Nel precedente post abbiamo analizzato i rapporti tra Rapidità ed Esplosività, concludendo che quest’ultima rappresenta un presupposto della rapidità. Abbiamo poi citato la Pliometria come metodologia d’elezione per lo sviluppo delle componenti esplosive e l’utilizzo dei pesi come metodo alternativo, ma estremamente delicato da utilizzare. Non a caso, negli anni passati, l’utilizzo indiscriminato delle macchine per la muscolazione e l’inserimento errato dei pesi nella programmazione dell’allenamento ha arrecato più danni (infortuni) che benefici. Le metodologie d’allenamento più recenti hanno portato a “spostare” l’attenzione dell’allenamento Generale dedicato alla Potenza muscolare sui CAMBI DI DIREZIONE. Alla luce di queste considerazioni è ancora opportuno l’utilizzo dei pesi nel calcio per le componenti esplosive del movimento?
Per dare una risposta a questa domanda, analizziamo le relazioni che sono state trovare in ambito scientifico-sperimentale tra forza e altre componenti neuromuscolari del movimento:
La relazione tra forza massima e Rapidità è praticamente nulla.
Il lavoro finalizzato all’incremento della forza massima (half-squat) permette di ottenere miglioramenti esclusivamente sull’accelerazione (Wisloff et al 2004).
Nel grafico sopra riportato è possibile vedere il rapporto tra Forza e Velocità nello spostamento di un peso. Com’è facile intuire (vedi Curva della forza), minore è il peso da sollevare e maggiore è la velocità con la quale si può spostare. Dalla Curva della potenza (quella verde) è possibile vedere come la massima potenza muscolare è raggiunta a carichi pari al 30-40% della massima forza applicata (vedi cerchio azzurro). Si è quindi portati a dedurre che i mezzi che dedicati alla Potenza che utilizzano pesi tra il 30-40% del massimale (spostati alla massima velocità) siano quelli con il maggior effetto allenante. Tra i movimenti più utilizzati ricordiamo l’half-squat (vedi figura sotto).
Purtroppo questa concezione si è rivelata inadatta al calcio ed è stata una delle cause di infortuni negli anni passati. Questa metodologia è utilizzata con successo da parecchi anni in atletica leggera (per saltatori, lanciatori e velocisti), ma il periodo delle gare in questa disciplina è racchiuso in pochi mesi l’anno, quindi l’affaticamento indotto da determinate sedute si riesce a smaltire in tempo. Nel calcio questo è impossibile, perché le partite si svolgono durante tutta la stagione e l’affaticamento indotto da questi mezzi non si riesce a smaltire in tempo, provocando affaticamenti e di conseguenza incrementando il rischio di infortuni. Altra causa è stato il fatto di utilizzare (in diversi casi) le macchine da muscolazione in sostituzione dei pesi (vedi esempio sotto); nelle macchine, l’attivazione della muscolatura è poco sovrapponibile a quella dei cambi di direzione e di conseguenza provoca squilibri muscolari (in particolar modo a carico dei muscoli stabilizzatori) incrementando il rischio di infortuni.
E l’utilizzo dei sollevamenti olimpici?
Com’è possibile vedere nella figura sotto, i sollevamenti olimpici sono quei movimenti (girata, strappo, slancio, ecc.) combinati in cui ci sono fasi in cui sì “tira” e sì “spinge” un bilancere per portarlo ad una determinata altezza (ad esempio sopra la testa). Sono movimenti che nelle discipline specifiche richiedono elevati livelli di tecnica e di potenza e allo stesso tempo reclutano la muscolatura in maniera abbastanza funzionale nei confronti dei movimenti di accelerazione con livelli di affaticamento modesti. Questo tipo di mezzi è stato proposto anche nel calcio; anche in questo caso però sussistono delle problematiche che ne sconsigliano l’applicazione:
La prima è che questi carichi sottopongono il rachide a sollecitazioni tali da predisporre ad infortuni questa parte del corpo; si presume che tale probabilità possa essere maggiore in soggetti poco avvezzi a questi movimenti come i calciatori (Bruce-Low et al 2007).
La seconda è che questi movimenti sono particolarmente difficili da eseguire dal punto di vista tecnico, ed un miglioramento del peso sollevato con il proseguire delle sedute (per un calciatore), sarebbe frutto di un miglioramento tecnico-specifico del movimento stesso e non di un incremento dei livelli di potenza.
Conclusioni ed approfondimenti
Considerando gli studi citati, si potrebbe affermare che l’utilizzo dei pesi per il miglioramento delle componenti esplosive del movimento (accelerazione nel calcio) si dovrebbe limitare ai mezzi finalizzati all’incremento della forza massima.
Di fatto, tali esercitazioni è consigliabile effettuarle solamente nel periodo off-season; non solo, è da precisare che l’allenamento della forza deve tenere in considerazione 2 aspetti principali come l’individualizzazione dell’allenamento (in primis per ridurre il rischio di infortuni) e lo stimolo dei movimenti fondamentali per la disciplina.
Di conseguenza, un approccio più corretto deve assolutamente tenere in considerazione la funzionalità dei movimentie l’individualizzazione degli stimoli allenanti.
Per approfondire questi concetti, consigliamo il webinar L’allenamento della forza negli sport di squadra; in questo corso viene analizzato l’argomento partendo dalla priorità, cioè il lavoro sui punti deboli individuali dell’atleta (postura, asimmetrie, mobilità, ecc.).
Lo sviluppo della forza ai fini prestativi, viene invece affrontato tramite movimenti che siano strettamente funzionali nei confronti del gesto atletico; attenzione, perché per “funzionale” non si intendono solamente esercitazioni che abbiano un transfert motorio, ma anche sensoriale, attuando una combinazione di stimoli che sia il più simile possibile, dal punto di vista sensomotorio, ai movimenti della disciplina praticata.
