additivi, cioè senza dolcificanti, aromatizzanti, ecc.

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    I granuli invece, verranno messi in altro latte (possibilmente di qualità) per ripetere lo stesso processo, ottenendo dopo 24 ore lo stesso prodotto.

    Attenzione, malgrado questa bevanda abbia consistenza e gusto simile allo yogurt, le proprietà nutritive e probiotiche sono decisamente superiori; infatti, gli unici 2 fermenti dello yogurt sono inattivati dall’acidità dello stomaco, perdendo gran parte dell’attività probiotica. Nel kefir invece, sono attualmente stati contati fino a 61 tipi diversi di probiotici (i più conosciuti sono i Lattobacilli) molti dei quali riescono ad arrivare intatti nell’intestino (Leech 2018).

    Ma attenzione, per fare un ottimo kefir all’interno del semplicissimo ciclo produttivo è assolutamente necessario utilizzare granuli di alta qualità; nei prossimi capitoli vedremo il motivo, ed allo stesso tempo dove poterli acquistare. Solo in questo modo è possibile ottenere il miglior kefir! Il kefir commerciale invece (quello in bustina disidratato o in bottiglia), prodotto a livello industriale, non potrà mai raggiungere la freschezza e le proprietà benefiche di quello fatto in casa con granuli di qualità.

    Prima di passare a quello che emerge dalla scienza e dalle evidenze su questa bevanda, mi preme rispondere ad una domanda che alcuni si potrebbero fare; la bevanda di Kefir è adatta anche a chi è intollerante al lattosio?

    Come nello yogurt, la fermentazione lattica trasforma una parte del lattosio in acido lattico; non solo, l’attività dei probiotici presenti nel kefir permette di produrre un enzima in grado di digerire il lattosio. Non per ultimo, alcuni dei microorganismi (Lattobacilli) presenti nel kefir arrivano intatti nell’intestino, favorendo il processo di digestione anche nell’apparato digerente.

    Per questo motivo, malgrado nella bevanda sia comunque presente una quota di lattosio, il kefir è un alimento consigliabile a chi soffre di malassorbimento del lattosio (Hertzler et al 2003); ma proprio perché le risposte al lattosio non sono le stesse per tutti i soggetti, chi è intollerante sarebbe bene chiedesse a personale qualificato se nel suo caso sia consigliabile o meno consumare kefir di latte. Nel caso in cui non sia possibile assumere kefir di latte, esiste anche il Kefir d’acqua; i granuli di quest’ultimo vanno abbinati ad acqua zuccherata e, anche se ha proprietà inferiori, può essere consumata tranquillamente da chi è intollerante o allergico alle sostanze presenti nel latte.

    Scienza e kefir

    Per comprendere i reali benefici del Kefir, è necessario approfondire quello che emerge dalla bibliografia internazionale, al fine di cogliere quello che dicono la scienza e le evidenze sull’argomento. Fortunatamente, il 2020 è stato un anno in cui sono state pubblicate diverse revisioni, che hanno dato la possibilità di ottenere un quadro sufficientemente chiaro di quello che sono le conoscenze attuali sull’argomento. Le vediamo brevemente sotto.

    Al Kefir vengono attribuite molteplici attività benefiche, tra le quali proprietà antistress, antitumorali, antinfiammatorie, antiossidanti, immuni-modulatorie, antiallergiche, antiasmatiche ed ipo-colesterolemizzanti (Farag et al 2020 e Dimidi et al 2019). Ma attenzione, una cosa sono le “proprietà riconosciute” e l’altra sono gli “effetti certi” che può avere sull’uomo.

    Mi spiego meglio: se in vitro (cioè in laboratorio, operando con piccole porzioni di tessuto) una determinata sostanza presenta determinate “proprietà”, non è detto che sull’uomo queste si esplichino in maniera evidente. Infatti (semplificando) l’organismo umano tramite innumerevoli meccanismi regolatori, può operare sulle sostanze con cui interagisce, anche con azioni che possono inibirne l’attività presentata in vitro. Per questo motivo:

    se una sostanza presenta particolari proprietà in laboratorio, non è detto che esplichi gli stessi effetti anche sull’uomo.

    Attenzione, perché generalizzare gli effetti che si ottengono in vitro a quello che può accadere sull’uomo, è un errore che molti fanno.

    Solitamente, il passo successivo è verificare gli effetti su modelli animali, per vedere se un determinato alimento (o sostanza) mantiene gli stessi effetti su esseri viventi; per quanto riguarda il Kefir, molti effetti riscontrati in vitro, hanno dato conferme anche su modelli murini (Hamida et al 2021, Dimidi et al 2019, van de Wouw 2020 e Ghoneum et al 2020).

    Ma anche in questo caso, è sempre necessaria la conferma sull’uomo prima di poter evidenziare un “effetto” di un alimento. Facciamo un esempio per chiarire questo concetto; nei topi, il metabolismo dei grassi è 7 volte superiore rispetto a quello dell’uomo. Ne deriva che solo avuta conferma in studi su umani, è possibile affermare che un determinato alimento (o sostanza) apporti effettivi benefici.

    La difficoltà nel colmare quest’ultimo step, sta nel fatto che gli studi su umani sono più laboriosi da effettuare, e sottoposti ad una serie di variabili le cui conseguenze non sono sempre semplici da comprendere.

    Ma a che punto sono gli studi degli effetti del Kefir sull’uomo?

    Affinchè un effetto possa definirsi certo sull’uomo, è necessaria la presenza di diversi studi che confermino tale efficacia, in particolare studi RCT (studi clinici controllati randomizzati). Attualmente sono pochi gli studi RCT effettuati sull’uomo, molti dei quali non sono stati replicati, cioè non hanno avuto conferme o smentite; ma andiamo a vederne alcuni per avere comunque un’idea dei risultati:

    • In uno degli studi più interessanti e meglio condotti, Hertzler et al 2003 verificarono che il kefir  è in grado di migliorare la digestione e la tolleranza al lattosio in soggetti affetti da intolleranza al lattosio. Gli effetti erano simili a quello dello Yogurt.
    • Ostadrahimi et al 2015 (studio RCT) videro come l’assunzione di 600 mL al giorno di kefir era in grado di ridurre la glicemia a digiuno e l’emoglobina glicata (è alta quando nel sangue si accumula troppo glucosio) in soggetti affetti da diabete Tipo 2.
    • Wang et al 2020 in uno studio RCT, videro come l’assunzione di probiotici presenti nel kefir era in grado di incrementare la porzione di bifidobatteri presenti nell’intestino, migliorando la composizione della flora intestinale.
    • In uno studio tutto Italiano (Toscano et al 2017) è stato visto come il Lactobacillus kefiri (il lattobacillo più presente nella bevanda di kefir) sia in grado di modulare la composizione del microbiota riducendo la tipologia di batteri interessati nelle risposte pro-infiammatorie e i problemi gastrointestinali.
    • L’idea che il kefir possa (usiamo il condizionale) essere efficace nel trattamento della Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) è sostenuta anche da Yilmaz et al 2019, che videro come 400 mL al giorno di questa bevanda per 4 settimane, fu in grado di migliorare la sintomatologia e la qualità della vita in pazienti affetti da questa patologia.
    • In un gruppo di soggetti affetti da epatite, chi consumava 500 mL di Kefir al giorno (per un mese) aveva una carica virale ridotta ed un miglior profilo lipidico rispetto ai malati che non lo consumavano (Basant et al 2014); non era comunque uno studio RCT, ma solamente osservazionale.
    • Ultima ricerca che citiamo è quella di Bekar et al 2011, in cui i ricercatori videro come 14 giorni di somministrazione di kefir fosse efficace (insieme a terapia farmacologica) nell’eradicazione dell’Helicobacter Pylori.

    Per correttezza citiamo anche lo studio di St-Onge et al 2002 che non trovò effetti ipo-colesterolemizzanti nell’assunzione di kefir.

    Alla luce di questi studi, è importante considerare come le ricerche attualmente a disposizione siano troppo poche per trarre conclusioni definitive; le difficoltà non solo relative al numero delle ricerche, ma anche alle differenze che si possono incontrare quando si somministra questo alimento.

    Mi spiego meglio; esistono 3 tipi di prodotti a base di kefir: come indicato sopra, quella ritenuta più efficace è quella ottenuta grazie all’utilizzo di granuli da fare in casa. È la versione tradizionale, quella tramandata da secoli e secoli; è implicito che solo l’utilizzo di granuli di alta qualità (vedremo dopo come trovarli) permette di ottenere la migliore bevanda di kefir.

    In alternativa, esistono altre 2 versioni, quella commerciale (fatta a livello industriale) e quella disidratata (ma che non si “riproduce” come avviene con i granuli); queste ultime 2 formulazioni sono più adatte alla ricerca scientifica, perché permettono a tutti i soggetti sperimentati di assumere lo stesso identico alimento. Allo stesso tempo però, questi non sono prodotti “freschi”, in quanto la bevanda di kefir andrebbe consumata entro 5-6 ore dalla produzione, per evitare che perda progressivamente gli effetti benefici. Questa può essere una delle cause dei risultati eterogenei che si potrebbero trovare in bibliografia internazionale.

    Quello che è importante comprendere, è che la bevanda di kefir ottenuta da granuli di alta qualità rappresenta la migliore soluzione per chi vuole provare e consumare questo alimento; fortunatamente, questa è anche la soluzione più economica e sostenibile. Nei prossimi capitoli vi spiegheremo meglio come farla.

    La carenza di approfondimenti scientifici sul kefir può essere colmata tramite una breve analisi di quelli che sono i componenti della bevanda; questo aiuterà a comprenderne al meglio l’utilità per lo sportivo.

    Le funzioni probiotiche del kefir: meglio o peggio di un integratore di probiotici?

    Nel nostro articolo specifico, abbiamo visto quelli che sono i requisiti di un Probiotico, cioè che contenga una o più tipologie di batteri di comprovata efficacia e per un dosaggio di almeno 10 miliardi UFC (Unità Formanti Colonie) al giorno, ecc. Secondo il  Ministero della Salute questa tipologia di prodotti ha la proprietà di “Favorire l’equilibrio della flora intestinale”. 

    Malgrado questo, sono necessari ancora ulteriori studi per approfondire con certezza l’utilità di questo tipo di prodotti, in base all’effetto delle singole specie, al dosaggio minimo ed alla qualità dei prodotti.

    Nell’immagine sotto è possibile vedere quelle che sono le evidenze attuali sul legame tra probiotici e attività sportiva. Per chi volesse approfondire, consigliamo il nostro articolo sui probiotici e sport.

    Ma torniamo al nostro kefir: il Kefir può essere considerato un probiotico?

    Ovviamente sì! Per affermarlo è sufficiente conoscere la quantità e la tipologia dei microorganismi presenti, cioè i requisiti necessari per considerare un alimento (o un integratore) probiotico.

    Quali tipologie di microorganismi sono presenti nel Kefir?

    Qui “si apre un mondo” perché nella bibliografia internazionale sono stati contati fino a 61 microorganismi diversi (Leech 2018); considerate che nei prodotti da frigo reclamizzati per “favorire le funzioni intestinali” ne sono presenti al massimo 6. A questo link potete vedere un confronto interessante.  Ad esempio, nello Yogurt sono presenti solo 2 batteri (Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus), che probabilmente sono inattivati dai processi digestivi dello stomaco.

    Ma andiamo a vedere brevemente le tipologie più importanti e le famiglie di microorganismi che rendono così unico il kefir; infatti, sembra che sia l’attività simbiotica di Lieviti (in particolar modo il Saccharomyces cerevisiae) e Lattobacilli (in particolar modo il Lactobacillus Kefiranofaciens) a permettere la sopravvivenza e la riproduzione, unita alla produzione della struttura che ne permette l’organizzazione in granuli; quest’ultima, è formata prevalentemente dal Kefiran, un eteropolisaccaride al quale, come vedremo più avanti, sono riconosciute diverse proprietà (Lopitz-Otzoa et al 2006).

    L’analisi delle colonie di Grani di Kefir evidenzia la presenza di 4 macro-categorie di microrganismi, suddivise, a loro volta, in decine di specie di differenti proprietà (Lopitz-Otzoa et al 2006). Le macrocategorie sono i Lattobacilli, Lieviti, i Lattococchi e gli Enterococchi. In alcuni campioni sono stati trovati anche Acetobatteri e Bifidobatteri.

    Quello dei Lattobacilli, rappresenta sicuramente il genere di batterio più studiato, visti i legami che hanno con la salute. Nel kefir ne sono stati individuati fino ad una dozzina; tra questi i conosciuti L. acidophilus, il L. paracasei, il L. plantarum; quello più presente nella bevanda del kefir è il L. kefiri.

    I Lieviti invece sono i microorganismi presenti nella maggiore varietà, ma la loro quantità è circa 10-100 volte inferiore rispetto ai Lattobacilli.

    Quello che è importante comprendere, è che non tutti i prodotti a base di kefir hanno la stessa composizione, in quanto dipende dall’origine dei granuli, dal latte utilizzato e dalle condizioni della fermentazione (Farag et al 2020); proprio per questo motivo, è particolarmente importante utilizzare granuli di alta qualità e seguire le istruzioni del distributore da cui si è acquistato il kefir.

    Ma quanti probiotici sono presenti?

    Oltre alla qualità (cioè alla variabilità) delle specie presenti, è anche importante conoscerne la quantità, affinchè possa considerarsi un alimento probiotico per uno sportivo; di norma, per essere considerato tale, un alimento (o un integratore) deve contenere almeno 10 miliardi di UFC (Unità Formanti Colonie) vivi per dose giornaliera (Jager et al 2019). In bibliografia internazionale esistono diversi studi che hanno approfondito la quantità di microorganismi presenti nel kefir; ovviamente i risultati dipendono dall’origine della bevanda con grandi differenze.

    Ad esempio, il kefir commerciale (in bottiglia o liofilizzato) è quello che contiene quantità inferiori, cioè da 1 a 50 milioni di UFC per ml (St-Onge et al 2002, de Oliveira et al 2010 e Yilmaz et al 2019), malgrado le case produttrici ne dichiarino di più; è del tutto ovvio immaginare come i cicli di produzione, l’immagazzinamento e il trasporto, sottopongano il prodotto a temperature e tempi che comportano una perdita di “vitalità” del prodotto prima che venga consumato.

    Quando invece gli studi hanno analizzato bevande ottenute direttamente da kefir in granuli (cioè prodotto fresco) le concentrazioni si aggiravano pressappoco (come ordine di grandezza) tra i 100 milioni e il miliardo di UFC per ml (Wszolek et al 2001, Gamba et al 2020, Rosa et al 2017, Irigoyen et al 2005, de Oliveira et al 2010, Suriasih et al 2012 e Prado et al 2015); una bella differenza.

    Ne deriva, che è assolutamente da preferire il kefir da fare in casa con i granuli di alta qualità, rispetto a quello commerciale!

    Inoltre, considerando che con il kefir da fare in casa con i granuli si ottiene una quantità superiore a 200 ml di prodotto, è logico immaginare che la quota necessaria per soddisfare il fabbisogno di probiotici per lo sportivo sia ampiamente soddisfatta.

