E’ arrivato Honda al Milan e Galliani ha affermato ai media che sarebbe prematuro farlo giocare già da domenica contro il Sassuolo.
Neanche fosse lui l’allenatore o facesse parte dello staff tecnico…
Fosse lui a palpare la stanchezza o le sensazioni dei giocatori, a seguirli durante la seduta, a vivere la settimana in campo. Viene da sorridere, anche se in realtà per ciò che riguarda il neo acquisto del Sol Levante un problema legato ai fusi orari potrebbe sussistere: il così chiamato “jet lag”.
Ma cos’è il “jet lag”?
Esso (spesso indicato come “mal di fuso”) o disritmia, discronia o ancora disincronosi circadiana, è una condizione clinica che si verifica quando si attraversano vari fusi orari (di solito più di due fusi orari), come avviene nel caso di un lungo viaggio in aereo.
In questi casi, giunti a destinazione si è assonnati, stanchi o confusi. Il fenomeno si verifica a causa dell’alterazione dei normali ritmi circadiani; per ripristinarli, spesso viene utilizzata la melatonina. (fonte Wikipedia).
Quindi, la preoccupazione dell’Amministratore delegato e vice presidente rossonero non è poi così infondata; resta un fatto: si presume che certe scelte tecniche debba eseguirle solo ed esclusivamente l’allenatore…
La gravità delle manifestazioni del Jet lag può essere variabile e dipende da:
Numero di fusi orari attraversati: la probabilità di sviluppare il Jet lag aumenta proporzionalmente con il numero di meridiani attraversati.
Direzione del volo: il Jet lag si verifica solo in caso di voli trasversali, da ovest verso est e viceversa, e non quando si viaggia lungo lo stesso meridiano (nord-sud). Il disturbo si può avvertire maggiormente se si viaggia verso est, perché si “perdono” ore. Il problema del Jet lag è particolarmente pronunciato per i piloti di linea, gli equipaggi e chi viaggia con una certa frequenza. Le compagnie aeree hanno regolamenti volti a combattere la stanchezza dei piloti, causata da Jet lag.
Ora di partenza e di arrivo.
Fattori ambientali: la ridotta umidificazione dell’ambiente durante il viaggio aereo e la limitazione dei movimenti per periodi prolungati possono favorire la comparsa di alcuni sintomi del Jet lag.
Suscettibilità individuale: età, sesso e condizioni di stress.
Solitamente la pausa per le nazionali restituisce ai club i giocatori impegnati, solo poche decine di ore prima dei vari impegni. E in qualche modo questo influenza le scelte degli allenatori, costretti già, soprattutto quelli impegnati in Europa, a districarsi in turnover più o meno accentuati. In realtà in casi è difficile parlare di giocatori stanchi, la differenza sostanziale la fa il jet-lag.
Molte persone ai nostri giorni si iscrivono in palestra per veder scendere l’ago della bilancia, tuttavia, a volte, anche dopo aver ottenuto dei buoni risultati di perdita di peso, non sono ancora soddisfatte, perché guardandosi allo specchio notano alcune parti del loro corpo dove il grasso sembra proprio non voler andare via, insomma alcune parti dove la massa grassa sembra resistere di più nonostante i loro continui sforzi in palestra.
Questo accade generalmente negli uomini a livello addominale e nelle donne sui fianchi, glutei e cosce. Per questo spesso si chiede all’istruttore di fitness se magari sia il caso di aumentare gli esercizi per quella determinata zona corporea dove il grasso sembra più resistente; ma quasi sicuramente come risposta dirà che:
“Per dimagrire in una determinata zona del corpo non serve a niente allenare i muscoli che corrispondono a quella regione, perché non c’è comunicazione tra il muscolo ed il tessuto sottocutaneo adiposo soprastante; i muscoli utilizzano l’energia che deriva dal glicogeno e dal grasso intramuscolare e se mai successivamente dagli zuccheri e dagli acidi grassi che provengono dal sangue e che derivano dalla lipolisi indotta dagli ormoni lipolitici (glucagone, adrenalina), prodotti dall’allenamento indifferentemente da quale parte del corpo sia stata allenata. La perdita del grasso localizzato è legata solo alla morfologia individuale e a caratteristiche genetiche”
Questa risulta ancora essere la tesi ufficiale della moderna fisiologia, ma un recente studio ha dimostrato che esiste un effetto locale dell’esercizio sui depositi di tessuto adiposo situati immediatamente al disopra del muscolo.
Quindi, lo scopo di queste pagine è fare il punto della situazione sul dimagrimento localizzato attraverso esercizio (spot reduction), mettendo a confronto gli studi pubblicati a riguardo e vedere se la perdita di grasso localizzato attraverso esercizio esista davvero e se si possa trasferire in campo pratico nei programmi di allenamento in palestra.
