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  1. Maratona, alimentazione ed integrazione

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    Malgrado un’adeguata alimentazione sia fondamentale per chiunque, gli aspetti nutrizionali per un atleta che si appresta a preparare e correre competizioni di endurance, sono tanto più importanti quanto più la distanza di gara è elevata. In particolar modo le riserve e la biodisponibilità di carboidrati giocano un ruolo significativo, perché rappresentano la fonte energetica principale senza la quale è impossibile mantenere una certa intensità per l’intera gara. In questo post andremo quindi a considerare come, nella dimensione del maratoneta, l’allenamento, l’alimentazione e l’integrazione* svolgono i loro ruoli. In particolar modo, approfondiremo il “Trail Low – Compete High”, qual è la strategia integrativa migliore da assumere in gara (poi adattata alle proprie caratteristiche) e come questa si forma in allenamento.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog hanno esclusivamente scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di assumere integratori!

    ALLENAMENTO

    Rappresenta sicuramente la fase più importante della dimensione del maratoneta; senza un adeguato allenamento è inutile presentarsi alla partenza. Riportiamo sotto i link ai post che abbiamo dedicato all’argomento:

    Sotto invece potete trovare l’immagine riassuntiva degli elementi chiave per la preparazione di una maratona.

    maratona allenamento alimentazione

    ALIMENTAZIONE

    I principi base dell’alimentazione del maratoneta non sono diversi da quelli consigliati per il resto della popolazione; particolare attenzione (soprattutto chi si allena molte volte a settimana) è necessario porre all’introito calorico giornaliero che dovrà essere in grado di supportare la spesa energetica. Numerose ricerche hanno dimostrato come un insufficiente apporto di carboidrati comporti un peggioramento del rendimento in allenamento. Le linee guida di Burke e coll 2007 sono quelle di consumare 7-10 grammi su Kg di peso corporeo al giorno di carboidrati per gli atleti che effettuano elevati volumi di allenamento (professionisti) e 5-7 g/Kg al giorno per chi effettua un volume più moderato; questi numeri vanno poi adeguati alle caratteristiche e alla soggettività degli atleti. Quello che è importante comprendere, è che nel periodo in cui si prepara una maratona, non è da ricercare nessun tipo di restrizione calorica (ad eccezione dell’eventuale “Train Low – Compete High” che vedremo di seguito), in quanto potrebbe andare a compromettere il rendimento in allenamento. Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consigliamo di leggere il testo di Roberto Albanesi sulla Maratona

    Ma è consigliabile assumere integratori a base di carboidrati al di fuori del contesto di gara? La risposta è “dipende”…dipende se con l’alimentazione si è in grado di coprire il fabbisogno generale di nutrienti. A mio parere, è importante cercare prima di tutto di soddisfare il proprio fabbisogno nutrizionale con l’alimentazione, per 2 motivi principali: il primo, perché permette di acquisire corrette abitudini che si porteranno dietro tutta la vita, e il secondo perché sarà più facile trasmetterle a chi ci sta vicino. Al di fuori di questo, è ovvio che l’integrazione può aiutare quando non si riesce a soddisfare il proprio fabbisogno con la dieta.

    Cos’è il carbo-load (carico di carboidrati)? È la strategia alimentare che solitamente viene impostata nei giorni precedenti alla maratona, per massimizzare in maniera fisiologica le scorte di carboidrati all’interno del proprio corpo (glicogeno). Come tutte le altre strategie alimentari, va provata precedentemente in altre occasioni, per valutare la risposta soggettiva al protocollo ed adeguarla in base alle proprie caratteristiche. Per approfondire l’argomento, potete leggere il post dedicato al carico di carboidrati.

    Come ci si deve alimentare la mattina della gara? Nell’ultimo paragrafo del post dedicato al Vitargo e ai carboidrati ad alto peso molecolare, potete leggere delle semplici indicazioni.

    INTEGRAZIONE IN GARA

    Nell’immagine sotto riportiamo le linee guida riguardanti l’assunzione di carboidrati in sport di endurance, che potete leggere in maniera dettagliata nel post dedicato all’argomento.

    Facendo 2 conti, è improponibile ipotizzare che un maratoneta che conclude la sua gara in più di 3 ore (ad esempio), riesca ad ingerire una quota di carboidrati pari a 90 grammi all’ora (ricordiamo che un gel ne contiene circa 20-25 grammi). Di conseguenza, le linee guida riportate sopra, possono essere ottimali per un ciclista o al massimo ad un triatleta durante la frazione di bici, ma non per un runner, per il semplice motivo che è veramente difficile tollerare l’ingestione dei fluidi (e conseguentemente rifornirsi di carboidrati) quando si corre. Infatti, nell’immagine sotto sono riportati i dati ottenuti dalla ricerca di Pfeiffer e coll, 2012, in cui venne visto che in media, un maratoneta assume in gara circa 35 grammi di carboidrati all’ora. Altre fonti molto autorevoli, considerano 30 grammi come la quota che è realisticamente possibile assumere in un’ora di gara.

    Ma teoria e pratica, non sempre vanno nella stessa direzione; una ricerca molto interessante di Hansen e coll 2014, comparò il tempo finale di maratoneti amatori tra 2 gruppi sperimentali; il primo che ha seguito una strategia di integrazione pre-stabilita in almeno 60 grammi/ora di carboidrati, mentre il secondo una strategia libera. I primi, alla fine ingerirono una media di 64.7 carboidrati/ora, mentre i secondi 38 g/h; la differenza sul tempo finale medio, fù che il primo gruppo (cioè quello che ingerì più carboidrati) finì la maratona circa 11 minuti prima dimostrandosi il 4.7% più veloce. Altro aspetto importante di questa ricerca, fù che l’ingestione di fluidi tra i 2 gruppi, fù pressappoco la stessa, cioè 600-700 ml/h, in linea con le indicazioni di Noakes 2003), senza differenza significativa per quanto riguarda i disturbi gastrointestinali. Questi risultati, affermano che

    è possibile assumere in maratona fino a 60 g/h di carboidrati seguendo una strategia di rifornimento idrico compreso tra 400-800 ml/h

    (linee guida di Noakes 2003) con probabilità di incorrere in disturbi di tipo gastrointestinale “non superiori” a quelli di quote di carboidrati inferiori.

    Se però, i consumi “ad libidum” (cioè spontanei) di carboidrati si assestano in media su quote inferiori ai 40 g/h, è possibile comprendere come sia necessario prestare particolare attenzione a questo aspetto in gara (ed in allenamento) da parte dell’atleta, tenendo in considerazione che:

    • L’assunzione di carboidrati può avvenire tramite gel, borracce personalizzate e utilizzo di prodotti dei ristori.
    • È bene arrivare alla quota massima, ottimizzando l’aspetto gestionale (che è la parte più difficile) partendo da circa 30-40 g/h ed incrementando di 5-10 g/h di maratona in maratona fino ad un massimo di 60 g/h.
    • Provare precedentemente questo protocollo in gare più corte (almeno 20 Km) e/o in allenamento, utilizzando la quota “target” di assunzione di carboidrati almeno negli ultimi 60-90’ di prova.

    Per quanto riguarda l’assunzione di fluidi, molto dipende dalla temperatura ambiente; nel nostro post dedicato all’argomento, abbiamo riportato le indicazioni di Goutlet e coll 2012, che sono comunque generiche per sport di endurance. Per quanto riguarda la maratona nello specifico, consigliamo di seguire le linee guida di Noakes 2003, cioè di bere per la sete che si ha, senza andare oltre i 400-800 ml/h (a seconda della soggettività). Infatti, i climi ai quali si effettuano le maratone, solitamente non sono particolarmente caldi, ma è chiaro che oltre una certa temperatura, la necessità (e di conseguenza l’ingestione) di fluidi potrebbe essere anche maggiore, a seconda della soggettività; per un ulteriore approfondimento, vi invitiamo a leggere questo articolo di Roberto Albanesi. Ovviamente, non è da dimenticare l’assunzione di Sali, che comunque sono presenti nella maggior parte degli integratori a base di carboidrati. Nell’ultimo paragrafo del post, potete vedere alcuni esempi di linee guida per allenare la tolleranza all’ingestione di fluidi e carboidrati in gara.

    TRAINING LOW – COMPETE HIGH

    Nel concetto di carbo load, abbiamo indicato come l’ingestione di una quota di carboidrati leggermente superiore alla norma, nei giorni che precedono una maratona, comporta un maggior accumulo di questi (sottoforma di glicogeno) nei muscoli e nel fegato; questo permette di partire con una maggiore scorta di glicogeno, che è la fonte energetica principale della corsa. Ma questa strategia è efficace esclusivamente se si ha un’elevata capacità di “Immagazzinare” glicogeno nei muscoli; quest’ultima qualità è migliorabile prevalentemente tramite un elevato chilometraggio settimanale. Ciò, è anche in parte possibile tramite allenamenti che portino ad una deplezione importante di glicogeno nei muscoli. Gli allenamenti classici che inducono questo stimolo biologico sono i lunghi e le gare superiori all’ora. Questi stimoli allenanti però, richiedono diverso tempo per essere recuperati, soprattutto per le microlesioni muscolari indotte da traumi prolungati ed intensi. L’obiettivo del TRAIN LOW – COMPETE HIGH (che abbrevieremo in TLCH) invece è quello di dare un ottimo stimolo biologico nella stessa direzione (cioè di svuotare le scorte di glicogeno), minimizzando però i microtraumi muscolari.

    In poche parole, si tratta di iniziare la seduta d’allenamento TLCH con una riserva di glicogeno inferiore rispetto alla norma; la conseguenza è che necessiteranno meno km (rispetto ad un lungo) per svuotare tali scorte, e di conseguenza per avere lo stimolo biologico adeguato. Il beneficio principale, sarà quello di avere un input allenante ottimale con un allenamento più breve (rispetto ad un lungo), quindi fattibile anche infrasettimanalmente (per chi lavora).

    Ma com’è possibile “limitare le scorte di glicogeno” prima dell’allenamento?

