Oggi affrontiamo un argomento molto importante (l’influenza sul risultato degli infortuni nel calcio), approfondendo una ricerca del 2013 che si prefigge di valutare se esiste correlazione tra tasso di infortuni e risultato nel calcio (vedi in fondo alla pagina i dettagli bibliografici). Diverse ricerche in passato avevano trovato correlazione tra infortuni e risultati con maggiore incidenza nei campionati delle nazioni calcisticamente più evolute, mentre non era stata trovata correlazione in tornei di nazionali giovanili e ai campionati di nazionali calcisticamente meno evolute.
CARATTERISTICHE DELLA RICERCA
Allo studio hanno partecipato le maggiori 27 squadre che hanno partecipato con regolarità alla UEFA Champions League dal 2001 al 2012. Il “risultato” era definito in base a 3 variabili:
Coefficiente UEFA
Media punti per partita
Classifica finale del campionato a cui si partecipa
Le variabili relative agli infortuni invece erano le seguenti:
Numero di infortuni
Assenza in allenamenti e partite causa infortuni
Disponibilità dei giocatori nelle partite di Campionato e Coppe.
L’unicità di questa ricerca ricerca (in confronto alle precedenti), è che correla 3 indici che caratterizzano gli infortuni con 3 indici che caratterizzano la performance, fornendo un’idea ben più vasta del fenomeno (proprio perché si basa su più variabili), rispetto alle precedenti indagini.
RISULTATI
Risultato 1: venne trovata una correlazione significativa tra un basso rischio di infortuni e le classifiche finali del campionato nazionale e competizioni europee per club. In altre parole, maggiore è il tasso di infortuni e minore è la probabilità di giungere ai primi posti dei campionati/tornei a cui si partecipa.
Risultato 2: tramite l’utilizzo di più indici si è anche compreso che gli infortuni possono avere anche un “peso” diverso; cioè quelli che determinano una più lunga fase di ritorno alle competizioni sono quelli che maggiormente penalizzano le classifiche finali; quindi c’è da prestare particolare attenzione agli infortuni più gravi, come le lesioni ai posteriori della coscia, pubalgie e lesioni capsulo/legamentose (ginocchio e caviglie).
I risultati possono apparire scontati, ma ciò non lo è, visto che dai risultati di passate ricerche, i risultati erano contrastanti. Grazie all’analisi di più variabili, questo studio ha permesso di avere un approccio per la prima volta più approfondito. Il limite ovviamente è che “il campione della ricerca” erano i Top Team europei, quindi non è detto che tali considerazioni possano essere estese anche a livelli inferiori. In ogni modo è possibile ipotizzare che
maggiore è l’omogeneità prestativa (tecnico-tattico-atletica) in un determinato contesto (campionato, torneo, ecc.) e maggiore sarà la differenza che l’approccio agli infortuni apporterà nei confronti dei risultati stagionali.
CONCLUSIONI E SPUNTI APPLICATIVI
Purtroppo l’analisi statistica della ricerca non evidenza la regressione tra performance ed infortuni, cioè di quanto (in termini di punti in un campionato o torneo) un determinato infortunio può influire. La significatività della correlazione dei 2 fenomeni (performance ed infortuni) è fondamentale per considerare, per i Top Club europei, l’investimento delle proprie risorse verso un corretto approccio a questo fenomeno!
A tutti i livelli (compresi quelli dilettantistici), il rapporto tra performance ed infortuni implica un approccio multifattoriale che tenga in considerazione i seguenti aspetti:
Prevenzione primaria: pratica orientata alla prevenzione generale (cioè indifferenziata) degli infortuni. Già nel post dedicato al ruolo del preparatore atletico abbiamo trattato come questo aspetto sia di primaria competenza del preparatore.
Prevenzione secondaria: pratica preventiva individualizzata e finalizzata a quelle strutture anatomiche a rischio di recidive. Le recidive più frequenti sono le distorsioni (caviglie), lesioni muscolari (in particolar modo ischiocrurali), pubalgie (adduttori/diassetti del bacino), gonalgie (instabilità ginocchio) e le varie patologie da sovraccarico (come le tendinite).
Individuazione precoce dell’aumento del rischio: se alcuni infortuni possono avvenire (apparentemente) improvvisamente, per altri la sintomatologia ha un decorso progressivo (basti pensare alle pubalgie). Se a livello professionistico questo aspetto è abbastanza preciso e standardizzato (essendoci più figure professionali e metodi di indagine medica), a livello dilettantistico molto viene lasciato all’improvvisazione e all’esperienza. Chi si occupa dell’aspetto atletico (preparatore, massaggiatore, ecc.) deve avere un’accurata sensibilità nell’individuazione precoce dei fattori di rischio, cosa che prevede anche una “comunicazione” adeguata tra personale/giocatore e coraggio nel fermare un atleta a rischio, mettendo al secondo posto l’esigenza del risultato.
