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  1. Situazioni di gioco: Chelsea – Bayern Monaco (finale Supercoppa europea 2013)

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    GIOCO “DINAMICO”

    MOVIMENTI D’ATTACCO DEL BAYERN

    MOVIMENTI D'ATTACCO DEL BAYERN

    Sulla fascia destra, Lahm, in possesso palla, scarica su Krossche taglia alle spalle di Robben che va incontro a Lahm portandosi il difensore e aprendo il varco per il compagno che mette a centro o conclude a rete.

    MOVIMENTI SULLA FASCIA SINISTRA DEL BAYERN

    MOVIMENTI SULLA FASCIA SINISTRA DEL BAYERN Sulla fascia sinistra Ribery oltre che a scambiarsi con Robben, il più delle volte ricevuta palla, forte nell’uno contro uno si accentrava, lasciando lo spazio all’inserimento di Alaba, per servirlo sul taglio (1), oppure concludere a rete (2) o sul taglio degli altri compagni.

    Da notare che Ribery è destro, quindi accentrandosi da sinistra può calciare bene in porta o servire con il piede naturale i compagni.

    MOVIMENTO DA ATTACCANTE

    MOVIMENTO DA ATTACCANTE

    Mi è piaciuto un movimento di Torres, che ha ingannato i due difensori e gli ha permesso di calciare in porta.

    Azione: Schuurle sulla destra arriva quasi sul fondo e pur contrastato da Alaba, riesce a far arrivare la palla a Torres (1), che con un movimento palla al piede, ad uscire si porta appresso i due difensori, ma che con un contro movimento cambia direzione e si porta alla conclusione (2).

    Secondo me un azione da grande attaccante.

     

    gIOCO “STATICO”

    CALCI D’ANGOLO BAYERN

    CALCI D'ANGOLO BAYERN

    A (Gotze) va sulla palla, finta di crossare e la passa (1) a B (Kross) che la mette in mezzo (2) di prima per i colpitori.

    SCHEMA DI PUNIZIONE BAYERN

    SCHEMA DI PUNIZIONE BAYERN

    A che da destra era Robben finta di crossare a centro, ma passa a B (1) Ribery che si alternava con Kross che poteva calciare in porta (più Ribery) oppure metterla sul secondo palo sul movimento del compagno.

    Da sinistra s’invertono le posizioni con Ribery o Kross che vanno sulla palla e Robben che va a calciare.

    La seconda soluzione prevede un passaggio in più (3) per C (Lahm) che la mette sul secondo palo per un compagno che con un contro movimento si libera dalla marcatura.

    L’avversario viene indotto a pensare al cross immediato perché n area vanno tutti i “lunghi” a saltare.

    Variante: C invece di crossare calcia direttamente in porta. In questo caso in posizione C si posiziona Ribery.

    Nicola Amandonico

  2. Finale Champions League 2004 Porto – Monaco: gli appunti di André Villas Boas

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    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo

    Per conoscere un avversario nei minimi dettagli, abbiamo bisogno di vedere quattro o cinque partite, perchè dobbiamo sempre osservare se le cose accadono per caso o se sono dovute a dinamiche di squadra (movimenti programmati in allenamento). A partire dal momento in cui queste dinamiche, collettive o individuali, vengono riconosciute, ci dedichiamo al lavoro sul campo, alla preparazione degli allenamenti, simulando le siutazioni identificate nel gioco degli avversari. Ovviamente tutti questi dati vanno presi con il contagoccce, hanno un peso relativo, perchè sebbene si tratti di un lavoro di sintesi e osservazione esaustivo, minuzioso e fondamentale, non dobbiamo mai dimenticarci che la cosa essenziale è sempre il nostro modello di gioco, la nostra identità come squadra.

    PORTO vs MONACO

    ORGANIZZAZIONE OFFENSIVA – Rimessa lunga del portiere (Roma ha una rimessa molto potente che arriva quasi all’area opposta), giocate lunghe a cercare Morientes che sale in elevazione e spizza la palla per Giuly che taglia in profondità […] Dietro perdono palla spesso, a parte Evra. Patiscono il pressing alto, diventano incerti, lenti. Si limitano a passaggi di prima e commettono errori. Sotto pressione Ibarra è impreciso: preferisce tenere palla o darla al portiere, spesso l’appoggia indietro (lì si può rubare palla) […] Uno contro uno, dribbling e appoggio smarcante di Roten, il giocatore più pericoloso, non solo per qualità tecnica ma anche per intelligenza tattica. Il suo gioco meditato (alterna attacchi centrali e sulle fasce) e permette a Evra di salire. Non è uno in grado di dare profondità, ma sa portarsi il laterale all’interno, lontano dalla sua zona di competenza e poi attacca lo spazio vuoto che ha creato […] Morientes ha libertà di movimento. Viene fino a centrocampo come una mezz’ala d’attacco. Si abbassa, protegge la palla, e scarica allargando il gioco sulle fasce o verticalizzando. Giuly preferisce fungere da ultimo uomo per penetrare in profondità alle spalle della difesa.

