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  1. Allenamento funzionale: prevenzione, potenziamento o riabilitazione?

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    Il concetto di “funzionalità” è ormai entrato nella terminologia e nella metodologia dell’allenamento contemporaneo. Ma quello che è necessario evitare, è il generalizzare l’inserimento dell’allenamento funzionale senza considerare il contesto.

    Mi spiego meglio: nel nostro articolo introduttivo abbiamo visto come sia necessaria una progressività esecutiva dei movimenti e delle caratteristiche del carico affinchè lo stimolo allenante sia efficace nel tempo. Il punto di partenza “comune”, deve poi essere direzionato verso gli obiettivi e la caratteristica degli atleti che abbiamo di fronte; in assenza di questa direzionalità, l’allenamento perde la propria efficacia.

    Il primo testo che lessi sull’argomento fu quello di Alberto Andorlini, probabilmente il libro che meglio rende l’idea di cosa sia l’allenamento funzionale. Quello che immediatamente mi affascinò, fu la possibilità di incrementare il carico ed il reclutamento delle fibre muscolari aumentando la difficoltà dell’esercitazione, senza la necessità di utilizzare i pesi tipici che si trovano in palestra; questo permette di effettuare carichi di forza con piccoli attrezzi, senza la necessità di andare in sala pesi.

    Infatti, ad esempio, se lo stimolo biologico principale per il miglioramento della forza massima è dato da ripetizioni ad impegno molto elevato e dalla durata di almeno 07-0.8” (Colli 2012), questo è possibile ottenerlo anche incrementando la difficoltà dell’esercitazione e non necessariamente con l’utilizzo di pesi elevati. Ma facciamo un esempio con lo squat per capirci meglio.

    Per effettuare un back squat con bilanciere con carichi orientati allo sviluppo della forza massima (serie di 4-6 ripetizioni), è necessario familiarizzare adeguatamente con il movimento (per gestire il carico sulle articolazioni e sulla colonna), farsi seguire da personale qualificato in grado di rilevare il massimale, utilizzare un peso considerevole (richiedendo assistenza) ed avere a disposizione l’attrezzatura di una sala pesi. Questo ci fa capire come, per motivi logistici e di tempo, sia difficilmente applicabile per la maggior parte degli atleti.

    Eseguendo uno squat monopodalico invece (cioè sfruttando il principio della funzionalità), è possibile utilizzare un carico estremamente inferiore (Colli 2012); non solo, sfruttando angoli articolari meno favorevoli sarà possibile utilizzare una porzione particolarmente elevata del proprio massimale senza l’aggiunta di carichi esterni.

    È ovvio che anche l’esecuzione dello squat monopodalico richiede l’aiuto di personale qualificato per l’apprendimento, ma non necessità dell’attrezzatura della sala pesi, si impara più velocemente e si riduce fortemente il rischio di problematiche alla colonna dovuto all’utilizzo di pesi elevati.

    Non solo, lo squat monopodalico è anche più specifico per molte discipline, visto che la corsa e gli spostamenti in molte discipline (come negli sport di squadra) sono di natura monopodalica; in più, l’aggiunta di eventuali sovraccarichi come manubri e kettlebell non va a sovraccaricare la colonna.

    Anche le varianti possibili possono indirizzare maggiormente lo sforzo verso una catena cinetica piuttosto che l’altra; ad esempio, mantenendo un peso nella mano controlaterale alla gamba in appoggio, sarà possibile far lavorare maggiormente i glutei (soprattutto il gluteo medio) e i muscoli che sostengono l’arcata plantare. Mentre, tenendo il peso solamente nella mano corrispondente alla gamba in appoggio, lavorerà principalmente la porzione mediale del quadricipite.

    Anche la propedeutica dello squat monopodalico è più semplice, in quanto viene effettuata solitamente con il solo sforzo eccentrico, quindi già particolarmente efficace per lo sviluppo della forza.

    Differenze tra lo squat classico e quello monopodalico in funzione dell’allenamento della Forza massima

    Una volta ribadita l’importanza della conoscenza dei movimenti funzionali, è necessario comprendere le differenze ed i punti in comune quando si tratta di applicarli al contesto (performance, prevenzione e riabilitazione) ed al gruppo di sportivi di riferimento. Infatti, il rischio è quello di eseguire progressioni allenanti che non siano completamente aderenti allo scopo prefisso, considerando l’allenamento funzionale come qualcosa di efficace a priori, senza adattarlo alla situazione.

    In questo post andremo a vedere come indirizzare le progressioni verso lo scopo prefissato, considerando il contesto di riferimento; non solo, alla fine potrete trovare anche gli approfondimenti per una corretta applicazione alla preparazione atletica nel calcio, in riferimento alla performance ed alla prevenzione infortuni.

    Performance, prevenzione o riabilitazione?

    Nella figura sotto, è possibile vedere un’immagine semplificata di quanto introdotto sopra, evidenziando come ogni obiettivo abbia elementi in comune e diversificati rispetto all’altro. Ma andiamo ora ad approfondire i concetti.

    Possiamo considerare l’allenamento funzionale finalizzato alla performance come la “ricerca dell’esaltazione della funzione”, nell’ambito preventivo come “l’evitare disfunzioni” e in quello riabilitativo come il “curare una disfunzione”.

    Prima di andare a vedere queste 3 differenze più nel dettaglio (e gli eventuali punti in comune), mi preme un’importante precisazione; anche se si parla di obiettivi e di progressioni esecutive, è fondamentale che l’atleta impari correttamente i movimenti che deve effettuare. Senza questo importante presupposto, qualsiasi tipo di intervento metodologico rischia di essere inefficace, se non addirittura deleterio; questo vale in particolar modo quando si prescrivono movimenti da fare in autonomia (come a casa) o quando si lavora in contemporanea con tanti atleti.

    In questi casi, è sempre necessario assicurarsi della corretta esecuzione dei movimenti funzionali prima di passare allo step successivo; questo non solo consentirà un allenamento più efficace, ma permetterà agli atleti di percepire con maggiori facilità eventuali asimmetrie ed anomalie posturali, per integrare un eventuale intervento correttivo.

    Performance come “esaltazione della funzione”

    L’allenamento funzionale in virtù della performance deve garantire principalmente sostegno e transfert; ma cosa significa?

    Per “sostegno” si intende lo sviluppo di tutte quelle abilità generali che permettono all’atleta di realizzare le proprie potenzialità dal versante biomeccanico; alcuni semplificano questo concetto con il termine “atletismo”, il quale forse rende meglio l’idea.

    La capacità di indirizzare correttamente le direzioni di forza degli schemi motori di base (e della disciplina praticata), con un’intensità e durata tale da ottenere il miglior rendimento, è lo scopo dell’allenamento funzionale in funzione della performance.

    Considerando che il sistema nervoso centrale riconosce i movimenti e non i singoli muscoli, è quindi fondamentale che i gesti si avvicinino il più possibile a quello che l’atleta effettua nella sua disciplina, utilizzando i movimenti funzionali come “veicoli” all’interno delle progressioni allenanti.

    Rappresentazione (modificata) dei movimenti funzionali

    Entriamo quindi nel concetto di “transfert”, cioè la possibilità di trasferire con l’allenamento specifico della disciplina, il supporto offerto dall’allenamento funzionale. Considerando la complessità del movimento (invece di utilizzare un approccio riduzionista) è ovvio che solamente l’utilizzo di determinati movimenti (e derivati) come lo squat, lo stacco, l’affondo, ecc. (vedi immagine sopra) possano garantire un transfert ideale. È poi ovvio che le varianti delle progressioni dei vari step, dovranno essere individualizzati in base alle caratteristiche del soggetto e della disciplina. Potete trovare alcuni esempi nel nostro articolo dedicato agli step dell’allenamento funzionale.

    Quello che è importante comprendere, è che se lo scopo è la performance e non sono presenti anomalie posturali, è particolarmente importante la specificità degli stimoli.

    Ma facciamo un esempio: per un runner che deve migliorare la propria forza muscolare specifica, i lavori con le salite (in forma continua o di ripetute) sono sicuramente i mezzi allenanti più adeguati; l’utilizzo di altri protocolli può risultare utile solamente se individualmente sono riscontrate lacune (come particolari carenze di forza in alcuni distretti, asimmetrie, ecc.) o generici fattori che portano alla necessità di effettuare specifici interventi in determinate popolazioni di atleti (vedi sotto “Potenziamento preventivo e/o individualizzato”).

    Se invece l’obiettivo è quello di migliorare la stiffness, il salto della corda rappresenta sicuramente il metodo più funzionale, dimostrato anche nello studio di Garcia-Pinillos et al 2020.

    Protocollo (adattato) tratto dallo studio di Garcia-Pinillos et al 2020. Clicca sull’immagine per ingrandire.

    Potete trovare un approfondimento nel rapporto tra stiffness, forza massima ed allenamento funzionale nel nostro articolo specifico.

    Ma facciamo ora l’esempio di approcci non proprio corretti, come l’utilizzo di superfici instabili (come bosu o tavole propriocettive) in discipline come il calcio; queste hanno poco senso se utilizzate ai fini della prestazione. Infatti, nel calcio la destabilizzazione dell’equilibrio avviene nei cambi di direzione complessi ed intensi, oltre che nei contrasti; in altre parole, l’instabilità della superficie non è una variabile discriminante dell’equilibrio nel calcio.

    In questi contesti, le superfici instabili troverebbero la loro utilità solamente per quei calciatori che hanno problematiche all’articolazione delle caviglie o al ginocchio; ma in questi casi, l’utilizzo di determinate superfici sarebbero parte di un protocollo riabilitativo o preventivo, a non finalizzato alla performance.