Intervento tempestivo post-infortunio, adeguata e veloce rieducazione-riabilitazione senza rischi di recidive: è un fattore che coinvolge più figure professionali (da chi soccorre l’atleta a chi si occupa della rieducazione), la cui “professionalità” e competenza determina il successo di un ritorno in campo senza rischi di recidive, con un protocollo di prevenzione secondaria (vedi secondo punto sopra) adeguata.
Massima collaborazione da parte dell’atleta: sembra un fattore secondario, strettamente dipendente dal “carattere” ed esperienza del giocatore. Se però, chi si occupa della parte fisico-atletica si dimostra competente, attento e professionale, sicuramente otterrà il massimo ascolto e disponibilità da parte dei giocatori!
Concludo ribadendo che un corretto e professionale approccio (a qualsiasi livello) agli infortuni non è solo un fatto che riguarda “il risultato”, ma qualcosa che dimostra primariamente rispetto verso l’atleta che ripone speranze e fiducia nei confronti di chi lo prepara per raggiungere i propri obiettivi sportivi.
Chissà a quanti atleti sarà capitato, dopo tanti Km di gara, il manifestarsi di un crampo che ha compromesso definitivamente l’esito della competizione proprio nel momento decisivo; oppure quanti allenatori/preparatori abbiano visto alcuni dei loro giocatori in preda ai crampi (con la necessità di sostituirli) in un finale di partita, quando l’esito del match è ancora in bilico.Il crampo non è dovuto alla “sfortuna”, ed in questo articolo andremo a vedere quali sono le cause, i rimedi, ma soprattutto come prevenirli, in particolar modo per chi ne soffre frequentemente. Partiamo quindi con la definizione e caratteristiche di questo fenomeno.
Il crampo è una contrazione involontaria e acuta (spasmo) del muscolo scheletrico.
Malgrado a livello scientifico non si sia ancora riusciti a comprendere a pieno le cause, si sa che la maggior parte degli atleti che ne soffre, lo fa nella prima parte della stagione, quando non è ancora sufficientemente allenato o quando effettua sforzi d’entità superiore al proprio grado d’allenamento (tempi supplementari, gare oltre i 250 Km nel ciclismo o maratona per i podisti). Ciò porta ad ipotizzare che la causa principale sia il livello d’allenamento “non sufficiente” abbinato ad un elevato “livello di fatica”. Andiamo ora ad analizzarne cause, rimedi e prevenzione!
Com’è possibile vedere dall’immagine sopra, la regolazione involontaria della contrazione muscolare (cioè quella che determina il crampo) è determinata dall’interazione delle cellule nervose del sistema nervoso periferico (motoneuroni, interneuroni e fibre sensitive) situate non solo nel muscolo coinvolto nella contrattura, ma anche della pelle che lo riveste e del muscolo antagonista. Questa complessità porta ad ipotizzare che
una “non compensazione” fisiologica tra i meccanismi responsabili dell’eccitazione/rilassamento muscolare rende i muscoli iper-eccitabili, facilitando quindi l’insorgenza del crampo.
La durata media del crampo va da 1’ a 3’ e coinvolge prevalentemente i muscoli multiarticolari (gastrocnemio, flessori della coscia, ecc.) in posizione “accorciata”.
Nonostante la scarsa conoscenza scientifica, diversi anni di studi ed esperienze hanno comunque portato a concludere che le variabili più importanti scatenanti i crampi sono:
Predisposizione individuale: rappresenta la variabile più evidente che può predirne l’insorgenza (O’Connell et al 2013). In alcuni sport, come il ciclismo, una posizione sul mezzo errata rappresenta una variabile che può favorire i crampi. Inoltre, i crampi sono più frequenti negli uomini rispetto alle donne (Nelson e coll 2016).
Sovraccarico muscolare/fatica muscolare: rappresenta la causa più specifica del crampo. In questi casi, l’allungamento passivo e/o l’abbassamento del “carico” permettono di alleviare la sintomatologia.
Perdita di sodio tramite sudore: rappresenta una causa “generale”, la più “debole”, non supportata da evidenze scientifiche (non è mai stata ampiamente confermata a livello sperimentale); in ogni modo, non è chiaro se la causa possa essere la sola disidratazione o la il tasso di perdita di sodio (Jahic e coll 2018).