Gli autori del webinar (Alessandro Lonero, Paolo Aiello e Andrea Licciardi) sviluppano il concetto di allenamento della forza in 3 discipline diverse (Basket, Futsal e Calcio), con contenuti trasversalmente utili in più discipline. L’utilizzo di esercizi principalmente a carico naturale e con piccoli attrezzi, rende questo corso utile sia per chi opera a livello professionistico che dilettantistico.
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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
Abbiamo accennato all’importanza di avere, nel calcio, un potenza aerobica adeguata per prevenire cali di performance durante la gara (dopo le azioni particolarmente intense) e nella fasi finali della stessa. Ma quale potenza aerobica serve al calciatore?
La domanda può sembrare “fuori luogo”, in quanto si potrebbe rispondere che la potenza aerobica si misura in ml/Kg/min di ossigeno (millilitri di ossigeno su Kg, al minuto), oppure al limite con una velocità ottenuta da un test incrementale.
La domanda di sopra invece, cerca di approfondire quali sono le variabili, tra quelle che influenzano questa qualità, che possono maggiormente essere determinanti nel calcio rispetto ad altre. È il funzionamento dell’apparato cardiovascolare? È la soglia anaerobica? È il rendimento energetico?
Dal modello funzionale del calcio, sappiamo che la preparazione atletica del calciatore è estremamente multifattoriale, quindi è ben difficile dare una risposta esaustiva alla domanda del titolo.
Quello che faremo, è comunque cercare di capire le differenze tra dilettanti e professionisti che emergono dalla bibliografia internazionale, al fine di avere spunti interessanti per la programmazione dell’allenamento. Ma incominciano con l’analisi di un primo studio molto interessante del 2011.
Dellal et al 2011, J Strength Cond Res
I ricercatori hanno confrontato la Massima Potenza Aerobica su percorso lineare e i livelli di fatica (fatica percepita, livello del lattato, frequenza cardiaca) durante minipartite (da 2c2 a 4c4) in 2 gruppi di calciatori: uno di livello internazionale e l’altro di 4° divisione Francese (che equivale all’incirca alla nostra 3° categoria). Il risultato che colpisce particolarmente, è che malgrado i due gruppi di calciatori avessero una velocità aerobica massimale paragonabile nella corsa lineare(intorno ai 17Km/h), i calciatori professionisti:
Effettuavano un volume maggiore di metri ad alta/altissima velocità durante le minipartite (considerazione comunque “parziale” in quanto non sono state analizzate le accelerazioni/decelerazioni come nei criteri della potenza metabolica).
Giocavano le minipartite con un minor livello di fatica percepita (RPE) e presentavano livelli di lattato inferiore.
Effettuavano meno errori di natura tecnica (maggior numero di passaggi riusciti).
Che considerazioni possono essere estrapolate da questi risultati? Sembra che i calciatori professionisti non siano tanto dotati di un maggior potenziale aerobico espresso sulla corsa lineare, ma
riescano ad esprimere il loro potenziale con maggior efficienza energetica durante il gioco; in altre parole hanno un potenziale aerobico lineare paragonabile a quello dei dilettanti, ma riescono ad esprimerlo meglio in funzione del gioco!
La causa di questa differenza risiede probabilmente negli aspetti coordinativi del movimento; di conseguenza
l’abilità di adattarsi (sopratutto con i cambi di direzione in maniera efficiente e poco dispendiosa dal punto di vista energetico) alle situazioni e ai movimenti del calcio è l’abilità atletica che dal punto di vista metabolico differenzia maggiormente dilettanti e professionisti!
Una conferma la possiamo avere dallo studio di Paul et al 2016; anche se la variabile approfondita era l’agilità, i ricercatori videro come atleti di livello superiore (sport di squadra) avevamo migliori tempi di reazione, maggior precisione nei movimenti, posizionamento più accurato dei piedi e maggiore stabilità nell’affondo lineare. Questi risultati sostengono le considerazioni fatte sopra, nelle quali viene sottolineata l’efficienza dei gesti come discriminante principale nella potenza aerobica tra dilettanti e professionisti.
La Juve ed i dilettanti
In questo capitolo voglio soffermarmi su un aspetto molto pratico, che ritengo altrettanto utile per spiegare lo stesso fenomeno. Mi avvalgo di una pubblicazione di Roberto Sassi (a questo link è possibile trovare la presentazione) in cui mostra la progressione dei carichi aerobici durante il periodo preparatorio della Juve (dati pubblicati nel 2015); a pagina 21 della presentazione mostra i carichi di lavoro della seduta più impegnativa, presumibilmente quella che corrisponde ai carichi di lavoro che un calciatore di serie A riesce a sostenere durante la stagione. Essendo questi protocolli analoghi a quelli che faccio io (ed altri) nei dilettanti, ci offre un ottimo spunto per confrontare le qualità in corsa lineare e a navetta (cioè con cambi di direzione). Vediamo ora i protocolli in questione confrontando quelli utilizzati in Prima Categoria/Promozione (protocollo non personalizzato) e quelli del gruppo dei più lenti della tabella presentata sempre a pag 21.
Già ad una prima occhiata è possibile notare come ciò confermi la ricerca di Dellal et al 2011 descritta sopra; in altre parole, nei protocolli lineari la differenza è minima, mentre quando si utilizzano i cambi di direzione (navette) il divario è particolarmente evidente.