    Nel pasto (o nei 2 pasti) che precede l’allenamento si limita il consumo di carboidrati (le cui fonti sono pane, pasta, dolci, patate, ecc). In questo modo le scorte di glicogeno muscolari saranno inferiori alla norma e di conseguenza saranno necessari meno Km per “svuotare le riserve” ed avere lo stimolo voluto. Ovviamente le calorie che in questi pasti non si introducono con i carboidrati, andranno introdotte tramite altri macronutrienti, preferibilmente tramite grassi “buoni”, come quelli derivati dalla frutta secca (a patto che non si abbiano intolleranze o allergie a tali alimenti); le altre abitudini dietetiche (frutta, verdura, quota proteica, quota calorica totale, ecc.) devono rimanere le stesse per evitare di aver ripercussioni negative sul bilancio energetico.

    Ma quanto deve essere lungo l’allenamento?

    Attualmente non esiste una formula universalmente riconosciuta per stabilire la durata di questo stimolo; comunque, a mio parere, un allenamento della lunghezza pari a 3/4 dell’ultimo lungo, potrebbe permettere di avere uno stimo allenante sovrapponibile con ovvie differenze dovute alla soggettività ed al grado di allenamento. Ad esempio, se l’ultimo lungo è della lunghezza di 20 Km, potrebbero bastare 15 Km per avere uno stimolo biologico paragonabile, ma con un affaticamento muscolare ridotto. Ciò non significa che tutti gli allenamenti di TLCH devono essere di una lunghezza tale da comportare una deplezione significativa delle scorte di glicogeno, ma che a pari distanza, un allenamento con strategia alimentare TLCH comporta un maggior deplezione di glicogeno rispetto ad un approccio nutrizionale standard.

    Prima di effettuare questo tipo di allenamenti sono da fare 2 importanti considerazioni:

    1) GRADUALITA’: questi tipi di stimoli sono da introdurre con estrema gradualità, sia dal punto di vista delle modificazioni alimentari, che dal punto di vista dei chilometraggi. Infatti non tutti i podisti reagiscono a questo protocollo allo stesso modo, per questo motivo le eventuali variazioni nei pasti che precedono l’allenamento considerato, devono esser estremamente graduali. Anche lo stesso allenamento, dovrà essere corso prevalentemente di corsa lenta, con eventuale progressione finale solo nel caso in cui non ci si senta affaticati. In altre parole, questa è una strategia che può essere fatta periodicamente (esempio una volta a settimana), ma non deve modificare le corrette abitudini alimentari!

    2) PERIODO DELLA STAGIONE: a mio parere, per un maratoneta amatore, questo tipo di allenamento deve essere affrontato nel periodo che precede i lunghissimi e non nel periodo specifico dei lunghissimi; infatti, è importante seguire la regola secondo la quale sarebbe meglio non fare più di un allenamento a settimana che causi una deplezione di glicogeno particolarmente significativa.

    Di conseguenza, quando i lunghissimi cominciano ad avere proporzioni importanti, questi devono essere gli unici allenamenti che, settimanalmente, comportano una deplezione particolarmente significativa delle scorte di glicogeno. Ovviamente i lunghissimi, devono essere iniziati con le riserve di glicogeno adeguate e con eventuale integrazione durante l’allenamento; questo sia per abituarsi ai protocolli integrativi di gara, che per evitare di finire questi allenamenti in condizioni tali da necessitare troppo tempo per recuperarli. Quello che è importante comprendere, è che il TLCH rappresenta un’eccezione (gradualmente inserita) nella normale routine alimentare, e non la prassi, altrimenti il rendimento in allenamento calerebbe e incrementerebbe il rischio di infortuni.

    CONCLUSIONI

    Concludiamo dando uno sguardo allo studio di Stellingwerff 2012, che contestualizza molto bene gli aspetti approfonditi sopra, seppur in un contesto va adattato al mondo amatoriale; infatti, nella ricerca viene analizzata la preparazione e l’aspetto alimentare/integrativo di 3 maratoneti d’elitè; nell’immagine sotto, è possibile vedere il numero medio di sedute settimanali dedicate al TLCH nei vari periodi d’allenamento (colonne blu) e quelli in cui viene ricercata l’abitudine/tolleranza all’ingestione di fluidi/carboidrati (colonne rosse).

    Immagine tratta da Stellingwerf T 2012; Int J Sport Nutr Exerc Metab

    Tenendo in considerazione che gli atleti in questione effettuavano circa 13 allenamenti settimanali, è possibile notare come nel periodo generale/specifico, 1 allenamento su 5 era sottoforma di TLCH; per quanto riguarda invece l’abitudine alla tolleranza dei fluidi, vennero date le seguenti linee guida:

    • In ogni allenamento (periodo generale/specifico) di durata superiore alle 2 ore, assumere circa 30-60g di carboidrati per ora, e bere 400-600 ml/h di acqua, pesandosi prima e dopo, per comprendere se in questo modo si riusciva a contenere nel 2-3% la perdita di peso.
    • Nelle ultime 3 settimane, veniva consigliato lo stesso protocollo, ma per tutti gli allenamenti della durata superiore ai 75’.

    Ricordiamo che i 3 atleti della ricerca, in questo modo riuscirono ad ingerire il giorno della gara circa 60 g/h di carboidrati in circa 600 ml/h di liquidi, in linea con le indicazioni date nei precedenti paragrafi.

    Ovviamente questi dati vanno presi “cum grano salis” (in quanto un amatore ha tempi diversi rispetto ad un Top Runner), ma fanno capire come l’inserimento del TLCH sia un’eccezione alla normale routine (vedi indicazioni del precedente paragrafo) e come sia importante abituarsi alla gestione organica dei rifornimenti, cercando la migliore strategia integrativa ed idrica per avere un giusto apporto di carboidrati (vista l’importanza che può avere sul tempo finale) e non perdere più del 2-3% del peso corporeo. In questo modo, il giorno della gara si sarà in grado di gestire con più padronanza e consapevolezza i rifornimenti, e di conseguenza la propria performance.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo. Email: melsh76@libero.it

  2. Idratazione ed integrazione negli sport di resistenza

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    (aggiornato al 09/02/2024)

    In gare che superano una certa durata, un’adeguata idratazione comprendente una giusta quota di carboidrati (e in alcuni casi anche elettroliti), può aiutare a limitare gli effetti della fatica, soprattutto quando è ottimizzata la distribuzione dello sforzo. Ma oltre che distanza (o tempo) è necessario introdurre carboidrati e quali sono i prodotti migliori sul mercato? E i Sali minerali? Quanto bisogna bere in gara? In questo post cercheremo di approfondire le linee guida* per l’integrazione e l’idratazione nelle gare di endurance, partendo sempre da presupposti scientifici che hanno poi trovato riscontro nell’applicazione pratica.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog hanno esclusivamente scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di assumere integratori!

    Fatica, Idratazione e Disidratazione

    La fatica è un fenomeno multifattoriale e, negli sport di resistenza, può essere influenzata dalle condizioni ambientali, dalla disidratazione e dalla deplezione di glicogeno (carboidrati endogeni, cioè stoccati all’interno del nostro corpo), cioè variabili importanti che l’atleta deve conoscere e saper gestire.

    Le prime evidenze sperimentali (da laboratorio) sulla disidratazione, hanno dimostrato che in climi freddi e temperati (fino a 22°) fino al 2% di perdita di massa corporea non è nociva per la performance, mentre in ambienti particolarmente caldi (oltre 30°) tale perdita può essere compromettente per la performance e la salute (Shirreffs 2005). A questo aspetto, è da aggiungere il concetto di Massima disidratazione involontaria che spiegheremo brevemente: durante uno sforzo fisico, è possibile perdere (in condizioni eccezionali di caldo elevato ed intensità fisica massimale) fino a 1.8 l/h (litri di sudore all’ora), ma la massima velocità con il quale l’organismo è in grado di reidratarsi (assorbimento d’acqua nell’intestino) è di circa 1-1.5 l/h.

    Tenendo in considerazione che sottosforzo è difficile bere tanto senza problemi gastrointestinali, si è giunti alla conclusione che in linea di massima (in ambienti caldi e discipline di lunga durata) non si riesce a bere più 1 litro di acqua all’ora. Queste considerazioni teoriche, hanno portato a formulare linee guida eccessivamente allarmanti, in cui veniva consigliato di bere il più possibile sin da prima che iniziasse la gara, considerando che alla comparsa dello stimolo della sete, il grado di idratazione era inevitabilmente compromesso. Questo ha portato, in gare molto lunghe, a casi di iponatremia sintomatica (vedi immagine sotto) compresi 14 atleti alla Maratona di Londra del 2003. Nel 2011 Kipps e colleghi, pubblicarono uno studio che rilevò che il 12.5% dei maratoneti da loro testati durante la Maratona di Londra riportarono segni asintomatici di iponatremia, dovuti al fatto che avevano bevuto troppa acqua e troppo pochi sali minerali.

    Iponatremia e disidratazione, sono quindi 2 condizioni fisiologiche estreme ed opposte, dovute a comportamenti eccessivi (bere solo troppa acqua / bere troppo poco). Nel prossimo paragrafo vedremo, quali sono le linee guida attuali dettate maggiormente dal buon senso e dalle ultime ricerche sperimentali effettuate su atleti “sul campo”.

    Come riconoscere lo stato di idratazione a riposo

    Gli effetti nocivi della disidratazione si esplicano prevalentemente con un aumento della condizione di fatica, fino ad arrivare a conseguenze anche per la salute (come il colpo di calore); i segni e sintoni della disidratazione sono amplificati in climi caldi.

