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  1. Le caratteristiche dell’attività dei “Pulcini” (8 – 10 anni)

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    Possiamo considerare l’età dagli 8 ai 10 anni come “l’età d’oro” della motricità. E’ il momento in cui il bambino diventa padrone del proprio corpo e delle proprie facoltà intellettive. C’è una pausa nel suo processo evolutivo e non si manifestano i grossi cambiamenti che, invece, avverranno in seguito, durante il periodo puberale. Il bambino ha preso coscienza di sé, favorito dalla quasi completa definizione dello schema corporeo e ha adesso un grado di socialità buono, accetta le regole del gruppo ed ha un elevato senso di giustizia.

    C’è quindi un ‘eccezionale disponibilità mentale e fisica che, unita al desiderio ed all’istinto di una sana competizione e confronto con i coetanei, consente al bambino di dar fondo, senza risparmio, a tutte le qualità ed energie di cui dispone. Tale disponibilità spiana la strada all’opera educativa dell’istruttore. Pertanto, è questo il momento di allargare più che mai le conoscenze motorie del bambino, proponendo la più vasta gamma di situazioni ed esercitazioni, nelle forme più varie e gradatamente sempre più complesse. Se non si interviene in questo periodo, purtroppo, potremmo compromettere per sempre il potenziale che ogni bambino racchiude in sé.
    A livello didattico il bambino accetta volentieri le dimostrazioni (meglio se presentate con molti esempi pratici piuttosto che teorici), animato da quella grande molla interiore all’imparare che, forse, sola la “magia del calcio” può ancora concedere. “Mister, va bene così?”. E’ questa la domanda che, continuamente, ci pongono quando proponiamo loro un nuovo esercizio. E allora diamoci da fare! Ci troviamo di fronte a tanta generosità: ricambiamola ed offriamo il meglio di noi stessi!

    Dal punto di vista fisico-motorio, se tutto ha funzionato bene nel periodo precedente, quello dei Primi calci, se cioè si è lavorato con un’appropriata didattica sugli schemi motori e posturali e sulle capacità coordinative, ci troveremo di fronte ad una situazione quanto mai favorevole. Il rallentamento dell’incremento della statura (turgor), che favorisce il recupero del tono muscolare, ed una migliorata funzionalità cardio-respiratoria danno al bambino la possibilità di migliorare le proprie capacità condizionali. La coordinazione neuro-motoria si sta affinando e c’è una buona precisione e disinvoltura del movimento.

    La programmazione tipo dell'attività dei Pulcini

    Purtroppo la vita sedentaria che oggi viviamo, verificata anche da recenti statistiche che indicano che il bambino passa l’85% del suo tempo o in aula o nella sua cameretta, ci induce necessariamente a rivedere le nostre strategie di insegnamento. Mentre una volta i ragazzini sperimentavano all’aperto le proprie abilità e potenzialità motorie, oggi, purtroppo, il bambino che ci troviamo davanti ha le articolazioni “rigide” e “legnose” e gli arti inferiori “ingessati”.
    Dobbiamo allora rimboccarci le maniche, pianificando un’adeguata programmazione in questa fase sensibile che consenta di rendere più “plastico” e “fluido” il gesto motorio.

    Ad esempio, un lavoro appropriato sulle finte ed i dribbling ci consente di realizzare un “programma di recupero motorio” sia dal punto di vista della mobilità articolare (con particolare riguardo alle articolazioni della zona tibio-tarsica, coxo-femorale e della colonna vertebrale) sia dal punto di vista della coordinazione. Queste esercitazioni, infatti, possono consentire il passaggio graduale da una coordinazione grezza ad una coordinazione fine della media dei ragazzi e spalancare le porte alla formazione delle abilità motorie, presupposto questo fondamentale per la prestazione motoria e sportiva.

    Obiettivi didattici categoria Pulcini (8-10 anni)

    Obiettivi motori:
    1) capacitàcoordinative generali (apprendimento motorio, controllo motorio, adattamento e trasferimento);
    2) capacità coordinative speciali (differenziazione spazio-temporale, differenziazione dinamica, ritmizzazione, anticipazione motoria, fantasia mpotoria;
    3) capacità condizionali(mobilità articolare, resistenza aerobica, forza rapida, rapidità).
    Obiettivi tecnici:
    1) dominio-conduzione-sensibilità;
    2) modi di calciare (interno collo, collo, esterno collo);
    3) modi di ricevere (con tutte le parti del corpo);
    4) tiro in porta (da fermo e in movimento);
    5) finta e dribbling;
    6) gioco di testa;
    7) abilità combinate.
    Obiettivi tattici:
    1) protezione della palla;
    2) marcamento e contrasto;
    3) smarcamento;
    4) passaggio (dove, come, quando);
    5) situazioni di gioco in soprannumero e in sottonumero (dall’1 contro 1 al 3 contro 3);
    6) giochi a tema o di altri sport;
    7) calcio a 7 e a 9.