    Una volta giunti a questa conclusione, è lecito chiedersi se il regolare consumo di kefir da granuli (fatto in casa) sia una soluzione migliore degli integratori di probiotici. Prima di orientare la risposta è necessario conoscere il parere dell’EFSA, secondo la quale molti integratori a base di probiotici non rispettano quanto indicato sull’etichetta, non tutti i microorganismi dichiarati sono sempre presenti, i ceppi non sono sempre vitali ed in alcuni casi sono stati rilevati anche contaminanti. Per questo motivo, l’eventuale scelta di ricorre ad integratori di probiotici dovrebbe essere avvallata da personale qualificato; nel nostro post dedicato ai probiotici, potete vedere come scegliere i migliori prodotti. I granuli di kefir invece, se di alta qualità, non presentano queste problematiche.

    Prima di fare considerazioni conclusive, è assolutamente necessario comprendere come il kefir non abbia solamente proprietà probiotiche; questo è importante al fine di considerarlo un ottimo alimento per sportivi. Lo vediamo meglio nel prossimo capitolo.

    Qualità pre-biotiche, post-biotiche e nutrizionali del kefir

    Non spaventatevi dal titolo di questo capitolo, perché è più semplice di quanto si possa immaginare; nella figura a fianco è possibile vedere un’immagine esplicativa di cosa siano i pro-biotici, pre-biotici e post-biotici.

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    Tralasciando i pro-biotici (approfonditi nel precedente capitolo) i pre-biotici non sono altro che sostanze presenti nel cibo che vanno a “nutrire” i micro-organismi che formano il microbiota intestinale; sono presenti soprattutto nei legumi, frutta, verdura e cereali integrali (fibre). Hanno un evidente impatto positivo sulla salute del microbiota, e di riflesso anche su quella di chi li assume.

    I post-biotici invece, sono metaboliti prodotti da microbi presenti nell’intestino (soprattutto “quelli buoni”) e fungono da segnali per la modulazione dei metabolismi, compresi quelli della produzione di energia; ne deriva che un microbiota sano produce una buona quantità di queste sostanze. Come vedremo, questi sono presenti anche nel kefir. Ma andiamo per ordine.

    Nel kefir sono presenti anche pre-biotici?

    Come accennato prima, questi sono presenti particolarmente nelle fibre della frutta, verdura, legumi e cereali integrali; ne consegue, che una dieta equilibrata, ricca di alimenti di origine vegetale ed integrale, fornisce una buona dose giornaliera di pre-biotici come i frutto-oligosaccaridi.  Tra i Pre-biotici, esistono anche i galatto-oligosaccaridi, sostanze presenti prevalentemente nel latte materno (non in quello vaccino), ma che possono essere sintetizzati anche a partire dal lattosio grazie all’enzima Beta-galattosidasi (Fischer et al 2018); alcuni classi di lattobacilli presenti nel kefir sono fonti di questo enzima (Gobinath et al 2014, Mahadevaiah et al 2020, Splechtna et al 2006) lasciando intuire come il kefir possa essere fonte di questi pre-biotici. Non a caso, nella ricerca di Hikmetoglu et al 2020 vennero trovati galatto-oligosaccaridi nel kefir; ovviamente sono necessarie altri studi per avere conferma definitiva della presenza di pre-biotici nel kefir.

    Post-biotici del kefir: quali legami con salute e performance?

    In un’interessante revisione del 2017, Clarke et al misero in evidenza le prove di come i metaboliti prodotti dal microbiota (cioè i post-biotici) siano in grado di avere effetto immodulatore e di promuovere le funzioni mitocondriali delle cellule muscolari (responsabili anche della performance sportiva). Non solo, alcuni di questi (gli Acidi grassi a corta catena ed altre molecole) possono migliorare la funzione della barriera intestinale incrementando l’espressione delle “giunzioni” tra le varie cellule dell’intestino (Hiippala et al 2018). Alcune di queste molecole sono presenti anche nel kefir come l’acido lattico (che conferisce l’acidità tipica della bevanda) e l’acido acetico (Gamba et al 2020).

    Ovviamente servono ulteriori studi per confermare se le quantità di acido lattico ed acido acetico presenti nel kefir possano effettivamente avere un effetto biologico evidente. In ogni modo, la presenza di post-biotici all’interno del kefir conferisce ulteriore interesse a questa bevanda che va al di là dei soli pro-biotici presenti.

    Ma il valore aggiunto alle proprietà probiotiche non finisce qui; infatti, sempre più studi stanno permettendo di conoscere le importanti proprietà nutrizionali di questa bevanda.

    Proprietà nutrizionali: al di là dei benefici del latte

    Prima di andare oltre, è importante comprendere le proprietà del latte, cioè il substrato nel quale avviene la fermentazione dei granuli.

    Milk is approximately isotonic (osmolality of 280-290 mosmol/kg), and the mixture of high quality protein, carbohydrate, water and micronutrients (particularly sodium) make it uniquely suitable as a post-exercise recovery drink in many exercise scenarios

    Traduzione: Il latte è approssimativamente isotonico (osmolalità di 280-290 mosmol/kg), e la miscela di proteine di alta qualità, carboidrati, acqua e micronutrienti (in particolare sodio) lo rendono particolarmente adatto come bevanda per il recupero post-esercizio in molti scenari di esercizio

    Questa conclusione è presa dalla revisione scientifica di James et al 2019, in cui analizza le proprietà del latte vaccino come bevanda per gli sportivi, concludendo come sia una bevanda dalle caratteristiche comparabili (se non migliore) a quelle di molti sport drink; inoltre, ha un costo inferiore rispetto alla maggior parte degli integratori proteici. Considerazioni analoghe possono essere fatte per altri tipi di latte di origine animale.

    Bene, in questo capitolo vedremo come la bevanda di kefir (cioè il latte fermentato con i granuli) sia oltretutto migliore, dal punto di vista nutritivo, del latte stesso.

    Per quanto riguarda i macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) le quantità sono sovrapponibili al latte che subisce la fermentazione; in media 3-4 g di proteine ogni 100g, 4-6g di carboidrati e 0-4 grammi di grassi (Farag et al 2020). Solitamente si consiglia di utilizzare latte intero (possibilmente “alta qualità”), purchè di origine animale. Il kefir contiene anche una quantità irrisoria di alcol (tra lo 0 e l’1%).

    Come abbiamo visto sopra, il kefir ha un minor apporto di lattosio rispetto al latte; non solo, nella bevanda è presente anche l’enzima beta-galattosidasi (la cui carenza può dare origine all’intolleranza al lattosio) in quantità nettamente superiore rispetto allo yogurt (Hertzler et al 2003). Questo enzima, prodotto dai batteri presenti nel kefir, è in grado di digerire il lattosio limitando o eliminando totalmente la sintomatologia fastidiosa. Altro prodotto dei microorganismi del kefir è il kefiran, cioè l’eteropolisaccaride maggiormente responsabile dell’organizzazione in granuli; a questo sono riconosciute diverse proprietà benefiche (Prado et al 2015), anche se mancano ancora conferme su umani.

    Ma è dal punto di vista proteico che dal kefir emergono le proprietà più interessanti; infatti, le proteine presenti nel latte nel processo di fermentazione vengono digerite nei loro elementi più semplici come peptidi ed aminoacidi, facilitando il processo di digestione e velocizzando l’assorbimento nell’intestino. Essendo poi, quelle del latte, proteine ad alto valore biologico, quest’ultimo aspetto diventa particolarmente rilevante per gli sportivi.

    Ma l’aspetto più interessante è dato dallo studio di Gamba et al 2020, più precisamente a pagina 6 della pubblicazione; infatti, malgrado la quantità di proteine presenti sia la stessa, nel kefir gli aminoacidi essenziali sono in quantità maggiore rispetto al latte dal quale è avvenuta la fermentazione. Ovviamente è difficile comprendere il motivo (probabilmente la fermentazione stessa, modifica la composizione aminoacidica del latte), ma ciò testimonia come il profilo aminoacidico del kefir sia superiore a quello del latte da cui si è avvenuta la fermentazione.

    Non solo, nel kefir sono stati trovati una varietà di peptidi bioattivi (anche questi originano dalle proteine) superiore al quella del latte (circa 230); questi hanno proprietà antiossidanti, antivirali, antiipertesive ed antiinfiammatorie, migliorando ulteriormente il profilo salutare rispetto al latte (Hamida et al 2021, Ebner et al 2015, Amorim et al 2019). Queste proprietà sono attualmente verificate solo in vitro.

    Chiudiamo questo lungo elenco delle proprietà nutritive con i micronutrienti presenti; il processo di fermentazione migliora ulteriormente il valore nutritivo del kefir, impreziosendolo di ingredienti bioattivi secondari come catechina, vanillina, acido ferulico e acido salicilico (Farag et al 2020). Non solo, l’attività dei microorganismi arricchisce la bevanda di Vitamina B1, B12, Vitamina K e acido folico.

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    Nell’infografica sopra, potete vedere il riassunto semplificato di quanto esposto nei precedenti paragrafi; è comunque precisare che le proprietà del kefir dipendono da 3 importanti fattori:

    • La provenienza dei granuli è un elemento fondamentale, per questo motivo è importante acquistare i granuli presso un distributore che ne garantisca la massima qualità; vedremo sotto come.
    • Il latte utilizzato: ovviamente deve essere latte contenente lattosio, in quanto è uno dei “nutrienti” necessari per la fermentazione.
    • Ultimo aspetto è la lunghezza e l’ambiente della fermentazione; attenendosi alle indicazioni del distributore, si evita di fare errori. Nei prossimi capitoli vedremo poi meglio alcuni consigli per ottimizzare la produzione del kefir in casa.

    Il possibile ruolo del kefir nella dieta dello sportivo

    La conoscenza del collegamento tra sport, salute e microbiota è in continuo sviluppo ed approfondimento, visto che il termine Microbiota compare in medicina solo nel 2001. Le stesse ricerche sul Kefir hanno subito un’impennata solo in questi ultimi anni; controllando su pubmed, nel 2020 hanno subito un incremento del 50% rispetto al 2019 e del 380% rispetto al 2010.

    Ne deriva, che attualmente non si possono dare certezze definitive (perché servono anni ed anni di studi condotti con il rigoroso metodo scientifico), ma le evidenze ormai ci permettono di fare alcune considerazioni estremamente utili per lo sportivo.

    Nel considerare il kefir un alimento con proprietà probiotiche (grazie alla grande presenza di lattobacilli), possiamo ipotizzare le sue proprietà nel riequilibrare la flora batterica e nel ridurre il rischio di contrarre infezioni all’apparato respiratorio (e malattie relative). Questo diventa di grande utilità nel mantenimento della salute dell’atleta e nella possibilità di allenarsi con continuità!

    In particolar modo per chi pratica sport di durata, i benefici potrebbero essere non solamente relativi alla composizione del Microbiota ma anche nei confronti delle problematiche che possono insorgere durante le manifestazioni o gli allenamenti più lunghi. L’immagine sotto rappresenta una semplificazione, ma estremamente chiara, di quelle che sono le conseguenze della “Sindrome dell’intestino gocciolante” (in Inglese “Leacky gut syndrome”).

    Immagine tratta e modificata dalla pagina https://www.omni-biotic.com/it/sindrome-dellintestino-gocciolante/.

    Nella parte destra dell’immagine è possibile vedere come una scarsa quantità di muco e un numero limitato di Tight Junctions (le giunzioni che tengono unite le cellule della mucosa intestinale) non impedisca ai germi patogeni di entrare nella circolazione sanguigna; il loro ingresso è causa di infiammazioni, che possono generare fastidi e disturbi (tipici quelli di natura gastrointestinale) anche durante l’allenamento o la competizione; infatti, durante l’attività sportiva il sangue tende a confluire verso i muscoli che lavorano, verso il cuore ed il cervello.

    La conseguenza, è che si verifica un ridotto afflusso di sangue verso l’intestino, che unito ad uno “sballottamento” (soprattutto quando si corre), può comportare l’insorgenza di sintomatologie come crampi addominali, nausea, vomito, diarrea, e problematiche che possono anche cronicizzarsi. Nel nostro post dedicato a Sport e microbiota, potete trovare una dissertazione più ampia, comprese le cause, che sono da ricercarsi in uno stile di vita inadeguato e un’alimentazione errata.

    Ne deriva che un’adeguata produzione di muco e un ottimale funzionamento delle Tight Junctions, sono condizioni essenziali per un ruolo funzionale della barriera intestinale. Fasano 2012 e Camilleri et al 2019 affermano come una riduzione della funzionalità della barriera intestinale giochi un ruolo nell’insorgenza di diversi disturbi e malattie. È in particolar modo la zonulina ad essere tirata in ballo in questo meccanismo; questa proteina ha infatti il ruolo di regolare la permeabilità delle Tight Junctions (vedi immagine sopra). Maggiori sono le concentrazioni di zonulina libera, e maggiore sarà il rischio che la permeabilità della barriera intestinale possa dare problemi a causa del passaggio nel sangue di sostanze “indesiderate”.

    Il consumo di probiotici e del kefir sono in grado di ridurre le concentrazioni di zonulina (Lamprecht et al 2012, Praznikar et al 2020) ottimizzando la permeabilità della barriera intestinale. Non solo, è stato visto in modelli animali che il kefir sia in grado di incrementare la produzione di mucina (Carasi et al 2015); quest’ultima è una glicoproteina che fa parte del muco che riverse la barriera intestinale (vedi sempre immagine sopra).

    Semplificazione delle possibili conseguenze associate alla Leaky Gut Syndrome

    Possiamo quindi concludere che esistono evidenze di come un adeguato consumo di kefir possa migliorare l’espressione delle Tight Junctions e la produzione di muco, ottimizzando la funzione protettiva della barriera intestinale dagli agenti patogeni.

    Ma esistono ricerche che hanno indagato il rapporto tra permeabilità intestinale e performance?

    Attualmente servono ulteriori studi per approfondire la correlazione diretta tra permeabilità intestinale e performance (Karhu et al 2017, Tota et al 2019), ma è logico ipotizzare come una barriera intestinale integra metta lo sportivo nelle condizioni di potersi allenare con continuità, limitando le interruzioni del proprio programma di allenamento e recuperando nel modo migliore grazie ad una digestione ed assorbimento ottimale delle sostanze nutritive.

    Altro aspetto, non di poco conto, è il miglioramento sia dell’umore che della percezione del recupero, associata sia all’integrazione con probiotici (Marttinen et al 2020), che al consumo di kefir (Praznicar et al 2020). Questo campo di indagine, ancora da approfondire appieno, è estremamente importante, in particolar modo per quegli atleti che effettuano carichi di lavoro particolarmente elevati e per quegli sportivi (anche amatori) che hanno giornate impegnative.

    Alla luce di queste considerazioni, cosa concludere sull’utilità del kefir per uno sportivo? È da considerare come un integratore? È un superfood?

    Cito le 2 conclusioni di 2 importanti ricerche pubblicate in questi ultimi anni, che credo riassumano al meglio le risposte alle domande fatte sopra.

    Malgrado non siano attualmente implementate nelle linee guida alimentari, siamo convinti che le evidenze attuali supportino l’ipotesi che l’inclusione di sostanze ad azione probiotica (come il kefir) nella dieta possa supportare e migliorare lo stato di salute. Non viene suggerito che queste sostanze siano in grado di colmare dei deficit alimentari, ma possono migliorare alcuni parametri della salute (Marco et al 2020).