    Fortunatamente, l’organismo acclimatandosi è in grado di incrementare la propria volemia (quantità di sangue nel sistema cardiocircolatorio), tollerare meglio lo sforzo in climi caldi, dare un inizio precoce alla sudorazione (evitando di accumulare calore) ed espellere meno sali con il sudore. Inoltre, lo stoccaggio e l’ossidazione dei substrati energetici rilascia e produce una quantità endogena di acqua superiore al litro in sforzi che vanno ad esaurire importanti scorte di glicogeno. Risulta quindi fondamentale, per l’atleta, comprendere come misurare in maniera oggettiva il proprio stato di idratazione al fine di individuare le giuste strategie per prevenire di disidratarsi.

    protocollo wut disidratazione

    Il protocollo WUT è probabilmente il più semplice che permette di comprendere, a riposo, se si è disidratati (vedi immagine sotto); infatti è estremamente importante iniziare la competizione (e l’allenamento) in uno stato di idratazione ottimale, altrimenti ne risentirebbe il rendimento atletico. Potete approfondire meglio il protocollo WUT nel nostro post dedicato all’idratazione.

    Potete trovare utile anche il nostro post dedicato ad allenarsi e gareggiare con il caldo.

    Quali strategie adottare in gara

    Gli ultimi approfondimenti scientifici legati alle discipline di resistenza e disidratazione hanno permesso di constatare che in condizioni reali (cioè atleti in gara, e non soggetti sedentari in laboratorio come venne fatto inizialmente), una perdita pari o inferiore al 4% del peso corporeo non andava a penalizzare la performance (Goutlet 2013). Ulteriori revisioni bibliografiche dello stesso autore (Goutlet 2011) rilevavano come il bere per la sete che si ha, fosse la soluzione migliore per ottenere performance migliori in prove ciclistiche a cronometro di 90’ circa. Queste considerazioni, hanno portato a riformulare il paradigma del reintegro dei fluidi in gara secondo le seguenti linee guida (Goutlet 2012):

    • Durante sforzi inferiori all’ora, è ragionevole ipotizzare che la disidratazione non influenzi la performance, ma è comunque importante bere per placare l’eventuale sensazione di sete ed evitare l’ipertermia.
    • Durate sforzi di durata superiore all’ora, bere per la sete che si ha; possibilmente (aggiungo io) bevande isotoniche, con carboidrati ed eventualmente sali (vedi prossimo paragrafo).
    • Per evitare che la sete subisca alterazioni dovute ad altri fattori, è comunque consigliabile adottare strategie di re-idratazione in gara che permettano di perdere non più del 2-3% del proprio peso corporeo.
    • Nel 2007, l’American College of Sports Medicine indicò come bere per la sete che si ha una quantità compresa tra 4-0.8 litri ogni ora potrebbe essere il punto di partenza per l’individualizzazione di protocolli per allenamento/competizioni di durata.

    Di conseguenza, l’individualizzazione dei protocolli di idratazione in gara diventa essenziale in sforzi di ultraendurance e di una certa durata in ambienti caldi. Il tutto andrebbe sperimentato prima in allenamento per non trovarsi impreparati in competizione.

    Quello che viene sconsigliato, è di esagerare con il bere e di prendere peso durante la gara; questo potrebbe portare a casi di iponatremia; in altre parole, gli eccessi vanno sempre evitati! Per evitare l’iponatremia in gare particolarmente lunghe, può risultare significativa anche la presenza di Sali nei fluidi che si ingeriscono; lo vediamo nel prossimo paragrafo.

    Quali minerali è necessario aggiungere, ed in quali condizioni?

    Come abbiamo visto sopra, in caso di sforzi particolarmente prolungati l’ingestione di molta acqua senza sali minerali può dare origine a casi di iponatremia; per questo motivo, in gare ed allenamenti molto lunghi è consigliabile ingerire anche sali minerali.

    Il sodio è il minerale maggiormente presente nella sudorazione; è comunque difficile dare linee guida semplici, in quanto attualmente viene consigliata l’aggiunta di sodio se sono presenti queste 3 condizioni (McCubbin):

    • Lo sforzo è superiore alle 4 ore
    • Si beve per ripristinare più del 70% del sudore perso
    • La perdita di sodio è superiore a 1 grammo ogni ora

    Potete benissimo intuire quanto sia difficile sapere (in assenza di personale ed esami qualificati) la necessità o meno di integrare con questo minerale.

    Fortunatamente è possibile semplificare il tutto partendo da altri presupposti; infatti, una moderata aggiunta di sodio è comunque consigliata anche in sforzi più brevi per migliorare il sapore della bevanda e mantenere l’osmolarità del sangue (McCubbin).

    In ogni modo, con la dieta attuale è difficile ipotizzare si possa andare incontro a carenze di sodio in quanto questo minerale è stoccato in alcune parti del corpo per essere rilasciato all’occorrenza.

    Con il dovuto buon senso, dalle precedenti considerazioni (che provengono dalla bibliografia internazionale) è possibile quindi ipotizzare quanto scritto nell’immagine sotto.

    come integrare i sali persi con il sudore

    Ricordo che in molti integratori a base di carboidrati è già presente il sodio, quindi non è necessario aggiungerne altro.

    Quando necessario (ad esempio quando si prepara autonomamente la borraccia) le vecchie linee guida consigliavano circa 0.5-1 grammo di sodio per litro d’acqua, corrispondenti a 1-2 grammi di sale da cucina. Attualmente si tende ad incoraggiare una maggiore individualità nei protocolli; la personalizzazione va assolutamente effettuata (insieme a personale medico) per chi soffre di ipertensione.

    Altri minerali inseriti negli integratori idrosalini sono Cloro, Potassio e Magnesio, ma non ne è mai stata dimostrata la necessità; per chi volesse un prodotto estremamente comodo per aggiungere sali (senza aggiunta di calorie) nella borraccia, consigliamo le compresse High5 o il Go Hydro della SiS; entrambi sono prodotti di qualità di marche estremamente serie.

    Ricordo che non è mai stato dimostrato che l’aggiunta di Sali possa ridurre l’incidenza dei crampi.

    Cosa mettere dentro la borraccia

    Nel post dedicato al metabolismo dei carboidrati, abbiamo visto come le fonti di carboidrati endogene ed esogene (glicogeno, glucosio ed altri zuccheri) siano fondamentali per sostenere la spesa energetica muscolare (cioè produrre ATP, vedi immagine sotto); non solo, nel paragrafo “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati” è stato approfondito come anche il metabolismo degli acidi grassi venga particolarmente inibito in condizioni di carenza di glucosio/glicogeno.

    Nelle competizioni di durata risulta quindi fondamentale presentarsi alla partenza con quote adeguate di glicogeno muscolare; quando superano una certa durata, risulta anche fondamentale l’integrazione con carboidrati in gara per evitare che il glucosio ematico (e di conseguenza quello muscolare) scenda sotto livelli tali da far comparire i sintomi della fatica. Ma quanti carboidrati è necessario ingerire in gara? Oltre quale durata dello sforzo è consigliabile inserire carboidrati nel proprio piano di integrazione in gara?

    Le linee guida più attuali (Burke 2021), riportano quanto segue:

    • In sport massimali della durata inferiore a 45’, l’integrazione è opzionale, ma è difficile ipotizzare possa portare benefici.
    • In discipline della durata compresa tra 45-75’ è consigliabile una piccola quantità di circa 20 grammi/ora (qualsiasi tipo di carboidrato)
    • Se la durata è compresa tra le 1-2.5 ore, è consigliabile ingerire 30-60g/h indipendentemente dal tipo di carboidrato.
    • Quando si superano le 2h30’-3h invece, l’ideale è ingerire 70-90g/h, o anche di più (lo vedremo meglio nel prossimo paragrafo); in questo caso è assolutamente necessario utilizzare carboidrati che utilizzano diversi meccanismi di assorbimento intestinale, come fruttosio + maltodestrine, oppure fruttosio + altri polimeri del glucosio. Attualmente a livello sperimentale è stata trovata come un rapporto fruttosio/maltodestrine di 0.5-1/1 (cioè 0.5-1 grammi di fruttosio ogni grammo di maltodestrine) (Rowlands et al 2015).

    Per chi pratica sport di endurance sa che non è facile seguire le indicazioni per gli sforzi superiori alle 2h30’-3h, cioè di 70-90 grammi di carboidrati ogni ora.

    Malgrado questo, oggi alcuni arrivano anche ad ingerirne 120 g/h. A livello professionistico è possibile in quanto questa tipologia di atleti è seguita da staff in grado di individualizzare l’apporto gradualmente in maniera individualizzata.

    Ma per chi fa sport a livello dilettantistico-amatoriale è molto più difficile. In ogni modo, pur mantenendo l’individualizzazione dell’integrazione, è giusto sapere che è possibile migliorare la performance (oltre le 3 ore) ottimizzando l’assunzione di carboidrati in base alle proprie caratteristiche; abbiamo trattato in maniera approfondita nel nostro articolo train the gut, nel quale abbiamo visto come con un approccio graduale sia possibile contribuire a ridurre il calo nel finale di gara.

    Ma prima continuiamo a vedere quali sono gli ingredienti per un integratore idrosalino ideale.

    Quali carboidrati scegliere?

    Questo aspetto rappresenta sicuramente una delle variabili più ricercate in ambito sperimentale, soprattutto da parte delle case produttrici di integratori. La formulazione ideale (quando si va oltre le 2h30’-3h di sforzo) prevede l’utilizzo di carboidrati che facilitino lo svuotamento gastrico e permettano un rapido assorbimenti intestinale; per soddisfare queste necessità, una concentrazione inferiore al 6-8% (cioè 60-80 grammi di carboidrati per litro) è l’ideale.

    Qualsiasi tipo di integrazione è comunque da testare prima in allenamento, per comprenderne la tolleranza.

    Gli zuccheri (carboidrati) più utilizzati sono miscele di fruttosio + polimeri del glucosio (maltodestrine, destrine cicliche, ecc.); le maltodestrine (che sono formate da catene di glucosio) vengono rilasciate più velocemente dallo stomaco rispetto al glucosio libero, e di conseguenza entrano in circolo più velocemente. Il fruttosio invece utilizza meccanismi di assorbimento diversi dal glucosio e, non entrando “in competizione”, permette l’ingresso nel sangue di più carboidrati contemporaneamente.