    ORGANIZZAZIONE DIFENSIVA – Blocco difensivo mediano, a zona. Sono ben organizzati, è facile vedere il loro schema. Sanno mantenersi compatti quando l’avversario ha la palla […] Al di là degli schemi, la pressione è intensa e aggressiva e mira a provocare l’errore o il passaggio all’indietro […] Nella nostra organizzazione lunga è importante evitare zone controllate dai centrali (forti nel gioco aereo frontale e decisivi sulle seconde palle). É più facile giocare le palle lunghe nelle zone di Ibarra e Evra, che sono bassi e hanno difficoltà nel gioco aereo […] Evra compensa e protegge bene l’interno, ma Ibarra chiude molto male e, specie dall’interno, lascia un varco all’avversario che riesce spesso a saltarlo e andare al tiro […]

    PALLE INATTIVE DIFESA – Nelle punizioni laterali mettono due uomini in barriera (saltano) un alto copre lo spazio a zona tra la barriera e la porta. Lasciano Giuly davanti […] Morientes può essere il giocatore che difende a zona il che significa che rimane in area un giocatore alto in meno. Nelle punizioni centrali mettono quattro o cinque uomini in barriera. Lasciano Giuly davanti […] Sui calci d’angolo mettono Bernardi sul primo palo, Evra e Morientes difendono a zona tra il primo palo e l’area piccola, Roten e Ibarra fuori area pronti a ripartire (e a far da collante con l’attacco). Giuly rimane sempre molto alto […]

    OSSERVAZIONI – Se stanno perdendo non cambiano modulo, l’ingresso di Prso al posto di Ibarra/Plasil (con Giuly sulla destra) dà più potenza fisica, sulle palle alte, e capacità di finalizzare. Lasciano però più spazio, e Giuly stenta a chiudere a centrocampo, concedendo in mezzo una superiorità di quattro contro due. Se entra Nonda invece di Prso, il modulo cambia avvicinandosi a un 4-3-3, con Nonda su una fascia, Roten sull’altra e Morientes in mezzo. Se Ibarra gioca laterale, c’è da sfruttare il suo cattivo controllo dello spazio interno, la marcatura faticosa in mezzo al campo e la sua debolezza nel gioco aereo […]

  3. Il modello di gioco di Mourinho – I tratti distintivi di una concezione…

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    Tratto dal libro: MOURINHO – Questione di metodo

    Avere in mano il pallino del gioco, non perdere la propria personalità di fronte ai rivali, sono caratteristiche delle mie squadre. Lo erano già quando allenavo il Leira, un club che non aveveva questi obblighi. Per me, la cosa più importante è sempre la mia squadra non gli avversari. A volte succede di cambiare sistema di gioco, ma non lo facciamo mai per adattarci al gioco che fanno gli altri, non è questo il motivo che ci porta a cambiare. Avere un modello definto e non scappare da questo è un marchio delle mie squadre. Ed è fondamentale che sia così.

    La qualità migliore che può esibire una squadra è quella di giocare come una squadra; è più importante persino che avere uno o due grandi giocatori. La squadra più forte non è quella che ha i migliori giocatori, ma quella che gioca come una squadra.

    Giocare come una squadra è avere un’organizzazione, determinate regole che fanno si che nei quattro momenti del gioco, tutti i giocatori pensino in funzione dello stesso obiettivo simultaneamente e questo è un risultato che si raggiunge con il tempo, il lavoro e la tranquillità. Perchè una cosa è che i giocatori acquisiscano e provino a fare quel che io voglio e un’altra cosa è ottenerlo come squadra. Per questo c’è bisogno di tempo.

    Non arrivo a teorizzare una distinzione riguardo all’origine dell’organizzazione, se questa inizi dalla difesa o dall’attacco. Non voglio considerare le cose in modo tanto analitico. Quando preparo la mia squadra per qualsiasi partita, lo faccio con l’intenzione di vincere, allenando nella stessa maniera il reparto difensivo come quello offensivo. Per questo non posso dire da quale reparto inizio a preparare la mia squadra.

    Non è mia abitudine affrontare le partite preoccupandomi più dell’organizzazione difensiva che di quella offensiva, per la stessa ragione per cui non preparo nessuna partita senza rendere i giocatori consapevoli della loro funzione sia offensiva che difensiva; anche il portiere ha un compito offensivo, e anche in allenamento prende parte a questa fase. Per questo non sono d’accordo con la distinzione. La partita deve essere pianificata in modo equilibrato, come gli allenamenti. Non so dire se è più importante difendere bene o attaccare bene perchè non separo questi due momenti: la squadra è un tutto indivisibile e funziona come tale. Sono aspetti troppo compenetranti uno con l’altro perchè si possa pensare di scinderli.

    In una squadra che ambisce a essere grande, tutti i giocatori devono partecipare ai quattro momenti del gioco…portiere compreso. Ho ben chiaro in mente che il controllo del gioco passa dal possesso di palla. Controllare il gioco vuol dire gestire la palla e sapere cosa farne. La mia idea tattica principale passa dall’avere ben chiara l’idea di un calcio moderno. Ben prima di segnare, è importante avere il controllo della palla.