    Per quanto riguarda l’attività sportiva invece, possiamo affermare che nel complesso prove crescenti da studi su animali e umani hanno indicato che la composizione del microbiota intestinale (che può essere particolarmente influenzata dai probiotici come il kefir) gioca un ruolo importante nella fisiologia dell’ospite e può influenzare le prestazioni fisiche (Marttinen et al 2020).

    Come potete notare, in entrambi le frasi sopra, viene usato il “condizionale” in quanto la certezza scientifica attualmente non si ha a causa della complessità del fenomeno da studiare.

    Quello che però è certo, è che salute e performance sono indissolubilmente legate, e le condizioni del microbiota possono avere un peso in entrambi gli ambiti. L’assunzione di alimenti ad azione probiotica (come il kefir) può aiutare a migliorare lo stato di salute (ed indirettamente la performance), ma non deve essere considerato un metodo “fai da te” per risolvere i problemi di salute.

    Come orientarsi nella scelta dei granuli?

    Nei precedenti paragrafi abbiamo visto come per massimizzare gli effetti del kefir, sia fondamentale consumare il prodotto ottenuto dalla fermentazione fatta in casa dei granuli; tale approccio è anche più economico e sostenibile. Abbiamo anche evidenziato come le proprietà della bevanda dipendano dalla tipologia del latte (meglio alta qualità, esclusivamente di origine animale), dai tempi/condizioni della fermentazione (in questo caso è da attenersi a semplici indicazioni) e dalla qualità dei granuli.

    Quest’ultimo aspetto rappresenta il punto focale per ottenere una bevanda di qualità; ma dove trovare i granuli di qualità migliore?

    In rete è facile trovare persone che regalano i granuli in eccedenza (perché con il numero di fermentazioni aumentano), in maniera tale da creare una rete di distribuzione che permetta, a chi è interessato, di ottenerli gratuitamente. Malgrado questo sia un approccio lodevole, non permette (a chi riceve i granuli) di essere a conoscenza della qualità del prodotto; infatti, esistono condizioni come il congelamento, eccessivi sbalzi termici, o fermentazioni effettuate nei tempi sbagliati, che possono impoverire le proprietà dei granuli o, ancor peggio, contaminarli.

    Per questo motivo, a mio parere è fondamentale rifornirsi presso distributori che presentano la massima affidabilità nell’inviare granuli di qualità. Anche se ci sarà un costo (come vedremo successivamente, i costi sono estremamente limitati) si avrà la certezza di quello che si acquista; non solo, la spesa verrà presto “ammortizzata” dal fatto che se si seguono le giuste indicazioni, i granuli durano all’infinito…anzi aumenteranno continuamente di circa il 5-7% ad ogni fermentazione (de Oliveira et al 2013).

    Come scegliere il giusto prodotto?

    I parametri da seguire sono i seguenti:

    • Competenza dell’azienda/distributore: è ovvio che questo aspetto gioca un ruolo cruciale. Trasparenza del sito di vendita, insieme al supporto ed assistenza al cliente, sono fattori fondamentali.
    • Etica dell’azienda: nel nostro post dedicato alla qualità degli integratori, abbiamo visto come sia essenziale un controllo terzo della qualità dei prodotti venduti. Per il kefir è fondamentale l’analisi microbiologica periodica dei ceppi microbici presenti, e la verifica dell’assenza di contaminanti.
    • Giudizi e reputazione: online oggi è possibile trovare recensioni su qualsiasi prodotto; l’importante è leggere giudizi su piattaforme (come amazon) che non siano filtrati dall’azienda produttrice.
    • Spedizione: è fondamentale che tutti i ceppi microbici arrivino a casa vivi, cioè che non rimangano troppo tempo in transito. Inoltre, per la salvaguardia delle proprietà è anche importante l’ambiente nel quale sono “immersi” durante il trasporto.

    Alla luce di queste considerazioni, la migliore ditta in assoluto da cui acquistare granuli di kefir è Kefiring!

    Com’è possibile vedere dall’infografica sopra, Kefiring garantisce un prodotto di altissima qualità, associato ad una seria assistenza al cliente; inoltre, il kefir e i suoi derivati rappresentano la produzione principale dell’azienda, garantendo la massima specializzazione e accuratezza nel continuo approfondimento e perfezionamento del servizio offerto. È possibile ordinare i granuli anche tramite amazon.

    Come preparare la bevanda di kefir

    All’acquisto dei granuli, si riceveranno tutte le indicazioni necessarie per fare un ottimo kefir. Riporto sotto le istruzioni di base che si possono trovare anche in rete:

    • Inserire i granuli insieme al latte (di origine animale; deve contenere lattosio) in un contenitore non chiuso; è necessario lasciar “respirare” la bevanda per smaltire l’anidride carbonica prodotta con la fermentazione.
    • Il rapporto in termini di peso tra latte/granuli può andare da 5/1 a 20/1; in media si utilizza 10/1. Minore è la quantità di latte e maggiore sarà la consistenza e l’acidità del prodotto.
    • Lasciare fermentare a temperatura ambiente (vedremo sotto quali sono le condizioni ottimali), al buio e per circa 24 ore (o l’arco di tempo indicato dal produttore); maggiore è la quantità di latte e più lungo può essere il tempo di fermentazione.
    • Dopo 24 ore, filtrare la bevanda di kefir con un colino di plastica e consumarla entro poche ore (mettendola in frigo). I granuli rimasti nel colino, andranno messi in un altro recipiente con dell’altro latte per riprendere un’ulteriore fermentazione.

    N.B.: di norma è sconsigliato trattare bevanda e granuli con oggetti di metallo o di legno; preferire recipienti in vetro e colino e posate di plastica. Una volta automatizzate le procedure di filtraggio, la preparazione non porterà via più di 5-10’ di tempo giornalieri. Per chi volesse ulteriormente velocizzare i passaggi, consigliamo l’utilizzo di attrezzature apposite come Kefirko Maker.

    Sotto potete vedere un semplice video esplicativo del processo di produzione della bevanda di kefir.

    Attenzione: se si presenta una patina giallastra sopra il contenuto, è sintono di probabile contaminazione. In questi casi è necessario eliminare la patina (non mischiarla al contenuto), procedere alla filtrazione (senza consumare la bevanda), iniziare direttamente una nuova fermentazione e contattare il distributore da cui si ha acquistato il kefir per ulteriori consigli.

    Risposte ai dubbi più comuni sulla produzione casalinga di kefir

    La fermentazione deve essere di 24 ore precise? Posso usare il latte di cocco o di soia per far fermentare la bevanda?  In estate devo tenerlo in frigorifero?  Quale tipologia di latte è la migliore per il processo di fermentazione?   Quali sono i feedback visivi che mi permettono di capire che la fermentazione sta avvenendo nel migliore dei modi? Che sapore ha il kefir?

    Quelle sopra sono tutte domande lecite che possono insorgere prima e durante la produzione della bevanda di kefir; cercheremo di dare risposte a questi ed altri dubbi.

    Che sapore e consistenza ha il kefir?

    Come abbiamo visto sopra, la consistenza dipende dal rapporto tra la quantità di latte utilizzato ed il peso dei granuli (da 5/1 a 20/1), oltre al tempo di fermentazione; il gusto del kefir è simile a quello dello yogurt bianco senza zucchero ed additivi. Quindi ha un sapore acido, leggermente frizzante; queste caratteristiche sono conseguenza della fermentazione, quindi sono da considerare fattori positivi quando si consuma il kefir. In ogni modo l’acidità non è eccessiva (dipende dalla consistenza) e ci si abitua facilmente al gusto, che con il passar del tempo risulta anche gradevole.

    Come faccio a capire se la fermentazione sta avvenendo nel migliore dei modi?

    Semplice, con il passare delle ore si nota un aumento della consistenza della bevanda; aumento che inizialmente non è uniforme, e prevalentemente localizzato attorno ai granuli. Con il passare del tempo la parte più consistente occuperà l’intero recipiente. Nello stadio finale del processo di fermentazione si assisterà ad una separazione sempre più netta tra la parte più consistente ed il siero (più liquido e giallastro). Ovviamente più lunga sarà la fermentazione (o minore la quantità di latte), tanto più evidente sarà quest’ultimo processo.

    Con il passare delle fermentazioni l’aumento del peso e del volume dei granuli ne indicherà un buon stato di salute; in condizioni ideali si verifica un incremento del 5-7% ad ogni fermentazione.

    La fermentazione deve essere di 24 ore precise?

    Ovviamente può essere usato un certo grado di tolleranza, soprattutto facendo passare anche qualche ora in più; l’ideale è attenersi alle istruzioni avute insieme ai granuli. Di norma, la maggior parte delle persone applica una fermentazione di 24 ore, in quanto consente di avere la bevanda con regolarità, nello stesso momento della giornata (colazione, merenda, ecc.). Inoltre, la bevanda, una volta filtrata, può essere conservata in frigo per qualche ora e consumata in un secondo momento.

    Quale tipologia di latte è la migliore per il processo di fermentazione?   Posso usare il latte di cocco o di soia per far fermentare la bevanda? 

    Migliore è la qualità del latte e maggiore sarà il livello nutrizionale della bevanda; in ogni modo qualsiasi tipo di latte di origine animale è adeguato per far fermentare il kefir (anche quello a lunga conservazione), a patto che contenga lattosio. Il lattosio è un nutrimento essenziale per una parte dei batteri del kefir; di conseguenza, l’assenza di questo nutriente provoca la morte di una parte dei fermenti presenti. Se non si vogliono utilizzare bevande contenenti lattosio (esempio latte vegetale, delattosato o succhi di frutta) si può utilizzare il kefir d’acqua, che ha comunque proprietà probiotiche inferiori rispetto al kefir di latte.

    In estate devo tenerlo in frigorifero? 

    La fermentazione avviene a temperature ideali comprese tra 18-25 °C. Il concetto di “temperatura ideale” risiede nel fatto che i vari microorganismi hanno dei range termici all’interno dei quali tutti “vivono e funzionano” al meglio. In estate è possibile tenere il kefir in una borsa frigo con del ghiaccio per conservare la temperatura nel range ottimale durante la giornata. Quelli che andrebbero evitati, sono gli sbalzi di temperatura; per questo, se si usa latte dal frigo, è meglio tenerlo a temperatura ambiente per almeno 15’ prima di immergevi i granuli.

    Se invece si vuole fare un periodo senza consumarlo (ad esempio perché si va in vacanza), è possibile immergere i granuli in abbondate latte e congelarli; dopo il disgelo, per le prime fermentazioni, la bevanda non andrebbe comunque consumata. Con il congelamento è comunque possibile la perdita della vitalità di alcuni ceppi batterici; per questo motivo, in caso di dubbi relativi alla conservazione dei granuli è sempre bene chiedere informazioni al distributore da cui si ha acquistato il kefir.

    È possibile abbinare la bevanda di kefir con altri ingredienti?

    Avendo una consistenza del tutto simile allo yogurt, è possibile aggiungere alla bevanda di kefir frutta, cereali, granella di frutta secca o altri ingredienti, seppur di alta qualità come il cacao, frullati o centrifughe.

    Malgrado il kefir si presti praticamente a tutte le preparazioni e ricette tipiche dello yogurt, è da ricordare che additivi non salutari possono peggiorare il profilo nutrizionale dell’alimento. Ad esempio è stato visto come i dolcificanti (Markus et al 2020) possano alterare negativamente l’equilibrio della flora batterica intestinale, oppure gli sciroppi possono inibire alcune proprietà del kefir (Luo et al 2020). Per questo motivo, la bevanda del kefir andrebbe abbinata solamente ad ingredienti estremamente salutari. In ogni modo, bastano veramente pochi giorni per abituarsi alla bevanda, anche senza abbinarla ad altri ingredienti. Le prime volte, è possibile distribuire il consumo in diversi momenti della giornata.

    Esistono delle controindicazioni?

    Potendolo considerare un superfood a tutti gli effetti, è bene seguire le normali raccomandazioni a cui attenersi in questi casi. Quindi soggetti malati, in condizioni particolari (gravidanza, allattamento), in età evolutiva o che assumono farmaci, è sempre meglio che chiedano consulto a personale qualificato prima di assumere il kefir. Stessa cosa vale per chi ha allergie ai fermenti o a determinate sostanze presenti nel latte.

    Per chi invece è intollerante al lattosio, abbiamo visto sopra i motivi per cui il kefir potrebbe essere ben tollerato (perché la concentrazione di lattosio è più bassa), e come possa anche aiutare a combattere l’intolleranza (perché contiene l’enzima beta-galattosidasi); in ogni modo, per gli intolleranti sarebbe meglio chiedere il parere di chi ha diagnosticato l’intolleranza.

    Quali sono le alternative al kefir di latte?

    Partendo dal presupposto che il kefir di latte è un alimento unico nel suo genere, il kefir d’acqua è la prima alternativa, anche se gli studi riguardo questa “versione” sono in numero limitato; ovviamente i benefici presunti sono inferiori, in quanto manca di tutte quelle specie batteriche che si nutrono di lattosio. In ogni modo è l’alternativa più valida per chi soffre di allergie alle componenti del latte o per chi è vegano. Potete trovare i granuli d’alta qualità per kefir d’acqua di Kefiring anche su amazon; è possibile acquistare anche i fichi secchi per il kefir d’acqua ed il lievito di kefir.

    È meglio il kefir o gli integratori a base di probiotici?

    Malgrado il kefir abbia spiccate proprietà probiotiche, è da fare un’importante considerazione. Gli integratori andrebbero presi previo parere di persona qualificata (medico, nutrizionista, dietologo o dietista); la stessa cosa vale per gli integratori a base di probiotici. Nel nostro post dedicato a sport e microbiota, abbiamo visto come alcuni studi abbiano trovato diverse carenze (etichette non rispettate, presenza di contaminanti, ecc.) per questa tipologia di integratori. Ne deriva, che quando questi sono prescritti, è bene anche farsi consigliere il prodotto della marca più affidabile.

    Il kefir fatto in casa con granuli di alta qualità non è un integratore e non presenta questa tipologia di problemi, a meno che si sbaglino tempi e modalità della fermentazione, o si usi latte contaminato; come affermato sopra, includere il kefir nella propria dieta “può” (si usa il condizionale) supportare e migliorare lo stato di salute (Marco et al 2020), ma non si deve ritenere un integratore in grado di compensare carenze nutritive. Di fatto, non è quindi possibile confrontare il kefir con gli integratori a base di probiotici, perché rientrano in 2 distinte categorie di prodotti.

    Quanto kefir è consigliabile consumare ogni giorno?

    Di norma sono consigliati dai 250 ml ai 500 ml. È da considerare che nelle ricerche presenti in bibliografia internazionale, sono utilizzati dosaggi medi di 400-500 ml giornalieri.

    Cosa fare dei granuli in eccesso?