    Suggerimenti per i genitori (che il tecnico farebbe bene a ricordare)

    1 – Tener conto che l’attività viene svolta da un bambino e non da un adulto.

    2 – Cercare di non decidere troppo per lui.

    3 – Cercare di non interferire con l’allenatore nelle scelte tecniche evitando anche di dare giudizi in pubblico sullo stesso (in caso di atteggiamenti ritenuti gravi rivolgersi in Società).

    4 – Cercare di non rimarcare troppo al bambino una partita mal giocata o qunt’altro evitando di generare in lui ansia da prestazione (non bisogna essere né ipercritici né troppo accondiscendenti alle sue richieste che spesso sono solo dei capricci).

    5 – Incitare sempre il bambino a migliorarsi facendogli capire che l’impegno agli allenamenti in futuro premierà (rendendolo gradatamente consapevole che così come a scuola anche a calcio per far bene c’è bisogno di un impegno serio).

    6 – Abituare il bambino a farsi la doccia, legarsi le scarpe da solo e a portare lui stesso la borsa al campo sia all’arrivo che all’uscita (rendendolo piano piano autosufficiente).

    7 – Cercare di non entrare nel recinto di gioco e nello spogliatoio.

    8 – Durante le partite cercare di controllarsi: un tifo eccessivo è diseducativo sia per i bambini che per l’immagine della società nei confronti dell’esterno.

    9 – Cercare di ascoltare il bambino e vedere se quando torna a casa dopo un allenamento od una partita è felice.

    10 – Ricordarsi che sia i compagni che gli avversari del proprio bambino sono anche loro bambini e che pertanto vanno rispettati quanto lui e mai offesi.

    11 – Rispettare l’arbitro e non offenderlo. Molto spesso gli arbitri sono dei dirigenti e anche loro genitori che stanno aiutando il calcio giovanile: tutti si può sbagliare, cerchiamo di non perdere la pazienza!

    12 – Ricordarsi che molte volte si pensa che “l’erba del vicino” sia sempre la migliore” e pertanto prima di criticare l’operato della Società cercare di capire chiedendo direttamente spiegazioni ai Dirigenti responsabili di eventuali scelte ritenute ingiuste.

    Autore: Lelio Marchi Coordinatore Centro Studi Scuole Calcio Parma A.C.

    dalla Rivista “L’allenatore”


  2. Il triangolo genitori-figli-allenatore nel settore giovanile

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    Questo è un articolo che ho già proposto ai tempi di una mia stagione alla corte di una squadra di un settore giovanile professionistico. Lo voglio riproporre in quanto proprio ieri, assistendo ad un incontro della categoria “Giovanissimi”, ho scoperto che il problema è sempre lo stesso, se non più rilevante!

    Si dice con un po’ di sarcasmo che la squadra ideale da allenare è quella di “orfani”; beh., dopo ciò che ho visto ieri, ma soprattutto dopo ciò che ho udito, la battuta calza a pennello!!!

    Claudio Damiani – Allenatore di Base

    Tema quanto mai discusso, il triangolo genitore-figlio-allenatore nel mondo dello sport giovanile (ma non solo), è di rilevanza storica e attuale.

    Il calcio è uno sport di squadra e come tutti gli sport di squadra si fonda su un gruppo di atleti-giocatori, diretti da uno o più tecnici.

    Perché un gruppo sia sano è necessario che si basi su delle regole che da tutti devono essere rispettate.

    In questi anni di militanza nel settore mi sono accorto di ragazzi (anche bravi), che hanno vissuto sin dai primi passi calcistici la culla dei complimenti perpetui dei genitori, parenti e amici (a volte anche di qualche dirigente), vivendo idolatrati all’inverosimile.

    Il risultato?

    La totale convinzione del bambino, poi ragazzo, di essere “invincibile”, di avere mezzi tecnici che lo possono proiettare molto presto nel calcio che conta: basta aspettare, perché prima o poi il futuro già disegnato si tramuterà in realtà.

    Una situazione pericolosa che a volte porta la giovane psiche del ragazzo a dimenticare che per raggiungere il traguardo ci vuole lo sforzo, la fatica, il sacrificio: nessuno regala niente.

    Il sentirsi superiore ai compagni ed essenziale per il gruppo costituisce un’errata e pericolosa impostazione della figura del ragazzo. Questo un allenatore lo sa.