    Anche i protocolli di allungamento (finalizzati all’atletismo) dovrebbero essere il più possibile funzionale, infatti si parla di Allungamento funzionale e non di stretching.

    Potenziamento preventivo o individualizzato

    Come potete vedere dall’immagine sotto, questo approccio lo possiamo considerare in comune tra la parte riguardante la performance e la prevenzione. In sostanza, si tratta di lavorare con un “approccio preventivo” anche in assenza di problematiche (posturali, asimmetrie, ecc.) nei contesti in cui viene riconosciuto, per particolari variabili, un rischio di infortuni (o di sottoprestazione) individuale o di una popolazione di atleti; il tutto per migliorare pattern di movimento o ridurre il rischio di infortuni.

    Sostanzialmente questo approccio aiuta ad evitare che la ricerca della prestazione non vada a “disturbare” l’atletismo generale dell’atleta, incrementando il rischio di infortuni. Ma vediamo sotto alcuni esempi per essere più chiari.

    Il rischio di accorciamento del muscolo ileo-psoas è particolarmente frequente nel calcio; da come possiamo leggere in questo articolo di Paolo Terziotti, questo può portare ad un’antiversione del bacino che può essere causa di infortuni o problematiche agli adduttori o alla schiena. Quindi per un calciatore, anche in assenza di fattori di rischio di partenza, è importante mantenere durante la stagione un corretto grado di allungamento preventivo di questo muscolo. Stesso discorso vale per gli altri muscoli (come gli ischiocrurali) che possono andare incontro ad accorciamento e tutte quelle catene muscolari che possono andare incontro ad asimmetrie legate alla lateralità della disciplina.

    Cambiando disciplina e passando al running, è stato visto come l’indebolimento a cui va incontro il core in gara (soprattutto quelle più lunghe), possa essere causa di un incremento dello stato di fatica (con ripercussioni sulla performance) negli ultimi Km; di conseguenza, anche in assenza di problematiche o ipotonie muscolari, un adeguato allenamento del core è in grado di prevenire questo fenomeno, anche migliorando quella che è la percezione della fatica per tuta la gara. È comunque ovvio, che tale approccio debba tenere in considerazione le catene che più di altre possono andare incontro a fatica e lo sviluppo della forza orizzontale; potete approfondire l’argomento leggendo il nostro articolo dedicato all’allenamento del core per il runner.

    Finiamo con un esempio trasversale, cioè l’utilizzo dello squat monopodalico eccentrico per prevenire il DOMS (o genericamente il “mal di gambe”) alla catena estensoria; potete trovare una descrizione in questo video di Roberto Colli. Come si vede dal video, questo approccio può essere utile sia nel calcio (soprattutto ad inizio preparazione), sia nel running, per incrementare i livelli di forza eccentrica allo scopo di migliorare in discesa.

    Prevenzione come “evitare disfunzioni”

    Passiamo ora alla prevenzione vera e propria, che a mio parere si esegue nel miglior modo tramite l’approccio dell’Esercizio correttivo®; queste prevede un approccio tramite 3 step:

    • Valutazione posturale dell’atleta e dei movimenti: senza una valutazione che permetta di comprendere “anomalie”, è impossibile identificare i punti su cui effettuare la prevenzione.
    • Lavoro analitico: questo prevede di andare ad agire sulla catena (o anche sull’anello della catena) su cui è stata indentificata l’anomalia.
    • Lavoro di integrazione: questa fase (successiva a quella precedente) permette di far riacquisire il corretto atletismo ed i pattern motori della disciplina praticata.

    Ma andiamo a vedere nel dettaglio queste 3 fasi.

    Valutazione posturale dell’atleta e dei movimenti

    L’ideale è effettuare questo approccio in collaborazione tra chi si occupa della preparazione e personale fisioterapico (meglio se osteopata), oltre all’eventuale supervisione di personale medico (ortopedico o fisiatra); ancor meglio se ci si avvale di un esperto in biomeccanica. È importante non valutare solamente la postura statica, ma utilizzare anche test dinamici per individuare problematiche che non vengono evidenziate staticamente. Non mi dilungo ulteriormente su questo aspetto, perché richiederebbe diverso tempo; per approfondire i test posturali consiglio il testo Esercizio Correttivo® (di Luca Russo e coll) mentre per chi volesse approfondire la valutazione biomeccanica, consiglio il corso online di Biomeccanica di Mauro Testa. Per chi vuole invece approfondire la biomeccanica in un campo specifico come il calcio, consigliamo Biomeccanica nel calcio dello stesso autore.

    Lavoro analitico

    Questo tipo di approccio prende spunto dalla Teoria dell’anello debole (detto anche Paradosso dell’allenamento funzionale). Una volta indentificato l’anomalia posturale (o biomeccanica) si agisce sulla catena cinetica alla quale è riconosciuta la causa di tale problematica, o addirittura su un singolo anello della catena (come può essere un solo gruppo muscolare). L’obiettivo, ad esempio, può essere il rinforzo muscolare, oppure la ripresa di un corretto range of motion (quando sono presenti rigidità), il lavoro sull’elasticità, sulla stabilità, ecc.

    In questa fase, non necessariamente vengono utilizzati gesti motori monoarticolari, ma viene data la precedenza alla categoria dei movimenti funzionali di base (come quelli da decubito), oppure le varianti più semplici degli altri movimenti; questo affinchè l’intervento vada a colmare l’anomalia che genera la problematica.

    Ad esempio, se l’atleta ha una scarsa forza dei muscoli plantari (condizione frequente nei runner che utilizzano scarpe troppo ammortizzate), l’intervento analitico sarà mirato proprio allo sviluppo della sensibilità della volta, ed al rinforzo di tutti quei muscoli che permettono un appoggio del piede stabile ed efficace, a tal punto di permettere la massima riutilizzazione elastica della catena estensoria.

    Se invece si considera un calciatore con instabilità al ginocchio, l’obiettivo analitico potrà essere quello di far lavorare la muscolatura estensoria e flessoria in condizioni di equilibrio instabile.

    Lavoro di integrazione

    Si procede a questa fase quando l’anomalia individuata è considerata risolta; l’obiettivo è quello di restituire la giusta coordinazione ed efficienza dei movimenti, in funzione degli schemi motori di base e della gestualità specifica della disciplina. Accanto ai movimenti funzionali sarà importante anche effettuare un’ampia gamma di esercitazioni di rapidità coordinativa (vedi qui un esempio riferito al calcio), al fine di permettere all’atleta di allenarsi con il giusto grado di atletismo.

    Esercitazioni di rapidità coordinativa per il calcio; utili anche come “Lavoro di integrazione”

    Ma attenzione, la sottovalutazione di questa fase (cosa che purtroppo accade spesso) può portare a frequenti recidive; infatti, solitamente viene ricercata l’immediata ripresa della condizione in funzione della partecipazione alle competizioni non appena l’atleta non sente più fastidio o dolore.

    Ma può accadere che un infortunio o solo un fastidio, tendano a far assumere posture o movimenti in grado di modificare quello che è l’equilibrio dei riflessi motori, cioè quelli facilitatori e quelli inibitori; senza addentrarci eccessivamente in quella che è la fisiologia del sistema nervoso, è opportuno sapere che la contrazione muscolare può essere “facilitata” grazie all’attività dei motoneuroni gamma, che aumentano sensibilità/eccitabilità in base alla difficoltà del gesto motorio; vengono attivati quando si percepisce una maggiore difficoltà nell’eseguire il movimento. È questo il motivo per il quale, aumentando la complessità e la difficoltà del movimento (anche con carichi molto leggeri), è possibile allenare efficacemente la forza.

    Accanto alla loro funzione eccitatorie, esiste anche l’attività inibitoria dei GTO (Organi Tendinei del Golgi), in grado di inibire la contrazione quando il tendine è sottoposto ad eccessive tensioni. Altro elemento che ha effetti inibitori sono gli interneroni di Renshaw, interneuroni in grado di ridurre l’attività muscolare grazie ad un fenomeno di feedback negativo. Come spesso descritto da Sergio Rossi su linkedin, questi interneuroni, possono incrementare la loro attività a causa di un infortunio o di posture/movimenti errati dovuti a fastidi/dolori.

    La conseguenza, è che anche se guariti e ripristinati i livelli di forza delle catene, la loro attività può rimanere elevata al livello del sistema nervoso, influenzando il movimento della muscolatura coinvolta in un determinato movimento (solitamente accade a livello di un emilato).

    In questi casi, un’eccessiva attività degli interneuroni di Renshaw tende ad inibire il comportamento elastico ed esplosivo della catena; la conseguenza, nel medio-lungo termine, potrebbe essere quella di dare origine ad anomalie biomeccaniche e asimmetrie che prima o poi possono sfociare in ulteriori infortuni.

    È questo il motivo per il quale a seguito di un infortunio, ne possono seguire altri, anche in zone anatomiche diverse da quella iniziale. In questi casi, è necessario eseguire un’ulteriore Valutazione dei movimenti anche in questa fase, in maniera tale da essere certi di una completa ripresa motoria dell’atleta ed evitare successivi infortuni o recidive.

    Movimento antalgico preventivo

    Esistono approcci terapeutici nei quali eseguire determinati movimenti in presenza di fastidio o minimo dolore, è considerata una situazione ordinaria; questo in parte contravviene alla logica della riabilitazione, che mette al centro della ripresa e della terapia l’eseguire i movimenti in assenza di fastidio o dolore.

    Ma facciamo un esempio per chiarire meglio una di queste condizioni: fino a 15-20 anni fa le tendinopatie al tendine d’achille erano dei veri e propri incubi per i runner, in quanto potevano lasciare l’atleta senza correre per diverse settimane o mesi. In quei casi, l’intervento era solitamente di natura conservativa (al limite con terapie per velocizzare la scomparsa dei sintomi), seguito da una ripresa graduale; nonostante questo era possibile (e per alcuni runner frequentemente) andare incontro a recidive.