    In base alle ricerche pubblicate fino ad ora (Rowlands et al 2015, Podlogar et al 2022) è possibile affermare come il rapporto ideale tra porzione di fruttosio e maltodestrine sia compreso tra 0.5/1 e 1/1 (fruttosio/maltodestrine). Per fare un esempio, se integro con 60g di carboidrati, posso usare una formula “20g fruttosio/40g maltodestrine”, “30g fruttosio /30g maltodestrine” o una via di mezzo.

    Di norma, viene consigliata la prima formulazione (20 fruttosio, 40 maltodestrine) per chi è a rischio di problematiche intestinali.

    Ad esempio, la nuova linea Enervit C2:1pro (utilizzata anche da team professionistici di ciclismo) utilizza proprio un rapporto in cui le maltodestrine sono il doppio del fruttosio. Nel nostro post dedicato agli integratori a base di carboidrati, potete trovare i prodotti (gel, polveri, barrette, ecc.) più adeguati alle varie necessità.

    Per ridurre ulteriormente il rischio di problematiche intestinali, ottime alternative alle maltodestrine sono l’hydorgel e le ciclodestrine altamente ramificate.

    La caffeina ha veramente azione ergogenica?

    La caffeina è uno dei pochissimi integratori riconosciuti dal CIO come in grado di poter offrire guadagni marginali della performance, in particolar modo negli sport di endurance. Attualmente (nel 2023) non è considerata doping, quindi (seguendo attentamente le avvertenze) è possibile consumarla prima della gara o durante.

    Ma attenzione, è necessario prima sapere i meccanismi d’azione di questa sostanza per capire chi può trarne beneficio, in che modo, e quali sono le controindicazioni all’assunzione; è quello che vedremo in questo capitolo.

    Malgrado i meccanismi d’azione della caffeina siano diversi, attualmente è possibile affermare come quello principale sia quello di ridurre la percezione della fatica e del dolore durante lo sforzo (Burke 2021). È quindi evidente come gli effetti possano essere minori quanto più è elevata la motivazione del soggetto; attenzione, l’abitudine all’utilizzo ne riduce l’effetto. Infatti, la caffeina è presente in diverse bevande (caffè, cola, energy drink, ecc.), oltre che in alcuni integratori.

    Le risposte (benefici e gli effetti avversi) differiscono molto tra soggetto e soggetto, e non solo in base all’abitudine; per questo motivo è importante comprenderne i risultati su ognuno di noi, i dosaggi ottimali per avere effetti ergogenici e la presenza di questa nelle bevande che si consumano giornalmente.

    La dose ritenuta efficace è compresa tra 3-6 mg/Kg di peso corporeo, da assumere (o distribuire) preferibilmente 60’ prima dello sforzo, o anche durante. Oltre questa quantità si rischia che gli effetti avversi siano maggiori dei benefici; questo è il motivo per il quale è da considerare anche la caffeina consumata durante tutto il giorno, e non solo quella prima-durante lo sforzo; a questo link trovate il contenuto di caffeina nelle bevande più comuni.

    Quali sono le bevande che contengono caffeina

    In una revisione dell’International society of sports nutrition (Guest et al 2021) emerge come in media possa portare un beneficio del 2.3% sulla performance; ma attenzione, questo dato considera studi effettuati su differenti discipline, distanze ed atleti di livello diverso; per la corsa, viene indicato un miglioramento medio dell’1.1% (Wang et al 2023).

    È comunque da far notare che singoli studi hanno trovato benefici leggermente migliori, ma altri anche peggioramenti della prestazione; questo testimonia come sia necessario comprendere la risposta individuale a questo tipo di integrazione prima di utilizzarlo in competizione.

    Come accennato sopra, è presumibile che gli effetti siano maggiori per quei soggetti non abituati a consumare caffeina; per “effetti” si intendono sia i potenziali benefici che gli effetti avversi. Per i consumatori abituali viene consigliato di astenersi dalla caffeina per 4-6 giorni prima della competizione per ridurre questo fenomeno di assuefazione.

    Ma veniamo ora alle avvertenze, che rappresentano l’altra faccia della medaglia; la prima cosa da fare, è leggere sempre le etichette del prodotto che si consuma. Tendenzialmente è sconsigliata ad alcune categorie di persone; per un approfondimento è possibile leggere la posizione dell’EFSA sull’uso della caffeina.

    Ricordo che la caffeina ha anche effetti diuretici, quindi è da prestare attenzione anche al clima ed alla reidratazione.

    Per gli atleti che non hanno controindicazioni e vogliono ridurre la probabilità di effetti collaterali, viene consigliato di integrare con la dose minima (3 mg/Kg) (Gomes de Sousa et al 2022).

    Ma in che forma è più utile assumere caffeina prima o durante la gara?

    Oggi i gel ed integratori a base di carboidrati da assumere in competizione sono disponibili nella versione con e senza caffeina. Se prima della gara si consuma il classico espresso, è da considerare che contiene circa 80 mg di caffeina.

    A cosa serve la caffeina nello sport

    Sono presenti anche formulazioni in compresse o caramelle; per questo tipo di prodotti è da fare particolare attenzione al fatto di utilizzare integratori di marche estremamente affidabili. Infatti, esistono pubblicazioni anche recenti (Duiven et al 2021, Kozhuharov et al 2022) che hanno individuato all’interno di integratori sostanze proibite non dichiarate che possono dare origine alla positività in un test antidoping e/o dosaggi eccessivi di caffeina (Helle et al 2019). Nel nostro post dedicato all’argomento trovate come scegliere la marca di integratori.

    Temperatura ed osmolarità dei liquidi

    In ambienti caldi è importante che l’acqua sia fresca (mai comunque inferiore ai 4°C), soprattutto per placare la sete. È comunque sconsigliabile bere troppo acqua alla volta per evitare problemi gastrointestinali. L’osmolarità invece dipende da quello che c’è sciolto nei liquidi che vanno nell’intestino; più sostanze sono disciolte e maggiore è l’osmolarità. Visto che l’osmolarità plasmatica è di circa 280-300 mOsm/L, è importante che nell’intestino arrivino i fluidi con un’osmolarità inferiore, altrimenti i liquidi verrebbero assorbiti troppo lentamente. Se l’acqua è la bevanda ipotonica per eccellenza (cioè con osmolarità più bassa), generalmente tutte le altre formulazioni a base di carboidrati/Sali minerali da assumere in gara hanno un’osmolarità bassa (basta controllare sull’etichetta che ci sia scritto “ipotoniche”). Inoltre, anche se i gel da assumere in gara sono particolarmente concentrati, una volta ingeriti insieme a dell’acqua, nell’intestino assumono probabilmente una connotazione ipotonica (cioè a bassa osmolarità), cioè ideale per l’assorbimento.

    Altre sostanze presenti

    Molti prodotti finalizzati all’integrazione energetica, hanno al loro interno anche le Vitamine del gruppo B. In ogni modo (come evidenziato anche dall’ACSM) non esistono evidenze scientifiche a supporto della necessità di utilizzare questo tipo di ingredienti; è invece molto importante seguire una dieta adeguata e completa.

    Allo stesso modo, altri ingredienti come elementi ad azione antiossidanti (vitamine, Coenzima Q-10, selenio, ecc.), erbe e ginseng, non apportano nessun beneficio, ma (nelle dosi inserite) neanche effetti deleteri.

    Altre sostanze solitamente inserite in questi prodotti sono i correttori d’acidità come l’acido citrico; quest’ultimo, oltre a garantire la sicurezza alimentare del prodotti (acidificando la sostanza ed impedendo la formazioni di batteri), funziona anche da addensante (soprattutto per le formulazioni in gel).

    Ulteriori additivi che servono per dare gusto ai prodotti sono gli emulsionanti e gli aromi naturali; ricordiamo che questi ultimi elementi sono molto importanti, perché il sapore (possibilmente gradevole) di una bevanda, aiuta a berne una quantità sicuramente più adeguata. Nei gel poi vengono anche aggiunti agenti gelificanti (come la Gomma di Cellulosa) per dare consistenza al prodotto.

    Altri ingredienti come i coloranti ed edulcoranti (dolcificanti) sono meno necessari e peggiorano la qualità del prodotto.

    integratori resistenza corsa

    Ma le borracce sono tutte uguali?

    La risposta è NO; spesso siamo portati a scegliere le borracce da utilizzare in gara in base alla comodità di utilizzo.

    Questo è corretto, ma si tendono a trascurare le caratteristiche dei materiali e la loro manutenzione (pulizia); infatti, alcuni materiali possono rilasciare interferenti endocrini in base alla loro costituzione, usura e tipologia di lavaggio.

    Gli interferenti endocrini sono sostanze che (con le dovute semplificazioni) imitano o bloccano gli ormoni del corpo, causando possibili danni alla salute. La normativa europea di regolamentazione di questi materiali offre alcune certezze, ma necessita di ulteriori sviluppi per una migliore protezione della salute umana e dell’ambiente.

    Di conseguenza, sono necessari alcuni semplici accorgimenti per la scelta e la manutenzione di questi accessori; potete leggerli nel nostro post dedicato alle borracce per runner.

    Quali sono i migliori prodotti?

    Il primo aspetto fondamentale è quello di controllare sull’etichetta che gli ingredienti siano conformi alle nostre esigenze specifiche. Altro parametro importante è il rapporto qualità/prezzo; nel post dedicato alla qualità degli integratori, abbiamo visto quali sono i parametri che definiscono questo rapporto.

    Per questo motivo consigliamo i prodotti della Myprotein, ma sul mercato esistono anche altri ottimi prodotti come la linea C2:1 pro dell’Enervit. Ultimo fattore da considerare, ma non per questo meno importante, è il gusto di una bevanda; come abbiamo detto sopra, più questo è gradevole e più sarà facile berne a sufficienza. Per saperne di più leggi il nostro post dedicato ai migliori integratori a base di carboidrati.

    Le domande più frequenti

    In questo capitolo riportiamo i dubbi e i quesiti che possono insorgere nell’affrontare, all’atto pratico, questo tipo di integrazione.