    Premetto senza dubbi che se la società si pone come obiettivi e la crescita dei ragazzi e il risultato sportivo, alla domenica schiero in campo la migliore formazione che ho a disposizione.

    E i ragazzi che non partono tra gli undici o tra i diciotto?

    1. Sono infortunati o malati;
    2. sono squalificati;
    3. hanno “saltato” il 60% delle sedute di allenamento (due su tre);
    4. nel corso della settimana hanno dimostrato poca attenzione, scarso interesse (questi atteggiamenti molti genitori non li vedono!);
    5. hanno mezzi tecnici o condizioni fisiche inferiori rispetto ai loro compagni (a volte non notano neanche questi importanti fattori).

    Il problema sorge appunto quando, in relazione all’ultimo punto, un padre si convince o convince il figlio del contrario.

    Molti genitori vivono con il desiderio che i propri figli debbano a tutti i costi diventare quello che essi non sono mai diventati in gioventù.

    Ho conosciuto ragazzi che soggiogati da queste convinzioni si trovano smarriti alla prima esclusione per scelta tecnica, persi, non trovando spiegazione alcuna e dannatisi l’anima per un po’ si trovano isolati e soprattutto mal consigliati, finendo in moltissimi casi, con l’abbandonare l’attività sportiva con probabili sintomi di depressione.

    Altri, più sportivamente “educati”, vivono il calcio serenamente per come deve essere vissuto; quando i genitori non mettono pressione al figlio, ovvero non gli fanno pesare la maglia dal numero dodici in su, anche il ragazzo saprà vivere la realtà dell’esclusione, la sostituzione nel modo in cui deve essere vissuta, ovvero con delusione ma non con rassegnazione, anzi.

    In molti casi vengono scatenate delle polemiche tra genitori e società che non hanno motivo di nascere se non dalla rabbia di un padre o di una madre che non si capacitano del fatto che il proprio erede palesa dei limiti rispetto ai compagni di squadra e per questo gioca di meno. (Attenzione: gioca di meno, non ho detto non gioca!).

    E sono a dir poco inquietanti e ridicole le antipatie che si creano tra nuclei famigliari ai bordi del campo dipendenti unicamente dal fatto che un ragazzo sia più titolare o meno rispetto ad un altro.

    A volte, sembra paradossale, sono solo i genitori a “soffrire” la panchina del figlio, quando questi se ne sta tranquillamente seduto al fianco del mister a incitare i compagni vivendo lo sport come deve essere vissuto!

    Senza voler fare di tutta l’erba un fascio intendo affermare che vi sono anche ragazzini “educati” a saper vincere e perdere, a non esaltarsi per le vittorie, ma anche a non abbattersi per delle sconfitte, a “digerire” le esclusioni e a non sentirsi “onnipotente”.

    E questo tipo di educazione a chi spetta, chi la deve impartire?

    L’allenatore, coadiuvato dalla società, ha il compito di educare allo sport, a insegnare i comportamenti da assumere in virtù delle attività da svolgere in campo (allenamenti, gare, vittorie, sconfitte, ecc.); egli ha altresì l’obbligo di correggere eventuali poco consoni atteggiamenti che avvengono al di fuori del rettangolo di gioco: in trasferta, all’interno dello spogliatoio, nei mezzi pubblici ecc.

    Per educazione sportiva s’intende il miglioramento psicologico, tecnico-tattico del giovane atleta, l’insegnamento della sconfitta, della vittoria, dell’esclusione, della sostituzione nonché il rendere il gruppo consapevole che le regole sono uguali per tutti e le scelte le fa esclusivamente l’allenatore.

    D’altra parte è messo lì per quello, e comunque, da quando il calcio è calcio l’allenatore è sempre stato a disposizione dei giocatori per uno o più eventuali dialoghi di chiarimento che, attenzione, non è detto debbano essere necessariamente di natura tecnico-tattica.

    Bisogna però ricordare che la crescita di un ragazzo che vuole giocare a calcio o fare qualsiasi sport dipende in modo più che importante dall’educazione di base impartita dalle famiglie sin dal primo giorno di nascita del proprio figlio.

    Concludo affermando che in una squadra di calcio, ogni domenica ci sono undici ragazzi contenti e sette ragazzi meno contenti; tra questi ultimi sette ce ne saranno sicuramente due o tre anche molto arrabbiati.

    E’ normale: se non fosse così ci troveremmo a guidare delle squadre prive d’anima.

    L’importante è prendere l’esclusione come motivo di rivalsa più che come motivo di resa e noi genitori questo abbiamo il dovere di insegnarlo!

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