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  1. Stretching o allungamento funzionale?

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    (Aggiornato al 09/04/2020)

    Nel corso della storia della metodologia dell’allenamento, sullo stretching (o allungamento muscolare) si sono viste diverse posizioni, dalle più critiche alle più entusiaste; tutto questo avveniva a seconda degli esiti delle ricerche scientifiche che, di anno in anno, si susseguivano. Con l’avvento dell’allenamento funzionale, la conoscenza su questo argomento, si è potuta convergere verso la direzione più costruttiva e sintetica possibile, cioè la funzionalità! Per questo, d’ora in avanti, abbiamo deciso di utilizzare il termine Allungamento funzionale tutte le volte che con l’allenamento si va ad agire sulla capacità delle catene muscolari non solo di “estendersi”, ma anche di gestire le posizioni di allungamento tipiche della disciplina praticata con disinvoltura (efficacia, rendimento atletico e benessere). Questo post è quindi rivolto agli allenatori, istruttori, atleti ed amanti del fitness che vogliono migliorare la conoscenza sull’argomento ed avere i mezzi per gestire i propri “movimenti allenanti” nella direzione più funzionale possibile alla propria disciplina e al proprio benessere.

    ALLUNGAMENTO FUNZIONALE E FISIOLOGIA

    Prima di passare all’aspetto pratico dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti) cenno alla fisiologia dell’allungamento. Nel post dedicato all’allenamento funzionale, abbiamo approfondito 2 aspetti molto importanti:

    • I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella flessoria, ecc.

    Infatti, all’interno del corpo umano, abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce connettivali; questi sono embricati tra di loro (cioè sovrapposti ed organizzati) in diverse catene muscolari, che possiamo definire come un insieme di muscoli e tessuti responsabili di determinate direzioni di forza (movimenti).

    • Il cervello umano riconosce il movimento delle catene muscolari e non le azioni solate di un singolo muscolo.

    Questo significa che anche l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento, affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene muscolari nel loro complesso. Infatti, il grado di allungamento di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente assunte in allenamento. In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli allenanti a determinare l’allungabilità di una catena muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.

    CATENE MUSCOLARI immagine tratta da www.giovanniferrariosteopata.it

    Spero che adesso sia più chiaro comprendere come per gestire angoli articolari estremi della propria disciplina (o solamente della vita quotidiana) è necessario allenarsi a determinati angoli, e non solo “allungare” le catene muscolari.

    PERCHE’ UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?

    La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”; ma è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento. Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:

    Perché un determinato soggetto non riesce a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?

    Le cause potrebbero essere diverse:

    • Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide: la rigidità solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal fatto di avere una semplice vita sedentaria. Ad esempio il classico lavoro “da scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.
    • Perché uno o più muscoli sono troppo deboli: un muscolo debole fa fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo. La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.

    DALL’ALLENAMENTO FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE

    Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli dell’allenamento funzionale.

    Nell’immagine sopra, sono elencati i movimenti dell’allenamento funzionale che abbiamo sintetizzato e semplificato (dalla versione originale) nel post dedicato all’argomento. Di conseguenza, è ovvio che i movimenti dedicati all’allungamento in ogni disciplina, andranno presi da questi e dalle loro variabili.

    Ma come fare a strutturare un corretto programma di allungamento funzionale?

    Ovviamente (com’è stato per l’allenamento funzionale) il punto di partenza è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di gara. Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi” della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da strutturare sempre con gradualità e progressività.

    Ogni disciplina deve quindi avere il suo protocollo di allungamento, che tiene in considerazione della funzionalità! Nell’immagine sotto, ad esempio, sono riportati gli allungamenti funzionali di un runner che effettua corsa su strada; come potete vedere, all’interno di questi è inglobato anche un protocollo di allenamento funzionale per il core, che è necessario per la funzionalità del “core” e di conseguenza per la gestione dei muscoli stabilizzatori, delle “cerniere” tra le varie catene anche in funzione del miglioramento della performance.

    Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Allungamenti-funzionali-1.png

    Un calciatore invece, rispetto ad un runner, si trova a dover gestire più movimenti legati ai cambi di direzione e alle rotazioni. Di conseguenza, l’esempio della figura sopra dovrà essere arricchito da affondi laterali e in diagonale, meglio se accoppiati a torsioni del busto. Gli stessi movimenti per la catena posteriore, dovranno essere gestiti anche a catena cinetica aperta, visto il rischio di infortuni a cui si può andare incontro quando si calcia il palone in condizioni di affaticamento. Sotto riportiamo alcune domande e risposte che possono insorgere alla luce di queste considerazioni sull’allungamento funzionale.

    • In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto l’allungamento funzionale? A mio parere il momento migliore è nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.
    • Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo stertching “classico” va abbandonato? Se parliamo di “Stretching dinamico”, credo che possa coesistere con profitto con l’allungamento funzionale in sport di squadra come il calcio. Personalmente in allenamento, inserisco lavori di stretching dinamico nelle esercitazioni di rapidità coordinativa, in cui i movimenti vengono vincolati da attrezzi (ostacoli, coni, nastro, ecc.) e di conseguenza è possibile (col tempo) richiedere maggiore precisione e velocità. L’utilità dello “stretching statico” è ormai relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione di forma; in queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni). Altra eccezione a mio parere lo può fare il prepartita, per soggetti che presentano un ipertono dovuto alla tensione pre-gara; in questi casi può essere utile (soprattutto dal punto di vista psicologico) allungare in maniera blanda i muscoli percepiti come più “rigidi”.
    • È consigliabile, quando possibile, individualizzare anche i protocolli di allungamento funzionale? Ovviamente si, soprattutto in base alla propensione agli infortuni e per i soggetti con una o più catene muscolari deboli o rigide. In questi casi, è da prendere in considerazione anche la ginnastica posturale come il Metodo Mezieres (che per prima ha sviluppato il concetto di catena muscolare), particolarmente mirato al recupero della lunghezza e dell’estensibilità delle catene; oltre a questo, sono da considerare anche protocolli di potenziamento muscolare mirati al rinforzo di catene o compartimenti muscolari deboli. Di conseguenza, eventuali paramorfismi o dismorfismi devono assolutamente essere inquadrati nella soggettività dell’atleta, per offrire la metodologia d’allenamento più appropriata.
    • Quali punti in comune e quali differenze hanno l’allenamento e l’allungamento funzionale? Il maggior punto in comune sono i movimenti di partenza sui quali strutturare i protocolli. Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune situazioni può essere sovrapponibile; ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare sia la forza che la mobilità della catena antero/interna. Se invece voglio lavorare sulla catena posteriore per allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita) utilizzerò il nordic hamstring stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò il single leg deadlift.

    CONCLUSIONI

    Il miglioramento dell’articolarità può avvenire per stimolo intensivo (cioè accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro muscolare). È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da preferire. Solo fondendo la funzionalità e la specificità con il principio dell’allungamento è possibile ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della disciplina praticata.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  2. Il riscaldamento nel gioco del calcio e FIFA 11+

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    “Un altro interessante articolo redatto da Angelo Iannaccone che ha portato i principi del riscaldamento e presentato la nuova messa in azione studiata dalla FIFA, il famoso 11+”

    Il riscaldamento rappresenta la fase iniziale della seduta di allenamento. Questa fase è stata spesso trascurata dagli allenatori per dare spazio ad altre componenti (specie di natura tecnico-tattica); invece rappresenta un momento molto delicato della seduta, che se ben impostato ed utilizzato, oltre agli effetti fisiologici che andremo ad analizzare, può esserci utile sia dal punto di vista condizionale, coordinativo e addirittura preventivo.