Ma andiamo a fare un ulteriore approfondimento (per quantificare le diversità), indicando le potenze metaboliche erogate dai vari protocolli. Per i protocolli lineari useremo il foglio di calcoli pubblicato da Colli 2012, mentre per i protocolli a navetta, sempre quella del prof. Colli. È mia opinione (in base alle mie esperienze personali) come probabilmente la tabella a navetta sovrastimi il costo energetico rispetto a quella lineare; forse perché il campione utilizzato erano studenti di Scienze Motorie e non calciatori, che probabilmente hanno migliori costi energetici nei cambi di direzione; in ogni modo questa considerazione è ininfluente nel confronto che andremo noi a fare.
Preciso che i dati della Juve nel protocollo a navetta sono stati ridotti dell’11.5% perché il tempo di lavoro è dimezzato rispetto al protocollo dei dilettanti; infatti, secondo Colli 2013, al raddoppiare del tempo di lavoro, la potenza si riduce dell’11.5% (dati estrapolati dal rapporto potenza/durata nei record del mondo del mezzofondo).
Bene, anche confrontando la Potenza metabolica, appare evidente come nell’intermittente lineare gli scarti siano minimi, mentre nel protocollo a navetta siano quasi abissali.
Ma quali possono essere le variabili che influenzano tale differenza?
Volume e qualità dell’allenamento del calcio professionistico maggiori rispetto a quello dilettantistico.
Doti coordinative e neuromuscolari che i calciatori di talento hanno innate rispetto a chi gioca a livello dilettantistico.
Probabilmente entrambe le risposte sono valide contemporaneamente, ma quello che a noi interessa è il cercare di trovare spunti interessanti per chi opera in ambito dilettantistico.
Il primo spunto a mio parere è una conferma di quanto già affermato in un precedente articolo, “non è possibile parlare d’allenamento atletico specifico senza considerare l’uso della palla! Infatti, analizzando i vari dati, si comprende come sia impossibile allenare a secco (cioè senza l’uso della palla) uninsieme di cambi di direzione e di velocità/accelerazioni/decelerazioni della durata così breve e d’intensità così variabile!”.
Il secondo spunto è relativo all’importanza della coordinazione: i dilettanti non hanno lo stesso tempo a disposizione dei professionisti per allenarsi, per questo motivo, a mio parere, è fondamentale concentrare in alcuni momenti della settimana importanti stimoli coordinativi, sia di natura non massimale, che massimale. Com’è stato visto dalla ricerca di Venturelli 2008, ne può beneficiare sia la tecnica che la rapidità.
Non solo, anche i lavori aerobici a secco (quando fatti) dovrebbero rispondere all’esigenza di stimolare la coordinazione il più possibile, andando incontro a quelle che sono le esigenze funzionali del calciatore. Potete trovare un elenco di protocolli di lavoro (sottoforma di Fartlek) nel nostro post dedicato all’allenamento generale.
Conclusioni
L’efficienza atletica e la coordinazione con la quale i professionisti applicano i propri livelli di potenza aerobica (e muscolare) alle situazioni di gioco, sono alcuni degli elementi che fanno la differenza rispetto ai dilettanti. Di conseguenza è plausibile ipotizzare che il potenziale atletico (aerobico e muscolare) vada incrementato tramite il lavoro generale (che comunque deve rispondere a determinati criteri di specificità), ma “trasformato” al gioco tramite un allenamento atletico specifico che non può assolutamente escludere il gioco con la palla! Sta poi alla bravura e alla sensibilità degli staff che compongono le società a comprendere ed intuire la percentuale dei vari lavori da utilizzare in base alle situazioni contingenti.
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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
L’abilità di sprintare (anche senza palla) è una qualità fondamentale che determina le segnature in una partita (Faude et al 2012, Haugen et al 2014); è anche evidente che questa deve potersi ripetere più volte nel contesto di un match.
L’RSA (semplificando, la capacità di effettuare sprint ripetuti) è da diversi anni ipotizzata l’abilità che maggiormente “incarna” questa capacità; sono stati effettuati tantissimi studi e ricerche sull’argomento…ma quello che interessa gli addetti ai lavori è:
come allenare i calciatori affinchè siano più veloci nel contesto di una partita?
In questo post, andremo a vedere quello che emerge dalla bibliografia internazionale sull’argomento, per poi analizzare quelle che possono essere le linee guida di base per ottimizzare la velocità nel contesto di partita.
Bibliografia internazionale ed esperienza da campo
L’RSA è il classico esempio di come quello che emerge a livello di pubblicazioni (studi e ricerche) non sempre va incontro a quella che è l’esigenza dei preparatori atletici. Ma come si valuta l’RSA?
Solitamente viene misurata tramite tratti massimali (con cambi di direzione o a navetta) di pochi secondi, intervallati da pause di 20-30”; il tutto per 6-10 ripetizioni.
In bibliografia internazionale sono veramente tanti gli studi che hanno approfondito e cercato correlazioni tra questa qualità e l’attività di gara (o il livello degli atleti); alcuni di questi (tra le tante pubblicazioni) sono riusciti a trovare correlazioni tra il livello degli atleti o i metri percorsi ad alta intensità in partita. Ma in diversi casi non sono state trovare correlazioni.
Indipendentemente dai singoli studi, credo che per chi opera nel calcio sia importante capire come incrementare la velocità del calciatore nel contesto di allenamento e di gioco.
Mi spiego meglio: se in un determinato studio vengono dedicati 30’ alla settimana (in sostituzione all’allenamento classico) allo sviluppo a secco della velocità con il metodo X, e dopo 2 mesi si verifica un miglioramento significativo di 0.05 secondi sulla capacità di sprintare sui 20m, allora le conclusioni dello studio saranno quelle che il metodo X è in grado di migliorare la velocità del calciatore. Ma attenzione, chi è disposto a rinunciare a 30’ di allenamento settimanale (per 2 mesi) per migliorare lo sprint sui 20m di 0.05”?