    È POSSIBILE ARRIVARE A 120 g/h DI CARBOIDRATI?  COMPORTA REALI BENEFICI? Questa domanda riguarda ovviamente discipline e sforzi che superano le 2h30’-3h; si parla quindi di ciclismo, maratona, trail running, ecc. Il gruppo di ricerca di  Aitor Viribay ha prodotto i primi studi sull’argomento; in un’intervista ha dichiarato come a livello professionistico, se adeguatamente allenati, gli atleti delle maggiori corse mondiali (Giro de Italia, Tour de France, Hawaii Ironman, Berlin Marathon) utilizzano già strategie simili. Ma integrare con quantità prossime a 120 g/h è realmente efficace? Lo stesso gruppo di ricerca ha effettuato 2 pubblicazioni (Viribai et al 2020, Urdampilleta et al 2020) in cui è stata utilizzata questa strategia, confrontandola con dosaggi orai minori (60 e 90 g/h); il contesto era quello di una mountain marathon. Gli atleti che integrarono in gara con la quota maggiore di carboidrati (120 g/h) percepirono meno fatica durante la gara, e recuperarono più velocemente lo sforzo dopo 24h. È comunque da precisare che questi runner furono “allenati” a tollerare questa quota di carboidrati con protocolli in allenamento, che prevedevano il consumo superiore di 90 g/h almeno 2 volte a settimana nelle 4 settimane che precedevano la gara. Infatti, il rischio di questa pratica è l’insorgenza di disturbi gastrointestinali durante lo sforzo; a mio parere, non è sufficiente abituarsi in allenamento, ma anche avere un microbiota intestinale resiliente; potete approfondire leggendo il capitolo Train the gut. Le considerazioni fatte sopra valgono ovviamente per atleti professionisti seguiti da staff. Per chi fa sport a livello amatoriale, credo sia importante essere a conoscenza di quanti carboidrati si consumano abitualmente in gara; probabilmente molti, anche in gare lunghe (oltre le 2h30’-3h), arrivano a 30-60 g/h, sotto anche a quello che è il “vecchio” limite di 90 g/h. Una volta acquisita questa consapevolezza, è possibile valutare se incrementare gradualmente la quantità da assumere in competizione abituandosi prima in allenamento grazie alle indicazioni date sopra; è probabile che ciò comporti dei benefici in termini prestativi se si riescono ad evitare gli effetti avversi.

    È NECESSARIO INTRODURRE PROTEINE O AMINOACIDI IN GARA? NO! In gare particolarmente lunghe, è stato visto che la quota energetica per sostenere lo sforzo coperta dagli aminoacidi (ottenuti per “disgregazione” delle proteine muscolari) può raggiungere il 15%. Questo aveva portato diverse case produttrici di integratori ad introdurre piccole quote di proteine o aminoacidi all’interno dei gel. L’errore di fondo di questo concetto (evidenziato anche dalla review di van Loon 2014), sta nel fatto che il corpo utilizza gli aminoacidi a scopo energetico quando non ha carboidrati a sufficienza (glicogeno e glucosio); per questo motivo, è molto più importante fornire quote adeguate di carboidrati (seguendo le normali linee guida), piuttosto che usare gli aminoacidi. Non solo, sostanze azotate come proteine ed aminoacidi, per essere utilizzate a scopo energetico, devono subire un processo di deaminazione che comporta successivamente un accumulo di ioni ammonio, che non fa altro che incrementare la condizione di fatica.

    E’ MEGLIO USARE I GEL O LA BORRACCIA? Ovviamente dipende molto dall’aspetto logistico. Ad esempio un maratoneta (sia in gara che in allenamento) troverà sicuramente più comodo rifornire la parte relativa ai carboidrati e ai sali portandosi dietro i gel che sono meno ingombranti. Per quanto riguarda l’acqua, potrà bere tranquillamente quella dei rifornimenti (ricordiamo che un bicchiere sono circa 200 ml) o delle fontane (in allenamento). Condizione diversa è se ci si trova ad allenarsi o gareggiare in condizioni di carenza di rifornimenti (come nei trail in semi-autosufficienza). Per queste condizioni, esistono portaborracce o camelbak che permettono di portarsi dietro rifornimenti idrici e glucidici in maniera comoda e poco ingombrante. Per chi va in bicicletta invece è più facile usare la borraccia, prestando attenzione al fatto che se si ha necessità di integrare in momenti specifici (finale di gara) con carboidrati, i gel sono estremamente più comodi.

    SONO DA EVITARE GLI ALIMENTI SOLIDI IN GARA? In gare di corsa sono più che mai sconsigliati, in quanto richiedono più tempo per essere digeriti e possono appesantire l’organismo se è impegnato in sforzi di natura massimale. In ogni modo, in gare particolarmente lunghe (come Ultramaratone o Ultratrail) con diversi tratti in cui si cammina, alcuni atleti preferiscono adottare una strategia di integrazione che sfrutta anche in piccola parte alimenti solidi come barrette, frutta essiccata, biscotti secchi, ecc. L’importante è l’abitudine ad utilizzare questo tipo di approccio e che questi siano presi in piccole porzioni alla volta, che si utilizzano alimenti con poche fibre, quantità ridotte di proteine e grassi e una quota adeguata di carboidrati. Stesso discorso è possibile fare per i ciclisti che, in gare lunghe, ingeriscono nella prima parte anche cibi solidi accompagnati da abbondante acqua come panini alla marmellata o con poco prosciutto sgrassato. Quello che importa è che l’ingestione di questi alimenti venga fatto in momenti in cui l’intensità di gara è bassa (in questo modo è più facile digerirli) e la parte intensa/cruciale sia sufficientemente lontana da permettere di digerire quello che si è mangiato!

    I SALI MINERALI POSSONO AIUTARE A PREVENIRE I CRAMPI? Com’è possibile leggere nel nostro post dedicato ai crampi, in linea di massima, la perdita di Sali minerali con il sudore non è da considerare una delle cause dirette di questo fenomeno. Infatti, essendo particolarmente legato alla situazione di fatica (ed avendo una profonda incidenza individuale), è più ragionevole ipotizzare che questo sia un fenomeno multifattoriale, cioè legato al fatto di svolgere uno sforzo al quale non si è adeguatamente allenati o per il quale non si ha una sufficiente resistenza muscolare locale. Un corretto allenamento e la decisione di prendere parte solo a gare alle quali si è adeguatamente preparati, è attualmente la miglior prevenzione contro i crampi! L’incidenza della perdita di Sali può essere dovuto solamente al legame che può avere questa con la fatica e la disidratazione; in questi casi, sarebbe il sodio, l’elemento principale da tenere in considerazione in un’ottica di adeguata integrazione, secondo le linee guida dei paragrafi sopra.

    COME RICONOSCERE SE SONO DISIDRATATO O MENO? In qualsiasi momento del giorno è importante saper valutare il proprio stato di idratazione, soprattutto in ambienti caldi; questo non vale solamente per l’allenamento e la gara, ma per tutta la giornata. Infatti, un adeguato stato di idratazione permette di ottimizzare il recupero, oltre ad essere correlato con l’umore. Il protocollo WUT è attualmente quello più utile (anche se approssimativo) come valutazione “fai da te”. Potete approfondirlo nel nostro post dedicato alla reidratazione, nel quale troverete anche la linee guida per una corretta reidratazione dopo sforzo.

    Conclusioni ed applicazioni pratiche

    Train the gut” (“allena l’intestino”) è uno degli slogan preferiti dai tecnici Americani per indicare come sia necessario abituare l’organismo a beneficiare dei rifornimenti riducendo al minimo il rischio di effetti avversi (disturbi gastrointestinali). Infatti, chi si appresta a preparare gare lunghe (soprattutto di corsa), è importante che negli allenamenti di maggiore durata, abitui l’organismo ai rifornimenti che poi andrà a fare in gara; questo permetterà di sperimentare le migliori strategie in funzione della gara. Potete trovare le indicazioni dettagliate nella seconda parte del nostro articolo dedicato a Microbiota e performance atletica.

    Leggi anche la nostra guida sui migliori prodotti a base di carboidrati da assumere in gara e l’articolo dedicato all’integrazione in maratona.

    Concludo con un ultimo importante concetto: una corretta strategia di integrazione in gara, non potrà mai essere efficace se l’atleta non è adeguatamente allenato (e in alcuni casi acclimatato) per la gara a cui prende parte: tradotto “è impensabile illudersi di concludere al meglio una gara per la quale non si è sufficientemente allenati, solo ingerendo i carboidrati in gara”. Stesso discorso vale per la distribuzione dello sforzo!

    Spero, con questo lungo post, di aver fatto chiarezza su un argomento particolarmente importante per chi pratica sport di endurance. Se ti è piaciuto, condividilo sul social network che preferisci (basta usare i pulsanti qui sotto); a noi farà molto piacere e servirà per comprendere quali sono gli argomenti più seguiti del nostro blog.

    Andando alla pagina principale dedicata alla nutrizione, potrai trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  3. La creatina e il metabolismo anaerobico alattacido

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    Di Creatina se ne cominciò parlare in maniera diffusa dagli anni 90’, durante il processo all’accusa di doping che ha vista coinvolta la Juventus. Da allora, lo studio e l’approfondimento di questa molecola l’hanno fatta diventare uno degli integratori più venduti sul mercato del bodybuilding e non solo. Ma come funziona questa molecola? Come si inserisce nel contesto del metabolismo anaerobico ed aerobico? In questo post cercheremo di darvi tutte queste risposte, in maniera chiara e (speriamo) comprensibile a tutti.

    COME FUNZIONANO I METABOLISMI


    Nei precedenti post, abbiamo visto come la molecola che fornisce energia diretta al muscolo per la contrazione muscolare è l’ATP (adenosina trifosfato); com’è possibile vedere dall’immagine sotto, questa, per fornire energia alla contrazione muscolare, si scinde in ADP + P. Senza scendere troppo nel dettaglio, l’energia viene fornita staccando uno dei 3 gruppi fosfato dall’ATP, originando ADP + P (P è il fosfato che si è staccato). Affinchè l’ATP sia nuovamente riutilizzabile a scopo energetico, è necessario ricreare il legame tra l’ADP rimasti con il P (fosfato) che si è staccato; questa energia è fornita dai metabolismi.

