Running: come migliorare in discesa
Leave a Comment(Aggiornato al 02/04/2024)
Malgrado i margini di miglioramento in discesa siano inferiori rispetto a quelli in salita, con un corretto allenamento è possibile colmare le lacune che limitano maggiormente il runner quando la strada (o il sentiero) scende.
Quello che è importante capire, è che non è solo necessario colmare le lacune di tipo neuromuscolare, ma anche l’attitudine e la tecnica a correre su terreni impervi. Non a caso, Minetti et al 2002 scoprirono come non esista correlazione tra le velocità in discesa raggiunte in laboratorio (sul Tapis Roulant) e quelle raggiunte in condizioni reali (corsa in montagna). Al contrario, esiste (in salita) correlazione tra la velocità in salita sul tapis roulant e quella raggiunta in gara in salita.
Nell’immagine a fianco è possibile vedere i prerequisiti di un buon discesista; lavorando su questi aspetti con l’allenamento, è possibile colmare parte delle proprie lacune, ma è necessario avere pazienza, e dedicare diverso tempo a questi presupposti ed abilità.
È quello che vedremo in questo articolo; inizieremo con una dettagliata analisi di quello che emerge dalla bibliografia internazionale (studi e ricerche), per poi fornire indicazioni pratiche per tutte le tipologie di runner, anche quelli che hanno poche possibilità di allenarsi su terreni specifici.
Cosa serve per eccellere in discesa
I migliori skyrunner sembrano correre giù dalle montagne senza alcun sforzo od incertezza; questo deriva dall’acquisizione di tutte le competenze necessarie per primeggiare.
La forza massima è la qualità di base per essere degli ottimi trailer (e skyrunner) perché è correlata sia alle performance in salita, che a quella in discesa (Lemire et al 2021).
Questo non deve spaventare sul fatto che sia necessario sollevare bilanceri con tanti Kg, in quanto grazie ad un approccio funzionale è possibile lavorare su questa abilità anche senza pesi elevati; lo vedremo meglio nei prossimi capitoli.
La seconda abilità fondamentale per un buon discesista è avere un’elevata stiffness neuromuscolare; sempre nello stesso studio di Lemire et al 2021 è stato visto come sia correlata alla performance in discesa.
Ma cos’è la stiffness?
In parole semplici, è la capacità delle catene muscolari rispondere in maniera elastica alle sollecitazioni indotte dall’appoggio del piede. Maggiori sono le pendenze e la velocità, tanto maggiore deve essere la reattività neuromuscolare (stiffness) con la quale gli arti inferiori rispondono alle sollecitazioni in appoggio; in questo modo si riesce ad avere una corsa il più elastica e redditizia possibile.
Attenzione, un adeguato livello di stiffness è necessario anche per correre efficacemente in pianura, ma in discesa le sollecitazioni sono maggiori, e di conseguenza questa qualità dovrà essere superiore per uno skyrunner.
La forza è un presupposto della stiffness, per questo motivo nella piramide è rappresentata alla base.
Per chi volesse ulteriormente approfondire, può leggere il nostro articolo dedicato alla forza ed alla velocità del runner.
Dal punto di vista metodologico la stiffness del runner si allena (in presenza di livelli di forza adeguati) con corse ad alta velocità (allunghi, ripetute brevi), corse in discesa (ovviamente), andature pliometriche (balzi e multibalzi), ecc. Vedremo nei capitoli successivi i dettagli.
Ma arriviamo ora alla punta della piramide, cioè le qualità specifiche necessarie per correre sulle discese più tecniche; probabilmente nelle discese in asfalto è necessario avere una stiffness specifica elevata, ma dalla ricerca di Minetti et al 2002 citata sopra, è stato visto come la corsa in discesa su tapis roulant (cioè “non tecnica”), non sia correlata alla velocità in discesa in contesto tecnico di gara.
Ciò non vuol dire che la stiffness non sia importante, ma che sono necessarie anche altre abilità che permettono di applicarla in contesti più tecnici; con le dovute semplificazioni possiamo dire che un bravo discesista deve essere in grado di applicare la stiffness in un contesto di maggiore instabilità dell’appoggio del piede. Deve quindi avere una propriocettività estremamente dinamica e reattiva, perché dovrà essere applicata alle veloci contrazioni della corsa su sentiero.
Riporto sotto altre considerazioni che emergono dalla bibliografia internazionale, che permetteranno di strutturare ancor più precisamente la metodologia d’allenamento che presenteremo di seguito.
- Di norma gli skyrunner più performanti riescono a correre in discesa anche con frequenze tra 200-240 passi al minuto; questo consente loro di adeguarsi meglio alle asperità del terreno e ridurre il tempo di contatto al suolo. In questo modo l’efficienza è migliore e si riduce il rischio di infortuni (perché con tempi di contatto inferiori, le frenate sono meno vigorose).
- In generale, l’abilità nel cambiare direzione è particolarmente influenzata dalla forza dell’alluce (Yuasa et al 2018); da qui la possibilità di avere margini di miglioramento lavorando anche sulla forza dei muscoli intrinseci del piede.
- In discesa si tende ad appoggiare maggiormente il tallone rispetto alla corsa in salita ed in pianura (Vernillo et al 2016). È però da evidenziare come i migliori skyrunner appoggino meno il tallone rispetto agli altri (Juillaguet et al 2018), indice probabilmente di una miglior efficienza.