“diversi studi e ricerche hanno trovato come tanti tipi di allenamento possano essere efficaci, ma la maggior parte di questi sono difficili da implementare (soprattutto nei dilettanti); di conseguenza, sarebbe più efficace ascoltare tecnici esperti in materia piuttosto che le linee guida presenti in letteratura”
Di conseguenza, la capacità di sprintare nel calcio è ben lontana dall’essere compresa dal punto di vista metodologico.
“Allenare è un’arte che non si basa solo sulla scienza, ma anche sull’intuito e sull’osservazione non codificabile”
Roberto Colli
Scienza e buon senso
Allora come fare?
Dal mio punto di vista, la ricetta è semplice: si parte dalle proprie certezze, si cerca di aggiornarsi, e si implementa il tutto gradualmente.
Spiego meglio cosa intendo dire: se ho la certezza (dopo diversi anni di esperienza) che un determinato approccio metodologico sia efficace, allora credo sia giusto metterlo alla base del mio metodo d’allenamento.
Ciò non significa che sia il migliore in assoluto ma, in quel momento, il migliore che io possa somministrare ai miei giocatori in base alle esperienze che ho.
Questo ovviamente non è sufficiente per fare un ottimo lavoro, in quanto sono convinto che un preparatore atletico debba continuamente studiare ed aggiornarsi se vuole diventare un professionista migliore.
Visto che la metodologia d’allenamento del calcio è particolarmente complessa (e va contestualizzata) ogni nozione appresa non deve assolutamente portare rivoluzioni nel proprio modo di allenare, ma deve stimolare dubbi e proporre soluzioni che poi devono essere contestualizzate ed evidentemente implementate nella propria metodologia; tutto ciò deve avvenire con la massima gradualità, cercando di non stravolgere tutto in una volta.
L’errore da non fare è quello di copiare mode o metodi che emergono dalla bibliografia internazionale senza prima fare un esame critico dell’utilità che questi possono avere nel proprio contesto; in altre parole, è fondamentale avere flessibilità mentale e senso critico nel recepire idee e metodi.
Il concetto espresso sopra ovviamente non vale solo per la capacità di sprintare, ma per tutte le dimensioni prestative del calciatore.
Allora come lavorare sulla capacità di sprintare?
Di seguito presento la sintesi di quello che è il mio approccio (a livello dilettantistico), sperando che possa essere da spunto per altri.
Per comodità preferisco parlare di “rapidità” nel calcio piuttosto che di “velocità”, in quanto il primo termine racchiude una gestualità motoria più ampia, tipica di una disciplina complessa. Racchiudo le variabili che influenzano questa qualità in qualità generali (forza massima e postura dinamica) e specifiche (rapidità coordinativa, globale e cognitiva). Vado a riassumerle brevemente sotto, indicando alcuni spunti per approfondire
Forza massima
Malgrado la capacità di forza massima non sia correlata con la velocità del movimento, ne rappresenta un importante presupposto. Infatti, oggi sappiamo che un adeguato livello di forza del muscolo è necessario per fare in modo che in alcune catene muscolari (soprattutto quella estensoria) il ventre muscolare subisca una minima perturbazione della propria lunghezza durante il ciclo stiramento-accorciamento per permettere un maggiore accumulo di energia elastica nei tendini. Questo permette di ridurre l’incidenza di infortuni ed una più rapida sequenza delle fasi del movimento; per approfondire leggi il nostro articolo specifico.
Questi benefici sono stati riscontrati in diversi studi (Hoff et al 2014, Ronnestad et al 2011, Wisloff et al 2004) con l’incremento dei livelli di accelerazione in calciatori a seguito di periodi in cui sono stati eseguiti esercitazioni con i pesi rivolte all’incremento della forza massima. Ad arricchire questo legame causa-effetto c’è anche la revisione di Weldon et al 2021, in cui per la prima volta sono stati raccolti i risultati della loro indagine fatta con preparatori atletici professionisti.
Com’è lecito attendersi, lo sviluppo della forza massima nel calcio è strettamente legata al contesto (mezzi, tempi a disposizione, ma anche metodologia d’allenamento) e non necessariamente deve utilizzare pesi estremamente elevati. Coma abbiamo visto in precedenza, è necessaria una contrazione di intensità massimale della durata di almeno 0.7-0.8” per attivare questo tipo di adattamenti (Colli 2012).
Considerando la complessità motoria del calcio, è evidente che sfruttando i movimenti funzionali ed attrezzature di vario tipo sia possibile ricercare questi parametri sia dal punto di vista motorio che sensomotorio, cioè con spiccata specificità nei contesti dei movimenti dei calciatori. Per approfondire, consiglio i webinar del Canale Strength and Conditioning di PerformanceLab (puoi trovare il codice sconto nel nostro post specifico).
A mio parere questa rappresenta una delle sfide metodologiche più interessanti nell’ambito della preparazione atletica calcistica, in particolar modo per chi lavora a livello professionistico e semi-professionistico. A livello dilettantistico è un discorso più complesso (per mancanza di tempo, personale e mezzi), ma non è da escludere che con grande spirito di adattamento ed intuito non si possa comunque riuscire a fare un buon lavoro anche su questa qualità.
Lavoro posturale
Questo tipo di lavoro nel calcio è prevalentemente finalizzato a ridurre il rischio di infortuni, e rappresenta sicuramente uno degli aspetti metodologici fondamentali a tutti i livelli; è sufficiente notare come la casistica di infortuni anche a livello professionistico sia particolarmente elevata, sintomo che è un approccio estremamente complesso e difficile.