    Abbiamo visto che i granuli crescono di massa del 5-7% ad ogni fermentazione; è quindi lecito immaginare che dopo circa 20 giorni il peso dei granuli sia raddoppiato. Cosa fare dei granuli in eccesso? Una soluzione potrebbe essere quella di regalarli ad amici o parenti che vogliono provarli. Alternativa è quella di mangiarli, ma hanno una consistenza gommosa poco allettante; inoltre hanno una concentrazione di fermenti 10-100 volte inferiore rispetto alla bevanda di kefir che si ottiene con la loro fermentazione. Altra alternativa è quella di buttarli, ma c’è chi consiglia di utilizzarli come fertilizzanti per le piante (abbinati ad acqua).

    Conclusioni

    Il kefir è un ottimo alimento da introdurre alla propria dieta, a bassissimo costo ed alto livello di sostenibilità.

    In questo articolo abbiamo visto come in bibliografia internazionale esistano prove che sostengono come il kefir possa supportare e migliorare lo stato di salute. Di questo effetto ne può beneficiare particolarmente lo sportivo, in quanto il recupero dagli stimoli allenanti (che determina il miglioramento prestativo) dipende anche dallo stato di salute; quest’ultimo, infatti, influenza anche la continuità con la quale è possibile allenarsi.

    Accanto alle ormai certe qualità probiotiche, è possibile supporre come possa avere anche effetti prebiotici e postbiotici; inoltre è in grado di migliorare il profilo nutrizionale della bevanda (il latte) nella quale avviene la fermentazione.

    Malgrado questo, non è da fare l’errore di consideralo una panacea, in quanto i suoi effetti sono da inquadrare all’interno dell’intera dieta e dello stile di vita. Non è nemmeno da ritenere come un integratore in grado di colmare lacune di natura nutritiva.

    Il fatto di poter influenzare direttamente la performance, è attualmente solamente ipotizzata dagli effetti che può avere sulla composizione del microbiota intestinale, che a sua volta può avere nei confronti della performance (Marttinen et al 2020). Solamente futuri studi condotti secondo il rigoroso metodo scientifico potranno dare una risposta a queste ipotesi.

    Tutti i benefici del kefir sono possibili a patto che si rispettino le semplici regole della fermentazione e si utilizzino granuli di alta qualità; i granuli di kefiring presentano la migliore soluzione attualmente sul mercato.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  2. Il microbiota: cos’è e quali ruoli svolge

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    (Aggiornato al 21/04/2021)

    L’alimentazione è ritenuta una variabile fondamentale in grado di influenzare la salute e tutte le attività che vengono svolte durante la propria giornata (sport compreso); ma ci si chiede mai come vengono assorbiti dal nostro organismo gli alimenti che ingeriamo? Quali sono le condizioni ideali affinchè il nostro corpo possa assimilare ed interagire al meglio con quello che mangiamo?

    Faccio un esempio banale per capirci meglio; a volte vengono prescritte proteine in polvere per quei soggetti (solitamente sportivi) che non riescono ad ingerire una quota sufficiente di questo macronutriente con l’alimentazione. Purtroppo per alcuni individui questo tipo di integrazione può dare problematiche di natura intestinale (ne abbiamo parlato nel nostro articolo dedicato agli aminoacidi essenziali); le persone che vanno incontro a questi effetti collaterali, siamo sicuri che assimilino tutte le proteine in polvere ingerite? Gli effetti collaterali che si presentano, quali ripercussioni possono avere nei confronti della salute (ed eventualmente della performance)?

    Quello sopra è solo un semplicissimo esempio di come quello che mangiamo può influenzare la funzione del nostro apparato digerente. Il nostro intestino infatti è colonizzato da una moltitudine di microbi (soprattutto batteri, ma anche virus, funghi e protozoi) che vivono in simbiosi con il nostro organismo influenzandosi reciprocamente. L’insieme di questi microbi si chiama Microbiota intestinale.

    Il termine “Microbiota” compare per la prima volta nella medicina nel 2001.  Le scoperte successive hanno permesso di approfondire le forti correlazioni che esistono tra le caratteristiche del Microbiota, il nostro benessere e le malattie; non solo, stanno emergendo sempre più connessioni tra caratteristiche del Microbiota e la performance sportiva.

    Ma andiamo per ordine e cerchiamo prima di comprendere nel dettaglio cosa sia il Microbiota, l’associazione con il nostro stato di salute e le indicazioni che si possono trarre per potenziare il nostro benessere.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog sono esclusivamente a scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    Differenza tra Microbiota e Microbioma

    Il Microbiota è l’insieme di batteri (soprattutto), virus, funghi e protozoi che vivono in simbiosi con il nostro organismo. Il Microbioma invece è il patrimonio genetico del Microbiota; più avanti vedremo perché è così importante. Ma dove si trova il microbiota?

    Una grossa parte del microbiota si trova nell’intestino, ma una parte di esso si trova anche nella bocca, nei polmoni, nell’apparato uro-genitale, sulla pelle, occhi ed orecchio esterno. Da qui è possibile capire come possa interagire con diversi organi ed apparati del nostro corpo.

    La sua importanza si comprendere meglio da questi numeri:

    • Il peso medio del Microbiota può variare da 1 a 2.7 Kg (The sientist 2014), contando più di centomila miliardi di batteri, virus funghi e protozoi.
    • Più del 99% del corredo genetico presente nel nostro corpo, è di origine batterica. Mi spiego meglio: se noi andiamo a sommare i geni delle cellule del nostro corpo a quelli del nostro Microbiota, scopriremo che più del 99% di essi è formato dai batteri che vivono in simbiosi con noi. Da qui l’importanza del corredo genetico del Microbiota, che abbiamo detto chiamarsi Microbioma.

    In questi primi 20 anni di studi, il Microbioma è stato correlato a diversi aspetti della nostra salute (li vedremo nel dettaglio successivamente), allo stress, al sovrappeso, all’ansia, alle infezioni, alle malattie (cancro al colon-retto, cardiovascolari, autoimmuni, ecc), alle allergie oltre che alla performance sportiva.

    Non solo, se circa 1/3 di questo è simile da persona a persona, per il restante può differire tra i vari individui ed allo stesso tempo è estremamente modificabile con lo stile di vita. La composizione del Microbioma è quindi più variabile di quanto sia il nostro corredo genetico, fornendo un potenziale link in grado di avere un impatto importante nei confronti delle malattie, del benessere e della performance sportiva.

    Salute del microbiota: una questione di equilibrio

    I batteri presenti nel nostro intestino possiamo classificarli in eubiotici (cioè “buoni”, che hanno un impatto positivo nei confronti della nostra salute) e patogeni (cioè “cattivi”). In un organismo in piena salute, l’ecosistema del nostro “tubo digerente” è particolarmente ricco di batteri eubiotici che tengono a bada gli effetti di quelli patogeni. In condizioni ottimali il nostro Microbioma intestinale aiuta nella digestione degli alimenti, protegge contro quei microorganismi che portano malattie e produce alcune vitamine, oltre a tante altre funzioni (vedi immagine sotto).

    Non solo, ha un doppio legame con il sistema immunitario; infatti quest’ultimo condiziona la colonizzazione dell’intestino, e i batteri influenzano la produzione di globuli bianchi. In più il Microbioma ha la stessa doppia influenza con il sistema nervoso enterico (che regola le funzioni dell’apparato digerente), che a sua volta è legato al sistema nervoso centrale.

    Un microbioma alterato (vedremo poi quali sono le condizioni che determinano questo rischio) non solo fatica a combatte in maniera efficiente i batteri patogeni, ma non svolge neppure le proprie funzioni in maniera adeguata; ovviamente l’ecosistema del Microbiota è strutturato per far fronte alle carenze di alcune specie con altre specie di batteri (sempre “buoni”, ovviamente), ma oltre ad un certo limite di alterazione, si può andare incontro a disbiosi intestinale.

    Tali situazioni possono dare origine a sintomatologie intestinali ed extraintestinali, correlate alla gravità della disbiosi e allo stato di salute. Questo acquisisce ancor più importanza per quei soggetti malati sottoposti a terapie o per gli sportivi sottoposti a grandi carichi di lavoro. Ovviamente è possibile prevenire le problematiche associate al microbiota ed intervenire per cercare di risolvere i problemi; lo vedremo meglio nei prossimi capitoli.

    Quello che è importante comprendere, è che con i metodi di analisi moderni si può fare di più che verificare i casi di disbiosi, cioè mappare l’intero microbioma intestinale; questo non fornisce solamente informazioni sullo stato di salute/malattia (per il quale sono necessari esami più semplici) ma permette di capire come il Microbioma intestinale si adatta al nostro stile di vita e all’ambiente in cui viviamo; questi dettagli non sono banali, perché se interpretati da personale competente, possono indicarci vie utili per migliorare il nostro stato di benessere.

    Non solo intestino

    Abbiamo visto sopra come la maggior parte del Microbiota umano sia localizzato nell’intestino, che è anche quello più studiato e di cui si hanno maggiori informazioni; ma tutta la superficie del corpo umano (bocca, pelle, occhi, orecchi, organi genitali, ecc.) a contatto con l’ambiente è occupata dal nostro Microbiota, ed è costante fonte di studi e di approfondimenti scientifici.

    Facciamo l’esempio della bocca: presenta circa 700 tipi di batteri diversi, dei quali non è assolutamente facile comprendere quali siano stabilmente parte della mucosa e quali provengano dall’esterno (dal cibo ingerito da poco tempo, per esempio). Ricerche recenti hanno scoperto come l’utilizzo di collutori con all’interno Clorexedina riduce la presenza di batteri fondamentali per la sintesi di Ossido Nitrico (un potente vasodilatatore) con la conseguenza di poter incrementare la pressione arteriosa (Tribble e coll 2019). Per approfondire (senza discriminare l’uso dei collutori), vi invito a leggere il paragrafo “Attenzione ai collutori antibatterici” nel nostro post dedicato al Succo di Barbabietole.

    Altro esempio è quello della così detta “Armatura Microbica”, cioè la parte del Microbiota presente sulla pelle; essa presenta tipi di microorganismi che interagiscono con quelli dell’ambiente e le cellule dell’epidermide. Le cellule del microbiota cutaneo sono coinvolte nell’eliminazione delle cellule morte della cute, nei processi di cicatrizzazione delle ferite e nella “comunicazione” con altri sistemi dell’organismo come quello immunitario. Tutto questo permette di comprendere come in futuro, una maggior conoscenza del funzionamento del microbiota, possa avere anche importanti ripercussioni in dermatologia e nello studio della malattia della pelle.

    Dopo aver visto le caratteristiche del Microbiota, andiamo ora ad approfondire quello che attualmente emerge dalla ricerca scientifica.

    Scienza, conoscenza e microbiota

    Ormai diversi studi hanno dimostrano come un microbioma più efficiente sia tipico di quelle popolazioni che hanno uno stile di vita particolarmente attivo, si nutrono con alimenti prevalentemente di origine naturale ed hanno un maggiore rapporto con un ambiente naturale e con gli animali. Tutto questo contribuisce ad avere un microbioma estremamente vario, in grado di impedire la proliferazione di specie patogene che limitano la funzionalità del nostro organismo e causano malattie. Non a caso, persone che soffrono di determinate patologie hanno un microbioma più limitato o caratterizzato dalla presenza di particolari batteri (Fonte Progettomicrobiotaitaliano).

    È importante comunque precisare che in molti di questi casi si parla di “correlazioni” e non sempre di “causa effetto”. Mi spiego meglio:

    • Facciamo un esempio di rapporto “causa-effetto” (anche se non è relativo al Microbioma). Se il mio introito calorico giornaliero è molto superiore alla mia spesa calorica giornaliera (per un periodo prolungato) ingrasserò! In questo caso, il surplus calorico giornaliero è la causa, mentre l’aumento di grasso corporeo è l’effetto, perché fisiologicamente l’organismo accumula le calorie non consumate sottoforma di lipidi.
    • Un esempio invece di “correlazione” può essere quella esistente tra una particolare caratteristica del Microbioma e la presenza di una determinata malattia nel caso in cui non si conosca ancora con precisione il legame fisiologico tra le 2 variabili. In questi casi, ad esempio, potrebbe essere la malattia a causare l’alterazione del microbioma, oppure viceversa, oppure altre variabili potrebbero influenzare il microbioma e la presenza della malattia.

    Questi esempi sono fondamentali per comprendere come mai nello studio del microbiota si parli in diversi casi di “correlazione” ed in altri di rapporto “causa-effetto” (o meglio concausa-effetto, perché le cause di una malattia o di una situazione fisiologica potrebbero essere diverse). Sono fattori fondamentali da tenere in considerazione quando si approfondiscono questi argomenti.

    Ma cerchiamo ora di chiarire i dubbi che insorgono dopo quanto scritto fino ad ora, partendo da una visione d’insieme, per poi fornire i migliori consigli per interagire al meglio con il proprio Microbiota.

    Una visione d’insieme: Io ed il mio Microbiota

    Per comprendere al meglio questi legami, in Italia è nato il Progetto microbioma Italiano che ha come Direttore del progetto Fabio Piccini, autore di diversi libri sul Microbioma e sul Biohacking.

    Con questo esame, ogni utente avrà a disposizione la mappatura del proprio microbioma intestinale offrendo informazioni che possono essere utili a persone qualificate (come dietologi o altri specialisti) per indirizzare il soggetto verso uno stile di vita in grado di potenziare il suo stato di salute. Non solo, la raccolta anonima dei dati permetterà di avere un quadro abbastanza preciso delle caratteristiche del Microbioma intestinale della popolazione Italiana, fornendo ancora più informazioni su quanto il nostro stile di vita incida sui microorganismi presenti nel nostro intestino.

    Ma quali sono le variabili precise che incidono sulla composizione del Microbioma? La colonizzazione del Microbioma inizia appena nati e viene definito nel tempo dall’interazione con l’ambiente e dallo stile di vita. L’età, il sesso, lo stato di salute, l’assunzione di farmaci, l’alimentazione, l’attività sportiva, l’esposizione ad inquinanti e contaminanti, la presenza di animali domestici ed il contatto con l’ambiente naturale sono tra le variabili dello stile di vita che maggiormente influenzano la composizione del microbiota.

    Fortunatamente, la gran parte delle variabili che influenzano positivamente (o negativamente) la qualità del nostro Microbiota, sono comuni ad altri ambiti del benessere; ad esempio sortiscono un effetto positivo una dieta variata e ricca di alimenti vegetali, un’adeguata pratica sportiva, l’assenza di fonti inquinanti e contaminanti, la riduzione dello stress, ecc. Hanno invece effetto negativo lo stress, il masticare poco il cibo (aspetto molto trascurato), le sostanze di abuso (fumo, alcoll, droghe, ecc.), l’utilizzo non giustificato di medicinali ed antibiotici, ecc.

    Oggi si tende anche a parlare di “resilienza del microbiota intestinale“, cioè la proprietà di ritornare velocemente ed efficacemente ad uno stato di salute dopo uno stress (fisico, mentale, ecc.) elevato. In altre parole, la resilienza del microbiota di un individuo sano eviterebbe la disbiosi, permettendo al microbiota di ritornare ai livelli di base anche dopo stress che invece comprometterebbero l’equilibrio di un microbiota “non resiliente” (Dogara et al 2020). Uno dei fattori predominanti correlati alla resilienza, sarebbe proprio la variabilità del microbiota (cioè dei microganismi presenti), ottenibile prevalentemente con uno stile di vita adeguato ed attento alla salute intestinale (vedi capitolo successivo).