    Addirittura, 30-40 anni fa le case produttrici di scarpe da running iniziarono ad alzare il drop (cioè il dislivello tacco-punta) con la convinzione che ciò potesse ridurre il rischio di questi infortuni; di fatto, gli infortuni proseguirono, in quanto quella non era certamente la soluzione ideale per ridurre l’incidenza delle tendinopatie (guarda questo video se vuoi sapere come scegliere correttamente una scarpa da running).

    Ma la svolta all’approccio alle tendinopatie avvenne nel 1998 con la ricerca di Alfredson et al; nello studio, runner con diversi gradi di tendinopatia furono sottoposti ad esercizi eccentrici per la muscolatura dei polpacci. Caratteristica peculiare, fu che veniva richiesto di esercitarsi nelle fasi iniziali anche in condizione di fastidio o leggero dolore; riporto sotto la frase presa dalla pagina 4 della ricerca:

    The patients were told to go ahead with the exercise even if they experienced pain

    Quello che era importante, era evitare affaticamenti al muscolo; per questo, gli esercizi venivano somministrati in 3 momenti della giornata in singole serie.

    Gli effetti positivi di questo approccio scaturirono in ulteriori studi ed approfondimenti; infatti, dal 1998 al 2020 si possono contare fino a 53 ricerche sull’argomento. Ovviamente gli studi successivi portarono a perfezionare il protocollo, testimoniando come non solamente gli sforzi di natura eccentrica fossero efficaci nel trattamento (Beyer et al 2015).

    Quello che si è compreso, è che la tendinopatia all’achilleo, non è da considerare una problematica che coinvolge solo il tendine, ma tutta l’unità muscolo-tendinea, in relazione alla forza e all’elasticità che questa riesce a produrre. Non a caso, nello studio di Magusson ed al 2019, gli autori conclusero che anche la rimozione del carico meccanico sul tendine (cioè il solo approccio conservativo) fosse causa della riduzione della produzione di collagene e della disorganizzazione delle fibre.

    Per questo motivo, questo tipo di approccio può essere positivo anche se nella fase iniziale viene sperimentato fastidio o leggero dolore alla struttura interessata; non è da escludere (anche se manca un numero di studi sufficiente), che questo metodo possa essere efficace anche nel trattamento di altri tipi di tendinopatia ad altre strutture corporee.

    Quello che è importante, è il non effettuare un approccio “fai da te”, ma seguire le indicazioni di personale qualificato (fisioterapista o personale medico), in quanto il carico deve comunque essere individualizzato, cioè applicato in relazione alla gravità della patologia e diluito in più momenti della giornata per evitare affaticamenti eccessivi all’unità muscolo tendinea.

    Tutto questo per dimostrare come un approccio antalgico preventivo, possa essere considerata un criterio che ha in sé sia componenti relative alla riabilitazione che alla prevenzione.

    Riabilitazione come “curare una disfunzione”

    La riabilitazione prevede tutte quelle fasi in cui si favorisce il processo di guarigione e la successiva funzionalità motoria dell’atleta; è ovvio che più figure professionali prendono parte a questa fase, dal medico (ortopedico o fisiatra) al fisioterapista ed infine al preparatore atletico.

    Il fine ultimo di questa fase è quella di ridonare all’atleta il pieno atletismo e controllo del movimento, in funzione della successiva ripresa dell’allenamento specifico della disciplina.

    Quello che è importante, è come debba essere in primis il personale medico (al limite in accordo con le altre figure) a decidere e dettare i tempi della riabilitazione.

    Non mi dilungo ulteriormente per quanto riguarda questo ambito, in quanto è specifico in base al tipo di infortunio considerato ed altamente individualizzato in base all’atleta. Nella pagina di Performance Lab dedicata al recupero funzionale, potete trovare diversi approfondimenti.

    Conclusioni ed approfondimenti

    L’approccio funzionale al movimento facilita il processo di miglioramento della performance in quanto tiene in considerazione l’intera complessità dei gesti motori; consente di avere una visione globale e non riduzionistica del movimento. Per semplificare, tiene in considerazione la relazione tra le varie catene cinetiche, e non la singola somma degli effetti di ognuna. Questo permette di indirizzare lo stimolo allenante in direzione di rendere la performance efficace ed efficiente. Per approfondire al meglio l’allenamento funzionale consiglio il testo di Alberto Andorlini.

    Ma quello che è importante comprendere, è che a volte è comunque necessario un approccio più riduzionista, cioè in tutti quei casi in cui si identificano anomalie e carenze dovute ad una catena o ad un anello di essa; in questi casi, tipici dell’Esercizio Correttivo®, è necessario avere un approccio più analitico, per poi integrarlo, ritornando all’aspetto globale della funzionalità del movimento. È il caso di quando si tratta il gesto motorio non come performance, ma come prevenzione o riabilitazione. Per approfondire, consiglio il testo Esercizio Correttivo® di Luca Russo e colleghi.

    Per chi volesse invece approfondire questi argomenti in relazione alla preparazione atletica nel calcio, consigliamo il webinar Catene Miofasciali ed Allenamento di Marco Giovannelli.

    Puoi accedere a questo ed altri Webinar sottoscrivendo uno dei piani d’abbonamento mensili ed annuali a Performance Lab (garanzia 14 giorni). Applicando il Codice Promozionale MISTERMANAGER al momento dell’acquisto, avrai lo sconto del 10%.

    Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere informato su tutti i nostri aggiornamenti e pubblicazioni, collegati al mio profilo linkedin.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  2. Calcio: allenare la forza generale senza andare in palestra

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    (aggiornato al 20/05/2022)

    Questo post è dedicato a tutti quei giocatori dei settori dilettantistici che sono in cerca di un protocollo di potenziamento da fare a casa (con un utilizzo minimale di attrezzi) durante la pausa estiva; possono trovare spunti anche i preparatori atletici per i loro programmi da dare ai giocatori.

    Ma prima di tutto, cerchiamo di capire perché è importante un adeguato lavoro neuromuscolare durante la pausa estiva per i dilettanti: tra una stagione e l’altra possono passare 2-3 mesi, durante i quali è fondamentale che il giocatore si rigeneri, ma mantenga anche una discreta condizione di forma per presentarsi sufficientemente preparato i primi giorni d’allenamento. Questo perché in diverse categorie, la prima partita ufficiale viene giocata già 7-14 giorni dopo l’inizio della preparazione. Da preparatore atletico, sarei estremamente soddisfatto se i giocatori si presentassero:

    • Con una discreta condizione aerobica: questa per tollerare i primi mezzi allenanti costituiti da corse. In questi casi è sufficiente dare loro un pratico programma da svolgere individualmente o a piccoli gruppi durante l’estate.
    • Muscoli in grado di avere una resistenza muscolare locale tale da non affaticarsi oltre un certo livello.
    • Catene muscolari equilibrate in termini di mobilità e forza generale, in grado di tollerare gradi di allungamento della muscolatura senza disagio.

    Gli ultimi 2 punti sono molto importanti soprattutto in virtù della prevenzione infortuni, oltre alla capacità di tollerare i primi carichi di lavoro.

    Ma quali sono invece i requisiti che un programma di potenziamento estivo dovrebbe avere secondo il parere del giocatore? È molto semplice:

    • Permettergli di non fare troppa fatica dal punto di vista organico (percezione dello sforzo) nelle prime esercitazioni di corsa e con palla.
    • Permettergli di non avere il mal di gambe durante la preparazione e di non doversi fermare per affaticamenti eccessivi o infortuni.

    È evidente che, anche per andare incontro alle esigenze dei calciatori, i requisiti ottimali sono quelli di abbinare un programma di allenamento di corsa ad uno di potenziamento da fare a casa. Non ci dilunghiamo oltre per il lavoro di corsa, che potete trovare a questo link.

    Alla luce di quanto illustrato, quali devono essere i presupposti metodologici di un buon programma di potenziamento? Vediamoli nell’inforgrafica sotto

    Quello che è importante comprendere, è che l’estate è il periodo ideale per lavorare su quei presupposti che stanno alla base dell’equilibrio delle catene muscolari, in funzione della prevenzione infortuni e dello sviluppo della capacità fisiche. Riporto sotto una frase che ritengo emblematica di Paolo Terziotti, riportata da un’intervista sul blog di Gianluca Di Marzio (giornalista di SkySport).

    Ogni esercizio che faccio in palestra e sul campo deve essere utile allo sviluppo delle capacità fisiche e soprattutto deve essere funzionale alla prevenzione degli infortuni. Spesso, invece, si fanno allenamenti che migliorano le performance, ma che poi hanno degli ‘effetti collaterali’ sulla condizione fisica generale del giocatore, disturbando certi equilibri

    Paolo Terziotti

    Per questo motivo, il tipo di movimenti che andremo a proporre non saranno difficili da comprendere, andando incontro alle esigenze del calciatore di eseguire un programma da fare in completa autonomia.

    Se invece somministrassimo esercitazioni esplosive o con carichi prossimi al massimale, si correrebbe il rischio di incrementare il rischio di infortuni, in particolar modo per l’impossibilità del preparatore di seguire e correggere i movimenti.

    È quindi importante agire sull’efficienza dei movimenti proprio per ridurre il rischio di infortuni e creare buoni presupposti per la performance. Nell’immagine sotto potete vedere le 3 classi di stimoli allenanti che maggiormente incidono su questo: il secondo (ed in parte il terzo) punto possono essere bene allenati con un programma fatto a casa.