    Voglio anche che la palla circoli velocemente e per questo occorre avere un buon gioco di posizione, vale a dire: tutti i giocatori devono sapere che in una determinata posizione si trova il compagno, che dal punto di vista delle geometrie c’è gia qualcosa di costruito sul terreno di gioco che permette loro di anticipare l’azione.

    Allargare gli spazi quando si attacca, stringere le linee quando si difende, aggredire immediatamente se si perde il pallone, una struttura di posizionamento fissa e una mobile: alcuni giocatori hanno posizioni fisse in campo e altri, per la loro dinamica, possono svariare anche se devono mantenere un equilibrio di posizione. La mia squadra non può rinunciare a vincere le partite, ma nemmeno può perdere la tranquillità e l’equilibrio di posizione. I giocatori devono mantenere una linea di gioco offensiva, ambiziosa, nella quale sia netta l’intenzione di voler vincere senza perdere il controllo dello spazio, la tranquillità e la comunicazione tra di loro. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale.

    Mi piace che la mia squadra controlli il pallone, che lo faccia circolare, che abbia un buon gioco di posizionamento e che i giocatori sappiano chiaramente come occupare gli spazi. Insieme a questo, anche difendere bene e avere qualità individuale, sono aspetti decisivi. Un buon posizionamento difensivo come squadra, a formare un blocco coeso che possa giocare con linee molto vicine, è un’altra caratteristica della mia squadra. Ci sono squadre molto preoccupate dell’aspetto difensivo e per questo, durante le partite, si trovano in imbarazzo quando sono costrette a passare dal pressing al possesso di palla. É un aspetto sul quale lavoro molto: ripartire dopo aver riconquistato il pallone. Ci vuole la capacità di giocare a protezione della difesa, e una volta entrati in possesso di palla, saper variare questa modalità fondamentale: recuperare le posizioni in campo o far uscire la palla dalla zona di recupero (pressione).

    Un altro grande principio tipico delle mie squadre è il pressing alto secondo i principi del gioco a zona. Per me, il pressing non è altro che un metodo per ritornare al possesso di palla, ma ha senso solo se poi la squadra sa fare un buon uso del vantaggio acquisito. Quando arrivai a Leiria, la Uniao giocava con molti giocatori dietro al pallone, con un sistema di contropiede o di attacco rapido ma la sua organizzazione offensiva era decisamente estemporanea. Il mio obiettivo era di trasformarla in una squadra che sapesse imporsi, incrementando il possesso, le sue iniziative, con un controllo del gioco maggiore e in grado di portare un’azione offensiva pià continuata. Solo allora, la squadra avrebbe iniziato a difendersi bene, senza più schiacciarsi indietro a difendere (secondo il principio di <<popolazione>>), come fanno alcune squadre che creano difficoltà all’avversario non per la qualità del gioco difensivo ma per la densità di uomini. Se una squadra si serie C con giocatori tecnicamente inferiori, ma tutti chiusi a difendere nella propria tre quarti campo, si scontra con il Real Madrid, lo metterà in difficoltà. Ma questa non è la mia idea, io voglio difendere bene, ma non con le barricate.

    Difendere bene vuol dire difendere poco, difendere per il minor tempo; è conservare il pallone per il maggior tempo possibile, mantenere l’iniziativa del gioco, non farsi mettere nelle condizioni di difendere continuamente. Per altri, difendere bene è difendere in modo compatto – per esempio – con tutti i giocatori dietro la linea della palla, a chiusura di tutti gli spazi. Per altri difendere bene è annullare i giocatori più importanti della squadra avversaria. Per me, è un fatto di sottrazione, in termini di tempo, cioè vincolato al momento in cui perdi palla. Si può difendere bene in ogni luogo del campo. Ebbene, io preferisco difendere lontano dalla mia porta, perchè quando recupero palla, sono più vicino alla porta avversaria, che è l’obiettivo del mio gioco.

    C’è chi dice che i giocatori più creativi devono essere svincolati da compiti difensivi. Io credo che chi dice questo conosce poco il calcio. Può dirlo un tifoso, un giornalista o un critico che non se ne intende, o un allenatore che non è arrivato ad alti livelli oppure ci è arrivato ma non si è affermato, perchè nel calcio di oggi questi concetti sono superati. Gli undici che scendono in campo devono essere all’altezza sia in fase di possesso palla sia quando è l’avversario ad avere il pallone tra i piedi.

    Difendere a zona e pressare a zona sono due cose totalmente diverse. Una cosa è difendere una zona dove, per le posizioni sul campo e quelle assunte da tutti i giocatori in funzione della posizione della palla quando questa ce l’ha l’avversario, si cerca di accorciare gli spazi, creare difficoltà e sperare nell’errore. Allo stesso modo, difendere a zona facendo pressing significa avere un buon gioco di posizione, ma attivo poichè teso ad aumentare al massimo le difficoltà dell’avversario nel tentativo di recuperare palla il prima possibile. Insomma: nel calcio di alto livello, non c’è difesa a uomo, ma esiste una difesa a zona che non mi convince e una difesa a zona che porta il pressing; e quest’ultima tipologia decide il calcio del presente e quello futuro. I difensori centrali delle mie squadre non marcano a uomo, ma difendono a zona con una linea di quattro che si muove a seconda della posizione della palla.