    Alcuni autori (Segata 2020) indicano come le popolazioni occidentali (maggiormente esposte all’inquinamento e a diete ricche di alimenti raffinati e di grassi) abbiano un microbiota intestinale dotato di una minore ricchezza batterica, rispetto alle popolazioni non occidentalizzate. Non solo è stato visto come la ricchezza batterica delle popolazioni non occidentalizzate, fosse maggiormente affine a quella dei nostri antenati (comparati a quelli della mummia “Iceman” di Bolzano, che ha 5300 anni), ipotizzando una tendenza a “perdere” questa diversità con regimi alimentari poco vari, stili di vita poco attivi e poco contatto con la natura.

    Nell’immagine sopra potete vedere una semplificazione di come ci sia un legame veramente solido tra ogni individuo il “proprio” microbioma. Ma vogliamo andare più nel dettaglio e capire quali sono quelle variabili dello stile di vita che, più di altre, possono avere un impatto positivo nei confronti del Microbiota e come approfondirne la conoscenza. Le ritroverete nel prossimo capitolo.

    Attività concrete

    Da quanto scritto sopra, è possibile ipotizzare come la salute del microbiota (che inevitabilmente influenza anche la nostra) sia correlata a diversi fattori; di conseguenza, è l’insieme delle abitudini a fare la differenza, non il singolo alimento o l’integratore del momento a determinare l’efficienza della popolazione microbica che “frequenta” il nostro intestino ed il resto del nostro organismo.

    Sotto riportiamo alcuni consigli per informarsi ed agire concretamente:

    • Segui uno stile di vita corretto; tu ed il tuo microbiota ne trarrete doppiamente beneficio.
    • Se hai sintomi che possono far intuire un caso di disbiosi (li abbiamo visti sopra), vai dal tuo medico che ti prescriverà gli esami necessari.
    • Approfondisci ulteriormente le variabili che influenzano il Microbioma; quando si va alla ricerca di contenuti su argomenti molto “giovani” è importante aggiornarsi con i libri pubblicati più recentemente o seguire gli autori che lavorano tutt’ora su tale ambito. Per questo consiglio il testo Microbioma, intestino e salute (di Fabio Piccini) e, il più recente, Microbiota, L’amico invisibile.
    • Se invece sei particolarmente curioso di conoscere meglio il tuo microbioma per comprendere eventuali atteggiamenti individualizzati che possono aiutarti a stare meglio, allora puoi partecipare al Progettomicrobiotaitaliano. È comunque da considerare che gli esiti di tali esami (oltre ad essere abbastanza costosi) richiederanno l’interpretazione da parte di personale medico competente in materia.

    Possiamo quindi concludere come sia importante considerare il nostro corpo come un elemento che vive in simbiosi con il nostro Microbiota; è un passo non facile da fare, perché idealisticamente abbiamo sempre pensato a noi stessi come un qualcosa che interagisce solamente con l’ambiente esterno. Acquisire conoscenze sull’interazione con il nostro Microbiota ci aiuterà ad avere maggiori indicazioni per stare meglio e diventare più efficienti.

    Tutto questo sarà possibile solamente se da parte nostra ci sarà la volontà di fare le scelte più corrette al fine di raggiungere questo obiettivo; probabilmente è questo il “passo” più difficile da fare, ma anche quello che ci permetterà, nel lungo termine, di stare meglio ed essere più felici con noi stessi.

    Per gli sportivi e per chi ha uno stile di vita attivo, consigliamo di leggere anche il nostro articolo Microbiota e performance atletica.

    Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi essere informato sulle nostre prossime pubblicazioni e sui futuri aggiornamenti, collegati al mio profilo linkedin. Visita inoltre la nostra pagina dedicata alla nutrizione ed integrazione; potrai trovare indicazioni utili per migliorare il tuo stile di vita alimentare. 

     Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it) preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  3. Integratori alimentari: quando sono veramente necessari

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    Sugli integratori alimentari si legge di tutto: chi li promuove, ne sottolinea/promette i benefici, mentre la classe medica tende a consigliarli solo quando necessari. Ma quando sono veramente necessari? Con questo post cercheremo di chiarire le 3 tipologie di integratori esistenti (in base al tipo di utilizzo) per informarvi in maniera critica sull’argomento; nei prossimi post invece, cercheremo di analizzare le singole sostanze, per darvi le indicazioni più precise sull’efficacia dei singoli prodotti, considerando non solo i prodotti in sé, ma anche la serietà (o meno) delle case produttrici. In fondo all’articolo, troverete le recensioni degli integratori più utilizzati.

    CHI HA BISOGNO ASSUMERE INTEGRATORI ALIMENTARI?

    La definizione attuale di integratore è la seguente (presa dal decreto legislativo del 21 Maggio 2004):

    “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”

    Semplificando, si possono definire come prodotti alimentari con effetto nutritivo o fisiologico che vanno ad integrare la normale alimentazione quando se ne presenta la necessità; ma qual è la differenza con i farmaci? I farmaci, per definizione, sono sostanze che hanno effetti biologici marcati, cioè principi attivi che, con bassi dosaggi, possono indurre risposte particolarmente evidenti nell’organismo. Gli integratori invece, dovrebbero avere un effetto paragonabile a quello del cibo, e per questo utilizzati quando con l’alimentazione non si riesce ad avere un introito sufficiente delle sostanze necessarie alla salute dell’organismo. Questo non significa che è possibile alimentarsi “male” e supplire le carenze con un integratore; infatti una dieta corretta e un’adeguata attività fisica sono gli elementi essenziali per la salute che non potranno mai essere sostituiti da nessun integratore!

    Facciamo l’esempio dei multivitaminici; un integratore con un numero definito di sostanze (anche a dosaggio elevato) non potrà mai supplire ad una dieta variata con almeno 5 porzioni di frutta/verdura al giorno. Nella frutta/verdura non sono presenti solamente vitamine e sali minerali, ma anche altre famiglie di sostanze ad azione benefica come gli antiociani, procianidine, flavoni, nitrati inorganici e tanti altri…che ovviamente possono essere garantiti all’organismo solamente grazie ad una dieta corretta. Ovviamente per alcuni soggetti può presentarsi la necessità di integrare un’alimentazione corretta con un multivitaminico/multiminerale, ma sarà un medico o dietologo a stabilire questo tipo di necessità.

    Fatta questa breve premessa, è lecito chiedersi: chi deve prescrivere l’utilizzo degli integratori?

    Per questi prodotti non è necessaria la prescrizione medica, ma è consigliabile (anzi, necessario) assumere integratori solamente dopo il parere di personale medico, che può essere un dietologo, un medico-sportivo, il proprio medico curate, il medico della propria società sportiva, ecc.

    BUFALE ED INTEGRATORI

    Nel 2005 scrissi un libro con un mio collega nel quale recensimmo (dal punto di vista scientifico) le 150 sostanze più vendute nel mercato degli integratori; fù la prima volta che mi accorsi quanto in questo ambito si giochi sulle “presunte” efficacia di diversi prodotti (ma non ovviamente tutti). Spesso dietro ad etichette possibilistiche che si possono leggere su un prodotto (come “potrebbe aiutare a migliorare la resistenza….”, oppure “aiuta a dimagrire se accoppiata a dieta ipocalorica e regolare attvità fisica….”), si palesano mancanze di evidenza scientifica su gruppi rappresentativi della popolazione. Ma facciamo sotto degli esempi per essere più chiari:

    • Il principale motivo per cui molti effetti presunti di diversi prodotti non si concretizzano in effetti reali, sono le lacune scientifiche di alcune ricerche. Infatti affinchè il risultato di una determinata ricerca (“effetto presunto”) possa essere considerata scienza (cioè “effetto certo”), sono necessarie diverse decine di studi che confermano tale esito nelle stesse condizioni e sullo stesso tipo di popolazione (sedentari, atleti, ecc). In sostanza, citare qualche studio che ha dato risultati positivi di una determinata sostanza, non è sufficiente!
    • Uno degli altri errori più comuni, è quello di generalizzare su tutta la popolazione, conclusioni ottenute solo su una parte di essa. Facciamo un esempio: su pazienti sottoposti a pesanti interventi chirurgici è stato visto che l’assunzione di glutammina era in grado di ripristinare più velocemente il sistema immunitario e la massa muscolare. Su soggetti normali, questo effetto non è mai stato provato, rendendo inefficace qualsiasi tipo di integrazione di questo prodotto ad esclusione di soggetti ospedalizzati.
    • Potenza degli effetti: questo è un fattore cardine per verificare l’efficacia o meno di un prodotto. Facciamo l’esempio del CLA (acido linoleico coniugato): è stato visto che l’integrazione con questo prodotto è in grado di stimolare alcune vie metaboliche responsabili del consumo dei grassi, ma l’effetto pratico (in termini di riduzione del peso) è talmente blando da essere praticamente nullo, rendendo quindi inopportuna l’integrazione con questa sostanza. Questa può essere la conclusione che si può trarre da tutti gli integratori dimagranti da banco presenti sul mercato. A chi non ci credesse, invito a leggere questa review del 2012.

    Di esempi ce ne possono essere ancora diversi, ma già questi fanno capire quanto sia importante, nella decisione di assumere determinati prodotti, il parere di personale medico qualificato in tale ambito! Per chi volesse leggere una trattazione dettagliata ed indipendente, consiglio il libro di Roberto Albanesi.

    QUALI RISCHI PER LA SALUTE?

    I casi in cui possono dare problemi sono prevalentemente quelli in cui si presenta un cattiva assunzione; questa può verificarsi nei casi di:

    • Effetti collaterali: si presentano parallelamente agli effetti ricercati da un integratore ai dosaggi raccomandati. Alcune sostanze non presentano effetti collaterali, mentre altre si; la maggior parte delle volte si verificano per chi ha determinate allergie, intolleranze o situazioni patologiche (malattia apparato digerente, ecc.).
    • Sovradosaggio: sono gli effetti dovuti ad assunzioni eccessive o superiori a quelle raccomandate per un determinato soggetto. Per alcune sostanze, la soglia di sovradosaggio (ovvero la quota che può dare questo tipo di effetti negativi) è molto lontana dal dosaggio efficace, mentre per altre (vedi Vitamina A) è più vicina. Per questo motivo, è sempre bene attenersi ai dosaggi raccomandati da chi ne prescrive l’assunzione.
    • Interazioni: è data dall’influenza più o meno reciproca delle sostanze con altre, che possono determinare squilibri fisiologici. I prodotti che rischiano di dare maggiori problemi sono quelli di cui non si ha una conoscenza approfondita, come alcune erbe; ad esempio, l’Echinacea interagisce con diversi metabolismi legati ai farmaci. Per questo motivo, i soggetti che assumono farmaci o sono in stato fisiologico particolare (bambini, anziani, donne incinta) dovrebbero con maggior risoluzione chiedere informazioni al proprio medico prima di assumere integratori.
    • Controindicazioni: si riferisce al certo effetto negativo di una sostanza per determinati soggetti. La maggior parte sono riferite a soggetti che soffrono di alcune patologie, sindromi, problematiche associate ad alcuni organi (come la colite) o che assumono farmaci.

    Tutte queste considerazioni ovviamente non devono spaventare, ma far prendere coscienza dell’importanza del parere di personale medico qualificato prima di assumere gli integratori.

    GLI EFFETTI DEGLI INTEGRATORI

    Prima di passare alla suddivisione delle sostanze, è fondamentale ribadire ulteriormente che quando si parla di effetti è da chiarire l’evidenza scientifica (certezza/incertezza) di determinati effetti, la potenza degli effetti (cioè “quanto” beneficio concreto apporta) e i casi di utilità di un determinato prodotto (sedentari, individui con carenze, sportivi, ecc.). Al sito Informationisbeautifull è presentato un grafico illustrativo e interattivo in cui è possibile vedere evidenza/potenza/utilità degli effetti; ovviamente le informazioni presenti sono parziali ed incomplete (aggiornate al 2015), quindi non utilizzabili, ma rendono veramente l’idea di quelle che possono essere le certezze o le incertezze legate all’utilizzo delle singole sostanze.

    LE TIPOLOGIE DI INTEGRATORI

    Al fine di semplificare e dare un’idea più chiara della tipologia di prodotti, abbiamo deciso di dividerli in 3 classi principali:

    • Integratori da carenza: sono quelli che arrecano un reale vantaggio solamente se il soggetto ha una carenza della sostanza in questione. È il classico esempio dei casi di ipovitaminosi, in cui la carenza di una determinata vitamina porta a sintomatologie che vengono eliminate con una corretta integrazione. Rientrano in questo contesto anche le sostanze di cui non si ha una reale carenza, ma di cui l’integrazione, in alcuni casi, è efficace come prevenzione; basti pensare all’acido folico per le donne incinta o la Vitamina D per gli atleti che vivono nel Nord dell’Europa.
    • Integratori da surplus: sono sostanze prodotte anche dal nostro corpo o introdotte con l’alimentazione, ma che se correttamente integrate (anche in assenza di carenza) possono portare dei reali vantaggi in alcune tipologie di soggetti; tra queste troviamo anche la creatina per i Body Builder, il succo di barbabietole per gli atleti di endurance oppure gli integratori a base di carboidrati per chi corre la maratona.
    • Integratori ergogenici: ci si riferisce a sostanze che il nostro corpo non produce, ma che se assunte correttamente possono dare benefici (per alcune categorie di soggetti) senza effetti avversi. In questa categoria troviamo anche la caffeina (come stimolante) o la beta-alanina per sforzi di natura lattacida. Sono comunque sostanze di cui c’è da leggere con particolare attenzione i dosaggi e le avvertenze.

    CONCLUSIONI

    La scelta ricorrere agli integratori non può essere determinata dal “desiderio” del soggetto di migliorare uno o più aspetti della propria vita, ma solamente dalla necessità comprovata da personale medico competente in materia…partendo dal presupposto che uno stile di vita corretto è la prima decisione da fare se si vuole migliorare la qualità della propria vita. Consigliamo il libro di Albanesi e Lucarelli per chi volesse approfondire in maniera dettagliata le singole sostanze; vi invitiamo anche a leggere attentamente il nostro post dedicato alla qualità dei prodotti, cioè la nostra guida alla scelta delle migliori marche di integratori.

    Andando alla pagina principale dedicata alla nutrizione, puoi trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  4. Vegani o carnivori: chi ha veramente ragione?

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    (Aggiornato al 09/04/2021)

    Il dibattito tra vegani e carnivori sta assumendo sempre di più i connotati di un “diverbio acceso” tra tifosi di squadre opposte…cioè un qualcosa sostenuto più dall’emotività della propria scelta, che da ragioni razionali. Questi tipi di dibattiti, molto aspri e poco costruttivi, non aiutano a comprendere sempre a pieno le giuste motivazioni delle varie posizioni. Però l’argomento è di importanza rilevante, per il fatto che coinvolge tutti gli ambiti della vita di un individuo, e non solo quello alimentare; con questo post, cercheremo di affrontare il dibattito nella maniera più razionale e scientifica possibile.

    Indipendentemente dal fatto che siate carnivori, onnivori, vegetariani o vegani, troverete interessante questo post, in quanto la risposta alla domanda del titolo è formata da 2 semplici parole….cioè SALUTE e SOSTENIBILITA’! Buona lettura!