    Visto che il muscolo deve essere in grado di supportare diversi tipi di sforzi (da brevi ed intensi, a prolungati e di bassa intensità) per supplire a questa “domanda”, i metabolismi che permettono la risintesi (cioè il rinnovo) dell’ATP devono essere diversi e con caratteristiche diverse. Nell’immagine sotto è possibile vedere in maniera estremamente semplificata, come i 3 metabolismi muscolari riescano (per durata e potenza prodotta) a supplire la produzione di potenza muscolare tipica della linea rossa.

    Dopo aver approfondito le caratteristiche del metabolismo aerobico e anaerobico lattacido, cioè quelli legati al metabolismo del glicogeno, oggi andremo ad approfondire quello anaerobico alattacido e il suo legame con la creatina. Ricordiamo che i metabolismi anaerobici non utilizzano l’ossigeno, quindi la loro attivazione, determina un “debito d’ossigeno” (tipico di chi esegue sforzi particolarmente intensi ed esplosivi) che è “ripagato” dal metabolismo aerobico.

    LA FOSFOCREATINA E LA RISINTESI DI ATP

    Tra i 3 metabolismi, quello che andiamo ad analizzare oggi, è sicuramente quello che permette di produrre un’elevata potenza, ma per tempi estremamente brevi. Per questo motivo è sempre il primo ad essere attivato, e ciò è possibile perché è formato solamente da 2 reazioni (contro le 10-11 di quello lattacido e le innumerevoli di quello aerobico). Com’è possibile vedere dall’immagine sotto, il suo funzionamento (lato sinistro) è molto semplice; per rigenerare l’ATP, la fosfocreatina (cioè la creatina a cui è abbinato un fosfato), si lega con l’ADP, cedendole un fosfato.

    Di conseguenza, l’ADP si trasforma in ATP (ed è pronta a fornire energia alla cellula), mentre la fosfocreatina (creatina + fosfato) in creatina. Fondamentalmente, i trasferimenti di energia, avvengono grazie al formazione e alla rottura del legame con il gruppo fosforico (fosfato); più precisamente, il legame con il gruppo fosforico rende la molecola ad un livello energetico superiore. Gli altri metabolismi, provvederanno poi a rigenerare la fosfocreatina (attaccando un fosfato alla creatina rimasta). Tutto questo fa capire come la ricarica dell’ATP sia praticamente istantanea, perché è una molecola essenziale per la vita; infatti, meccanismi protettivi cellulari (deputati all’insorgenza della fatica), oltre all’efficienza dei metabolismi, impediscano che questa non scenda mai più del 30%.

    Ma quel’è il legame tra questo metabolismo e gli altri? Come abbiamo detto sopra, gli altri metabolismi funzionano con un numero di reazioni superiori, ma in grado di risintetizzare la CP quando entrano in azione. Non solo, l’abbassamento della CP (indice che si sta attivando il metabolismo alattacido), è un potente stimolo per attivare gli altri metabolismi, e di conseguenza rigenerare la fosfocreatina e l’ATP.

    Immagine tratta dal sito http://prospettivafitness.it/

    Di conseguenza, in sport a caratteristiche miste come il calcio, la produzione di ATP nelle fasi intense di gioco (scatti, cambi di direzioni, salti, ecc.) sarà data primariamente dal metabolismo anaerobico alattacido e in parte da quello anaerobio lattacido; nelle fasi di recupero (o quelle poco intense) invece, il metabolismo aerobico permetterà di “pagare il debito” di ossigeno creato da questi metabolismi, ripristinando la fosfocreatina (CP) e smaltendo i metaboliti prodotti del metabolismo lattacido. In sport di durata invece, l’ATP sarà ripristinata primariamente dal metabolismo aerobico.

    LA CREATINA

    Nell’immagine sotto è possibile vedere come, biochimicamente, creatina e fosfocreatina si differenziano per un gruppo fosfato (P). Ma come si forma la creatina nel nostro organismo? Partiamo dal presupposto che, in tutto l’organismo umano, sono presenti in media 120 g di creatina, con un turnover di 2 grammi al giorno.

    metabolismo alattacido creatinaQuesto significa, che giornalmente l’organismo perde 2 grammi di creatina, ma riesce a ripristinarla (sintesi endogena) con quella derivante dalla dieta o sintetizzandola da 3 aminoacidi (glicina, arginina e metionina). Allora perché ricorrere all’integrazione se l’organismo riesce a rispristinarla da solo?

    La ricerca dell’integrazione con creatina in ambito sportivo, nasce dal fatto che fu visto che una corretta integrazione, è in grado di incrementarne la quantità corporea del 6-20%, in circa il 70% dei soggetti. Si è quindi ipotizzato che questo potesse migliorare la perfomance in sport in cui il metabolismo anaerobico alattacido svolge un ruolo fondamentale, cioè tutte quelle discipline caratterizzate da sforzi brevi ed intensi. Ovviamente, non sempre le considerazioni teoriche nell’ambito dell’integrazione trovano riscontro pratico, ma per quanto riguarda la creatina possiamo dire che effettivamente l’integrazione con questa sostanza può, in alcuni casi, avere effetto ergogenico. Non perdetevi l’approfondimento sull’integrazione con creatina.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  4. Alimentazione: le basi di una dieta sana e corretta

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    (Articolo aggiornato al 19/03/2023)

    Dieta Dukan, Dieta a Zona, Dieta Mediterranea, Dieta Paleo e tante altre; quel’ è il giusto regime dietetico da seguire? Come districarsi tra i vari modelli alimentari che vengono continuamente proposti? Ma soprattutto, a quali elementi si deve dare precedenza tra tutte le indicazioni che si sentono (calorie, carboidrati, indice glicemico, ecc)? Sono tutte domande a cui cercheremo di dare risposta, basandoci (come abbiamo fatto per gli Stili di Vita e l’attività fisica) sulle linee guida delle associazioni governative e sullo stato attuale della ricerca scientifica in materia. Mettetevi comodi, perché questo post non è corto (potete leggere comodamente un paragrafo alla volta), ma alla fine spero che l’argomento possa risultare molto più chiaro! L’approccio sarà della tipologia Top-Down, cioè partiremo dagli elementi della dieta che maggiormente influenzano lo stato di salute, per poi definire i dettagli.piramide-alimentare

    Forse tutti conosceranno il concetto di piramide alimentare (sopra potete vedere l’ultima versione); rappresenta un ordine gerarchico/quantitativo degli aspetti più importanti dell’alimentazione e man mano che si procedere dalla base verso la punta. I concetti espressi nell’immagine sono corretti, ma a mio parere è più semplice e chiaro se si ragiona per obiettivi. Sotto presenteremo 2 step (approccio Top/Down), che siamo sicuri vi aiuteranno a fare più ordine*.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog sono esclusivamente a scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    STEP N° 1: Sport e Composizione corporea

    Per capire il primo step, chiariamo quali sono le variabili dipendenti (cioè i nostri obiettivi, come il benessere) e quali quelle indipendenti (cioè quelle rappresentate dalle nostre azioni, cioè l’attività sportiva e l’introito calorico con l’alimentazione).

    • L’attività fisica è una forte e indipendente variabile in grado di migliorare e prolungare l’aspettativa di vita. A questo link, potete leggere il post dedicato.
    • La Composizione corporea (identificabile come l’IMC) è una variabile dipendente dall’attività fisica e dall’introito calorico. Sotto è possibile vedere l’andamento dell’aspettativa di vita in base all’IMC
    IMC e mortalità
    Indice di massa corporea e mortalità: secondo Lancet 2009 373: 1083-96

    Una volta compreso quali siano le variabili indipendenti (cioè quelle su cui agiamo noi) e quelle dipendenti, immagino sia tutto più chiaro e visibile nell’immagine sotto.

    BENESSERE

    Ricordiamo che la composizione corporea (che si misura con l’IMC) dipende dal bilancio energetico giornaliero, che si ottiene modulato le calorie introdotte con il cibo e la spesa energetica giornaliera (attività fisica e lavorativa). Sotto vedere un’immagine (presa dal sito http://www.nutrizioneesalute.it/) molto chiara. Da questo si può capire che se si è in sovrappeso (IMC superiore a 26) è possibile creare un deficit calorico per ridurre l’IMC riducendo l’introito o/e incrementando l’attività sportiva.

    bilancio giornaliero

    Com’è possibile comprendere, l’attività fisica nei confronti della salute ha un duplice effetto, cioè quello di modulare positivamente il peso corporeo (tramite il dispendio energetico), ma anche quello di fornire un indipendente effetto positivo nei confronti della salute. Non a caso, già nel precedete post, era stato visto come il peggioramento dell’aspettativa di vita dovuto all’inattività, sia più grave di un grado di obesità moderata!

    Quindi il curare in maniera maniacale la propria dieta (escludendo a priori troppi cibi o seguendo diete con peculiarità che non considerano primariamente gli aspetti di cui sopra), senza dare precedenza all’attività fisica e alla composizione corporea, rappresenta una strategia poco efficace in termici di miglioramento dello stile di vita.

    STEP N° 2: varietà e ripartizione macronutrienti

    Il secondo step del nostro approccio prevede variabili che sono in ogni modo rilevanti, ma vengono dopo a quelle di sopra; per stare bene sono comunque di importanza notevole!

    Spesso si sente dire che la dieta deve essere “equilibrata”; equilibrio vuol dire che bisogna mangiare di tutto, senza demonizzare o esaltare eccessivamente nessun alimento. Il rischio infatti, è quello di seguire un regime alimentare troppo ristretto, con eccesso di alcuni alimenti/nutrienti e mancanza di altri.