    Ma per quanto dureranno i benefici di questo programma? Dureranno per tutta la stagione successiva? Ovviamente no, e sarà poi compito del preparatore, riproporre eventuali richiami durante il campionato o decidere di far eseguire lo stesso programma individualmente dai giocatori con un carico contestualizzato a quello che viene effettuato insieme ai compagni.

    L’efficacia di questi programmi dipenderà sostanzialmente da 2 fattori: il primo è la costanza (non basta fare 1-2 sedute); sotto vedremo come alternarle correttamente alle sedute di corsa. Il secondo è la correttezza con la quale vengono fatti i movimenti; al fine di raggiungere gli obiettivi prefissi, è fondamentale la precisione esecutiva

    Importante: prima di effettuare il programma è fondamentale avere il consenso da parte del proprio preparatore (o fisioterapista o medico societario), per essere certi di non avere controindicazioni allo svolgimento dello stesso.

    Il protocollo è strutturato su 2 livelli: il passaggio al secondo programma è possibile quando si riescono ad eseguire tutti gli esercizi del primo al massimo dei carichi indicati.

    Attrezzi necessari:

    • Un kettlebell da 12-14 Kg (8-10 Kg per le donne): è possibile trovarlo su amazon, da Decathlon o Xenius USA.
    • Corda per saltare: fondamentale che sia di lunghezza regolabile; ne trovi diverse su amazon.
    • Una banda elastica: è consigliabile acquistarne di diversa resistenza, in maniera tale da gestire il carico nel migliore dei modi; acquistabili su amazon.

    Quante volte a settimana: come indicato precedentemente, queste esercitazioni vanno abbinate ad un programma di corsa. Partendo dal presupposto che l’ideale è fare 3-4 allenamenti a settimana nel periodo estivo, è possibile inizialmente alternare un allenamento di potenziamento a 1-2 di corsa; nei 30-40 giorni che precedono l’inizio della preparazione invece, è consigliabile alternare 2-3 allenamenti di corsa a 1 di potenziamento. Ovviamente è da rispettare anche un livello di individualità dell’atleta ed eventualmente adattare il programma alle sue caratteristiche.

    Nel caso in cui si facciano tornei estivi o partite con amici, è meglio non effettuare il potenziamento nelle 48 ore che precedono questi impegni.

    Nei prossimi capitoli andremo ad approfondire le motivazioni che mi hanno portato ad effettuare il programma in questo modo e la scelta delle varie esercitazioni.

    Presupposti metodologici

    Nella prima immagine abbiamo visto come i prerequisiti essenziali di questo tipo di lavoro sono 2:

    1. L’utilizzo di movimenti funzionali
    2. Velocità e ripetizioni del movimento orientati allo sviluppo della resistenza muscolare locale.

    Non mi dilungo eccessivamente sull’importanza dell’utilizzo dei movimenti funzionali, in quanto è già stato ben approfondito nel nostro post specifico; fondamentalmente sono da considerare

     movimenti che coinvolgono propriocezione, equilibrio e stabilità delle catene muscolari, finalizzati alla prevenzione infortuni, al miglioramento degli schemi motori di base (correre, lanciare, strisciare, ecc.) ed al miglioramento della performance sportiva.

    Appare quindi ovvio che non sono da allenare i singoli muscoli, ma i movimenti che stanno alla base degli schemi motori di base. Nell’immagine sotto potete quelli che sono i movimenti funzionali secondo la mia modifica.

    Movimenti funzionali: versione modificata

    La progressione tra il primo ed il secondo programma porterà all’incremento delle difficoltà esecutive secondo i criteri tipici di quest’approccio del movimento.

    Per quanto riguarda invece il numero di ripetizioni e velocità esecutive, ci rifaremo ai parametri della resistenza muscolare locale;

    Definizione di Resistenza Muscolare locale: “è l’abilità dei muscoli di effettuare ripetute contrazioni in opposizione ad un carico, resistendo all’insorgenza della fatica”. 

    La scelta di questa variante è relativa a diversi fattori:

    • Permette di apprendere meglio ed in maniera sicura i movimenti funzionali, visto che si lavora a tutti i range articolari a velocità controllate; in questo modo migliorerà sia la mobilità articolare che la propriocezione a tutti gli angoli di lavoro delle catene cinetiche.
    • Permette di lavorare anche parzialmente sulla prevenzione infortuni: è l’obiettivo principale che un giocatore dovrebbe avere durante l’estate! Durante la pausa c’è tempo per lavorare su questo aspetto, senza l’incombenza delle partite; per chi gioca nei dilettanti, non sfruttare questo periodo in questo modo è veramente un peccato.
    • Permettono di eseguire con maggiore consapevolezza i movimenti, consentendo al giocatore di percepire eventuali differenze dei 2 emilati (destro e sinistro) e di conseguenza cercare di appianarli.

    È quindi evidente come un protocollo effettuato correttamente permetta all’atleta di presentarsi all’inizio della preparazione ben equilibrato dal punto di vista delle catene cinetiche, dotato di mobilità articolare, ma con un elevato grado di stabilità ai gradi articolari estremi.

    Ovviamente, per giocatori che hanno esigenze specifiche (chi è stato operato al crociato nelle annate precedenti, che ha avuto recidive nelle ultime stagioni, ecc.) è importante che questo protocollo venga personalizzato. La personalizzazione può anche basarsi su valutazioni di natura biomeccanica fatte durante la stagione (non semplice da eseguire in ambito dilettantistico), anamnesi del giocatore, o dopo una visita da un osteopata a fine stagione; questo tipo di analisi permette di ottenere ulteriori informazioni importanti.

    Esercizi del Programma 1

    In questo capitolo andremo a descrivere le motivazioni dell’utilizzo di ogni singolo esercizio e della modalità esecutiva; la descrizione dell’esecuzione dei movimenti, la potete trovare nel dettaglio nei file scaricabili.

    Attivazione muscoli addominali

    Mi soffermo brevemente sull’importanza dell’allenamento funzionale per il core; nell’immagine sotto è possibile vedere come una postura in antiversione (parte di sinistra) porti ad avere una rotazione del bacino (frecce nere) tendenti ad avere la parte lombare della schiena inarcata. Questa condizione, frequente anche nei calciatori, può essere causa di mal di schiena o di infortuni ai posteriori della coscia; questo atteggiamento posturale, infatti è causato da un eccessivo tono dei flessori dell’anca (ileopsoas) ed una scarsa flessibilità (e scarsa resistenza muscolare) dei muscoli lombari; a questo si aggiunge spesso anche uno scarso tono muscolare del retto dell’addome e dei glutei.

    Le conseguenze di questa situazione comporta ad una riduzione dell’attivazione degli estensori dell’anca (glutei), con un incremento dell’attivazione dei posteriori (per compensare), incrementando il rischio di infortuni (Mendiguchia et al 2012). Considerando poi che una scarsa flessibilità dei posteriori della coscia è anche associata a quella degli adduttori, è possibile comprendere come una problematica associata a questo gruppo muscolare incida non poco sulla probabilità di incorrere in infortuni e recidive anche in altri distretti corporei.

    Non solo nel nostro articolo dedicato all’allenamento funzionale del core per i runner (leggi capitolo L’importanza del retto dell’addome e dei glutei), abbiamo visto come l’antiversione del bacino sia associata ad una limitata funzione respiratoria e non ottimale tecnica di corsa.

    antiversione bacino

    Per migliorare questa condizione posturale (vedi lato destro dell’immagine sopra) è fondamentale incrementare il tono muscolare dei glutei (grazie ad affondi, stacchi e squat), quello degli addominali (tramite gli esercizi che vedremo in questo capitolo), allungare il muscolo psoas (grazie agli gli affondi) ed incrementare la resistenza muscolare locale e flessibilità dei Muscoli Lombari (stacchi).

    Tempo fa iniziavo i movimenti di potenziamento per gli addominali con il plank, perché coinvolge tutta la catena posteriore di cui fa parte, considerandolo quindi più “funzionale”. Nel tempo però, mi sono reso conto che quest’esercizio aveva un gran impatto sul retto dell’addome, ma in misura minore sul trasverso e sugli obliqui.

    Non solo, in caso di addominali deboli (soprattutto il trasverso), la forza tensiva per mantenere la posizione poteva essere “presa in prestito” da altri muscoli come i flessori dell’anca o quelli della parte superiore del tronco, incrementando ancor di più il divario di forza. Di conseguenza, ho scelto di mettere in questa prima parte un movimento più analitico, ma che avesse come target principalmente gli addominali, in quanto rappresentano l’anello debole della catena.

    Nel video sopra potete proprio vedere la barchetta posturale; i tempi di contrazione saranno modificati nel programma che potete scaricare.

    Lateral band walk

    Nel nostro post dedicato all’allenamento per contrastare l’ipepronazione podalica abbiamo visto come il rinforzo dei muscoli abduttori e rotatori esterni dell’anca abbia un ruolo fondamentale per prevenire infortuni al ginocchio e bacino, oltre per evitare inefficienze biomeccaniche dovute alla debolezza di questi muscoli.

    Di fatto, con questo esercizio non lavoriamo direttamente sulla forza in funzione della performance, ma su quei presupposti necessari per una stabilità posturale (dinamica) necessaria per ottimizzare i movimenti e l’applicazione delle qualità neuromuscolari.

    Stacco a 2 gambe con Kettlebell

    Questo movimento è inserito per migliorare la postura (vedi sopra) e per influire sulla catena posteriore, responsabile della spinta orizzontale. Durante l’esecuzione è fondamentale mantenere una corretta (e fisiologico) curvatura della colonna vertebrale; per questo motivo, è importante un’esecuzione lenta del movimento, soprattutto nella fase di discesa.

    Nella guida scaricabile è evidenziato un metodo per sensibilizzare il corretto atteggiamento del corpo grazie ad un bastone. 