    ALCUNI CHIARIMENTI PRIMA DI INIZIARE

    Sarebbe più corretto definire il regime alimentare tipico dell’uomo come onnivoro, piuttosto che carnivoro; questo perché l’uomo tende a cibarsi sia di alimenti vegetali che animali. Un vegano invece, per scelta propria, non si nutre di animali (carne e pesce) o di loro prodotti; anche il vegetariano non si nutre di animali, ma mangia i loro prodotti come latte, latticini, uova e miele.

    Gli approfondimenti degli effetti della carne sulla salute (vedi il legame tra Alimentazione e Tumori), impongono di differenziare (con dovute semplificazioni) questa in 3 categorie principali:

    • Carni lavorate: carni che hanno subito un processo di lavorazione (stagionatura, affumicatura, salatura o aggiunta di conservanti) che ne prolunghi la conservazione o ne alteri il gusto. Questo tipo di alimenti è stato riconosciuto ufficialmente dall’OMS come causa di tumori.
    • Carni rosse: carni da animali da macello come manzo, bue, vacche, cavallo e pecora. Queste sono riconosciute come cause probabili (ma non certe) di tumore, per cui se ne consiglia un consumo moderato, cioè non oltre (secondo il World Cancer Research Fund International) i 350-500g a settimana. Come vedremo nel successivo paragrafo, l’allevamento di questo tipo di carne, è quello con il maggior impatto ambientale.
    • Carni bianche: carne da animali da cortile come pollo, tacchino, coniglio, maiale, agnello, vitello, e capretto. Queste carni (se “non lavorate”) non sono riconosciute come cause di tumori e comportano (a parte il vitello) un impatto ambientale inferiore rispetto alle carni rosse.

    LE RAGIONI DEL VEGANESIMO

    Le ragioni principali che spingono una persona a diventare vegana sono fondamentalmente 3:

    • Etica e rispetto per la vita degli animali: è la motivazione che, più di altre, nasce da principi di natura personale, quindi non opinabili su base individuale.
    • Impatto sulla salute: malgrado i vegani siano convinti che il loro stile alimentare sia più salutistico perché non presenta la carne nella loro dieta, questa convinzione è errata. Infatti è scientificamente provato che è più facile seguire le linee guida alimentari corrette da onnivori piuttosto che da vegani; infatti, rinunciando alle fonti animali, si corre il rischio di andare incontro a carenze di diverse sostanze (prima di tutte, la vitamina B12). Per questo motivo, i vegani devono seguire un’integrazione adeguata (prescritta da personale medico) per supplire a queste carenze.
    • Ragioni legate allo sfruttamento e degradazione dell’ambiente: questa motivazione, è probabilmente la più interessante, perché evidenzia concetti che coinvolgono tutti (soprattutto le generazioni future) e non solo i vegani. Approfondiremo queste ragioni nel prossimo paragrafo.

    CONSUMO DI CARNE ED AMBIENTE

    Secondo il PNAS (Proceedings of the National Accademy of Sciences) e l’ONU, per produrre 1 Kg di carne di Manzo servono più di 15000 litri d’acqua, 15 Kg di cereali e 34 Kg di CO2. Questi sono i dati secondo i quali si stabilisce l’impronta ambientale della veganiproduzione e lavorazione di un alimento. Non solo, sempre per nutrire 1 Kg di carne rossa da macello, serve in media una superficie coltivabile 30 volte più grande rispetto a polli e maiali, e si inquina 5 volte di più; questo sfruttamento del territorio provoca un’occupazione di suolo (con ripercussioni sulla deforestazione) 15-20 volte superiore, rispetto allo sfruttamento necessario per le coltivazioni necessarie per nutrire esclusivamente l’uomo. Tutto questo, ha importanti ripercussioni sul surriscaldamento globale, con i danni a cui giornalmente assistiamo.

    Tutti questi dati suggeriscono che indipendentemente dal fatto di essere vegani o meno, i consumi medi di 90 Kg all’anno di carne per un Italiano (125 Kg all’anno per un Americano) sono eccessivi, soprattutto per la carne da allevamenti di bovini, anche in virtù del legame tra l’eccesso di questa e tumori.

    CONSUMO DI PESCE E AMBIENTE

    Attualmente in Europa il consumo pro capite di pesce è di 23 kg l’anno, circa il doppio di 50 anni fa; praticamente consumiamo più pesce di quanto l’oceano ne possa produrre (fonte WWF).

    Questo sfruttamento, in aggiunta all’inquinamento mette in pericolo gli ecosistemi marini e le comunità di pescatori locali che vivono grazie a questo sostentamento.

    Inoltre, l’acquacoltura non è una soluzione, in quanto rischia di danneggiare l’ambiente marino e produce scarichi dannosi per l’ambiente.

    All’interno di questo contesto, è comunque possibile un consumo sostenibile delle specie ittiche, anche soddisfacendo il fabbisogno di pesce consigliato dalle linee guida (2-3 porzioni a settimana); questo è possibile seguendo alcune indicazioni, sintetizzate e semplificate nell’immagine sotto.

    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Per approfondire, consigliamo di leggere il nostro articolo Omega 3, sport e sostenibilità.

    QUAL’E’ LA SCELTA IDEALE?

    Con questo post non si vuole demonizzare in maniera assoluta il consumo di carne rossa, ma guidare verso una scelta che tenga in considerazione 2 parametri principali, cioè la SALUTE e l’IMPATTO AMBIENTALE. Se la parte relativa alla salute l’abbiamo abbondantemente sviscerata nel post specifico, ci teniamo ad approfondire il concetto di Sostenibilità e Sovranità alimentare. Infatti, privilegiando la stagionalità, la varietà, l’agricoltura ed allevamenti locali si ha un minor impatto sull’ambiente, con gesti che permettono, nel lungo termine, una maggior salvaguardia dell’ambiente! Purtroppo invece, l’economia alimentare odierna tende a bruciare le risorse e spingere al consumo, basta notare la trattative per il TTIP, che mirano ad abbassare gli standard e le regole sanitarie/fitosanitarie dell’Europa per facilitare i profitti. Per questo, si rende più che mai necessaria un’Educazione alimentare che parte dal basso (sin da età scolare), e che dia indicazioni non solo sulla salute, ma anche sulla sostenibilità di quello che si mangia. Tutto questo, affinchè le generazioni future possano rispettare il lavoro e l’ambiente, con positive ripercussioni sulla loro vita. Se invece si continuerà a bruciare le risorse, esclusivamente per produrre guadagni, si lascerà ai nostri figli e nipoti una pesante eredità che non avrebbero mai voluto e non ci avrebbero mai chiesto! A completamento di questo concetto, vi invito a vedere l’intervista a Carlo Petrini, il fondatore di Slow food.

    CONCLUSIONI FINALI

    Con questo post, speriamo di aver chiarito che, la diatriba tra “Carnivori” e Vegani, andrebbe posta ad un livello superiore, che non tenga in considerazione il solo consumo di carne e derivati. Sicuramente, ridurre il consumo di carne rossa da macello (per chi ne mangia una quantità eccessiva) ha ripercussioni positive su vari aspetti della vita, ma è necessario avere la consapevolezza di tutto quello che si mangia e di quello che si compra quando si va a fare la spesa.

    Sostenibilità e Sovranità alimentare

    Ma come avere le indicazioni per fare una spesa consapevole?

    Purtroppo oggi non esistono norme sull’etichettatura dei prodotti che facilitano questo tipo di scelte; questo perché, contrariamente a quello che accade per l’alimentazione, le istituzioni tardano a dare regole che seguono questo tipo di mentalità. Fortunatamente la FAO ha fornito le 10 regole per un’alimentazione sostenibile, che tutti possono comprendere e seguire; inoltre il Barilla Center for Food & Nutrition ha prodotto il concetto di Doppia piramide alimentare (accessibile a tutti i livelli di conoscenza), che tiene in considerazione l’impatto dei cibi, sia dal punto di vista salutare che dal punto di vista della sostenibilità ambientale.

    doppia piramide ambientale alimentare

    Non rimane altro che decidere, quotidianamente e in maniera responsabile, che priorità dare non solo alla propria salute, ma anche all’eredità di chi verrà dopo di noi!

    Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi dare un’occhiata agli altri articoli su alimentazione e integrazione nel nostro sito, ti invitiamo ad andare alla pagina principale dedicata all’argomento.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  5. Perché, e come, l’attività fisica fa bene alla salute (benefici ed aspetti metodologici)

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    L’attività fisica fa bene! Questo lo sappiamo tutti; ma a quali “dosi”? A quale intensità? Qual’è il limite minimo per avere dei vantaggi significativi? Troppa attività sportiva fa male? Queste sono domande lecite, a cui spesso si sente rispondere in maniera non sufficientemente dettagliata! Quante, tra le persone che “consigliano” di fare sport (e il modo di farlo), hanno letto le ultime meta-analisi (più avanti spiegheremo cosa sono) sull’argomento?

    Non preoccupatevi, è possibile districarsi tra tutte queste domande e avere delle risposte; è quello che faremo in questo post! Subito analizzeremo le meta-analisi (cioè le ricerche scientifiche che riassumono non solo i risultati, ma anche la potenza degli effetti delle altre ricerche) più recenti per dare il giusto risvolto statistico alle linee guida che daremo di seguito (consigliando libri adeguati all’argomento) e nel prossimo post. Non solo, alla fine dell’articolo altri “2 paragrafi bonus”: nel primo analizzeremo una ricerca che ha confrontato la durata e qualità della vita tra persone comuni e podisti amatori (tutti over 50) per 21 anni. Nel secondo analizzeremo brevemente l’ultima meta-analisi sui rapporti tra attività sportiva e cancro.

    Mettetevi comodi per leggere il post; vista l’importanza dell’argomento non aspettatevi un articolo breve, ma potrete leggerlo con calma un paragrafo alla volta!buona lettura con scritta

    ANALISI DELLE RICERCHE RECENTI

    Nel 2008, il governo statunitense, stabilì le linee guida (sulla base delle ricerche scientifiche pubblicate fino ad allora) per l’attività fisica, al fine di allungare l’aspettativa di vita e migliorarne la qualità; nel documento (76 pagine!) emerge, come raccomandazione principale, quella di dedicare all’attività fisico-sportiva ALMENO:

    • 150’ a settimana di attività ad intensità moderata (70-75% del massimo potenziale aerobico, che equivale alla corsa lenta per soggetti con un minimo livello di allenamento).
    • 75’ a settimana di attività ad intensità vigorosa: in questo caso non viene specificata l’intensità in base al massimo potenziale aerobico.
    • Un equivalente/misto tra le 2 raccomandazioni sopra.

    linee guida attività sportivaDa questi primi aspetto, emerge come l’attività aerobica (cioè quella chi richiede un consumo di ossigeno medio-alto per diversi minuti) sia il tipo di esercizio da preferire (per vivere a lungo e meglio) e che il dosaggio raccomandato (150’ media intensità / 75’ alta intensità) sia solo il livello minimo per avere dei miglioramenti significativi. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha cercato di approfondire se e quanto questi effetti potessero esser migliorati con “disaggi” superiori

    COME QUANTIFICARE I BENEFICI (RISCHIO RELATIVO)

    Prima di analizzare le “dosi ottimali” è da chiarire come a livello scientifico si “stabilisce il beneficio” dell’attività fisica, cioè tramite il Rischio Relativo in relazione al Rischio di Morte (mortalità). Il rischio relativo (in questo contesto risk rate, RR) è la probabilità di morte di un soggetto attivo, rispetto ad un soggetto “non attivo”. Se il RR fosse 1, allora la probabilità di morte sarebbe la stessa (tra i soggetti attivi e sedentari), mentre con valori inferiori, l’aspettativa di vita sarebbe superiore per i soggetti attivi. Per avere un’idea più chiara, guardiamo l’immagine sotto:

     

    Rischio relativo attività sportivaL’immagine è presa dalla Meta-Analisi di Arem e coll 2015 (JAMA Intern Med), nella quale vennero analizzati i risultati di 6 ricerche per un totale di più di 660.000 persone (con 12 anni medi di follow-up). Nell’asse orizzontale sono riportati i minuti di attività (ad intensità media), mentre sull’asse verticale il Rischio Relativo (RR); com’è possibile vedere, i soggetti che praticano un totale di attività fisica fino ad una durata pari alle linee guida americane (i famosi 150’) hanno un RR pari a 0.8, cioè hanno “circa” il 20% in meno di rischio di morte rispetto ai sedentari!! I soggetti che praticano da 150-300’ minuti di attività fisica corrono un RR ancora inferiore, cioè di 0.69 (cioè circa il 31% in meno); la soglia minima ottimale per ottenere i massimi benefici (RR=0.61, cioè circa il 39% di rischio di morte in meno) è da considerare da 3 a 5 volte le dosi raccomandate (cioè da 450’ a 800’). Inoltre, a livello statistico, non sono stati riscontrati peggioramenti del RR a dosaggi 5-10 volte superiori a quelli raccomandati!

    Invito a riflettere su questi dati/benefici, che sono particolarmente ragguardevoli a “dosaggi” (cioè tempo dedicato all’attività) non indifferenti!

     

    ALTRI PARAMETRI

    L’elevata affidabilità dei dati citati sopra, son dati dal fatto che tali indici (RR) sono stati aggiustati in base alle altre variabili che possono influenzare tali risultati (obesità, fumo, sesso, età, ecc.)! L’intensità rappresenta un ulteriore elemento che può apportare dei benefici sulla durata di vita: malgrado non sia possibile avere degli indici (RR) precisi (perché la differenza tra le varie intensità di allenamento sono state meno indagate), inserire periodi/tratti di alta intensità nella propria pratica sportiva, apporta (a pari tempo dedicato) degli ulteriori benefici!

    3d runA questo punto della lettura spero che le idee siano più chiare; chi non ha mai praticato attività fisico/sportiva può comunque chiedersi: “ma volendo, io sono in grado di effettuare tutta questa attività?” La risposta è SI, a patto di aver l’adeguata idoneità (fattore fondamentale che analizzeremo dopo, soprattutto in relazione all’intensità), di seguire un approccio estremamente graduale ed essere adeguatamente motivati! Quindi, idoneità, gradualità nell’allenamento e motivazione (cioè percepirne l’efficacia e il divertimento) sono fattori estremamente importanti nell’approccio che si deve avere con la pratica sportiva. Non preoccupatevi, approfondiremo queste importanti variabili di seguito; ora continuiamo a comprendere quello che emerge dalle ricerche.

    Altra meta-analisi (6 ricerche, più di 650000 persone con follw up medio di 10 anni) estremamente interessante è quella di Moore e coll 2012 (PLOS Medicine), che arrivò ovviamente a conclusioni simili a quelle di Arem, ma cercando di valutare in termini “guadagno di anni di vita” e non di RR; permette comunque di aggiungere qualcosa a quanto sappiamo già:BMI

    • L’indice di massa corporea (BMI, vedi sopra la formula) è un elemento che influenza l’aspettativa di vita; cioè tanto più si è sovrappeso/obesi (cioè tanto più il BMI è alto) e tanto minore è l’aspettativa di vita. Questo si conosceva già da tempo e sotto potete vedere un grafico estrapolato da una ricerca pubblicata su Lancet nel 2009; quello che aggiunge la ricerca di Moore è che soggetti obesi di “Classe I” (BMI tra 30 e 35, cioè 87-101 Km per un soggetto di 170 cm) ma attivi, hanno una maggiore aspettativa di vita rispetto a soggetti magri, ma inattivi. Individui obesi di “Classe II o superiore” (BMI superiore a 35, cioè più di 101 Km per un soggetto di 170 cm) attivi, hanno la stessa aspettativa di vita di soggetti inattivi. Da qui, si evince che il peggioramento dell’aspettativa di vita dovuto all’inattività, è più grave di un grado di obesità moderata!