    Penso che non ci siano due sistemi a zona con pressing identici. Per esempio: per me quello che fa il Milan è fantastico, tanto che contro di noi a Oporto, giocò con due linee di quattro uomini e riuscì in qualche modo a fronteggiare una squadra che aveva a centrocampo quattro grandi giocatori. Ora, anche se la sua zona a pressing è fantastica, si basa su un concetto diverso dal nostro. Per esempio, rimanendo sul Milan, con tre linee, loro fanno pressione orizzontale, noi con sei facciamo lo stesso in profondità.

    Tanto per iniziare, noi abbiamo definito la distribuzione del pressing in funzione del posizionamento dell’avversario. Conoscendo più o meno il sistema degli avversari, la mia squadra saprà come comportarsi. Per esempio, immaginiamo di giocare contro il Benfica, squadra che adotta il 4-3-3, ma che in questa partita si schiera con tre centrali. Nessun problema, dato che sappiamo come posizionarci rispetto ad una simile evenienza. Dunque,tranne in rare eccezzioni, la mia squadra non stravolge mai il suo sistema basato sul possesso di palla. Decidiamo prima come giocare, e così giochiamo, senza dare troppa importanza al sistema adottato dall’avversario. Quando non è in nostro possesso, dobbiamo avere la capacità di leggere il sistema rivale, adattare il nostro possesso di palla a tale posizionamento. Per esempio, se i miei attaccanti giocassero davanti ad una difesa a tre piuttosto che a quattro, il loro posizionamento sul campo cambierebbe, in funzione del posizionamento della difesa avversaria. Ma che sia chiaro: la mia squadra non rimarrà ingabbiata, in nessuna circostanza, chiunque sia l’avversario. Un esempio: avere due attaccanti per fare pressione su quattro uomini non è lo stesso che averene due per tre più due. E, se inizialmente, il movimento offensivo delle ali deve essere definito in una certa maniera, se c’è una sostituzione, si difenderà con un altro sistema. Nessuno gioca più uomo contro uomo o in funzione dei singoli, bensì in funzione degli spazi.

    Penso che uno schema con baricentro basso sia facile da attuare. Non ha bisogno di grandi doti di comando o di particolari feedback. Il baricentro basso è un baricentro basso, basta solo definire il contenuto visivo del blocco, niente di più. La leadership, nella fase difensiva, è relazionata al movimento, con la zona e con la capacità di alcuni giocatori di orientare le azioni collettive, per la loro posizione in campo o per la loro capacità di analisi del gioco. Per questo ci sono giocatori fondamentali per la fase difensiva. Ebbene, quando si tratta di baricentro basso, di campo corto, di unire le linee è tutto facile. É quel che dico ai miei giocatori. Quando risulta difficile giocare in una zona sotto pressing o fare un cambio molto rapido, a causa della fatica, della forza dell’avversario, o per una dinamica offensiva che ci crea qualche problema, dico loro di abbassare il baricentro, di chiudere le fasce ed accentrare il gioco. Perciò, dal punto di vista dell’efficacia, è molto più facile giocare con un baricentro basso piuttosto che alto. Molto più facile.

    Una squadra, che per il modo di giocare difensivo, finisce per essere anarchica rispesso alle posizioni, non ha altra possibilità che quella di far girare velocemente la palla nel momento in cui ne rientra in possesso. Per questo, affinché l’anarchia sia efficace, la squadra deve mantenere il possesso di palla e aprire il gioco. Pertanto, secondo me, una squadra che voglia attaccare continuamente, che voglia mantenere il possesso palla, l’iniziativa di gioco, deve essere ben posizionata e ciò si ottiene solo difendendo a zona.

    Noi ci alleniamo in situazioni specifiche per sapere, in ogni momento, che se corriamo il rischio di attaccare male, possiamo sempre recuperare rapidamente il possesso di palla o, al contrario, decidere per una circolazione prolungata se vediamo che non ci sono buone possibilità di creare pericoli. Questò perchè la forma di gioco delle mie squadre è tremendamente faticosa. Quando non abbiamo la palla, iniziamo subito le azioni pensando a come recuperarla e ciò implica andare verso l’area avversaria. Questo sottopone i giocatori a un gran dispendio di energie per cui, dopo aver recuperato il pallone, devono decidere se sono in condizioni di attaccare immediatamente e continuare così a spendere energie o se , al contrario, non sono in questa condizione e dunque scelgono di riposare facendo circolare la palla.