    Piegamenti sulle braccia

    Questo movimento, apparentemente semplice, è inserito per fortificare in allungamento la parte anteriore del torace, le spalle ed il core. A mio parere sono sufficienti 20 ripetizioni a seduta (divise inizialmente in più serie se non si riescono a fare tutte insieme); l’importanza di avere un buon tono muscolare della parte superiore del tronco, risiede nel fatto che in condizioni di affaticamento si tende ad accentuare la cifosi dorsale; questo atteggiamento rende più difficile la respirazione facendo percepire maggiore fatica. I piegamenti delle braccia, contribuiscono a mantenere un buon tono-trofismo di questa parte del tronco a patto che siano fatti correttamente. Leggete bene le indicazioni e guardate attentamente il tutorial, perchè l’efficacia di questo esercizio risiede esclusivamente nella correttezza esecutiva.

    Hip Thrust modificato

    Questo lo considero l’esercizio di elezione per i posteriori della coscia (insieme alla catena posteriore in generale); malgrado in letteratura bibliografica venga ormai riconosciuto il nordik hamstring stretching come movimento fondamentale per questo gruppo muscolare, credo che per un atleta che si allena da solo, sia più utile l’Hip Thrust modificato. Questo perché per fare il nordic è necessaria una persona che faccia assistenza; inoltre, il rischio che si corre effettuando questo esercizio, è quello di ripartire il carico maggiormente sulla gamba dominante, accentuando ancor di più la differenza tra i 2 arti. A livello professionistico infatti, il nordic non viene fatto con assistenza, ma con apparecchiature in grado di confrontare il grado di forza espressa dai 2 arti inferiori durante il movimento.

    L’Hip Thrust modificato invece, non richiede assistenza ed è possibile effettuare la versione monopodalica (lo vedrete nel Programma 2), condizione necessaria affinchè questo tipo di movimento raggiunga un certo grado di funzionalità.

    In questa prima parte del programma, verrà comunque effettuata la versione bipodalica (vedi video sopra), per apprendere correttamente il movimento, in particolar modo mantenendo allineati gli assi corporei (trasversale e longitudinale) durante l’esecuzione.

    Air squat

    Questo movimento viene inserito per migliorare l’estensibilità della catena estensoria; affinchè venga effettuato correttamente è importante eseguire l’esercizio con una discesa abbastanza lenta, in maniera tale da sensibilizzare le articolazioni (caviglia, ginocchio ed anche) al grado di allungamento, lavorando contemporaneamente sulla resistenza muscolare locale. È comunque da precisare che più si abbassa il baricentro e più è elevato il carico di lavoro, in quanto ad angoli più chiusi (come può essere lo squat parallelo) la leva sul ginocchio è più sfavorevole e di conseguenza i muscoli sono più impegnati.

    L’angolo di lavoro in fase di discesa dipende ovviamente dal grado articolare del soggetto; si arriva fino a quando si riesce a controllare il movimento, tenendo i talloni a terra e riportando il carico equamente su entrambi i piedi; idealmente, si dovrebbe arrivare con le cosce parallele al suolo.

    Atleti che hanno uno scarso livello di flessione dorsale della caviglia, non riescono però a scendere fino allo squat parallelo, quindi è sufficiente che arrivino fino a quando i talloni rimangano comunque a terra. Seduta dopo seduta riusciranno a scendere sempre di più con il baricentro. Calciatori che hanno avuto problemi o interventi al ginocchio, è importante che chiedano al proprio preparatore, fisioterapista o medico sportivo, l’angolo minimo al ginocchio che possono raggiungere.

    Eseguire correttamente uno squat non è facile, per questo sarebbe bene effettuarlo di fianco ad uno specchio; se è abbastanza semplice individuare errori sul piano frontale (perché eventuali asimmetrie diventano subito evidenti) più difficile lo è a livello laterale; infatti, l’asse della gamba (polpacci) e quello del tronco dovrebbero essere il più possibile paralleli. Altri elementi a cui portare particolare attenzione sono:

    • Mantenere normale curvatura fisiologica del rachide (contrarre gli addominali); sguardo in avanti.
    • Il ginocchio non deve superare la punta delle scarpe.
    • Larghezza delle gambe pari a quella delle spalle e piedi solo leggermente extraruotati (non più di 10°).

    Consiglio, per la visione laterale, di farsi filmare e verificare quali sono gli errori; in questo modo si avrà l’opportunità di focalizzarsi (nelle sedute successive) sulle maggiori difficoltà.

    Affondo frontale

    Utilizzeremo la variante Walking lunge (vedi video didattico sotto) in quanto è maggiormente allenante nei confronti della mobilità e stabilità articolare. Le differenze principali rispetto all’affondo classico sono il fatto di effettuare il passo più lungo possibile (compatibilmente con l’esecuzione corretta del movimento) e di avanzare continuamente mentre si effettua l’esercizio.

    Il Walking lunge è inserito anche nel protocollo di allungamento funzionale delle sedute di corsa, quindi dovrebbe essere un movimento ripetuto abbastanza spesso; è consigliabile effettuarlo con le scarpe o scalzi su una superficie morbida.

    È sempre importante ricordare di ricercare la stessa ampiezza del passo e il medesimo allungamento dell’anca sia quando si porta in avanti la gamba destra che quella sinistra.

    Affondo laterale

    Questo movimento è estremamente efficace per lavorare sulle catene crociate, particolarmente coinvolte nei cambi di direzione. È necessario cercare l’ideale compromesso tra la dinamicità e la precisione del movimento; le prime volte si consiglia comunque di effettuarlo lentamente, in maniera tale da imparare a comprendere la corretta esecuzione.

    Consiglio di guardare attentamente il video sopra, per comprendere il rapporto tra piede e ginocchio e il parallelismo tra gamba (polpacci) ed il busto (come nello squat).

    Salto della corda

    Questo movimento, che allena prevalentemente la stiffness (elasticità e reattività neuromuscolare), non è compreso nella visione classica dei movimenti funzionali, ma l’ho inserito nella mia versione modificata perché la ritengo una qualità particolarmente importante negli sport in cui si corre, compreso il calcio; non a caso, Kalkhoven et al 2018 videro in un gruppo di calciatori non professionisti come i giocatori dotati di maggior stiffness fossero quelli che ottenevano i risultati migliori in test di agilità e sprint. Non solo, Bedoya et al 2015 nella loro review videro come diverse abilità atletiche (sprint, agilità, potenza nel tiro, capacità di salto, ecc.) risultassero migliorate a seguito di allenamenti pliometrici, cioè finalizzati alla stiffness.

    Ora, è importante precisare come il calcio non sia fatto solo di abilità atletiche, e nei settori dilettantistici non sempre il tempo a disposizione per allenare queste qualità è elevato; per questo motivo, ritengo che l’estate sia un’ottima opportunità per lavorare su questo prerequisito (la stiffness), per poi sfruttare il resto della stagione per mantenerlo grazie agli allenamenti con la squadra.

    Ma quale protocollo usare?

    Da sempre, i lavori pliometrici sono stati considerati gli esercizi di elezione per incrementare la stiffness, ma sono protocolli che necessitano la presenza del preparatore per insegnare e correggere il movimento. Il salto della corda invece, rappresenta un mezzo allenante semplice da imparare (anche autonomamente) e con un rischio infortuni molto inferiore rispetto alla pliometria.

    Ma saltando la corda si allena la stiffness?

    La domanda è lecita, soprattutto perché le intensità di questo movimento sono inferiori rispetto ai balzi pliometrici. Per avere una risposta ci viene in aiuto la recentissima ricerca di Garcia-Pinillos et al 2020; potete trovare un’infografica molto chiara a questo link. In un gruppo di runner amatori, un protocollo di 10-20’ a settimana (per 10 settimane) portò ad un incremento della stiffiness e di tutti i parametri relativi alla reattività e all’esplosività dal 5.7 al 13%. Ovviamente non si sa a priori se è possibile avere gli stessi miglioramenti anche per i calciatori, ma i soggetti che facevano parte della ricerca, erano comunque atleti, il cui movimento della loro disciplina (la corsa) allena di per sé a buon livello la stiffness. 

    Per questo motivo, a mio parere, il salto della corda è un ottimo movimento per incrementare la stiffness del calciatore dilettante durante la pausa estiva. A questo link potete trovare  un ottimo tutorial per imparare a saltare la corda anche per chi non l’ha mai fatto; a questo link invece potete vedere cosa si intende per “salti con piedi alternati” (dalla 6° settimana). Le corde in cuoio sono probabilmente le più adatte a questa tipologia di esercizi.

    Il protocollo sopra (tratto TrainingPeaks), prevede un numero di sedute settimanali che vanno da 2 a 4; queste possono essere inserite liberamente (le volte indicate) anche dopo le sedute di corsa, e non necessariamente all’interno di quelle di potenziamento. Inoltre, il salto della corda va effettuato con le scarpe.

    Esercizi del Programma 2

    Dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi della prima fase, è possibile passare alla seconda, sempre previo benestare del proprio preparatore atletico, fisioterapista o medico sportivo. Ovviamente non è “obbligatorio” arrivare fino a questo punto, perché dipende da quando si ha iniziato il programma.

    Attivazione addominale

    L’aumento del carico avverrà tramite l’inserimento di esercizi diversi, alcuni dei quali riducendo il numero di appoggi.

    Stacco ad una gamba con kettlebell

    In questo movimento si passa da 2 ad 1 appoggio, stimolando maggiormente la mobilità delle catene cinetiche e la stabilità articolare; rappresenta un ottimo esercizio per la prevenzione degli infortuni dei posteriori della coscia.