    Indice di massa corporea e mortalità: secondo Lancet 2009 373: 1083-96
    Indice di massa corporea e mortalità: secondo Lancet 2009 373: 1083-96

    • L’essere fumatori accorcia l’aspettativa di vita di circa 10 anni.
    • L’introduzione di periodi/tratti ad alta intensità allunga la vita di 3.8 anni.
    • Le donne beneficiano maggiormente degli effetti dell’attività fisica rispetto agli uomini (Samitz e coll 2001; Int J Epidemiol).

    CANCRO ED ATTIVITA’ FISICA

    Prima di giungere alle conclusioni (e ai risvolti applicativi) finali, riportiamo le conclusioni dell’ultima Meta-analisi di Moore e coll 2016 (JAMA Intern Med). Questo è un lavoro veramente importante, perché analizza il legame tra attività sportiva e 26 tipi di cancro, su un campione superiore a 1.44 milioni di partecipanti. La differenza tra i soggetti più attivi e quelli meno attivi del campione (sostanzialmente tra il 10° percentile e il 90° percentile) diede le seguenti percentuali di riduzione di rischio di contrarre il cancro in 13 tipi di tumore (vedi immagine sotto).sport e tumori

    Unica tipologia di tumore associato all’attività fisica (+27% nella ricerca) è il melanoma maligno; probabilmente tale risultato è un’evidenza non tanto dell’attività in sé, ma dal fatto che chi pratica molta attività sportiva all’aperto è maggiormente esposto al sole, e solitamente non tiene in considerazione la possibilità degli effetti negativi dell’esposizione solare in alcuni momenti del giorno e dell’anno. È ragionevole ipotizzare che una protezione adeguata dall’esposizione al sole (soprattutto per i soggetti più sensibili a questo aspetto e nei periodi più caldi) elimini tale rischio.

    CORSA E ASPETTATIVA DI VITA

    La peculiarità della ricerca di Chakravarty e coll 2004 (Arch Intern Med) sta nel fatto che non confrontò soggetti attivi con sedentari, ma

    • Un gruppo di podisti, amatori della corsa (over 50), appartenenti ad un gruppo podistico
    • Con un campione (pari età, cioè circa 50 anni) rappresentativo della “media” della popolazione…cioè nella quale erano presenti sia sedentari che soggetti attivi.

    Lo studio ebbe una durata di 21 anni (quindi alcuni soggetti finirono la ricerca a più di 70 anni) e alla fine il RR del gruppo podistico fù di 0.40 (fondamentalmente per ogni podista, morirono 2.5 persone dell’altro gruppo)…poi aggiustato a 0.61 (in base ad altre variabili come il fumo, obesità, ecc.), ampiamente in linea con i risultati che abbiamo citato nella prima ricerca in alto (cioè quella di Arem). A questo link potete vedere la progressione del rischio di mortalità con l’avanzare degli anni dello studio.disabilità progressiva

    Nella tabella sopra invece è riportato un altro aspetto importante, cioè la qualità della vita! Fino ad ora abbiamo parlato di longevità, ma è ovvio che l’attività fisico/sportiva è in grado di migliorare la qualità della vita oltre che la durata. Nel grafico sopra (sempre dallo stesso studio di Chakravarty) è rappresentato l’andamento del livello di disabilità (più è alto e maggiore è la disabilità) nei 2 gruppi; appare evidente che con il passare degli anni (sopra i 50 anni, che è l’età media ad inizio ricerca) per il gruppo di controllo, la qualità della vita peggiorò in maniera estremamente più significativa rispetto ai podisti. Unica lacuna di questa ricerca è il fatto di non aver approfondito il livello di allenamento dei podisti (cioè quanti minuti di corsa effettuavano a settimana). Conoscendo però la “categoria”, è ragionevole ipotizzare che chi partecipa alla vita di un Gruppo podistico, si alleni 3-5 volte a settimana (media 40-60’ alla volta) ad intensità media-elevata. Gli elementi che aggiunge questo studio agli altri già citati sono:

    • Oltre all’aspettativa di vita, un corretto programma di attività fisico/sportiva migliora anche la qualità della vita
    • Se si pratica un’attività sportiva (a patto di aver l’idoneità di farla) a livello amatoriale/agonistico, si riesce ad unire il piacere della pratica ai benefici dello sport!

    benefici sport

    CONCLUSIONI ED APPLICAZIONI PRATICHE

    Sintetizzando i paragrafi sopra, possiamo concludere quanto segue*:

    • 150’ ad intensità aerobica media sono il “dosaggio minimo” per avere dei vantaggi evidenti dall’esercizio fisico/sportivo.
    • I vantaggi sono dose-dipendenti (cioè maggiori quanta più attività viene fatta) fino a 3-5 volte (450-750’ circa) il “dosaggio minimo”.
    • L’inserimento di periodi/tratti ad alta intensità, migliora ulteriormente tali vantaggi.
    • I benefici sono sia sulla longevità che sulla qualità della vita; nell’immagine sotto è possibile alcuni dettagli estrapolati dalla review (ricerca che riassume quanto esistente in letteratura scientifica) di Pedersen e Saltin 2015 (Scand J Med Sci Sports). Questi sono tanto più evidenti tanto più si invecchia e nelle donne.
    • La potenza degli effetti di un corretto esercizio fisico è da considerare come una vera e propria “medicina”; non a caso la review di Pedersen e Saltin (citata nel punto 4) s’intitola “Esercizio fisico come medicina: evidenze per la prescrizione dell’esercizio come terapia in 26 differenti malattie croniche”. Di conseguenza è fondamentale l’aspetto motivazionale nel prendere parte ad attività che siano gratificanti non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche psico-sociale!

    * Queste considerazioni ovviamente valgono per soggetti con idoneità (aspetto che approfondiremo di seguito) a questo tipo di attività (ad esempio per chi ha l’idoneità agonistica). Per tutti gli altri, valgono le indicazioni date dallo specialista che ha validato il tipo di idoneità specifica.

    benefici

    IDONEITA’

    Rappresenta il prerequisito più importante di un programma strutturato: questa dipende principalmente da aspetti cardiorespiratori, ortopedici e medici! Se non si ha mai praticato sport, la prima cosa è recarsi da proprio medico e farsi prescrivere visite, esami ed accertamenti da fare in base al programma che ci si è stabiliti. Stessa cosa vale se si ha sempre praticato sport, ma non a livello agonistico; per questi soggetti, in alternativa è anche possibile effettuare la visita di idoneità sportiva agonistica per sport di resistenza (come Atletica leggera, Ciclismo, ecc.), che comprende tutti i test/esami utili per quantificare l’idoneità. Per chi invece pratica (o intende praticare) sport a livello agonistico, l’idoneità sportiva agonistica è obbligatoria per legge. Non ci dilunghiamo ulteriormente sull’argomento, perché rimane di competenza medica; quello che è importante comprendere è che

    il tipo di idoneità (accertato e definito da personale medico) definisce quanto il proprio programma possa essere aderente alle linee guide citate sopra!

    Ma chi ottiene l’idoneità agonistica (o semplicemente l’idoneità ad aderire alle linee guida) può dedicarsi all’attività sportiva senza limiti? Ovviamente, a questo punto, il buon senso deve essere la guida; esistono comunque dei limiti da tenere in considerazione:

    • Limite sociale: il lavoro, la famiglia ed altri aspetti della vita non sempre consentono di dedicare all’attività sportiva il tempo desiderato.
    • Limite metodologico: ogni organismo ha un limite di “carico atletico massimo” che può tollerare (varia da persona a persona, in base all’età e dal grado di allenamento). Se un maratoneta di livello olimpico, in alcuni periodi dell’anno corre anche più di 200 km a settimana, non significa che possano farlo tutti! Oltre il proprio “carico atletico massimo” incrementa il rischio di infortuni, di ammalarsi o semplicemente di risentire pesantemente sullo stress psico-fisico.
    • Limite ambientale: esistono condizioni fisico-ambientali (particolarmente caldo, particolarmente freddo o semplicemente pericoli dovuti alle caratteristiche della location dove ci si trova) che implicano un ridimensionamento o particolari attenzioni nell’attività sportiva.

    STIMOLI E MOTIVAZIONE

    Rappresentano “croce e delizia” di chi desidera fare sport; infatti esistono soggetti particolarmente motivati che (per motivi di lavoro, familiari, ecc.) non trovano il tempo desiderato per fare sport. Altri, trovano qualsiasi scusa (troppo caldo, troppo freddo, troppa “fiacca”, ecc.) per non fare sport/attività; in questi casi il motivo è semplice: “la sensazione di fatica supera il divertimento e la percezione dei benefici”. È ovvio che gli stimoli dipendono da 2 aspetti principali:

    • La metodologia: una programmazione dell’allenamento corretta (in cui la gradualità è l’aspetto principale) è basilare per i soggetti meno motivati.
    • L’aspetto psico-sociale: la condivisione di momenti resisto dunque sonogenuini, divertenti, ludici e solidali che si provano nella pratica sportiva in mezzo agli altri è probabilmente la molla principale per molti soggetti. A questo, si aggiungono anche benefici psicologici, legati al proprio aspetto e la percezione di efficacia (soprattutto rispetto ai propri coetanei sedentari)!

    Quindi lo sport dovrebbe essere parte integrante (e ben integrata) della propria vita; ciò significa che non è solamente qualcosa di piacevole/utile da inserire nel tempo libero, ma un elemento che influisce (molto positivamente se approcciato nella maniera corretta) e subisce l’influenza di tutti gli altri aspetti della vita. Per chi volesse approfondire l’argomento, consiglio questo libro di Pietro Trabucchi (Psicologo dello sport e atleta): RESISTO DUNQUE SONO. Non è un testo per superatleti e non insegna ad “avere successo nello sport”, ma a come essere “atleti efficienti” in tutti gli aspetti della vita! Lo consiglio vivamente!

    DOMANDE E RISPOSTE (FAQ)

    domande-e-risposteCon la stesura di questo post abbiamo già risposto a diverse, delle domande fatte all’inizio, cioè: a quali “dosi”? A quale intensità? Qual’è il limite minimo per avere dei vantaggi significativi? Troppa attività sportiva fa male?

    Riportiamo sotto altri dubbi che sarebbero potuti insorgere leggendo il post:

    1. È meglio camminare o correre? Per rispondere a questa domanda è da chiarire cosa si intende per “intensità moderata” (cioè quella minima a cui si hanno dei benefici); la possiamo considerare come circa il 70-75% del proprio massimo potenziale aerobico, cioè la massima intensità durante la quale è possibile comunque parlare. Di conseguenza, per soggetti con livello di allenamento medio-alto la possiamo considerare come la corsa lenta, mentre per soggetti sedentari come “camminata a passo svelto”.
    2. Eseguendo sforzi ad alta intensità, si corre qualche rischio per la propria salute (tipo, arresto cardiaco, infarto, ecc.)? Ovviamente è inadeguato eseguire esercizi ad alta intensità se non si ha l’idoneità per farli; è quindi il personale medico addetto a questo tipo di valutazione che è in grado di dirci fino a che punto ci si può spingere dal punto di vista dell’intensità. In ogni modo, qualsiasi programma per l’attività sportiva (per chi è completamente idoneo), consiglia in un primo momento di iniziare con intensità basse-moderate, per poi incrementare gradualmente, man mano che ci si abitua a tollerare certi sforzi.
    3. La pratica del fitness o del sollevamento pesi, è da considerare come “attività ad intensità-moderata”, e di conseguenza benefica nei confronti della salute? Le attività aerobiche che si svolgono in palestra (spinning, ginnastica aerobica, ecc.), soddisfano l’intensità necessaria per stare bene (“moderata”); è da valutare poi la “durata” di queste, e confrontarla con i “dosaggi” raccomandati. L’attività con i pesi invece non è da considerare nel computo del “dosaggio raccomandato”, anche se è stato dimostrato che soggetti insufficientemente attivi, possono trarre beneficio dalla pratica di lavoro con i pesi per 2 volte a settimana. A mio parere, oltre i 45/50 anni (periodo in cui si verifica una marcato decremento della forza muscolare) è importante per tutti lavorare sul mantenimento di questa, non necessariamente tramite il lavoro con i pesi, ma preferibilmente tramite l’allenamento funzionale.

    COME INIZIARE

    Finalmente siamo giunti all’aspetto pratico della materia; sotto consigliamo i testi presenti in “libreria” che riteniamo più opportuni per chi vuole iniziare a iniziare (o consolidare) un’attività sportiva adeguata, una volta ottenuta l’idoneità.

    CAMMINARE

    arte di camminareÈ probabilmente l’attività che si adegua alla maggior parte della popolazione! È inoltre la pratica ideale per qualsiasi sedentario che intende cominciare a fare sport rimanendo in contatto con la natura e con se stessi! Ma non solo, può essere anche il primo Step, per chi ha voglia e “gambe” per passare poi alla corsa in un secondo momento. Libro consigliato: “L’arte del camminare. Consigli per partire con il piede giusto”. Quello di Luca Gianotti è sicuramente il testo più completo sull’argomento esistente in materia, fornendo utili indicazioni non solo dal punto di vista motorio, ma anche dal punto di vista riflessivi.

     

    CORRERE

    Iniziare a correre, Jogger o Runner agonsita? Il gesto atletico è sempre lo stesso, come la percezione del benessere quando si corre! Quello che cambia è l’approccio metodologico, che deve comunque sempre essere adeguato al tipo di idoneità e al grado di esperienza del soggetto. Leggi il nostro post dedicato a chi vuole iniziare a correre. Il Manuale completo della corsa (di Roberto Albanesi) è invece l’opera più completa ed aggiornata attualmente in commercio, in cui possono trovare indicazioni dal principiante al runner agonista.

    CICLISMO

    quelli che pedalanoFare attività ad una velocità che consente (contrariamente alla corsa e al cammino) di compiere tanti Km con fatica inferiore ha sicuramente un certo fascino. Per chi è alle prime armi consigliamo il libro di Davide Cassani (Quelli che pedalano) attualmente selezionatore della Nazionale Italiana di Ciclismo. Per chi invece vuole documentarsi su un testo particolarmente dettagliato, consigliamo quello di Jo Friel (La bibbia dell’allenamento ciclistico), già giunto alla sua 4° edizione (che di per sé è già garanzia di qualità!)

     

    NUOTO

    Districarsi tra i libri dedicati all’allenamento del nuoto non è facile, in quanto una parte sono dedicati all’apprendimento giovanile, una parte al potenziamento muscolare e solo alcuni possono dare indicazioni utili ad un adulto che intende nuotare per stare meglio. Tra tutti, probabilmente quello di Luca Nadini Moretti e Luca Bianchini (Nuoto Master: Pratica e teoria dell’allenamento) è il più adatto.