    La transizione difensiva-attacco deve avere una relazione intima con la nostra forma offensiva di giocare. Quando una squadra fa pressing molto alto, ha poi bisogno di recuperare. E che cosa è meglio: riposarsi con il pallone o senza? Voglio che la mia squadra sappia riposarsi col pallone, ma per fare questo è necessaria una buona posizione di gioco, cioè che i giocatori occupino razionalmente lo spazio e che siano in grado di mantenere il pallone in loro possesso anche se ci sono momenti in cui l’obiettivo non è quello di dare profondità al gioco o di arrivare rapidamente in porta.

  4. Vulcano Mourinho: “Questo calcio fa schifo”

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    Il Mourinho che si presenta in conferenza stampa nell’immediato post-gara di Real Madrid-Barça, conclusosi con uno scottante 2-0 per i catalani in casa delle merengues, è quello che tutti abbiamo imparato a conoscere all’Inter. Piccato, deluso ma soprattutto contro tutti, arbitri, Barcellona, Guardiola, Uefa. La bruciante sconfitta ad opera dei blaugrana nell’andata della semifinale di Champions League non è proprio andata già allo Special One, che ha recriminato soprattutto per l’espulsione severa ed esagerata rifilata a Pepe a 30 minuti dalla fine, e il suo conseguente allontanamento dal campo per proteste.

    Il portoghese ha parlato dello “scandalo del Bernabeu” denunciando come assurda l’espulsione del suo giocatore e accusando non tanto velatamente il Barcellona di ricevere sempre favori arbitrali. Mourinho se l’è presa soprattuto con Guardiola, reo secondo lui di vincere trofei internazionali soprattutto perchè gli arbitri sono da anni dalla parte dei catalani, affermando che lui al posto suo “si vergognerebbe” di vincere in questo modo. Il vulcanico portoghese si è lamentato soprattutto per la facilità con la quale si assegnano cartellini rossi agli avversari quando si gioca contro il Barça, ricordando ai giornalisti che già quando allenava Chelsea ed Inter era stato costretto a giocare contro i blaugrana in 10. In maniera polemica ha ribadito: “Da dove viene questo potere? Perchè deve andare così? Se dicessi quello che realmente penso in questo momento dell’Uefa la mia carriera finirebbe oggi.” La frase più amara e “forte” però è sicuramente questa: “Questo calcio a volte mi fa un pò schifo.” La delusione è tanta ammette Mou, che però rassicura la stampa sull’impegno e lo spirito di abnegazione che investiranno la sua squadra nella semifinale di ritorno al Camp Nou, dove il Real ce la metterà tutta per rimontare. “Giocheremo con tutto il nostro orgoglio, anche se ormai siamo praticamente eliminati.”

    Ultima frecciata al vetriolo è ovviamente per il suo collega Guardiola, al quale sarcasticamente dice: “Io credo che sia un allenatore fantastico ma nel 2009 ha vinto una Champions League che io mi sarei vergognato di vincere, considerando lo scandalo di Stamford Bridge in semifinale (contro il Chelsea di Hiddink), in cui gli inglesi meritavano senza dubbio di vincere. Stessa cosa accadrà quest’anno se vincerà la Champions, il suo trofeo sarà macchiato dallo scandalo del Bernabeu. Mi auguro per lui che prima o poi riesca a vincere un trofeo così prestigioso senza scandali nè polemiche, nè arbitraggi dubbi.”

  5. Messi decide un “clasico” all’italiana

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    Il Barcellona espugna il Bernabeu imponendosi per 2-0 contro il Real Madrid grazie a una doppietta di Lionel Messi nell’ultimo quarto d’ora di gioco con gli uomini di casa in 10 uomini per l’espulsione di Pepe per un calcione a Dani Alves al 61’.

    La partita appare subito chiara: Mourinho sceglie di non giocare a calcio, si rintana nella propria area di rigore chiudendo tutti gli spazi ai più tecnici avversari che gestiscono il gioco dall’inizio alla fine senza dare mai un segno di cedimento. Costantemente con 9 uomini dietro la linea del pallone e con il solo Ronaldo a lottare davanti contro i 4 difensori schierati blaugrana, i madrileñi cercano di innervosire la gara con falli tattici e sistematici sui portatori di palla del Barcellona cercando di mantenere lo 0-0.

    Al rientro negli spogliatoi rissa generata da alcuni dirigenti del Real Madrid che, passando davanti la panchina avversaria, rivolgono qualche parola di troppo a Pinto (secondo portiere del Barça) che aggredisce chiunque passi sotto il suo tiro meritandosi l’espulsione.

    Nella ripresa non cambia la musica e al 61’ Pepe (il giocatore con il compito di bloccare le partenze di Messi) colpisce con un calcio frontale Dani Alves e va a farsi la doccia anzitempo. Mourinho imbufalito protesta veementemente contro il quarto uomo e viene a sua volta espulso accomodandosi nell’area tecnica adibita agli steward.

    Nel finale si scatena Messi. Prima raccoglie un cross del neo entrato Afellay anticipando nettamente Sergio Ramos poi scarta tutta la difesa avversaria dribblando tre uomini con ripetuti tocchi di sinistro e superando Casillas con un morbido tocco di destro incrociato.