    È molto importante percepire la differenza di stabilità e mobilità tra i 2 lati del corpo, e concentrarsi (se serve), rallentando il movimento particolarmente sull’emilato più in difficoltà durante l’esecuzione. Il kettlebell va impugnato dalla mano opposta al piede in appoggio ed il movimento deve essere controllato (ma non eccessivamente rallentato) al fine di eseguirlo nella maniera più corretta possibile.

    Hip Thrust modificato monopodalico

    Questo movimento lo ritengo particolarmente allenante per i posteriori della coscia; come potete vedere dal video sotto, è importante mantenere l’allineamento (anche se non è facile) del tronco con l’asse della gamba non in appoggio e i 2 lati del bacino alla stessa altezza. In circa 14” si scivola con il tallone allontanandosi dal corpo ed in 1” si ritorna alla posizione di partenza per poi ripetere il movimento.

    Accorgimento importante è quello di permettere al tallone a terra di scivolare con facilità; è possibile indossare un calzino in più, oppure appoggiare il tallone su un panno in materiale sintetico, come può essere anche una maglia di una tuta. Attenzione a mantenere i piedi perpendicolari al terreno

    Affondi

    In questa seconda parte del programma inseriamo 2 variabili entrambe con il kettlebell; non consiglio di eseguire questi movimenti scalzi, perché si tenderebbe ad impattare troppo violentemente con il tallone, con ripercussioni sul ginocchio; è possibile eseguirli scalzi solo su una superficie erbosa sufficientemente liscia, altrimenti è meglio indossare le scarpe

    La prima variante è l’affondo frontale con kettlebell (vedi video); a differenza del movimento della scheda precedente, non si “cammina” in avanzamento, ma si ritorna alla posizione di partenza.

    Il secondo esercizio consiste nel fare l’affondo laterale del programma precedente, ma con il kettlebell; questo ha un effetto allenante ancora maggiore nei confronti della mobilità e della forza delle anche. Nella scheda del programma sono elencati i punti fondamentali per effettuare correttamente l’esercizio, che potete vedere anche nel video sotto.

    Altri esercizi

    Il lateral band walk ed i piegamenti sulle braccia rimangono le stesse modalità del primo programma.

    Per quanto riguarda il salto della corda, si continua dalla progressione iniziata sempre nel primo programma.

    Recupero e mobilità articolare

    C’è il caso che alcuni giocatori abbiano maggior necessità di lavorare sulla mobilità articolare, a causa di retrazioni o rigidità muscolari; i programmi che abbiamo visto in questo post permettono lavorare sull’estensibilità dei muscoli delle catene, ma per chi ha bisogno di allenare giornalmente la mobilità, è necessario integrare questo programma con uno di allungamento funzionale, finalizzato esclusivamente alla mobilità. Questo permetterà di eseguirlo nei giorni in cui non ci si allena (cioè non si corre e non si fa potenziamento), facilitando anche il processo del recupero tra una seduta e l’altra.

    Potete trovare un programma a questo link; il suo utilizzo è sempre da effettuare previa conferma da parte dello staff che si occupa del condizionamento atletico (preparatore, fisioterapista o medico sportivo).

    Conclusioni ed approfondimenti

    La raccomandazione principale, spesso sottovalutata, è quella di effettuare i movimenti nella maniera corretta; per questo motivo ho inserito nella guida i link ai video esplicativi, da guardare con la massima attenzione, anche più volte! È meglio fare un movimento semplice in maniera corretta, che un movimento complesso (apparentemente più allenante) svolto in maniera sbagliata! L’aumento del carico delle sedute è strutturato in maniera tale da portare ad un incremento progressivo delle qualità muscolari durante tutto il periodo d’allenamento.

    Altra cosa importante è il non effettuare il lavoro con fastidi, dolori o affaticamenti dalle sedute precedenti; questo può succedere a tutti nelle prime sedute di ogni programma. In questi casi è meglio lasciar passare qualche giorno in più; se proprio si vuole fare qualcosa, è possibile sostituire la seduta da 30’ di corsa lenta. Ricordatevi che se si hanno ancora fastidi affaticamenti dalla seduta precedente, è segno che i muscoli hanno ancora bisogno di recuperare; gli effetti dell’allenamento infatti, dipendono sia dal carico allenante che dal recupero. Se vuoi approfondire le variabili che incidono sul recupero ti consiglio di leggere il nostro articolo sull’argomento.

    Ma è possibile effettuare questi esercizi anche durante la stagione?

    Ovviamente questo dipende dal lavoro che viene fatto con la squadra; in ogni modo, durante la stagione questo tipo di protocollo andrebbe fatto solamente una volta a settimana (a patto che non siano partite infrasettimanali) nelle modalità e nel giorno indicato dal proprio preparatore, fisioterapista o medico sportivo.

    Se sei un preparatore atletico e operi in ambito dilettantistico, accedi al nostro Canale telegram dedicato alla Preparazione atletica nei dilettanti; potrai scaricare gratuitamente il nostro “ricettario” per l’allenamento atletico (aerobico, neuromuscolare, coordinativo e funzionale) in contesti dilettantistici. In più, settimanalmente pubblicheremo post esclusivi per i soli iscritti al Canale.

    preparazione atletica dilettanti

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  3. Salite brevi: alternative alle hill sprint

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    (Aggiornato al 30/11/2022)

    Il miglioramento delle qualità neuromuscolari (Forza e Velocità) è un passo fondamentale per creare quei presupposti che permettono al runner di esprimere il proprio potenziale; nel post dedicato alle Hill sprint abbiamo visto come questi mezzi allenanti siano in grado di migliorare la sincronizzazione delle fibre muscolare e ridurre l’effetto dei meccanismi inibitori, con il risultato di avere una corsa più efficiente (cioè spendere meno energia a pari velocità). Probabilmente, la maggior parte dei runner amatori non lavora adeguatamente sulle componenti neuromuscolari, prediligendo andature continue, competizioni e le ripetute.

    Se si osserva la tecnica di corsa dei corridori africani, è subito palese comprendere come il loro stile sia molto più rilassato, grazie a tempi di appoggio veramente bassi che limitano il disagio della fatica. Questo è ottenuto grazie a diversi fattori, uno dei quali sono le elevate qualità neuromuscolari.  Vi rimandiamo al nostro articolo dedicato alla Forza e Velocità del runner per comprendere meglio l’importanza di questo aspetto, oltre al paradigma secondo il quale, i lavori di forza devono precedere quelli di velocità.

    Quello su cui vorrei invece soffermarmi in questo post invece, sono le alternative alle Hill Sprint per quei runner che faticano a tollerare questo tipo di allenamenti rivolti alla velocità.

    Semplificazione della consequenzialità dei lavori con effetto neuromuscolare nell’arco di una stagione atletica di 2 atleti con diverse caratteristiche

    Dall’immagine sopra potete vedere le variabili che possono far prediligere o meno le Hill Sprint; per chi non è portato per questi mezzi allenanti è consigliabile utilizzare mezzi a caratteristiche miste, cioè che sviluppano sia la forza che la velocità

    L’utilizzo di salite brevi, con opportuni accorgimenti, permette di raggiungere questi scopi anche per atleti poco esplosivi e che non tollerano le Hill sprint. Prima di andare a veder nel dettaglio questi mezzi allenanti, ribadisco ancora una volta lo scopo di questa tipologia di sedute, cioè quella di colmare le lacune che molti runner amatori hanno e che non permettono loro di sfruttare appieno il loro potenziale neuromuscolare. Avere livelli di Forza e Velocità adeguati, permette di avere quelle possibilità funzionali che permettono di ottimizzare la spesa energetica, cioè ottenere il meglio che il proprio organismo può offrire a pari energia spesa.

    Questo è possibile solamente grazie ad una consequenzialità adeguata dell’allenamento neuromuscolare oltre ad un’accurata individualizzazione dell’allenamento.

    Salite di 100m: istruzioni per l’uso

    Rispetto alle Hill sprint (di 8-12”) hanno una durata di 20-25”, cioè il tempo necessario per compiere ad una velocità elevata 100m di salita. Di conseguenza devono essere fatte ad intensità inferiori, andando incontro a quei podisti che non riescono ad esprimere elevati livelli di velocità in tempi brevi o che risentono di affaticamenti marcati quando effettuano violente contrazioni muscolari. Ma vediamo ora i dettagli.

    • L’intensità allenante non deve essere massimale, ma comunque intensa, arrivando in cima senza elevati livelli di fatica ed in controllo di falcata.
    • Pendenza della salita: l’ideale è dal 6-10%. Maggiore è la pendenza e maggiore è lo stimolo sulla Forza; viceversa per la Velocità. Nel caso in cui la salita fosse più corta, è possibile aggiungere un tratto in pianura (possibilmente dopo la salita) per raggiungere i 100m di lunghezza totale.
    • Tecnica di corsa: la postura dovrebbe essere la stessa che si tiene in competizioni di 5-10 Km, cioè busto eretto, parte superiore del corpo rilassata e spinta efficace di piedi, con lo scopo di tenere un tempo di volo ed un’ampiezza dei passi paragonabile (o leggermente superiore) a quella di una gara di 5-10 Km. Quest’ultimo dettaglio è importante, perché in salita viene invece spontaneo aumentare solamente la frequenza.
    • Numero di ripetizioni: da 6-8 (le prime volte, soprattutto se non si è abituati) incrementando di 2 salite a seduta, fino ad arrivare ad un massimo di 20 (per runner evoluti). Oltre le 10 ripetizioni, suddividerle in serie di 5-6 salite, inframezzate da 3-5’ di Corsa Lenta.
    • Recupero tra le ripetizioni: tra una salita e l’altra si scende di corsa blanda e si recupera (solitamente fino a 1’30”-2’) fino alla capacità di effettuare la successiva ad un’intensità soddisfacente.
    • Quante volte a settimana: solitamente 1 volta ogni 7-10 giorni quando il numero di ripetizioni rimane al di sotto delle 10. Oltre questa quantità le sedute possono essere diluite anche ogni 12-18 giorni. È importante che vengano fatte in condizioni di elevata freschezza (cioè non affaticati da sedute impegnative precedenti) e considerare il tempo (soggettivo) necessario per smaltire i livelli di fatica indotti.
    • Riscaldamento: deve essere di durata adeguata (anche di 25’-30’, soprattutto se è freddo) e con all’interno esercizi di allungamento funzionale, un paio di allunghi non massimali ed un paio di salite ad intensità inferiore.