L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce l’obesità come una
“condizione caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire sullo stato di salute” Il metodo tutt’ora più usato per valutare un individuo che soffre di questa patologia oppure no è il Body Mass Index BMI (kg/mD) = peso/(altezza)D, anche se risulta non applicabile agli adolescenti con il loro corpo ancora in formazione, agli atleti con muscolatura particolarmente sviluppata e alle donne in gravidanza.
BMI (KG/M2) CLASSIFICAZIONE OMS RISCHIO <18,5 sottopeso aumentato 18,5-24,9 normale minimo 25,0-29,9 sovrappeso aumentato 30,0-34,9 obesità grado 1 alto 35,0-39,9 obesità grado 2 molto alto ≥40,0 obesità grado 3 estremamente alto
Il grasso si localizza differente negli uomini e nelle donne. C’è un’obesità androide caratterizzata dalla distribuzione del tessuto adiposo nei distretti corporei superiori e una obesità ginoide con accumulo della massa grassa nella metà inferiore del corpo (Vague j, 1956). La prima presenta fattori di rischio molto maggiori, infatti nella prima abbiamo un accumulo di grasso anche nella zona addominale; specialmente in quella addominale viscerale (Vague J., 1956) si hanno maggiori fattori di rischio per quanto riguarda l’insorgere di: malattie all’apparato cardiovascolare (Piro et Al., 2008), dislipidemia (Kissebah et al., 1976), ipertensione (Cassano et al., 1990), diabete di tipo 2 (Carey et al., 1997), apnea nel sonno (Schafer et al., 2002), calcolosi biliare (Vague J., 1956) e anomalie della fertilità.
L’obesità addominale viscerale è calcolata mediante il rapporto WHR (rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi); le linee guida europee affermano che la circonferenza vita non dovrebbe superare i 102 cm negli uomini e gli 88 cm nelle donne.
Il rapporto vita/fianchi dovrebbe essere inferiore a 0,95 per gli uomini e 0,8 nelle donne. Il rischio di sviluppare tali patologie aumenta con l’aumentare del WHR, come risulta da uno studio scandinavo (Ohlsson et al., 1988). Il grasso viscerale a livello addominale risulta essere davvero pericoloso, i depositi omentali e periferici altamente lipolitici riversano acidi grassi e delle sostanze che causano anomalie metaboliche, nella vena porta che poi finiscono direttamente nel fegato alterando la sintesi delle lipoproteine (Jensen, 2008).
Le cellule del tessuto adiposo viscerale liberano “acidi grassi liberi” nel sangue (FFA), e maggiore sarà la quantità di tessuto adiposo maggiore sarà questa liberazione (Roust, Jensen, 1993). Gli FFA si metteranno nel sangue in concorrenza con il glucosio e verranno dunque utilizzati al suo posto. Questo porterà al fatto che il glucosio non verrà bruciato e ci sarà quindi un aumento della glicemia, che si ripercuoterà sulle cellule pancreatiche che produrranno così maggiori dosi di insulina (Mason et al. 1999), un’iperinsulinemia sarà aggravata dall’insulino resistenza, causata dalle cellule del tessuto adiposo che producono l’ adipochina RBP4 (Retinol Binding Protein-4) molecola che potrebbe essere importante nel determinare lo stato di insulino-resistenza (Yang et al., 2005).
Con l’iperinsulinemia aumenterà la ritenzione di acqua e di sodio a livello renale, in questo modo aumenterà il volume plasmatico circolante; si attiverà il sistema nervoso simpatico, che aumenterà la produzione di adrenalina e noradrenalina responsabili di una maggiore vasocostrizione; alcuni fattori di crescita verranno stimolati, e ciò indurrà una proliferazione delle cellule muscolari lisce, determinando un ispessimento della parete delle arteriole, e tutto questo provocherà un aumento della pressione tanto da arrivare all’ipertensione (Laakso et al., 1990) (Stepniakowsky et al., 1996) (Steinberg et al., 1994).
Inoltre nonostante le elevate quantità di insulina, le cellule, diventate insulino resistenti, porteranno alla comparsa del diabete di secondo tipo (Lillioja et al., 1993) (vedi anche Diabete mellito di Pierluigi De Pascalis). Come un cane che si morde la coda, l’azione liposintetica e antilipolitica dell’insulina porterà ad un aumento dei depositi di grasso, che a sua volta determinerà ancora un’iper-produzione di insulina. Ancora grazie a questa condizione aumenterà la quantità di colesterolo LDL, che tende ad accumularsi nelle pareti dei vasi provocando aterosclerosi e diminuirà la percentuale di colesterolo HDL (Lewis et al. 1995).