Solitamente, questo prevede lavori che tendono ad elongare in diversi modi le catene miofasciali ed allo stesso tempo rinforzarne la capacità di contrarsi e di resistere alle sollecitazioni agli angoli articolari più critici. Questi protocolli prevedono l’utilizzo prevalente di movimenti funzionali, ma anche analitici nel caso in cui vengano individuate aree critiche dal punto di vista individuale.
A differenza dei lavori di forza massima, vengono effettuati con regimi di contrazione più lenti (anche statici) e con carichi ridotti. Ma facciamo alcuni esempi per chiarire meglio.
Molti calciatori hanno una ridotta flessibilità dell’articolazione tibio-tarsica (si evince perché facendo uno squat tendono a sollevare i talloni); questo impedisce al corpo di inclinarsi sufficientemente durante le accelerazioni (potrebbe arrivare anche a 40-45°) perdendo efficienza anche in presenza di qualità muscolari adeguate.
La stessa cosa si potrebbe dire della capacità di estendere l’anca; i calciatori tendono ad avere il muscolo psoas molto rigido, di conseguenza fanno fatica ad estendere l’anca durante le fasi di accelerazione. Anche in questo caso, si perderebbe efficienza del gesto anche in presenza di qualità neuromuscolari adeguate.
Ultimo esempio è in riferimento alla capacità di una catena a resistere alle sollecitazioni eccentriche; l’esempio più lampante sono i flessori della coscia, tra i muscoli più soggetti ad infortuni. Incrementarne la resistenza muscolare locale in maniera funzionale aiuta a ridurre il rischio di lesioni.
Anche tra i dilettanti è possibile fare un ottimo lavoro, in quanto la richiesta di mezzi necessari è molto inferiore, e gran parte dei lavori possono essere fatti anche a carico naturale. La difficoltà maggiore a cui si può andare incontro (soprattutto per gruppi nuovi) è la non desuetudine ad effettuare determinati movimenti, che d’altronde determina la maggior parte delle rigidità. In questi casi è da ricercare una certa progressività esecutiva (dai movimenti più semplici a quelli più complessi) ed utilizzare le prime volte tempistiche abbastanza dilatate come quella che io chiamo 532; in altre parole, per apprendere al meglio il movimento, si effettua la fase eccentrica in 5”, si mantiene la posizione per 3” (isometria) e si esegue la fase concentrica ritornando alla posizione iniziale in 2”.
Per chi volesse approfondire l’allenamento miofasciale a 360°, consiglio il libro di Ester Albini; per chi invece vuole un approccio più specifico al calcio, consiglio il Webinar di Marco Giovannelli (trovare lo sconto del 10% sempre nella nostra pagina dedicata ai codici sconto).
Rapidità
Forza massima e postura sono prerequisiti della rapidità; a sua volta, preferisco dividere i mezzi per la rapidità in 3 categorie per ripartire il lavoro settimanale: Rapidità analitica, rapidità globale e rapidità cognitiva. Riassumo brevemente sotto con i riferimenti per gli approfondimenti.
Rapidità analitica: sono mezzi in cui viene posta l’enfasi sulla precisione dei movimenti (posizione del piede, frequenza dei passi, modulazione del baricentro, ecc.) affinchè sviluppi una giusta lateralità in contesti rapidi. A questi, si aggiunge anche il lavoro di rapidità coordinativa in virtù del legame tra rapidità e coordinazione.
Rapidità globale: sono tutte quelle esercitazioni a secco (con cambi di direzione o altro tipo di impegno motorio) in cui viene richiesta la massima velocità esecutiva. Tra tutti, sono quelli che permettono di trasformare il rendimento del giocatore a secco, in base a tutti i prerequisiti (forza massima e postura) su cui ci si prepara.
Rapidità cognitiva: si potrebbe chiamare anche rapidità situazionale in quanto viene effettuata con la palla. Il razionale di questo metodo sta nel fatto che il giocatore di calcio non deve essere solo più “veloce” del proprio avversario, ma deve anche saper “leggere” la situazione tattica per poter iniziare il movimento prima del suo avversario. Di conseguenza l’uso della palla in situazione è fondamentale. Non mi dilungo ulteriormente perché la proposta di questi mezzi deve essere fatta in accordo con l’allenatore; in ogni modo, è da ricordare che l’utilizzo di campi di ridotte dimensioni (ad esempio 70-100 m² per giocatore) allena prevalentemente le accelerazioni/decelerazioni, mentre con dimensioni maggiori (140-160 m² per giocatore) la corsa in velocità per le finalizzazioni. Ovviamente sono da valutare attentamente anche la durata delle serie e delle pause, in quanto con il passare della “serie” l’intensità tende a calare. In fondo al nostro terzo post dedicato alla rapidità, potete trovare anche mezzi molto semplici (non di situazione) per lo sviluppo della rapidità cognitiva.
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Conclusioni ed ulteriori approfondimenti
Spesso sento preparatori giudicare altri preparatori basandosi solo su pochi elementi di giudizio, solo perché vedono somministrare mezzi allenanti teoricamente “obsoleti”; credo che invece sia importante non solo la tipologia di esercitazioni utilizzate, ma anche il “come” vengono utilizzate. In altre parole, ritengo sia meglio somministrare stimoli allenanti che si conoscono e di cui si ha esperienza, piuttosto che seguire le “mode” senza esserne a conoscenza della reale efficace nel proprio contesto.
Questo non significa che si debba rimanere ancorati nelle proprie abitudini, ma che si debbano affrontare le novità con spirito critico, e l’introduzione di nuovi stimoli allenati debba essere fatta con estrema gradualità ed attenzione.
Detto questo, studiare ed aggiornarsi diventano 2 tasselli fondamentali per diventare professionisti migliori!