    I principali effetti del riscaldamento


    Aumento della temperatura corporea (questo riduce gli attriti articolari e facilita le reazioni biochimiche all’interno del muscolo);

    Una migliore coordinazione muscolo – articolare;

    Una predisposizione del fisico ai carichi di lavoro successivi;

    Altri possibili effetti del riscaldamento

    Il riscaldamento oltre a procurare gli importantissimi effetti fisiologici sopra citati può essere utile anche per allenare e/o richiamare altre componenti. Principalmente quelle:

    • Condizionali: piccole esercitazioni di forza, resistenza, velocità e mobilità articolare (sia negli esercizi di tipo generale che specifico) possono mantenere alto il livello allenante delle varie capacità condizionali; questo passaggio risulta fondamentale nei dilettanti dove il numero di sedute di allenamento è limitato (di solito due sedute settimanali);
    • Coordinative: all’interno della fase di riscaldamento possono essere inseriti esercizi ed esercitazioni di tipo coordinativo a corpo libero o con piccoli attrezzi (che analizzeremo in seguito); questo passaggio è fondamentale nei settori giovanili dove la componente coordinativa deve essere sempre richiamata per la crescita ottimale del giovane calciatore;
    • Preventive: effettuare un ottimo riscaldamento significa anche prevenire il calciatore da eventuali infortuni e/o complicazioni, sia nella seduta che dovrà effettuare, sia nel corso della stagione calcistica; spesso si adoperano metodi e contenuti di allenamento preventivo molto dispendiosi (sia in termini economici che temporali), quando con l’introduzione di semplici esercizi ed esercitazioni a corpo libero (contrazioni eccentiche, isometriche, pliometriche, range articolari funzionali al modello prestativo) spesso possono prevenire l’insorgenza di infortuni.

    Varie tipologie di riscaldamento

    Un altro errore che si commette spesso, è quello di “generalizzare” la fase di riscaldamento. Nei settori giovanili e nei dilettanti spesso si effettua la solita seduta “standard” per tutta la stagione calcistica, al di là del lavoro fisico e o tecnico/tattico che si dovrà affrontare successivamente. Questo è un errore perché oltre a rendere psicologicamente “pesante” ai calciatori questa fase (fattore assolutamente da non sottovalutare), potrebbe non predisporre l’organismo del calciatore allo sforzo successivo, cosa che porterebbe a conseguenze negative (maggiore predisposizione agli infortuni, basso rendimento nella fase successiva).

    Risulta quindi necessario distinguere la fase di riscaldamento, in base a:

    • Seduta con obiettivo metabolico;
    • Seduta con obiettivo neurogeno;
    • Seduta con obiettivo tecnico-tattico;
    • Riscaldamento pre-partita.
    • Riscaldamento metabolico

    Prima di una seduta di capacità o potenza aerobica è fondamentale predisporre l’organismo ad un successivo impegno metabolico. Quindi è necessario introdurre esercizi o esercitazioni che innalzino la temperatura interna, aumentino la frequenza cardiaca e respiratoria. Inoltre l’allenamento di resistenza può essere associato a quello di mobilità articolare (sia di tipo statico che dinamico), ed è un’ottima occasione per richiamare quest’ultima capacità, la quale con po’ di creatività può essere “miscelata” anche con un’ottima componente coordinativa. Gli esercizi di mobilizzazione dinamica possono essere proposti (gradatamente) anche con componenti di disequilibrio e di core-stability.

    Esempio di seduta con obiettivo metabolico

    • Corsa lenta o tecnica calcistica (entrambe le esercitazioni devono essere sottomassimali in modo da predisporre l’organismo gradatamente allo sforzo);
    • Stretching per gli arti inferiori (quadricpiti, ischio – crurali, tricipite della sura, adduttori);
    • Mobilizzazione dinamica per tronco (con nastro metrico o a corpo libero) e/o articolazione coxo-femorale (corpo libero, nastro metrico, ostacoli di altezza variabile);
    • Allunghi sui 40-60 metri.
    • Riscaldamento neurogeno

    Prima di una seduta di forza esplosiva/esplosivo-elastica o rapidità è fondamentale predisporre l’organismo (specie del punto di vista neuro-muscolare) ad un successivo impegno di tipo esplosivo.