CURA DEL CRAMPO
In alcune discipline d’endurance (come l’atletica leggera o il ciclismo), l’insorgenza del crampo compromette seriamente la performance costringendo l’atleta a rallentare notevolmente l’andatura; in questi casi, la riduzione delle tensioni emotive, il massaggiare la pelle sopra il muscolo colpito (o massaggiare il muscolo stesso) e un breve stop per allungare la muscolatura rappresentano gli interventi più adeguati, ma che possono ridurre la sintomatologia solo in parte. In aggiunta, può anche risultare efficace (sono necessarie ulteriori ricerche per confermarne gli effetti) l’iperventilazione (20-30 respiri profondi al minuto), probabilmente per ridurre la tensione (Murphy e coll 2011).
Negli sport di squadra la situazione è leggermente diversa perché spesso determina l’interruzione della partita (il crampo in tal caso è considerato come un “infortunio”) consentendo al fisioterapista/massaggiatore di intervenire. In questi casi, le cure (allungamento muscolare, massaggio o anche un raffreddamento temporaneo) possono essere applicate con più efficacia, ma la maggior parte delle volte la performance dell’atleta risulta compromessa.
Dal punto di vista dell’integrazione, si sta diffondendo l’interesse verso il succo di cetriolo. In questo caso, le evidenze sul campo sono principalmente anedottiche e le poche ricerche sperimentali effettuate (sebbene riportino risultati promettenti), non sono state fatte in condizioni reali; infatti, molte di queste sono state effettuate tramite protocolli da laboratorio o in situazioni di crampi indotti elettricamente. Si ipotizza che i “possibili” effetti indotti dall’assunzione (circa 60 ml di succo di cetriolo), siano dovuti alla presenza di acido acetico, in grado di influire su un riflesso orofaringeo che andrebbe a ridurre l’ipertono muscolare nel giro di poco tempo.
In conclusione, la cura del crampo non sempre può risultare efficace, per questo motivo diventa fondamentale la prevenzione.
PREVENZIONE DEL CRAMPO
La prevenzione rappresenta la forma migliore per “salvarsi” da questo tipo d’evento; di seguito riportiamo le variabili essenziali su cui possono lavorare gli staff ed atleti.
1) Capacità di gara
La prima barriera difensiva contro il crampo è rappresentata da un corretto allenamento, cioè dal presentarsi alle competizioni con una condizione fisica improntata non solo sulla “velocità di gara”, ma anche sulla “capacità di gara”; per “capacità di gara” s’intende quella componente della performance (in qualsiasi disciplina) che permette di prevenire l’abbassamento dei livelli di potenza dovuti alla fatica.
Ad esempio, per un maratoneta la forma d’allenamento elettiva è rappresentata dai mezzi che permettono di correre a ritmo gara in condizione di deplezione di glicogeno (come i lunghi-progressivi o i bigiornalieri), mentre per un calciatore i mezzi per la potenza aerobica o i mezzi specifici a carattere estensivo (meglio se svolti in condizione di pre-affaticamento). Un ottimo consiglio è quello di non prendere parte a competizioni sportive per le quali non si è adeguatamente allenati; allo stesso tempo è necessario riprendere gli allenamenti (dopo periodi di pausa/sosta) in maniera graduale. Altro consiglio essenziale, è quello di evitare di partire troppo veloce, in quanto un affaticamento precoce probabilmente incrementa la probabilità di andare incontro a crampi (Martinez-Navarro et al 2020); a questo particolare dovrebbero portare particolarmente attenzione chi è facilmente soggetto ai crampi.
2) Resistenza muscolare locale
Le ricerche del Team Sky (ora Team Ineos) di ciclismo hanno portato a comprendere come i crampi colpivano prevalentemente i muscoli di quei ciclisti che avevano bassi livelli di forza muscolare. In diversi casi, un adeguato protocollo di potenziamento muscolare ha contribuito a ridurre il numero degli eventi, l’intensità dei crampi ed a ritardarne l’insorgenza.
Analogamente è stato visto in un gruppo di maratoneti (Martinez-Navarro et al 2020), che quelli maggiormente affetti dai crampi presentavano (dopo la gara) elevati livelli di CK e LDH nel sangue, cioè 2 indicatori di microlesioni muscolari indotti dalla fatica. Non solo, l’incidenza del crampo era correlata alla “non effettuazione” di protocolli di potenziamento; in altre parole, chi effettuava potenziamento muscolare aveva meno probabilità di presentare i crampi.
È quindi ragionevole ipotizzare come negli sport di endurance, un’adeguata Resistenza muscolare locale specifica possa aiutare a combattere i crampi. A differenza della Capacità di gara indicata sopra, la resistenza muscolare locale (abbreviata in RML) permette di mantenere un elevato livello di produzione di forza (non solo di potenza) nel tempo, senza che la fatica ne comprometta l’efficienza; è quindi in grado di influenzare la Capacità di Gara insieme alla produzione metabolica di energia, ma è da curare particolarmente per quei soggetti che hanno bassi livelli forza muscolare.