    A tal proposto, è del 2019 la pubblicazione dei risultati del “Global Burden of Disease Study 2017”, un’analisi sistematica di quelli che sono i fattori di rischio della dieta che hanno maggiore incidenza sul rischio di morte e malattia. L’unicità di questo studio risiede nella raccolta di numerose ricerche provenienti da tutto il mondo, dal 1990 al 2017. Un riassunto dei risultati potete vederli nell’immagine sotto.

    dieta e salute

    Malgrado lo studio raccolga ricerche di natura “osservazionali” e non “studi clinici”, fornisce indicazioni interessanti (vista la moltitudine di dati presenti) sull’alimentazione, sostanzialmente confermando alcuni aspetti già conosciuti. È comunque importante interpretare correttamente i dati.

    Ad esempio, è evidente come il consumo di sale possa essere un fattore di attenzione per l’ipertensione arteriosa; quindi, soggetti che soffrono di ipertensione o sedentari (o chi fa poco sport) devono stare particolarmente attenti al consumo di questo. Il monitoraggio della pressione arteriosa (rivolgendosi al proprio medico nel caso in cui vada oltre una certa soglia), la pratica sportiva ed una corretta alimentazione sono le variabili che possono aiutare a mantenere questo fattore di rischio sotto controllo.

    Altra variabile interessante che emerge dallo studio è l’importanza del consumo di frutta e verdura; in diversi nostri articoli abbiamo rimarcato come il consumo di questi alimenti (5 porzioni di frutta e verdura di stagione al giorno) possa essere la condizione ideale per garantire un apporto variato di micronutrienti.

    Ma la variabile che è in cima alla lista è il consumo di cereali integrali (anche se ciò non significa che sia la più importante); al pari di frutta e verdura, questi forniscono un ampio spettro di micronutrienti rispetto alle controparti raffinate, contribuendo ad arricchire la dieta di tutte quelle sostanze fondamentali per il funzionamento dell’organismo. Questo concetto è ancor più evidente se si considera il legame tra salute e microbiota.

    Ultimo aspetto che emerge dall’immagine sopra è l’importanza delle fonti alimentari di omega 3 come noci, semi e pesce; nel nostro articolo sugli omega 3 trovate un ampio approfondimento sull’argomento.

    Sempre dal “Global Burden of Disease Study 2017” emerge come il consumo di carni rosse (anche lavorate) e grassi trans non siano correlate ad un  fattore di rischio particolarmente evidente; attenzione, ciò non significa che non siano alimenti da limitare, ma in un’ottica di un regime vario ed equilibrato, nessun alimento è da demonizzare (ad esclusione di parere medino), a patto che si evitino gli eccessi.

    La varietà con la quale ci si può alimentare è una ricchezza e fonte di benessere allo stesso tempo; questo vale in particolar modo se si prediligono alimenti vegetali (come ad esempio le 5 porzioni giornaliere di frutta/verdura di stagione) e si evita di mangiare sempre le stesse cose.

    Per i runner, consiglio di leggere anche il nostro articolo su alimentazione, respirazione e performance.

    Un’ultima indicazione, ma che attualmente è quanto mai importante, è quello di attuare un consumo sostenibile delle fonti alimentari.

    RIPARTIZIONE MACRONUTRIENTI: rispetto del fabbisogno di Proteine, Carboidrati e Grassi

    In passato sono state di moda diete (vedi quella a Zona) in cui la ripartizione di questi elementi era a dir poco maniacale! I molteplici studi sull’argomento hanno invece (ovviamente) portato a stabilire che ognuno di questi macronutrienti deve essere presente in una “quota minima” nel fabbisogno calorico giornaliero, considerando che:

    • Le proteine forniscono circa 4 Kcal/grammo; il fabbisogno giornaliero dovrebbe attestarsi da 0.83 a 2g (a seconda del regime di attività fisica) di proteine per Kg di peso corporeo. Esse dovrebbero fornire almeno il 15% del fabbisogno calorico.
    • I carboidrati forniscono circa 4 Kcal/grammo; dovrebbero fornire almeno il 45% del fabbisogno calorico.
    • I Grassi (o Lipidi) forniscono circa 9 Kcal/grammo; dovrebbero fornire almeno il 25% del fabbisogno calorico.

    Facciamo ora un esempio: un adulto di 40 anni, maschio, di 70 Kg di peso, che pratica 3 ore di attività fisica a settimana, potrebbe avere un fabbisogno di 3400 Kcal, e di conseguenza avere un fabbisogno minimo di: 127 g di Proteine, 382 g di Carboidrati e 94 g di Carboidrati. La stima del fabbisogno calorico di ogni individuo si può ottenere da diversi metodi di calcoli (a questo link uno molto semplice), ma può essere soggetto a differenze tra individuo ed individuo. Non ci dilunghiamo ulteriormente su questo aspetto; chi volesse approfondire l’argomento consigliamo il primo dei 3 libri di Roberto Albanesi sull’alimentazione. Vediamo ora i macronutrienti nel dettaglio.

    PROTEINE

    proteineTra le varie funzioni, ricordiamo quella strutturale di diverse molecole e apparati del nostro organismo (muscoli compresi); ne deriva che un introito insufficiente rende difficoltoso il recupero tra gli allenamenti per chi pratica sport oltre ad un certo livello. Il livello minimo consigliato è importante per tutti, anche per chi effettua diete dimagranti, visto che un apporto proteico inadeguato in questi regimi, tende a far calare particolarmente la massa magra. Nel nostro post dedicato al fabbisogno proteico, è possibile trovare nel dettaglio tutti i dettagli sull’argomento.

    Fonti da preferire: carne bianca, pesce, uova, latticini e fonti vegetali (cereali, legumi e frutta secca). Attenzione: mentre le proteine di origine animale (carne, pesce, latticini e uova) hanno un elevato valore biologico (cioè hanno un rapporto dose/effetto maggiore), quelle di origine vegetale devono essere abbinate (mangiate singolarmente hanno scarso effetto) tra di loro affinchè abbiano un buon rapporto dose/effetto. A fianco, potete vedere una tabella indicativa del contenuto proteico per 100g di alimento. Chi volesse invece avere dati decisamente più completi, li può trovare a questo link.

    Le carni rosse sono cancerogene?

    È una domanda che sorge sicuramente spontaneo porsi, alla luce di quanto riportato dagli organi di informazione negli ultimi anni. Attualmente è difficile comprendere quali siano i reali meccanismi fisiologici/biochimici (e la potenza degli effetti) di questo tipo di associazione (carni rosse-canco); in ogni modo, è universalmente condiviso che il consumo di carne rosse (in particolar modo quelle lavorate, come salumi, insaccati e carne in scatola) debba essere limitato, per prevenire l’incremento del rischio di tumori al colon-retto. Tra i consigli delle varie istituzioni, possiamo individuare tra i 350-500 grammi alla settimana (preferenza carni “non lavorate”) come il limite massimo di consumo di carni rosse, a patto di seguire uno stile di vita corretto (cosa assolutamente da non sottovalutare). Nel nostro post dedicato al dibattito carnivori-vegani, potete trovare un ulteriore approfondimento.

    CARBOIDRATI

    Il consumo di questi macronutrienti è forse quello che più di altri dipende dall’attività fisica praticata; sforzi di intensità medio-alta, impongono un consumo di carboidrati da parte del nostro organismo dipendente dalla durata ed intensità dell’attività stessa. Generalizzando, si può identificare in 4-8 grammi per Kg di peso corporeo siano la quota ideale per chi pratica regolarmente attività fisico-sportiva. Altri aspetti che possono influire sul fabbisogno, sono l’attività lavorativa, l’età, il sesso e le differenze interindividuali. Un eccesso, può portare ad accumulo di peso (adipe), mentre un introito insufficiente può dare origine ad una bassa disponibilità energetica (stanchezza, irritabilità, scarse performance, ecc.). Appartengono a questa famiglia gli zuccheri (usati per dolci, torte, ecc), i cerali (farina, biscotti, pasta, pane, ecc) e il fruttosio (zucchero contenuto nella frutta).

    Fonti da preferire: frutta, cereali, legumi, pasta/pane (meglio da fonti integrali) e dolci (biscotti/torte) senza grassi dannosi (vedi sotto).

    Sono sempre da preferire alimenti con farina integrale, rispetto alla farina bianca?

    Sicuramente i cibi integrali hanno una quantità superiore di fibra e di micronutrienti (minerali, vitamine, ecc.) rispetto alle farine raffinate; questo rende i cibi integrali più sazianti, completi e quindi da preferire. Ciò non deve portare a demonizzare la farina bianca, in quanto è da considerare la varietà di alimenti contenuta nella dieta giornaliera, e non il singolo alimento. In ogni modo, chi deve prestare particolare attenzione alla quantità totale di calorie ingerite, la sostituzione della farina bianca con quella integrale può portare ad una maggior effetto saziante dei cibi!

    piatto

    GRASSI (LIPIDI)

    Almeno il 25% dell’apporto calorico giornaliero dovrebbe essere fornito dai GRASSI. Svolgono diverse funzioni, tra le quali quella energetica nelle attività a bassa intensità. Un eccesso può portare ad accumulo di peso (adipe) con i conseguenti problemi di salute; un introito insufficiente (è una casistica particolarmente rara, perché solitamente si copre facilmanete il fabbisogno con la maggior parte dei modelli alimentari) è probabile possa creare dei problemi metabolici. Per quanto riguarda questi macronutrienti, è fondamentale il “tipo” di grassi/lipidi che si consuma, al fine di prevenire problemi cardiovascolari (a lungo termine) o anche semplici cali di rendimento nello sport praticato a causa di una cattiva alimentazione. Senza demonizzare eccessivamente alcuni tipi di cibi, elenchiamo sotto quali sono le fonti lipidiche da preferire, quali da consumare con attenzione e quali da limitare

    Fonti da preferire: pesce, frutta secca, olio extravergine d’oliva, carni magre, formaggi/latticini, legumi e creali.

    Fonti da consumare con moderazione, ma non demonizzare: burro, formaggi/carni “non magri”, alimenti (merende, biscotti, torte) contenenti olio di cocco, olii di girasole, strutto, olio di arachide e olio di oliva.