    L’attivazione organica va ridotta ai minimi termini (pochissimi minuti di corsa o di lavoro sottomassimale con la palla) per dare spazio ad esercitazioni propedeutiche alla forza/rapidità. Anche in questo caso è importante combinare lavori di froza propedeutici abbinati ad una componente coordinativa. Evitare, invece l’allungamento statico (o ridurlo ai minimi termini). Studi condotti (anche se su velocisti e saltatori che hanno caratteristiche morfo-funzionali diverse da quelle dei calciatori) hanno evidenziato che un’impegnativa seduta di stretching prima di una prestazione o allenamento intenso può portare ad un fenomeno di affaticamento muscolare con relativo decadimento della prestazione. Anche la durata non deve essere eccesivamente lunga (non più di 10 – 15 minuti) in modo da mantenere quella freschezza ed efficienza neuro-muscolare che sarà fondamentale nei carichi di lavoro successivi. Le varie andature propedeutiche (balzi, sprint, scavalcamenti) possono essere proposti (gradatamente) anche con componenti di disequilibrio e di core-stability.

    Esempio di riscaldamento con obiettivo neurogeno

    • 2-3’ di corsa lenta o di lavoro con palla;
    • Balzi con ostacoli;
    • Balzi con cerchi;
    • Scavalcamento over o speed ladder;
    • Andature a secco: sprint, sprint con arresto, sprint con cambi di direzione.
    • Riscaldamento tecnico-tattico

    Spesso può capitare (sia nei professionisti che nei dilettanti) di effettuare una seduta di allenamento esclusivamente tecnico – tattica partendo già dal riscaldamento. Questo non significa che la parte fisica deve essere completamente esclusa. Ma è compito dell’allenatore o del preparatore quantificare il carico di lavoro tecnico – tattico (essendo riscaldamento, il lavoro iniziale è sempre sotto massimale) in modo da ottenere comunque gli stessi effetti fisiologici, ma integrati al lavoro con palla. Esso tra l’altro può essere inframezzato, durante le fasi di recupero, con esercizi o esercitazioni di mobilità articolare attiva e passiva.

    Gli esercizi di mobilizzazione dinamica possono essere proposti (gradatamente) anche con componenti di disequilibrio e di core-stability.

    Esempio si riscaldamento con obiettivo tecnico – tattico

    • Tecnica /tattica calcistica;
    • Mobilizzazione statica e/o dinamica tronco;
    • Tecnica/tattica calcistica;
    • Mobilizzazione statica e/o dinamica arti inferiori;
    • Tecnica/tattica calcistica;
    • Mobilizzazione statica e/o dinamica tibio-tarsica;
    • Allunghi sui 30-50 metri a secco o con palla.
    • Riscaldamento pre-partita

    Il riscaldamento pre-partita risulta un “mix” di tutti i riscaldamenti precedenti, visto e considerato che in partita vi sono componenti sia di tipo metabolico, sia neurogeno, sia tecnico/tattico. Dunque risulta fondamentale equilibrare le varie capacità condizionali in virtù del momento più importante: la partita. Esso può essere effettuato sia a “secco” che con palla. E’ consigliabile non superare i 20’ di attivazione e alla fine concedere sempre qualche minuto (2-3’) ai calciatori per esercizi personali (delle volte anche scaramantici) da svolgere singolarmente.

    Esempio di riscaldamento pre-partita

    • 2’-3’ corsa lenta
    • 2’ di possesso palla con mani in un rettangolo 30×20 mt (5vs5)
    • 1’ stretching quadricipiti;
    • 2’ possesso palla gambe – piedi;
    • 1’ stretching ischio – crurali;
    • 2’ possesso palla piedi;
    • 1’ stretching tricipite della sura;
    • 4’ mobilizzazione dinamica tronco (rotazioni, circonduzioni, flesso-estensioni) + arti inferiori intra extra rotazioni anca, slanci anca ecc);
    • 4’ sprint (lineari, a navetta, con cambio di senso),
    • 3’ di liberi esercizi o in alternativa 2 allunghi sui 50 mt con 30” di recupero tra l’uno e l’altro.