Per i runner, potete trovare nel nostro post dedicata alla Forza ed alla Velocità quali sono i protocolli possibili, anche costituiti da corse (non solo potenziamento con pesi). Per chi corre i trail, è anche fondamentale l’attitudine e l’abitudine a correre in salita ed in discesa.
Alcune ricerche (Nelson e coll 2016), hanno visto come possa essere importante la tecnica esecutiva, soprattutto negli sport ciclici (come la Tecnica di corsa per i runner); una tecnica esecutiva scorretta o uno squilibrio muscolare, possono indurre affaticamenti localizzati in grado di indurre il crampo anche quando il soggetto ha una Capacità di Gara adeguata. In questi casi una Valutazione funzionale effettuata da personale competente è in grado di fornire indicazioni utili per l’allenamento
È più difficile comprendere se tali interventi metodologici possano essere efficaci anche nel calcio; questo perchè il carico interno (che determina la fatica) varia in base a diversi aspetti della partita (schema tattico, risultato, ecc.). Anche in questi casi, un’accurata Valutazione funzionale e un’analisi della casistica del giocatore (cioè se è abituale o meno ai crampi) può aiutare a formare il giusto approccio preventivo; questo partendo dal presupposto che anche nel calcio la resistenza muscolare locale e la coordinazione rivestono un ruolo fondamentale nel ritardare gli effetti della fatica.
3) Idratazione ed integrazione in gara
Quest’aspetto ha prove solamente anedottiche (cioè non suffragate da un numero sufficiente di evidenze scientifiche in mabito sportivo) a supporto. Infatti, non esistono link diretti tra disidratazione, perdita di sali e crampi nello sport. Ovviamente un’adeguata idratazione è fondamentale (per gli aspetti legati alla fatica e alla prevenzione della disidratazione), ma sembra non rivesta un ruolo importante nel crampo se non dal legame che può avere con l’insorgenza della fatica; allo stesso modo è fondamentale anche l’apporto di carboidrati e sali, in sforzi che superano una certa durata. Nel nostro articolo sull’Integrazione ed idratazione negli sport di resistenza, potete trovare tutte le informazioni utili per gestire al meglio quest’importante aspetto nelle discipline di endurance.
In più, sarebbe interessante valutare anche quanto l’acclimatazione (cioè l’abitudine a praticare sport in climi torridi) possa influire sui crampi e quindi prevenirli. Per maggiori informazioni, potete leggere il nostro post dedicato all’allenarsi e gareggiare al caldo.
4) Altre strategie attualmente non supportate da evidenze scientifiche
L’esperienza di diversi atleti rivela come l’utilizzo di indumenti compressivi, possa migliorare la coordinazione muscolare (elasticità) a causa della riduzione delle vibrazioni; questo permetterebbe, in linea teorica, di ritardare l’insorgenza della fatica e di conseguenza l’origine del crampo. Questo aspetto è evidente tanto più è basso il livello di forza (soprattutto la stiffness) dell’atleta. È da precisare, che attualmente non esistono ricerche scientifiche a riguardo, ma solo l’esperienza di diversi atleti; ribadiamo comunque che gli indumenti compressivi sono parzialmente in grado di compensare livelli di stiffness non adeguati e ritardare l’insorgenza della fatica, cioè 2 fattori chiave (vedi sopra) nell’insorgenza del crampo. Puoi approfondire l’argomento leggendo il nostro post sulle calze compressive.
Conclusioni
Attualmente non è ancora possibile stabilire con esattezza il peso delle varie variabili che influenzano i crampi (fatica, livello d’allenamento, predisposizione individuale, ecc.). Quello che è fondamentale comprendere, è che questo fenomeno è causato da un alterato controllo neuromuscolare nella quale la fatica centrale e periferica giocano un ruolo fondamentale (Nelson e coll 2016). Di conseguenza, le strategie migliori per prevenire i crampi per quei soggetti che sono maggiormente predisposti sono:
Presentarsi alle competizioni sportive solamente se adeguatamente allenati ed acclimatati per lo sforzo che si andrà a fare.
Incrementare i carichi di lavoro gradualmente nella prima parte della stagione.
Curare in allenamento la resistenza muscolare locale (soprattutto se si è facilmente soggetti ai crampi) e la tecnica/coordinazione tipica della disciplina praticata.
Impostare un ritmo gara ottimale (nelle competizioni di endurance), gestito in base alla distanza e alle proprie condizioni di forma, per evitare che nel finale la fatica faciliti l’insorgere del crampo. Adottare, quando necessario necessario, le strategie più adeguate di idratazione ed integrazione in gara e nel pre-gara (carico di carboidrati).
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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it