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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
Specializzarsi non vuol dire altro che indirizzare l’allenamento verso il modello specifico di gara, realizzando il potenziale dell’atleta, ma restringendo il campo delle sue abilità!
Questa frase credo spieghi molto bene come l’allenamento atletico specifico (approfondito nel precedente articolo) sia essenziale per ottimizzare la performance, ma allo stesso tempo non soddisfi, da solo, tutte le esigenze a cui va incontro un atleta nell’arco di una stagione (perché “restringe il campo delle sue abilità”).
In diversi sport individuali, la preparazione di un’intera annata è finalizzata a pochi eventi fondamentali; in questi casi, la preparazione inizia con un allenamento prevalentemente generale (mirato ad incrementare le potenzialità dell’atleta in riferimento al modello funzionale), per poi specializzare sempre di più gli stimoli allenanti man mano che ci si avvicina all’evento fondamentale.
Nel calcio e in tutti gli sport di squadra non è così; infatti la lunghezza della stagione e la brevità del periodo preparatorio implicano che la consequenzialità (da generale a specifico) possa essere rispettata giusto nella parte iniziale della preparazione estiva, ed esclusivamente per le squadre professionistiche. Per il resto dell’anno e per i dilettanti (che hanno veramente poco per preparare il primo incontro ufficiale) è giusto mantenere una corretta alternanza tra lavoro atletico generale e atletico specifico.
A cosa serve il lavoro generale?
Dal punto di vista didattico, credo sia corretto dividere il lavoro atletico generale in:
Mezzi (o stimoli allenanti) orientati prevalentemente allo sviluppo delle qualità aerobiche
Mezzi dedicati prevalentemente alla potenza neuromuscolare (rapidità ed esplosività)
Mezzi per la coordinazione e la prevenzione infortuni
È ovvio che questa suddivisione non è settorializzata, infatti un’esercitazione finalizzata alla prevenzione infortuni può essere allenante anche per la rapidità e viceversa.
Semplificazione dei mezzi utilizzati nella preparazione condizionale del calciatore
Ovviamente non è mia intenzione trattare un argomento così vasto e delicato in un singolo post, per questo motivo cercherò di sintetizzare quelli che a mio parere sono i concetti di base.
Coordinazione e prevenzione infortuni
Partiamo da un presupposto importante: gli infortuni da “non contatto” (per intenderci, quando il giocatore si fa male senza che un contrasto sia la causa della lesione) si possono limitare in maniera estremamente efficace; di conseguenza, in questi casi non diamo la colpa alla sfortuna! L’infortunio (da non contatto) è sempre colpa di un errore umano di chi prepara, di chi cura il giocatore e/o di chi fa le scelte. Vi invito a leggere questa intervista a Paolo Terziotti per comprendere il concetto.
Non a caso, questo probabilmente è il ramo più difficile da gestire, perché prevede l’interazione di diverse figure come il preparatore atletico (che deve bilanciare carico/recupero ed attuare l’allenamento di prevenzione), il personale medico/fisioterapico (che deve trattare segni e sintomi e decidere eventualmente lo stop o i tempi di recupero) e l’allenatore (che vorrebbe sempre i giocatori pronti ad entrare in campo); in particolare a livello dilettantistico, potete immagine come per un preparatore possa essere difficile districarsi in queste situazioni, soprattutto per l’assenza di personale medico.
L’importanza della prevenzione è fondamentale e lo testimonia il peso che può avere sul risultato finale. Una volta la si divideva in 2 rami, cioè la prevenzione secondaria (per evitare il rischio di recidive) e primaria (lavoro svolto collettivamente per ridurre genericamente il rischio di infortuni); a mio parere attualmente è più giusto parlare di lavoro collettivo di prevenzione e lavoro individualizzato.
Lavoro individualizzato
Questo prevede non solamente l’allenamento personale basato sulle recidive (prevenzione secondaria), ma anche un lavoro dettato da valutazioni finalizzate ad individuare i fattori di rischio anatomici e funzionali che potrebbero generare infortuni. Queste valutazioni dovrebbero essere multidisciplinari e coinvolgere:
La biomeccanica applicata sia alla posturologia che allo studio dei movimenti; un esempio potrebbe essere l’analisi video di movimenti funzionali (come nel test di Cook e Burton), di cambi di direzione o del Triple-hop distance. Non è da trascurare anche il dialogo con il soggetto interessato.
L’osteopatia per verificare la “situazione anatomica” dell’apparato muscolo scheletrico e i possibili collegamenti con infortuni, anche particolarmente datati.
Questo tipo di lavoro, dovrebbe essere effettuato a secco individualmente (in momenti settimanali dedicati) o tramite riscaldamenti individualizzati (prima dell’allenamento) come consigliato da Sergio Rossi nei commenti a questo post su Linkedin.
Lavoro collettivo
Si intende l’approccio preventivo che tiene in considerazione delle esercitazioni fatte da tutta la squadra. Attenzione, non si intende solamente la pratica di “esercitazioni” collettive volte ridurre il rischio di infortuni (come può essere un corretto inserimento dell’allenamento funzionale), ma anche l’influenza che possono avere su questo ambito tutte gli altri mezzi allenanti. Ma facciamo alcuni esempi: nel precedente post, abbiamo visto come il modello funzionale del calcio imponga un’elevata variabilità dei movimenti e una richiesta di forza eccentrica (nelle frenate e nei cambi di direzione) molto elevata.
I 2 esercizi della figura sopra rappresentano non solo mezzi allenanti per la rapidità, ma permettono di lavorare anche sulla prevenzione tramite frenate eccentriche ad alta intensità (esempio di sinistra) e tramite lavoro coordinativo analitico (esempio di destra).