    Vediamo di seguito una serie di varianti, efficaci solamente per atleti evoluti (soprattutto giovani), dotati di buona esplosività, ottima simmetria di corsa e prevalentemente dediti alle gare di mezzofondo (3-10 Km).

    Variante 1: le wicket runs adattate

    Le wicket runs sono delle forme d’allenamento utilizzate prevalentemente negli sport di squadra (effettuate quindi su campi di gioco) per ridurre l’overstriding, cioè l’impatto del piede troppo avanti rispetto alla proiezione del baricentro. Questo causa eccessive frenate ad ogni appoggio, disperdendo molta energia ed incrementado il rischio di infortuni.

    Essendo l’overstriding una problematica relativa anche a molti runners amatori, questa forma d’allenamento può tornare particolarmente utile anche per loro. Sostanzialmente consiste nel correre tra ostacoli bassi (distanziati di 1.5-2 m) a velocità elevata; l’effetto è quello di stimolare un atteggiamento che riduce l’overstriding, proprio per la presenza degli ostacolini.

    Ovviamente molti podisti non hanno a disposizione l’attrezzatura ed il contesto necessario, così ho ideato questa variante che è possibile effettuare senza attrezzatura; è sufficiente una breve salita. Nel video sotto potete vedere l’intera spiegazione dell’approccio metodologico.

    Variante 2: le salite di Verkhoshansky

    Queste rappresentano l’optimum per lo sviluppo delle qualità neuromuscolari (sia la Forza che la Velocità) ma, come indicato sopra, possono essere prerogativa di una tipologia di atleti limitata. Ho deciso comunque di inserirla nell’articolo affinchè si possa comprendere l’importanza di determinate qualità per il runner.

    Si tratta infatti di eseguire tratti di corsa balzata, il cui effetto, secondo l’autore (pubblicazione su Atletica-Studi 1/2003) sarebbe quello di ridurre l’affaticamento grazie al minor tempo di contatto, permettendo di eseguire un numero maggiore di ripetizioni rispetto alle Hill sprint. Riporto sotto alcune caratteristiche a titolo informativo, con la raccomandazione di effettuare questo tipo di esercitazioni sotto la guida di un tecnico (o di un istruttore), e solamente dopo un periodo di accurato lavoro di forza.

    • Tecnica esecutiva: passi lunghi e potenti focalizzandosi sul tempo di volo, e su una tecnica corretta e simmetrica. In tutto solo 6-8 passi totali massimali, al limite preceduti da una breve accelerazione in pianura di 10-12 passi per prendere velocità.
    • L’intensità allenante deve essere praticamente massimale, nel rispetto dei requisiti tecnici della corsa balzata e di un gesto ben equilibrato tra la parte destra e sinistra del corpo.
    • Pendenza della salita: più è ripida e maggiore sarà l’effetto allenante, compatibilmente con una tecnica esecutiva corretta.
    • Numero di ripetizioni: dipende dall’esperienza e dalle caratteristiche dell’atleta.
    • Inserimento nel periodo preparatorio: nella seconda parte del periodo di preparazione Generale o in quello Speciale, ma solo dopo aver lavorato adeguatamente sulla forza ed aver appreso la tecnica della corsa balzata.

    Allunghi in salita (variante): è possibile anche cercare un compromesso tra questa tipologia di salite (cioè di corsa balzata) e gli allunghi. Si tratta di effettuare degli allunghi di 60-100m in leggera salita con uno stile di corsa leggermente balzato, ma non troppo, ad una velocità simile a quella che si tiene in una competizione di 5-10 Km; questa variante è apparentemente più semplice (perché l’intensità è inferiore), ma è da effettuare particolare attenzione in quanto il rischio di infortuni è maggiore. Di norma come volume massimo non si dovrebbero superare (Verckhoshansky 2007) i 600-900m totali per i Top Runner.

    Variante 3: le salite “resistenti”

    Illustro brevemente questa variante, in quanto rappresenta (da punto di vista delle difficoltà) un compromesso tra le Salite brevi di 100m e la Variante 2. Anche questa è l’ideale per atleti dotati di ottimi livelli di forza, ma anche amatori. Quello che è da comprendere, è che lo stimolo allenante debba essere dato dall’intensità dell’azione di corsa, non dal volume delle ripetizioni; un volume eccessivo di questi mezzi allenanti, può portare ad affaticamenti muscolari che perdurano e che possono dare origine ad infortuni.

    Più precisamente il razionale (semplificato) della sollecitazione fisiologica, è dato dall’affaticare le fibre meno responsabili della corsa di durata durante la fase iniziale della ripetizione, e di sviluppare la forza di quelle specifiche (perché le altre sono “fuori uso”) durante la fase successiva. Ciò si ottiene effettuando un breve tratto di corsa balzata in pianura, immediatamente dopo uno sprint intenso in salita; ma vediamo meglio sotto i dettagli:

    • Caratteristiche della salita: 40m di salita abbastanza ripida, seguita da un tratto pianeggiante di 60m; è possibile (anzi, consigliabile) effettuarlo su terreni erbosi, ma senza buche ed avvallamenti.
    • Intensità: i primi 40m in salita devono essere effettuati alla massima velocità, immediatamente seguiti da 60m in pianura cercando di accelerare velocemente ed allungando il passo (riducendo anche la frequenza dei passi) negli ultimi metri. L’intensità del secondo tratto deve essere tale da permettere di correre con una tecnica esecutiva corretta. Non bisogna commettere l’errore di arrivare “esausti” alla fine di ogni ripetizione.
    • Tecnica esecutiva: nella prima parte è fondamentale ricercare la massima velocità senza però compromettere uno stile di corsa fluido. Nel secondo tratto (quello pianeggiante), dopo l’accelerazione iniziale, si dovrà cercare di ampliare gradualmente la lunghezza del passo pur mantenendo una tecnica di corsa corretta, cioè: decontrazione in fase aerea (anche minima), piede che prende contatto sotto il corpo (non davanti), ricerca immediata della spinta nella giusta direzione e simmetria delle spinte (tra gamba destra e sinistra). Per chi riesce a padroneggiare bene la tecnica, gli ultimi 20-30m si possono fare anche in corsa balzata.
    • Numero di ripetizioni: 8 ripetizioni (con almeno 3’ di corsa blanda di recupero) sono il volume massimo a cui arrivare iniziando le prime volte con soli 4-5. È basilare un ottimo riscaldamento!
    • Inserimento nel periodo preparatorio: come per gli altri mezzi presentati sopra, possono essere inseriti nella seconda parte del periodo di preparazione Generale o in quello Speciale, ma solo dopo aver lavorato adeguatamente sulla forza ed aver appreso la tecnica della corsa balzata.

    Conclusioni e consigli finali

    Le Salite di 100m (escluse le varianti) sono mezzi a caratteristiche miste in grado di stimolare forza e velocità con un rischio di affaticamenti ed infortuni inferiore rispetto alle hill sprint ed altri metodi massimali.

    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Considerando l’intera preparazione di una stagione atletica (vedi immagine a fianco) possono essere introdotti nella seconda parte del Periodo generale; per atleti particolarmente dotati di forza, è possibile inserirli anche nella prima parte.

    Quello che è importante comprendere, è che questi mezzi allenanti (se adeguatamente dosati) lasciano un’impronta nel sistema neuromuscolare che permetterà nei periodi successivi di effettuare i lavori per la Velocità di gara (Ripetute brevi/medie, fartlek, velocizzazioni, ecc.) con maggior efficienza e disinvoltura, limitando il rischio di infortuni.

    Individualizzando correttamente l’allenamento, si riusciranno a trovare le soluzioni migliori per ognuno; non esiste una ricetta che vale per tutti, ma delle linee guida in cui l’allenamento generale (progressivo incremento del volume ad intensità bassa e moderata, più quello neuromuscolare) deve avere la priorità, affinchè il runner possa incrementare le qualità di base, per poi indirizzarle verso quelle di gara nel momento in cui effettuerà i lavori più specifici.

    Consiglio a tutti i runner che sono “allenatori di sé stessi” di studiare ed approfondire questi argomenti e di percepire quelle che sono le proprie risposte individuali al training; in questo modo le conoscenze acquisite permetteranno nel tempo di sfruttare l’esperienza e le competenze accumulate. La logica conseguenza, è che si sarà in grado di allenarsi meglio e godersi appieno i benefici della corsa.

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    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

  4. Running e Potenziamento Muscolare: le Salite Estensive

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    (Aggiornato al 14/06/2022)

    Il potenziamento muscolare (l’allenamento di forza e velocità) rappresenta il presupposto principale per avere un ritmo gara elevato. Spesso si pensa che la forza si possa allenare solo con i pesi, ma di fatto non è così; correndo in salita infatti, il sistema muscolare effettua uno sforzo maggiore (rispetto alla pianura), perché, oltre a spostare orizzontalmente il corpo, deve anche farlo salire. Questo comporta un superiore impegno della forza muscolare, che ha un effetto allenante proprio nei confronti di questa caratteristica muscolare.