    ALTRE ATTIVITA’ SPORTIVE

    Quelle sopra, rappresentano le discipline aerobiche più “gettonate”, semplici ed economiche! Tra gli altri sport (o attività) a prevalentemente connotazione aerobica troviamo l’escursionismo (soprattutto lo Speed Hiking), il pattinaggio, lo sci di fondo e lo Skiroll.

    mailQui si chiude il post di questa settimana, che rappresenta uno degli articoli della collana dedicata allo “sport e salute” insieme a quello dedicato allo sport e agli stili di vita. Spero vivamente che, chi sia arrivato in fondo a leggere l’articolo, abbia trovato le risposte che cercava sulla connessione tra sport e salute, ma soprattutto abbia trovato solide motivazioni e indicazioni per una corretta attività sportiva. Se ti è piaciuto il post, condividilo sul Social Network che preferisci (basta utilizzare i pulsanti qui sotto); per noi sarà utile per capire quali sono gli argomenti più seguiti nel nostro blog. Se vuoi porre una qualsiasi domanda, scrivila nei commenti sotto, oppure scrivimi alla mia mail indicata sotto!

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  6. L’accumulo di grasso localizzato

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    Molte persone ai nostri giorni si iscrivono in palestra per veder scendere l’ago della bilancia, tuttavia, a volte, anche dopo aver ottenuto dei buoni risultati di perdita di peso, non sono ancora soddisfatte, perché guardandosi allo specchio notano alcune parti del loro corpo dove il grasso sembra proprio non voler andare via, insomma alcune parti dove la massa grassa sembra resistere di più nonostante i loro continui sforzi in palestra.

    Questo accade generalmente negli uomini a livello addominale e nelle donne sui fianchi, glutei e cosce. Per questo spesso si chiede all’istruttore di fitness se magari sia il caso di aumentare gli esercizi per quella determinata zona corporea dove il grasso sembra più resistente; ma quasi sicuramente come risposta dirà che:

    “Per dimagrire in una determinata zona del corpo non serve a niente allenare i muscoli che corrispondono a quella regione, perché non c’è comunicazione tra il muscolo ed il tessuto sottocutaneo adiposo soprastante; i muscoli utilizzano l’energia che deriva dal glicogeno e dal grasso intramuscolare e se mai successivamente dagli zuccheri e dagli acidi grassi che provengono dal sangue e che derivano dalla lipolisi indotta dagli ormoni lipolitici (glucagone, adrenalina), prodotti dall’allenamento indifferentemente da quale parte del corpo sia stata allenata. La perdita del grasso localizzato è legata solo alla morfologia individuale e a caratteristiche genetiche”

    Questa risulta ancora essere la tesi ufficiale della moderna fisiologia, ma un recente studio ha dimostrato che esiste un effetto locale dell’esercizio sui depositi di tessuto adiposo situati immediatamente al disopra del muscolo.

    Quindi, lo scopo di queste pagine è fare il punto della situazione sul dimagrimento localizzato attraverso esercizio (spot reduction), mettendo a confronto gli studi pubblicati a riguardo e vedere se la perdita di grasso localizzato attraverso esercizio esista davvero e se si possa trasferire in campo pratico nei programmi di allenamento in palestra.

    L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce l’obesità come una

    “condizione caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire sullo stato di salute”
    Il metodo tutt’ora più usato per valutare un individuo che soffre di questa patologia oppure no è il Body Mass Index BMI (kg/mD) = peso/(altezza)D, anche se risulta non applicabile agli adolescenti con il loro corpo ancora in formazione, agli atleti con muscolatura particolarmente sviluppata e alle donne in gravidanza.

    BMI (KG/M2) CLASSIFICAZIONE OMS RISCHIO
    <18,5 sottopeso aumentato
    18,5-24,9 normale minimo
    25,0-29,9 sovrappeso aumentato
    30,0-34,9 obesità grado 1 alto
    35,0-39,9 obesità grado 2 molto alto
    ≥40,0 obesità grado 3 estremamente alto

    go running bilanciaIl grasso si localizza differente negli uomini e nelle donne. C’è un’obesità androide caratterizzata dalla distribuzione del tessuto adiposo nei distretti corporei superiori e una obesità ginoide con accumulo della massa grassa nella metà inferiore del corpo (Vague j, 1956). La prima presenta fattori di rischio molto maggiori, infatti nella prima abbiamo un accumulo di grasso anche nella zona addominale; specialmente in quella addominale viscerale (Vague J., 1956) si hanno maggiori fattori di rischio per quanto riguarda l’insorgere di: malattie all’apparato cardiovascolare (Piro et Al., 2008), dislipidemia (Kissebah et al., 1976), ipertensione (Cassano et al., 1990), diabete di tipo 2 (Carey et al., 1997), apnea nel sonno (Schafer et al., 2002), calcolosi biliare (Vague J., 1956) e anomalie della fertilità.

    L’obesità addominale viscerale è calcolata mediante il rapporto WHR (rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi); le linee guida europee affermano che la circonferenza vita non dovrebbe superare i 102 cm negli uomini e gli 88 cm nelle donne.

    Il rapporto vita/fianchi dovrebbe essere inferiore a 0,95 per gli uomini e 0,8 nelle donne. Il rischio di sviluppare tali patologie aumenta con l’aumentare del WHR, come risulta da uno studio scandinavo (Ohlsson et al., 1988). Il grasso viscerale a livello addominale risulta essere davvero pericoloso, i depositi omentali e periferici altamente lipolitici riversano acidi grassi e delle sostanze che causano anomalie metaboliche, nella vena porta che poi finiscono direttamente nel fegato alterando la sintesi delle lipoproteine (Jensen, 2008).

    Le cellule del tessuto adiposo viscerale liberano “acidi grassi liberi” nel sangue (FFA), e maggiore sarà la quantità di tessuto adiposo maggiore sarà questa liberazione (Roust, Jensen, 1993). Gli FFA si metteranno nel sangue in concorrenza con il glucosio e verranno dunque utilizzati al suo posto. Questo porterà al fatto che il glucosio non verrà bruciato e ci sarà quindi un aumento della glicemia, che si ripercuoterà sulle cellule pancreatiche che produrranno così maggiori dosi di insulina (Mason et al. 1999), un’iperinsulinemia sarà aggravata dall’insulino resistenza, causata dalle cellule del tessuto adiposo che producono l’ adipochina RBP4 (Retinol Binding Protein-4) molecola che potrebbe essere importante nel determinare lo stato di insulino-resistenza (Yang et al., 2005).

    Con l’iperinsulinemia aumenterà la ritenzione di acqua e di sodio a livello renale, in questo modo aumenterà il volume plasmatico circolante; si attiverà il sistema nervoso simpatico, che aumenterà la produzione di adrenalina e noradrenalina responsabili di una maggiore vasocostrizione; alcuni fattori di crescita verranno stimolati, e ciò indurrà una proliferazione delle cellule muscolari lisce, determinando un ispessimento della parete delle arteriole, e tutto questo provocherà un aumento della pressione tanto da arrivare all’ipertensione (Laakso et al., 1990) (Stepniakowsky et al., 1996) (Steinberg et al., 1994).

    Inoltre nonostante le elevate quantità di insulina, le cellule, diventate insulino resistenti, porteranno alla comparsa del diabete di secondo tipo (Lillioja et al., 1993) (vedi anche Diabete mellito di Pierluigi De Pascalis). Come un cane che si morde la coda, l’azione liposintetica e antilipolitica dell’insulina porterà ad un aumento dei depositi di grasso, che a sua volta determinerà ancora un’iper-produzione di insulina. Ancora grazie a questa condizione aumenterà la quantità di colesterolo LDL, che tende ad accumularsi nelle pareti dei vasi provocando aterosclerosi e diminuirà la percentuale di colesterolo HDL (Lewis et al. 1995).

    Ma non finisce qui, il tessuto adiposo addominale viscerale è responsabile della produzione della proteina Tumor Necrosis Factor (TNF) e di interleuchina 6 (IL-6) ad elevate concentrazioni, che induce la produzione nel fegato della proteina C reattiva, queste proteine infiammatorie sono precursori dell’insulino resistenza, dell’infarto cardiaco e di malattie epatiche (Fontana et al., 2007).

    Questi e altri danni qui non elencati: come la possibilità dell’insorgenza di tumori, o l’insufficienza respiratoria, possono essere causati dall’eccesso di insulina e dall’ eccesso di tessuto adiposo viscerale addominale. Il tessuto adiposo addominale sottocutaneo e anche tutto il tessuto adiposo presente nell’obesità ginoide non comportano la stessa elevata quantità di rischi rispetto al grasso addominale viscerale. Sebbene quindi le donne tendano ad accumulare maggiori quantità di grasso nella parte inferiore del corpo, ciò non esclude che possa capitare che vadano incontro ad uno sviluppo dell’ obesità a livello addominale e questo comporterà anche per loro elevati rischi per la salute.

    Fonte: nonsolofitness.it

  7. Novità nel campo dell’integrazione: Il Triangolo della Salute Kyäni™

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    Dr. Qutab, MBBS, DC, PhD, OMD

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    E’ stato dimostrato da prove scientifiche che ciascuno di questi ingredienti è efficace sul corpo umano.Vi invitiamo a conoscere meglio la potenza dei prodotti Kyäni provandoli!

    Il Potere del Supercibo

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    Mirtillo selvaggio dell’Alaska

    Una vera centrale elettrica anti-ossidante
    Promuove la salute del cuore, la funzione cognitiva

    Mirtillo Selvatico dell’Alaska
    Conosciuto come l’“Ormone della Giovinezza”
    Eccellente per la pelle, cuore, e cervello

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    Sostiene una Sana Digestione

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    Promuove la Salute del Cuore
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    Aloe Vera
    Conosciuto come il “Guaritore della Natura”
    Incoraggia la Flessibilità Articolare

    Noni
    Promuove la produzione di Ossido Nitrico che porta ad un aumento di energia
    Migliora il Sistema Immunitario

    Mirtillo Rosso
    Aiuta a mantenere sano il sistema digestivo
    Migliora le funzioni cognitive

    Wolfberry (Goji Berry)
    Aiuta a manterere sano il sistema immunitario
    Migliora l’assorbimento dei minerali

    Semi e pelle dell’uva
    Promuove la salute del cuore
    Contiene funzioni anti-virali e anti-inflammatorie

    Anti-ossidanti e Radicali Liberi

    Per definizione, i radicali liberi creano danni naturali o innaturali alla cellula.Quando la cellula è sotto stress i radicali liberi prendono in prestito un elettrone (a livello cellulare) da altre cellule, riducendo la nuova cellula ad un elettrone. Questo crea un circolo vizioso di formazione di radicali liberi.

    Mentre la formazione di radicali liberi è una pratica comune, i radicali liberi sono molto pericolosi e dannosi per l’organismo. Essi contribuiscono all’invecchiamento precoce, e altri danni al sistema. Gli antiossidanti aiutano a contrastare il circolo vizioso e dannoso dei radicali liberi, sacrificando i loro elettroni alle molecole bisognose in modo da non danneggiare ulterori cellule, proteggendole dai danni che portano a infiammazioni e malattie.

    Kyani Sunrise ™ è un potente anti-ossidante. Essendo solubile in acqua, questo prodotto anti-ossidante combatte i radicali liberi ovunque ci sia acqua nel corpo.

    E il nostro corpo è composto dall’80 per cento di acqua, per questo che Kyani Sunrise ™ può avere un grande impatto.

    Un’alimentazione sbagliata

    Uno studio condotto dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha rivelato che un numero significativo della popolazione degli Stati Uniti riceve ben sotto il 70% della dose giornaliera di riferimento degli Stati Uniti (RSI) per le vitamine A, C, B e minerali essenziali.

    Di conseguenza, il Journal of American Medical Association ha riferito, “Siccome la maggior parte delle persone non consumano una quantità ottimale di tutte le vitamine con la sola dieta, sarebbe prudente che tutta la popolazione adulta prendesse degli integratori vitaminici”.

    Un altro studio ha rilevato che utilizzando semplicemente un multivitaminico ad alta potenza come Kyani Sunrise ™ con vitamine A, C, ed E per sette anni abbassa i rischi di mortalità del 15 per cento!

    Fonti:

    Giustarini, D., et al, lo stress ossidativo e patologie umane:. Origine, link, di misura, i meccanismi, e biomarcatori. Crit Rev Clin Lab Sci. 2009, 46 (5-6) :241-81.

    JAMA. 2002 Giugno 19, 287 (23): 3127-3129 American Journal of Epidemiology 2000: 149-162

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  8. Lo sport salva il cuore.

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    Le malattie cardiovascolari sono colpevoli di circa 242.000 vittime l’anno solo in Italia; l’unico modo per “difendere” la salute di ciascun individuo, passa attraverso la prevenzione.

    Eliminare o ridurre i comportamenti a rischio ed adottare uno stile di vita più sano, rappresenta l’unica alternativa in linea col nostro benessere:

    – Smettere di fumare
    – Mantenere il peso sotto controllo
    – Controllare sistematicamente la pressione arteriosa
    – Mantenere i livelli di colesterolo entro i limiti consigliati
    – Limitare il consumo di grassi ed alcolici
    – Praticare del moto

    Combattere le cause che favoriscono l’insorgenza di patologie che colpiscono il cuore, deve essere un impegno quotidiano.

    L’attività fisica costituisce un momento fondamentale nella vita d’ogni persona sana, ma anche dei soggetti cardiopatici, purché praticata nei modi e nei tempi giusti.

    Il movimento, infatti, rappresenta la scelta più efficace e piacevole per combattere l’obesità, il diabete, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, lo stress (…).

    Attività sportiva: come, dove e quando.
    Il beneficio massimo si ottiene con tre quattro sedute a settimana, per un totale di 5-6 ore d’attività sportiva, oltre i quali non esistono vantaggi in termini di prevenzione.

    Anche la durata è importante; la soglia ottimale è di 30’ a seduta, superata la quale l’effetto è modesto.

    L’intensità d’esercizio, deve essere obbligatoriamente modesta, ad impegno prevalente aerobico. Proprio per questo, consiglio di adoperare un cardiofrequenzimetro, che misuri le pulsazioni durante l’esercizio. Una volta tarato sulle esigenze di chi lo indossa ed individuato la “target zone” di frequenza cardiaca ottimale, consente di monitorare per tutta la durata dell’allenamento, il lavoro cardiaco ed avvertirci qualora dovessimo superare i valori limite precedentemente impostati.

    Meglio allenarsi nel pomeriggio o di sera e preferire il mattino qualora non esistano alternative. Il mattino presto, infatti, è il momento più critico, dal punto di vista cardiovascolare, perché registra un aumento fisiologico sia della frequenza cardiaca sia della pressione arteriosa.

    Occhio alla temperatura! I soggetti cardiopatici possono incorrere in una crisi qualora la temperatura sia troppo rigida.
    In caso di caldo soffocante ed umidità elevata, occorre prevenire l’eccessiva perdita di liquidi bevendo regolarmente ad intervalli regolari piccoli sorsi d’acqua meglio se arricchita con sali minerali.

    Fonte:www.alltrainer.it

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