Entrando maggiormente nell’ambito metodologico, è evidente il legame tra l’efficienza dei gesti e il rischio di infortuni. Ad esempio, un’elevata mobilità delle catene permette sicuramente di padroneggiare al meglio i movimenti e la tecnica; però, se la mobilità non è accompagnata da una stabilità e resistenza muscolare locale adeguata (soprattutto ai gradi più estremi del movimento), sarà comunque facile infortunarsi. Tutto questo rischia comunque di non essere sufficiente se il giocatore non è in grado di reclutare le fibre motorie delle catene cinetiche con il giusto tempismo ed intensità: questo è il ruolo della “coordinazione” dei gesti, con l’importante ripercussione sull’efficienza dei movimenti (vedi immagine sotto).
Anche il carico di lavoro è importante al fine di prevenire gli infortuni; dalle ricerche di Malone et al 2018 ed Edouard et al 2019, figura come esista un range di carico di lavoro settimanale (basato sulla percezione della fatica) per ridurre il rischio di infortuni; al di sotto o al di sopra di questo range, i rischi aumentano. A questo concetto dovrebbe prestare particolare attenzione chi lavora nei settori dilettantistici; provate a pensare come la partita nei dilettanti duri 90’ come per i professionisti, ma il numero di allenamenti sia molto inferiore. In sostanza il carico di gara è pressappoco lo stesso (ovviamente di poco più basso), ma il tempo per allenarsi è inferiore. Ne consegue che per strutturare un carico allenante corretto, nei dilettanti sia particolarmente importante mantenere una densità adeguata durante gli allenamenti limitando il più possibile le pause.
Anche l’apprendimento corretto dei cambi di direzione è un esempio di come l’allenamento per le qualità neuromuscolari si intersechi con quello di prevenzione. Altri aspetti da non trascurare sono un graduale incremento del carico durante la preparazione pre-campionato e un riscaldamento adeguato.
L’allenamento per le componenti neuromuscolari
La potenza neuromuscolare è determinata dalle qualità neuromuscolari del calciatore, definendone dal punto di vista funzionale l’esplosività e la rapidità.
“L’esplosività è la capacità di reclutare in modo dirompente e veloce (istante 0) il massimo numero di unità motorie”
“La rapidità è laqualità che permette di effettuare azioni motorie nel più breve tempo possibile alla massima intensità”
Non mi dilungo ulteriormente sulla differenza tra queste 2 qualità, che potete trovare nel post specifico; anche l’allenamento per la rapidità e per l’esplosività potete trovarli negli articoli ad essi dedicati. Desidero invece soffermarmi sui motivi per cui il lavoro a secco per la rapidità è importante.
Per primo, è fondamentale per la prevenzione infortuni; se si effettuassero solamente esercitazioni specifiche (cioè situazionali) probabilmente il giocatore tenderebbe a preferire sempre il lato più forte nell’esecuzione dei gesti più intensi (stessa cosa vale per i gesti tecnici) esacerbando sempre di più la differenza funzionale tra i 2 emilati; la conseguenza sarebbe quella di incrementare drasticamente il rischio di infortuni. Inserendo invece esercitazioni analitiche per la rapidità e per la rapidità coordinativa, si limita questa incidenza.
L’arrivare sulla palla prima dell’avversario (questa fondamentalmente è la “rapidità” che serve al calciatore), dipende da 2 fattori: il primo è la scelta di tempo del movimento (che si allena prevalentemente con esercitazioni di situazione o analitiche), mentre il secondo sono le qualità neuromuscolari a secco (rapidità ed esplosività). A mio parere, le esercitazioni a secco dovrebbero includere lavori globali (non solo analitici), proprio per stimolare i massimi livelli di reclutamento muscolare (in accelerazione e frenata), visto che solitamente in partita (come nei lavori situazionali) si verificano raramente, ma rivestono un ruolo importante nella finalizzazione delle azioni.
Visto che, dal modello funzionale, emerge come le “frenate” avvengano indipendentemente dalla velocità, è importante l’introduzione anche di lavori di rapidità cognitiva, in particolar modo per motivi legati al dominio della palla…in altre parole, “la potenza non è nulla senza controllo”!
Accanto ai mezzi allenanti finalizzati alla rapidità e all’esplosività, inseriamo anche l’allenamento funzionale, solitamente introdotto con la finalità di ridurre il rischio di infortuni, ma che può avere effetti benefici anche nei confronti della potenza muscolare, migliorando le componenti miogene e il reclutamento muscolare agli angoli articolari meno consueti.
Semplificazione degli effetti allenanti dei vari mezzi dedicati alla potenza muscolare (dilettanti)
Riporto sotto alcuni mezzi allenanti per lo sviluppo della rapidità globale e cognitiva:
N.B.: l’inserimento del lavoro con i pesi per migliorare la potenza muscolare è descritta nel post specifico.
L’allenamento per la potenza aerobica
Il razionale dell’allenamento della massima potenza aerobica sta nel fatto che si verificano momenti transitori di fatica durante la partita e nella fase finale della stessa (Bangsbo et al 2007), anche se il calo di intensità nel finale di non è solamente attribuibile alla fatica (Toschi 2017). Attenzione però, la Potenza Aerobica del calciatore è non da considerare al pari di quella del mezzofondista, che è misurabile con un test rettilineo (o sul Tapis roulant o in pista) incrementale, al fine di trovare la velocità maggiore che l’atleta può sostenere. Nel nostro articolo Quale potenza aerobica nel calcio abbiamo evidenziato come i professionisti non hanno un livello di “Massima potenza aerobica lineare” di tanto superiore a quella dei dilettanti, ma riescano ad esprimere il loro potenziale aerobico con maggiore efficienza energetica durante il gioco; in altre parole, fanno meno fatica a fare i cambi di direzione, a gestire la tecnica e la situazione di gioco. Ne deriva che è inutile allenare (anche dal punto di vista “generale”) le componenti aerobiche con le consuete “ripetute”, perché rappresentano uno sforzo che non è aderente alle caratteristiche del giocatore. Facciamo un esempio per capirci meglio:
Carichi applicabili in un contesto dilettantistico
Nell’immagine sopra potete vedere il confronto tra 2 mezzi allenanti a secco, con lo stesso carico (tarato per un settore dilettantistico) in termini di potenza metabolica. Nella ripetuta in giocatore corre circa alla velocità costante di 14 Km/h, mentre nelle navette il giocatore effettua 48 cambi di direzione variando continuamente la velocità alla stessa potenza metabolica (dati estrapolati dalla tabella di Colli). Secondo voi, quale delle 2 esercitazioni è più utile per un calciatore?