    Una proposta alternativa di riscaldamento: “The 11+” FIFA

    La FIFA insieme alla F-MARC ha sviluppato su basi scientifiche un protocollo di ricondizionamento e di riscaldamento per la prevenzione degli infortuni.

    Il programma di prevenzione include interventi generali quali il miglioramento delle fasi di riscaldamento e di defaticamento, il bendaggio per instabilità di caviglia, e la promozione di un adeguato atteggiamento di fair play come lo specifico “F-MARC11″. Il programma di prevenzione “The 11+″ è stato sviluppato per migliorare la stabilità di caviglia e ginocchio, la flessibilità e la forza del tronco, delle anche, degli arti inferiori e il miglioramento della coordinazione, della velocità e della resistenza.

    Sul sito ufficiale: http://f-marc.com/11plus/index.html è possibile scaricare le dimostrazioni video, il poster e le schede di ogni singolo esercizio.

    Si tratta, molto brevemente, di un sistema di riscaldamento di tipo preventivo con 11 esercizi (ultimamente portato a 13 esercizi) diviso a sua volta in 3 parti:

    • Una prima parte con 6 esercizi a carattere metabolico ma con una buona componente di mobilizzazione dinamica e coordinativa;
    • Una seconda parte con 5 esercizi di forza, piccola pliometria e core-stability, anche questi con un’ottima componente coordinativa;
    • Una terza ed ultima parte con 2 esercizi di nuovo a carattere metabolico ma ad un’intensità più alta.

    Il riscaldamento (nel momento in cui si è appresa la corretta esecuzione da proporre gradualmente) ha una durata di circa 20’ e vi sono 3 livelli crescenti e graduali di difficoltà.

    Secondo studi FIFA su gruppi studio di calciatori, chi ha effettuato questo tipo di riscaldamento ha ridotto l’insorgenza di infortuni (non dovuta a situazioni traumatiche di gioco) di circa il 40%.

    Gli esercizi proposti, sono correlati con i movimenti, le contrazioni muscolari e gli angoli di lavoro funzionali al gioco del calcio e permettono un adattamento specifico ai carichi di lavoro successivo.

    Questa valida forma di riscaldamento è un’ottima alternativa ai vari tipi di riscaldamento sopracitati, ma è necessario:

    • Fare in modo che i calciatori apprendano ed eseguano gli esercizi in maniera corretta;
    • Personalizzarlo a seconda della seduta di allenamento;
    • Variare gli esercizi (ma non l’obiettivo fisiologico).

    Questa proposta di riscaldamento, in base alla mia esperienza, è proponibile e ben “metabolizzata” dai calciatori, ma comunque è necessario un lungo periodo di addestramento, proponendo gli esercizi compresi a tappe.

    Riscaldamento e temperatura esterna

    Un fattore che influisce sul riscaldamento è chiaramente la temperatura esterna, la quale può chiaramente influenzare i suoi effetti fisiologici.

    Temperature troppo elevate (specie durante la preparazione pre-campionato) possono condizionare il riscaldamento e la fase successiva con spiacevoli inconvenienti (crampi, disidratazione, nausea ecc).

    In caso di temperatura elevata è necessario:

    • Diminuire leggermente il minutaggio totale della fase di riscaldamento;
    • Evitare troppi minuti di corsa lenta o lavoro metabolico;
    • Idratarsi durante e dopo lo svolgimento del riscaldamento.

    Temperature troppo rigide, condizionano anche esse la fase di riscaldamento e quella successiva, ma con altre possibili conseguenze (accorciamenti muscolo-tendinei,stiramenti e strappi muscolari, distrazioni articolari ecc.).

    In caso di temperature rigide è consigliato:

    • Rispettare il minutaggio della fase di riscaldamento;
    • Inserire qualche minuto in più di corsa lenta o lavoro metabolico;
    • Inserire più esercizi di mobilizzazione dinamica a scapito di quella statica;
    • Evitare l’eccesso di eventuali esercizi statici e/o tempi morti;
    • Utilizzare un abbigliamento consono alla temperatura invernale.

    Di Angelo Iannacone

    Articolo tratto da

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