    Tra 6 giorni Mourinho (che assisterà alla semifinale di ritorno dalle tribune del Camp Nou) dovrà fare a meno oltre che di Pepe anche di Sergio Ramos, ammonito al 53’, che sarà squalificato. Nel Barcellona invece rientrerà Iniesta. L’impresa sembra disperata.

    In conferenza stampa Mourinho è un fiume in piena: “Se dico adesso quello che penso dell’arbitro la mia carriera finisce qui. Non so quali poteri forti ci siano dietro il Barcellona perché questa sera questi poteri hanno contato”.

     

  6. Ronaldo spezza l’incantesimo. Primo “titulo” per Mourinho

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    Il Real Madrid conquista la Copa del Rey 2010-2011 grazie a un gol di Cristiano Ronaldo nel primo tempo supplementare e spezza l’incantesimo che nella coppa nazionale durava da 18 anni.

    Splendida cornice di pubblico al Mestalla di Valencia che è tutto esaurito per la finale 2011 della Copa del Rey tra Barcellona e Real Madrid. Prima dell’inizio del match l’inno nazionale spagnolo viene suonato oltre i 120 decibel per tentare di coprire i fischi dei tifosi catalani che però arrivano puntuali non appena iniziano a scorrere le note della Marcha Real.

    Per il Barça, Puyol non recupera e finisce in panchina. Al suo posto Guardiola inserisce Mascherano al fianco di Piqué. Mourinho conferma la formazione annunciata con Ozil e Di María dietro Cristiano Ronaldo.

    Il Real parte aggressivo nei minuti iniziali. All’11° buona occasione per Ronaldo, ma il suo diagonale è respinto sulla linea di porta da Piqué. Si gioca su ritmi serrati e non mancano scontri duri tra i giocatori dettati da una tensione elettrizzante che circola sul terreno di gioco e che porta ad un accenno di rissa tra Villa e Arbeloa.

    Al 35° ancora Ronaldo in contropiede, sfruttando un pallone perso da Piqué a centrocampo, si trova a tu per tu con Pinto che neutralizza il tentativo del portoghese. La squadra di Guardiola trova difficoltà a sviluppare il suo gioco rapido con palla a terra a causa del pressing sfiancante sui portatori di palla effettuato dai blancos. Nel finale di tempo Ronaldo serve con la “espaldiña” Ozil che prontamente crossa in area di rigore dove Pepe sovrasta di testa Dani Alves e colpisce il palo alla destra di Pinto.

    Nel secondo tempo parte meglio il Barcellona che riesce a dare vita a qualche fraseggio interessante, uno dei quali porta Pedro al 50° a calciare dal limite dell’area sull’esterno della rete. I tentativi si susseguono per gli uomini di Guardiola che arrivano molto bene fino al limite dell’area di rigore del Madrid ma che trovano difficoltà nell’ultimo passaggio. Il Real continua a difendersi con 9 uomini dietro la linea del pallone rendendo più complicata la manovra catalana.

    Dopo un gol annullato al Barça per fuorigioco millimetrico di Pedro, Mourinho inserisce Adebayor per Ozil aggiungendo peso al suo attacco. Nel finale il Real va in difficoltà e fa molta fatica ad uscire dalla propria area di rigore. I catalani sfornano alcune azioni da manuale: tra il 75° e l’80° prima Messi, poi Pedro e infine Iniesta scaldano i guantoni di Casillas. Al 90° grande occasione per il Real: in contropiede Di María servito da Alonso prova il destro a giro dal limite dell’area di rigore ma Pinto si fa trovare pronto e devia in calcio d’angolo.

    Giunte ai supplementari le due squadre sembrano stanche e alcuni elementi appaiono decisamente affaticati. In Copa del Rey, prima di questa sera, solamente 7 finali su 108 sono arrivate ai supplementari (per 5 volte le sfide sono terminate ai calci di rigore).Dopo 100 minuti di gioco arriva il primo errore di Xabi. Ne approfitta Alonso che serve in profondità Ronaldo ma il suo diagonale termina al lato a testimonianza di una serata che sembrava non essere positiva per lui. Ma al 103° CR9 capitalizza al meglio una fantastica triangolazione sulla sinistra tra Di María e Marcelo: l’argentino pennella in area di rigore un cross con i contagiri e l’attaccante portoghese, al quarto tentativo questa sera, non sbaglia colpendo di testa con una potenza eccezionale.

    Dopo tre anni di profonde delusioni il Real Madird supera il Barcellona e lo fa conquistando il primo “titulo” della gestione di José Mourinho, che nelle partite decisive non sbaglia mai.

  7. Inter, Moratti: “L’Inter è stanca, con Mourinho non c’è niente”

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    Considerando che lo scorso anno a metà aprile l’Inter si stava avviando a realizzare un favoloso Triplete, costellato di vittorie esaltanti e prestazioni sopra le righe, se si guarda a quest’anno e al cammino tortuoso che i nerazzurri stanno affrontando, è impossibile non parlare di crisi. Proprio questa parola serpeggia ad Appiano Gentile ormai da mesi, escludendo ovviamente il periodo della “remuntada” di Leonardo, che aveva ridato linfa vitale e voglia di provare a tornare l’armata invincibile dello scorso anno.