Ma non finisce qui, il tessuto adiposo addominale viscerale è responsabile della produzione della proteina Tumor Necrosis Factor (TNF) e di interleuchina 6 (IL-6) ad elevate concentrazioni, che induce la produzione nel fegato della proteina C reattiva, queste proteine infiammatorie sono precursori dell’insulino resistenza, dell’infarto cardiaco e di malattie epatiche (Fontana et al., 2007).
Questi e altri danni qui non elencati: come la possibilità dell’insorgenza di tumori, o l’insufficienza respiratoria, possono essere causati dall’eccesso di insulina e dall’ eccesso di tessuto adiposo viscerale addominale. Il tessuto adiposo addominale sottocutaneo e anche tutto il tessuto adiposo presente nell’obesità ginoide non comportano la stessa elevata quantità di rischi rispetto al grasso addominale viscerale. Sebbene quindi le donne tendano ad accumulare maggiori quantità di grasso nella parte inferiore del corpo, ciò non esclude che possa capitare che vadano incontro ad uno sviluppo dell’ obesità a livello addominale e questo comporterà anche per loro elevati rischi per la salute.
Includendo nelle etichette alimentari informazioni relative ai livelli di attività fisica richiesti per smaltire le calorie introdotte sarebbe possibile guidare il pubblico in scelte alimentari più coscienziose. Di questo sono convinti i ricercatori americani dell’University of North Carolina at Chapel Hill, i quali hanno potuto dimostrare in un recente studio pubblicato sulla rivista Appetite l’efficacia di questa strategia.
In breve, il team di medici ha assegnato casualmente un gruppo dei partecipanti al consumo di menu fast-food che differivano unicamente nel tipo di etichetta: priva di informazioni nutrizionali, contenente solo informazioni sul contenuto calorico, contenente informazioni sulle calorie e sui minuti di passeggio richiesti per bruciare tali calorie oppure contenente informazioni sul contenuto in calorie e la distanza da coprire passeggiando per consumare le calorie introdotte.
Ebbene, gli autori hanno potuto riscontrare che il tipo di etichetta influenzava l’assunzione di calorie tra i partecipanti: in assenza di informazioni, il consumo di calorie raggiungeva mediamente 1002, mentre nel caso delle informazioni dettagliate sui livelli di attività fisica richiesti per smaltirle l’assunzione calorica era pari a 826, una differenza importante. Quest’ultimo tipo di etichetta risultava infatti più efficace nel guidare scelte alimentari ipocaloriche.
I ricercatori hanno infine potuto riscontrare una preferenza da parte dei partecipanti per questo tipo di etichetta alimentare rispetto a quelle contenenti solo informazioni nutrizionali. Sarà questo vero anche nella realtà quotidiana oltre che nella situazione sperimentale? Decisamente varrebbe la pena provare.
L’alimentazione e la dieta del calciatore, così come per tanti altri sport, dovrebbe essere varia, equilibrata e specialmente attenta all’assumere determinati alimenti nei momenti giusti della giornata. Questo non basterà forse a diventare come Maradona, ma almeno aiuterà a sostenere gli sforzi fisici che la preparazione atletica e la partita richiedono.
Da studi effettuati è emerso che molti giovani, anche nel giorno della partita, saltano la colazione, che è il pasto più importante della giornata e che è anche l’unico sostanzioso prima della gara. Questo, come è facile intuire, può facilmente portare a cali di prestazione durante la partita per la mancanza di “combustibile” all’interno della macchina-organismo, proprio perchè il nostro corpo è come un’auto e, senza benzina, non va lontano.
Bisogna ricordarsi che è fondamentale non solo “cosa” si mangia ma anche “quando”. Prima di una partita, ad esempio, ci alimenteremo in modo leggero e con sostanze di rapido smaltimento che non stiano quindi a richiamare troppo sangue allo stomaco inficiando così la prestazione sportiva.
Durante e dopo lo sforzo, ci preoccuperemo di riequilibrare i sali minerali che saranno andati perduti con acqua ad alto contenuto salino.
Questa può essere una tabella alimentare da seguire per i calciatori, sia dilettanti che professionisti, ricordando che dosi e quantità vanno regolate in base al peso e all’altezza di ogni atleta.
Colazione
Cereali, pane (meglio se integrale) con miele o marmellata, latte con fiocchi d’avena, caffè o thè zuccherato.
Spuntino
Della frutta.
Pranzo
Una porzione di verdure crude di stagione come antipasto e dopo della pasta o del riso.
Spuntino pomeridiano
Della frutta.
Cena
Verdure crude, magari prima di una porzione di legumi, carne o pesce.