Ovviamente si potrebbe obiettare che nelle navette non si raggiungono velocità elevate, che in alcune situazioni di partita invece si verificano; se la necessità è questa, allora di potrebbe effettuare un intermittente 15/15 (15” di lavoro attivo e 15” da fermo), percorrendo 75m lineari; in questo caso (sempre secondo le tabelle fornite dal prof. Colli) il carico di lavoro sarebbe di 14w (quindi inferiore a quello sopra), ma si raggiungerebbero velocità di 21 Km/h (ben superiori ai 14 Km/h delle ripetute).
Con tutto questo per far capire come anche il lavoro a secco dovrebbe seguire un certo criterio di specificità.
Concludo il paragrafo indicando come a livello dilettantistico possano trovare spazio anche le varie tipologie di fartlek, nei quali l’intensità è determinata arbitrariamente dal giocatore (il preparatore si limita ad indicare i momenti o gli spazi in cui è necessario cambiare velocità); questi mezzi allenanti consentono in un ambito con pochi mezzi una buona individualizzazione dell’allenamento basata sulla percezione dello sforzo. Riporto sotto i link ad alcune tipologie di fartlek specifici per calciatori.
Se si esclude il periodo preparatorio (in cui il lavoro a secco è essenziale per incrementare con gradualità il carico) possiamo considerare questo tipo di lavoro “non necessario” se con le esercitazioni specifiche si riesce ad allenare in maniera adeguata le potenzialità aerobiche del giocatore preservandolo da infortuni. Il lavoro a secco infatti ha questi benefici:
Impone un carico di lavoro certo, non sempre raggiungibile con i lavori specifici.
Se correttamente dosato permette di lavorare sulla prevenzione infortuni; basti pensare all’esercizio con le navette di sopra, che allena a ritmo sottomassimale i cambi di direzione. Inoltre, questi mezzi allenanti permettono anche di consolidare lo schema motorio della corsa in regime di variazione di intensità e direzione.
Personalmente, a livello dilettantistico (adulti) ho sempre inserito nel programma settimanale il lavoro aerobico a secco, perché mi sono accorto che nei contesti in cui ero presente, con il solo lavoro con palla non si sarebbe riusciti ad ottenere un carico di lavoro adeguato. Inoltre, quando il tempo da dedicare alla prevenzione agli infortuni è poco, il lavoro senza palla permette di individualizzare bene l’allenamento e di dare un efficace contributo nella prevenzione agli infortuni. Non escludo che in altri contesti l’approccio possa essere diverso, ricordandosi sempre che l’intensità raggiunta nei mezzi di allenamento permette di contrastare la fatica transitoria che può avvenire in partita, mentre con il carico totale oltre una certa intensità (delle sedute e della settimana di allenamento) si incide sulla capacità di combattere la fatica nel finale di partita.
Concludo questo paragrafo con l’importanza dell’individualizzazione dell’allenamento di questa variabile, che deve tenere in considerazione quanto più delle caratteristiche del giocatore (in tutte le categorie) e del ruolo che affronta in partita (soprattutto a livello professionistico).
Conclusioni
L’allenamento ottimale prevede l’incremento del potenziale atletico dell’atleta (e la riduzione del rischio di infortuni) con l’allenamento Generale, per poi realizzare il transfert nelle situazioni di gara con l’allenamento Specifico; il tutto ottimizzando il tempo a disposizione e rispettando l’individualità.
Questo evidenzia come non ci sia una singola ricetta per allenarsi in maniera ottimale, ma esistono degli obiettivi e dei criteri di base (che abbiamo visto in questo articolo).
Accanto all’aspetto metodologico, c’è un altro aspetto importante quanto sottovalutato, che emerge da questa frase di Carlo Vittori riportata in una sua intervista fatta nel 2010 (pur sempre molto attuale).
Quando un’atleta ha la mente offuscata dal tedio di un allenamento sistematicizzato, pieno di schemi e ripetizioni, succede che quando va a giocare con il sistema nervoso frastornato si fa male perché non ha più il controllo sulla sua muscolatura. Le attività fisiche non sono più sostenute da un’attività ormonale che li rende naturali. Perciò uno che fa le cose per forza alla fine si fa male […] L’efficienza di un calciatore non viene meno perché è allenato poco, ma perché il sistema nervoso centrale è stanco e deve riposare
Questa frase indica perfettamente l’importanza del recupero (oltre che del corretto allenamento), un aspetto sempre molto sottovalutato, non solo dallo staff, ma anche dal giocatore stesso.
Nel nostro articolo dedicato al recupero, potete vedere quanto siano ampie le variabili che possono incidere su questo importante aspetto. Quindi oltre a distribuire nel miglior modo possibile i carichi di allenamento, è fondamentale trasmettere al giocatore le conoscenze necessarie per ristabilire in maniera più efficiente e veloce le sue possibilità funzionali.
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Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it