    Il sogno però non si è realizzato e ora lo stesso presidente Moratti ammette mestamente il periodo difficile che la sua squadra sta vivendo: “è un momento di crisi che prima o poi doveva arrivare per forza di cose, l’Inter è stanca fisicamente e psicologicamente. Non siamo stati all’altezza degli incontri che abbiamo disputato per una serie di motivi più o meno comprensibili, dall’esterno quando qualcosa non va viene messo la qualunque sul banco degli imputati mentre bisognerebbe rimanere più lucidi ed oggettivi.” Impossibile poi non parlare di Leonardo, ritenuto da tutti il redentore dell’Inter fino a pochissimo tempo fa ed ora bistrattato a destra e a manca: “Leo ha fatto un lavoro incredibile fino alla partita col Milan, lì ci si aspettava il massimo da tutti e quando questo non è arrivato è stato accusato con forza a livello psicologico. Pensavamo di essere nel pieno delle nostre forze quando invece non era affatto così, anche le Nazionali hanno contribuito a peggiore la nostra precaria situazione fisica. Lui ha fatto quello che ha potuto, è difficile amministrare una situazione simile. Avremmo sicuramente bisogno di una bella settimana di riposo ma dato che questo non è possibile spero che presto potremmo ricominciare ad essere di nuovo l’Inter che tutti ricordano.”

    Le voci che si susseguono con una certa intraprendenza che rivorrebbero Josè Mourinho all’Inter si fanno sempre più frequenti tanto da giungere persino alle orecchie di Moratti, che però ci tiene a negare tutto: “Ho letto la notizia sui giornali come voi ma posso assicurarvi che con Mou non c’è niente.” La Milano interista deve rassegnarsi definitivamente o ha ancora possibilità di sperare nel ritorno del Mago di Setubàl che la manderebbe sicuramente in visibilio?

  8. Inter, Leo addio torna Mourinho

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    Tempo di rivoluzioni in casa Inter. Rivoluzioni probabilmente impreviste e sicuramente non preventivate, considerando che il rapporto con il tecnico attuale Leonardo prima della disfatta di sabato scorso contro il Milan sembrava solido e duraturo. L’allenatore brasiliano era stato infatti descritto da tutti come il “salvatore della patria” e colui che era stato in grado di rifondare e dare nuovamente fiducia ad una squadra che dopo Benitez brancolava nel buio,stanca,demotivata e senza sapere dove andare a parare.

    Nel calcio si sa l’imprevedibilità la fa da padrone e proprio per questo ora dopo la bruciante sconfitta nel derby e la “Caporetto” di martedì scorso in Champions contro lo Schalke 04, il futuro di Leonardo in nerazzurro non sembra più così roseo. Pare che per la panchina del prossimo anno dell’Inter ci sia un serrato testa a testa fra l’ex e mai dimenticato Josè Mourinho, attuale allenatore del Real Madrid, e Pep Guardiola, talentuoso allenatore spagnolo del Barcellona. I due tecnici più famosi e pagati al mondo non sono infatti solo “nemici” nella Liga, in Champions League e nella Coppa del Re, ma sono avversari anche nei “pensieri” di Moratti che pensa di portare (o riportare nel caso di Mou) a Milano uno dei due allenatori.

    Il presidente interista ha sempre dichiarato di stimarli entrambi e di ritenerli i migliori al mondo, e pensa sempre con più sicurezza di costruire l’Inter del futuro grazie al carisma e alla qualità di uno fra Mourinho e Guardiola. Del portoghese rimpianto da tutto l’ambiente nerazzurro, il presidente ama soprattutto la sua grinta, la sua indiscutibile leadership e il suo essere interista al 100% senza mezzi termini o remore. Dello spagnolo ama invece la sua serietà, le sue idee calcistiche tese ed incentrate ad esprimere sempre un bel gioco, spumeggiante ed emozionante, e lo stile risoluto ma sempre rispettoso.

    Per ora solo soltanto fantastiche ipotesi per Moratti, sebbene appaiano ogni giorno più plausibili e realizzabili, considerando che Mourinho ha avuto fin dall’inizio dei problemi e delle incomprensioni con la dirigenza del Real Madrid paventando spesso l’idea di andarsene a fine stagione, e che Guardiola ha un contratto con il Barça solo fino al 2012.