    Fonti da evitare: alimenti indicanti sull’etichetta “olio di palma”, “grassi vegetali”, “grassi idrogenati”, “margarina”, “grassi vegetali idrogenati”.

    Cosa sono gli acidi grassi Omega3?

    Sono una classe di acidi grassi, uno dei quali è “essenziale”, cioè da assumere con la dieta, in quanto il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo; è l’acido-alfa-linolenico, abbreviato anche con la sigla ALA. È presente in particolar modo nelle noci e nell’olio di semi di lino; molte linee guida raccomandano di consumare 3-4 noci al giorno o l’equivalente (in ALA) da olio di semi di lino. In questo modo viene soddisfatto il fabbisogno di questo acido grasso essenziale.

    Le vie metaboliche che trasformano questa molecola nelle componenti più bioattive, nel nostro corpo sono poco efficienti; hanno un tasso di conversione medio del 10-15%.

    Per questo motivo viene consigliato di consumare anche fonti di altri omega-3 come l’EPA (Acido eicosapentaenoico) e il DHA (Acido docosaesaenoico). Questi non sono essenziali, ma maggiormente attive a livello metabolico; sono presenti in particolar modo nelle fonti ittiche. Per questo motivo, le linee guida consigliano di consumare anche 2-3 porzioni di pesce a settimana per soddisfare in maniera completa la necessità di omega-3.

    Purtroppo, l’inquinamento dei mari e lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche obbliga il consumatore a prestare attenzione al pesce che si consuma, affinchè vengano rispettati i criteri di salubrità e sostenibilità. Potete approfondire l’argomento leggendo il nostro articolo dedicato a Omega 3, sport e sostenibilità; troveranno indicazioni utili anche chi segue una dieta vegana, e non riesce ad avere un apporto sufficiente di EPA e DHA dalla dieta.

    alimentazione sana

    ALTRI ELEMENTI

    • Idratazione: solitamente vengono consigliati circa 2 litri al giorno (l’acqua è presente anche nella frutta e nella verdura), ma per chi fa sport e in particolari periodi dell’anno, il fabbisogno può essere ben superiore: la regola fondamentale per un individuo sano dovrebbe essere quella di bere quando si ha sete, verificando che il colore delle proprie urine rimanga chiaro. Agli sportivi consiglio di leggere il nostro articolo sulla reidratazione. È comunque da ricordare che l’acqua extracellulare può essere associata ad infiammazione e sovraccarico di alcuni alimenti; un eccesso di cibi processati che contengono molti zuccheri e grassi saturi sono potenzialmente in grado di incrementare l’infiammazione (Araldi 2021). Per questo motivo, un’adeguata idratazione passa anche attraverso un apporto adeguato degli altri nutrienti. Per gli sportivi, rimando al nostro articolo riguardante l’idratazione e l’integrazione. Sempre per chi pratica sport, un adeguato apporto di acqua è importante per gli scambi idrici della fascia connettivale, connessi al recupero e alla funzionalità delle catene mio-fasciali (Albini 2018).
    • Masticazione e sazietà: si è sempre creduto che un’adeguata masticazione fosse fondamentale per indurre il giusto senso di sazietà; infatti, le neuroscienze (Proietto 2020) ci indicano come questa sia correlata alla consapevolezza di quello che si sta mangiando. Mentre ci sfamiamo, il nostro cervello ci manda dei “segnali” per farci capire se quanto stiamo mangiando è sufficiente; se ci distraiamo eccessivamente, o mangiamo troppo velocemente, probabilmente ingeriremo più del dovuto, oppure non ci nutriremo a sufficienza. Oggi in più sappiamo che una masticazione insufficiente è in grado di danneggiare l’ambiente intestinale influendo negativamente sulla salute del microbiota. Nel lungo termine può influenzare negativamente sia lo stato di salute che la performance atletica.
    • ALCOLL: le linee guida considerano come limite massimo giornaliero di alcoll, quello contenuto in 150 ml di vino per le donne e 300 ml per gli uomini; questi introiti (stesso discorso vale per altri tipi di alcolici) possono far permanere l’alcol nel sangue per diverse ore (anche 4-5), con conseguenti limitazioni per il recupero per chi fa sport. Quindi, quando possibile, è da limitare al massimo il consumo di alcol.
    • Sodio: negli Stati Uniti un soggetto su 3 soffre di ipertensione e il 90% della popolazione Americana ha la probabilità di sviluppare questa malattia nel corso della propria vita; l’ipertensione è a volte asintomatica (cioè non si percepisce), e di conseguenza è un rischio silente per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Per questo motivo, l’Associazione di Cardiologia Statunitense ha preso particolarmente sul serio questa problematica soprattutto per il fatto che i cibi che si consumano negli USA sono particolarmente ricchi di sodio e per il fatto che in generale fanno poca attività sportiva. Questi rischi sono concreti anche per noi in Italia, per quelle che sono le nostre abitudini? È ragionevole ipotizzare che se si segue uno stile di vita corretto (con un’adeguata attività fisica) e una dieta adeguata, per la maggior parte della popolazione, è difficile andare incontro a queste problematiche. Tenendo comunque in considerazione che il rischio incrementa con l’età, è sufficiente tenerla monitorata e rivolgersi al proprio medico appena si supera la quota 85/130; individuare precocemente determinate situazioni, permette di curarle nella maniera ottimale minimizzando i rischi per la propria salute.
    • Microbiota, salute e performance: l’approfondimento delle interazioni tra noi ed il nostro macrobiota (cioè l’insieme dei batteri, protozoi, funghi e virus che vivono in simbiosi con il nostro organismo) rappresenta sicuramente uno dei rami della biologia che in futuro potrà avere uno degli impatti più significativi sulla nostra salute e sul nostro benessere. Per approfondire ti invito a leggere il nostro post dedicato a Microbiota e salute e l’articolo Microbiota e performance atletica.

    ALTRE DOMANDE?

    iron2Spero, con questo post, di aver tolto molti dubbi ma, come accade a chi cerca di approfondire una materia, “quando si chiarisce un argomento, sorgono nuove domande, nate dalla curiosità e dalla voglia di approfondire”. Il prossimo post, lo dedicheremo alle risposte alle domande più comuni sull’argomento. Riportiamo sotto le domande alle quali potete trovare risposta a questo post:

    • Per chi è vegano, a quali aspetti dovrebbe prestare attenzione per rischiare di non avere lacune da un’alimentazione evidentemente limitata?
    • Malgrado alcune diete si discostino (in maniera maggiore o minore) dal modello alimentare ideale scientificamente riconosciuto (cioè quello spiegato sopra), come mai sono diventate così famose?
    • Gli integratori alimentari sono necessari per tutti? Quali integratori sono realmente utili?
    • Per chi effettua sport ad alta intensità alla mattina (gare podistiche, in bici, nuoto, ecc.), come dovrebbe fare colazione?
    • Dopo un allenamento impegnativo, a quali macronutrienti è necessario dare la precedenza?
    • Come influenza la salute (e la performance) il microbiota intestinale?
    • Chi pratica body-building (anche semplicemente a livello amatoriale) e ha una massa magra superiore alla norma, difficilmente rientra in un IMC inferiore a 26, pur avendo (in alcuni casi) una massa grassa paragonabile a quella di un soggetto magro. In questi soggetti, si utilizzano altri indici per valutare la composizione corporea.

    CONCLUSIONI

    Con quanto scritto sopra, non ci si vuole sostituire alle indicazioni professionali e personalizzate fornite da personale medico, dietista o biologo nutrizionista, ma alla luce di quanto detto, immagino ora sia più chiaro quali sia l’importanza delle linee guida da seguire quando si approccia all’alimentazione. Allo stesso tempo, speriamo di avervi dato anche gli strumenti per saper valutare (almeno in maniera indicativa) le tantissime diete che vengono proposte oggi. Sotto, riportiamo un semplice tabella, che può aiutare a fare una prima valutazione di un regime alimentare; negli spazi bianchi è sufficiente annotare con una “X” se la dieta osservata soddisfa o meno le esigenze di una “dieta ideale”. Le piccole frecce rosse, indicano l’influenza tra le diverse variabili.

    valutazione alimentazione

    Ma quando è necessario rivolgersi a personale qualificato (dietologo, oppure nutrizionista o dietista) per ottimizzare il proprio regime alimentare? A mio parere, se si ha un IMC superiore a 30 (cioè dalla classificazione di “Obesità livello 1”) è necessario! Allo stesso modo lo è per sportivi professionisti, persone che fanno della loro immagine (ad esempio attori) un importante elemento della propria vita professionale e in tutti quei casi in cui in cui viene prescritto/consigliato dal proprio medico.

    Per tutti è comunque fondamentale avere una corretta “formazione alimentare”, visto che bisogna mangiare per tutta la vita! Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consigliamo i libri di Roberto Albanesi, che a mio parere sono quelli che trattano l’argomento scientifico in maniera chiara e alla portata di tutti (sono anche ottime idee regalo!). Tra questi, consiglio (a seconda delle esigenze) I 3 manuali completi sull’alimentazione, per chi vuole approfondire alcuni aspetti come quello relativo alla qualità dei cibi (additivi, conservazione, ecc.), il legami con altri aspetti della vita (sport, sovrappeso) o scoprire pregi e difetti dei modelli alimentari più seguiti (dieta Duca, dieta a Zona, ecc.).

    Per chi invece volesse leggere un testo veramente molto recente (del 2016), le cui indicazioni sono il frutto del risultato di un’equipe di ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, consiglio La dieta smartfood; quest’ultima, seguendo considerazioni scientifiche non diverse da quelle da noi indicate, ha analizzato gli effetti di una dieta equilibrata, ma focalizzando l’interesse verso alcuni classi di alimenti. Infine ti segnaliamo anche gli altri nostri post dedicati al benessere e stili di vita

    In alternativa puoi andare alla pagina principale dedicata alla nutrizione, potrai trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione.

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it) preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

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