    Di contro, correre in discesa (o effettuare degli allunghi) stimola il sistema neuromuscolare ad imprimere un certo livello di forza in poco tempo, favorendo lo sviluppo della velocità.

    Le salite estensive (che sarebbe più corretto chiamare “circuiti estensivi”) grazie a questo tipo di stimoli permettono di lavorare su tutto lo spettro delle qualità neuromuscolari necessarie al runner, per creare i presupposti di un ritmo gara elevato.

    In questo articolo vedremo come organizzare al meglio questo tipo di sedute, adattandole in base al momento della stagione ed al grado di allenamento del runner; si perché è un’esercitazione che si adatta a tutti i podisti agonisti, purchè abbiano un minimo di abitudine a correre in salita ed in discesa.

    Per strutturare questo allenamento ho preso spunto dai circuiti di Lydiard, ma adattandoli alle esigenze di tutti i runner.

    Esecuzione dell’allenamento

    Nell’immagine sotto potete vedere la struttura originale ideata da Arthur Lydiard, allenatore di diversi atleti a partire dal 1960; fu proprio in quegli anni che il suo metodo ebbe maggiore successo, portando alcuni suoi allievi al podio olimpico. I suoi sistemi sono attuali tutt’oggi, grazie alla sua fondazione ed ai libri recentemente pubblicati sulla sua metodologia.

    All’interno del suo metodo, troviamo appunto i “circuiti”, che però negli anni furono abbandonati a causa dell’elevato numero di infortuni che generavano; per questo ho preferito modificarli, proprio affinchè mantenessero l’effetto allenante, ma sostituendo la parte che causava maggiori problemi.

    Prima di andare a vedere nel dettaglio le semplici modalità esecutive, ci tengo a far comprendere la parte che ho modificato ed il perché; nell’immagine sopra, nella parte cerchiata in rosso, trovate il punto critico dell’esecuzione originale. Si trattava di correre in forma di skip una salita di durata fino a 5’ (vedi questo video); il fatto è che non tutti gli atleti avevano le proprietà muscolari e la tecnica sufficienti per effettuarle in maniera corretta. Di conseguenza, il risultato è quello di dare origine a tecniche esecutive errate (vedi questo video come esempio) che incrementavano il rischio di infortuni.

    Come potete vedere nell’immagine sotto, questa parte è stata sostituita da un tratto di 5’ di Corsa Media; attenzione, questo non significa che la struttura diventa meno allenante, ma più semplice da eseguire.

    circuiti lydiard modificati

    Ma vediamo ora come si esegue il circuito:

    • 5’ di Corsa media in salita: (si intende “corsa media percepita”) è importante che l’intensità non sia troppo elevata, ma tale da mantenere una corretta tecnica di corsa, senza che l’affanno respiratorio o la fatica muscolare compromettano lo stile di corsa; è importante cercare di evitare di “piegarsi” in avanti, tenendo lo sguardo verso la strada di fronte (e non sui piedi).
    • 2-3’ di corsa blanda in cima alla salita per recuperare; può essere fatta avanti/indietro il proseguo della salita nel caso in cui non ci fosse un tratto pianeggiante.
    • Scendere per la salita precedentemente fatta ad intensità abbastanza elevata (come se si stesse affrontando una gara di 10 Km)
    • Correre 2-3’ di corsa blanda per recuperare, con all’interno un allungo di 100-200m.

    Una volta ritornati al punto di partenza, si riprendere il circuito.

    N.B.: le pause (il secondo ed il quarto punto) possono essere leggermente allungate nel caso in cui si percepisca di non recuperare adeguatamente. Anche l’allungo di 100-200m può essere evitato per i runner meno esperti.

    Come correre in salita ed in discesa?

    Nelle immagini sotto potete vedere le corrette tecniche di corsa in salita e discesa.

    come si corre in salita

    L’importanza del mantenimento di una corretta tecnica di corsa in salita (cioè il più possibile simile a quella che si utilizza in pianura) permette di allenare la forza delle gambe, proprio perché, oltre allo sforzo fatto per spostarsi in avanti, è richiesto anche uno sforzo supplementare per innalzare il baricentro. Per questo motivo non viene richiesta un’intensità particolarmente elevata; attenzione, non si deve correre alla “velocità della corsa media”, ma ad una “percezione dello sforzo di corsa media”.

    come si corre in discesa

    La discesa invece andrà affrontata come se si stesse facendo una gara di 10 Km; anche in questo caso, il riferimento non è la “velocità” ma la “percezione dello sforzo”. In altre parole, bisogna immedesimarsi di essere in una gara di 10 Km e di correre in discesa alla velocità più appropriata.

    L’effetto allenante sarà quello di stimolare l’apparato neuromuscolare di applicare la forza nel minor tempo possibile, migliorando la velocità.

    Per correre in discesa, è necessario prima di tutto cercare di non impattare bruscamente con il piede in appoggio, ma di avere una corsa “rotonda”, limitando il tempo di appoggio (vedi immagine sopra).

    Concludiamo le raccomandazioni con “l’allungo”; questo viene fatto alla velocità che si ritiene ottimale per lo stato di fatica di quel momento. Non è necessario forzare per fare uno sprint, ma accelerare e mantenere una velocità elevata, possibilmente superiore a quella che si tiene in una gara di 5-10 Km. Lo scopo infatti è semplicemente di “trasformare” in pianura quello precedentemente fatto in salita ed in discesa.

    Non è “obbligatorio” fare 100m precisi (se non si hanno riferimenti o il GPS), ma è sufficiente correre per 18-20”.

    È importante ricordarsi che all’inizio di ogni tratto intenso (CM, discesa, allungo) si deve aver recuperato abbastanza bene lo sforzo precedente; di conseguenza, i minuti di recupero indicati (quelli di corsa blanda) possono essere leggermente aumentati.

    Come incrementare il carico

    È evidente che non basta fare una volta questo tipo di sedute per avere effetti positivi che durino tutta la stagione, ma è necessario inserirle con gradualità all’interno della preparazione e riproporle nei momenti adeguati (lo vedremo dopo) con una progressione esecutiva che sia in grado di assecondare la condizione di forma del soggetto. Ad esempio, la prima volta, posso fare solamente 2 ripetizioni dell’intero circuito, e se vedo che i giorni successivi non ho particolari problemi di affaticamento, la volta successiva (10-15 giorni dopo) posso proporre 3 ripetizioni, e così via.

    Riporto sotto le variabili che possono essere incrementate per aumentare il carico, seduta dopo seduta:

    • Aumento numero di ripetizioni (partendo da 2, arrivando ad un massimo di 5)
    • Incremento distanza degli allunghi (da 100 a 200m)
    • Incremento velocità salita (dalla CM al RG10Km)

    Attenzione, è da aumentare solo una delle varianti alla volta; inoltre, è anche possibile agire sull’elemento più aderente alla distanza praticata. Ad esempio, se si stanno preparando dei trail lunghi o una maratona (eventualmente anche una mezza) è preferibile lavorare sulla prima variabile (aumento numero di ripetizioni), mentre se si vuole finalizzare la propria condizione in funzione di gare più veloci (10 Km o meno), è plausibile agire su tutte e 3 le varianti alternativamente.

    Quando inserirlo all’interno della stagione?

    tabella allenamento corsa
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Nell’immagine a fianco potete vedere una semplificazione di quella che potrebbe essere una programmazione di una stagione atletica, finalizzata al raggiungimento di uno o più obiettivi nella parte finale (indicativamente per gare fino a 21 Km); per approfondire potete leggere l’articolo specifico.

    La fase più lunga (quella Generale), durante la quale si lavora sulle qualità atletiche che sono alla base della performance, è quella in cui è ideale inserire questo tipo di allenamenti; questo perché stimolano forza e velocità, che rappresentano i prerequisiti essenziali per “costruire” un ritmo gara elevato.

    Riassunto conclusivo e punti essenziali

    Le salite estensive rappresentano forme allenanti efficaci per lavorare su forza e velocità nel periodo Generale; l’incremento del potenziale atletico del runner avviene grazie ad un aumento del carico, che si può ottenere incrementando le ripetizioni (elemento da preferire), la lunghezza degli allunghi o la velocità del tratto in salita (più difficile da attuare).

    È comunque importante ricordare che l’efficacia del protocollo dipende anche dalla correttezza tecnica con la quale vengono affrontati tecnicamente i tratti in salita ed in discesa.

    Malgrado sia un mezzo allenante che è alla portata della maggior parte dei runner agonisti, lo sconsiglio a chi non è abituato a correre in discesa ed in salita. Questo perché il rischio di affaticamenti (e di conseguenza infortuni) tenderebbe ad aumentare; piuttosto, per abituarsi a correre su salite/discese, consiglio il lungo collinare.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  5. Running: salite brevi e varianti

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    L’utilizzo delle salite è da sempre stato uno dei mezzi principali di potenziamento a carico naturale per i podisti. Nei mesi passati abbiamo analizzato le diverse varianti (prima e seconda parte) optando comunque per quelle di Lydiard modificate come le esercitazioni ideali per gli amatori. Non tutti però hanno a disposizione salite di una certa lunghezza e devono adattarsi all’utilizzo di brevi “rampe” come dei cavalcavia o ascese di ponti/argini. Nell’articolo originario (sulle Salite Brevi), abbiamo lasciato comunque una certa variabilità nella strutturazione di questa tipologia di seduta (lunghezza, intensità, tecnica di corsa, ecc.) che può rivelarsi poco chiara a chi è poco abituato con questa tipologia di allenamenti.

    figura 1ù

    Nel documento odierno, vogliamo invece fare maggiore chiarezza, adattando anche le diverse tipologie di salite brevi alla tipologia di podista.

    Scarica il documento

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    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

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