  9. Mourinho: “Nel 2007 fui vicino alla panchina dell’Inghilterra”

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    Ennesima rivelazione inaspettata di Josè Mourinho, che in un’intervista odierna rilasciata ai giornalisti del quotidiano sportivo francese L’Equipe dichiara: “Nel 2007 ho seriamente rischiato di allenare la Nazionale inglese, prima di rivolgersi a Fabio Capello la Federcalcio britannica aveva pensato a me.”
    Lo stesso tecnico portoghese ha rivelato di essere stato praticamente vicinissimo alla firma poichè la tentazione di cedere alle lusinghe inglesi era tanta, considerando la corte serrata che ricevette, all’indomani dell’esonero di Steve McLaren nell’autunno del 2007 dalla panchina dei Tre Leoni. Mourinho stesso aveva da poco rotto l’intenso rapporto che lo legò per 3 anni al Chelsea di Abramovich e la voglia di rimanere in terra inglese non era indifferente: “Sono stato a poche ore dall’accordo, stavo praticamente per firmare ma poi mi sono fermato a riflettere ed ho capito che se avessi accettato l’offerta avrei avuto la squadra solo per pochissime volte l’anno e il resto del tempo l’avrei dovuto passare in ufficio a sbrigare le più disparate faccende burocratiche o a guardare le partite degli altri. Per di più il tutto attendendo sempre l’estate per disputare Europei o Mondiali come dovessi vivere costantemente in una perenne agonia. Non era il lavoro che faceva per me e quindi ho preferito rifiutare attendendo un’offerta che potesse realmente farmi sentire realizzato. Poco dopo infatti arrivò l’Inter e non ebbi alcun dubbio sull’accettare o meno.”
    Lo Special One analizza poi il momento in cui dovette lasciare Stamford Bridge e vivere da “disoccupato” per un periodo ritenuto da lui stesso nero e decisamente negativo, tanta era la nostalgia per il calcio: “Quando lasciai il Chelsea il primo mese fu fantastico, finalmente potevo vivere appieno la mia famiglia e le mie passioni lontano dalle continue pressioni dell’ambiente calcistico. Durante i primi tempi viaggiai moltissimo, andai in Africa, in Giappone, tutte cose che non avevo mai avuto tempo di fare. Anche il secondo mese fu bello ma già dal terzo cominciai a provare un forte senso di frustrazione e malinconia, mi mancava il calcio e mi sentivo in maniera orribile.”
    Mourinho poi svela un altro retroscena tenuto finora segreto, cioè l’offerta che ricevette dal Paris Saint-Germain prima di essere contattato dall’Inter, offerta però prontamente declinata per dei dubbi che l’allenatore portoghese nutriva verso il livello del campionato francese: “Fin da quando mi approcciai al calcio per la prima volta pensai che i campionati di Italia, Inghilterra e Spagna sono i migliori in assoluto e quindi ritenni più redditizio e soddisfacente allenare in questi paesi piuttosto che in altri, perchè credo che durante gli anni migliori della nostra vita dovremmo misurarci nelle sfide più ambiziose ed impegnative.” I giornalisti francesi si pentiranno di aver deciso di intervistare l’irriverente Mourinho considerando la non esaltante opinione che il lusitano nutre nei confronti dei “galletti”?

  10. Mourinho:”Il Barça viene agevolato”

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    Un Mourinho che non le manda a dire(quando mai ha fatto il contrario?) quello che si rivolge alla stampa nella settimana che precede l’importante impegno di Champions League del suo Real Madrid, costretto a vincere contro un Lione che all’andata lo mise in discreta difficoltà.

    Lo “Special One” torna a fare la voce grossa e a lamentarsi per il trattamento che la sua squadra riceve, trattamento che secondo il portoghese sarebbe diverso da quello migliore riservato al Barcellona di Guardiola.In classifica ora i merengues sono a 7 lunghezze dai blaugrana e ormai alla fine del campionato mancano soltanto undici partite,particolare che rende,sia Mourinho che tutto l’ambiente madrileno, consci del fatto che se il divario fra i due club dovesse aumentare ulteriormente il campionato potrebbe praticamente dichiararsi finito.Dopo le numerose accuse agli arbitri e le critiche agli avversari di turno ora l’allenatore lusitano se la prende con chi stabilisce il calendario della Liga, reo secondo lui di sbilanciarsi troppo a favore del Barça.

    Mourinho è certo che nei vertici del calcio spagnolo ci sia una tendenza piuttosto diffusa ad agevolare il cammino della squadra di Guardiola,che secondo Mourinho riceverebbe da tempo un trattamento”particolare”per quanto riguarda l’organizzazione delle partite e la scelta di giorni ed orari.Così Mourinho si è espresso:”Non sono uno stupido e queste cose sono ormai sotto gli occhi di tutti,una nazione intera sa che se la differenza di punti fra Real e Barça dovesse aumentare ancora in un momento così delicato del Campionato,i giochi sarebbero chiusi.Quando una squadra come il Barcellona gioca in Champions League il martedì e in Liga la domenica e l’altra,il Real,il mercoledì in Europa e il sabato in campionato,significa soltanto che non vogliono dare le stesse chances al Real Madrid.”

    Effettivamente Mourinho sarà anche esagerato ed eccessivamente propenso a puntare il dito contro il colpevole di turno, ma qui il calendario parla chiaro:il Barça dopo aver giocato martedì scorso contro l’Arsenal giocherà in campionato domenica con il Siviglia,mentre il Real dopo la gara di Champions di mercoledì prossimo contro il Lione, giocherà in Liga di sabato il delicato derby contro l’Atletico Madrid.Siamo quasi convinti che in momenti come questi Mourinho commenterebbe il quadro dicendo: “Non sono mica pirla!”

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