- Lo stesso studio (Juillaguet et al 2018) ha evidenziato come i migliori trailer avevano un maggior tendenza al rischio e una miglior capacità di percezione visiva. Questi elementi rafforzano in maniera evidente come sia assolutamente necessario allenarsi su terreni specifici (per guadagnare sicurezza ed esperienza) per migliorarsi in discesa nei trail!
Tutti gli elementi di questo capitolo ci permettono di conoscere quale approccio metodologico utilizzare per migliorarsi.
Ma prima di vedere come allenarsi, credo sia importante sapere qual è la tecnica di corsa ideale in discesa.
Consigli per correre in discesa: sono veramente utili?
Online si trovano diversi consigli sul comportamento motorio da adottare quando il tracciato scende; nell’immagine sotto sono riassunti i punti essenziali.
In un terreno neuro (come la strada o un fuoristrada non tecnico) il punto focale è l’appoggio del piede il più possibile sotto il baricentro; questo si ottiene piegando leggermente il ginocchio della gamba in appoggio ed evitando di impattare direttamente sul tallone.
In più, nei pendii tecnici viene consigliato di aumentare la frequenza del passo per adattarsi meglio alle condizioni del terreno.
Nel video sotto vede l’approccio ad una discesa tecnica di Kilian Jornet and Petter Engdal, entrambi con una tecnica di corsa aderente a quanto descritto sopra.
Dal 30° al 60° secondo del video vedere come Petter Engdal (quello davanti) abbia una maggior efficienza, muovendo meno il tronco e facendo passi più lunghi (pur atterrando correttamente con il piede sotto il baricentro).
Chi ha un po’ di dimestichezza con i trail sa bene che è difficile impostare volontariamente la propria tecnica di corsa, in quanto è impossibile rimanere contemporaneamente concentrati sulle asperità del terreno e sui propri movimenti.
Non a caso studi e ricerche dimostrano come in pratica si adotti lo stile che permette di assecondare le proprie possibilità funzionali (Vincent et al 2019, Salvoni 2013); questo minimizza gli impatti ed ottimizza la spesa energetica.
Fatto sta che se si affrontano le discese senza le possibilità funzionali adeguate, si tenderà ad adottare una tecnica non adeguata, come può essere l’appoggiare il piede troppo avanti al baricentro. Questo aumenterebbe l’impatto e la frenata ad ogni passo, incrementando il rischio di infortuni ed il costo energetico.
Quello che è importante capire, è che solo modificando le proprie possibilità funzionali (dette anche “capacità funzionali”) con l’allenamento si potrà migliorare la tecnica in discesa…poco si può fare modificandola volontariamente mentre si corre.
Per capacità funzionali intendo proprio quelle qualità indicate sopra come la forza, la stiffness e le abilità specifiche del discesista.
L’allenamento per la corsa in discesa (i 3 step fondamentali)
La corsa in discesa provoca (rispetto a quella in pianura ed in salita) una maggior sollecitazione delle strutture muscolari e connettivali. Ciò è ancor più enfatizzato dal fatto che le contrazioni eccentriche (tipiche della discesa) reclutano un numero minore di fibre muscolari (sempre rispetto alla pianura ed alla salita), incrementando ancor di più la tensione a cui sono sottoposte le fibre muscolari ed il connettivo.
Non a caso, dopo un trail su dislivelli a cui non si è abituati non è inusuale trovarsi con un mal di gambe che raggiunge l’apice nelle 14-48 ore successive allo sforzo, e può perdurare fino a 7 giorni. Questo “mal di gambe” non rappresenta solamente un disagio, ma è anche il segno che (fintanto perdura) non sia possibile allenarsi correttamente.
La buona notizia, è che questo fenomeno è in grado di portare degli adattamenti che possono perdurare anche fino a 6 settimane; in altre parole, la volta successiva sarà più difficile andare incontro a questi disagi.
È quindi evidente come un allenamento adeguato sia in grado di migliorare, nel tempo, non solo la performance, ma anche i disagi che possono occorrere quando si fanno dislivelli importanti.
Il primo assunto metodologico sarebbe quindi quello di abituarsi gradualmente (sin dall’inizio di stagione) ad effettuare dislivelli progressivamente crescenti, ma partendo da carichi di lavoro che si ha sempre la certezza da tollerare; infatti, se compare “mal di gambe”, significa che si ha esagerato.
La progressione del dislivello ovviamente deve essere soggettiva, e tenere in considerazione anche altri aspetti come la disponibilità dei percorsi d’allenamento e le altre gare alle quale si partecipa.
L’allenamento di elezione su cui effettuare questa “progressione del dislivello” è il lungo collinare.
Questo mezzo allenante è fondamentale, ed il suo sviluppo all’interno della stagione è da considerare in parallelo ai 3 step che vedremo di seguito e di cui abbiamo precedentemente accennato, cioè forza, stiffness ed abilità specifiche.
L’allenamento per la forza per la discesa
Passiamo ora al primo step, cioè come incrementare la forza massima (il primo scalino della piramide).
Patiamo dal presupposto che incrementare le lacune anche solo in uno dei determinati elementi della discesa (forza, stiffness o abilità specifiche) porta a dei miglioramenti evidenti nel correre in discesa.
Il presupposto funzionale più facile su cui lavorare è la forza massima.
Come indicato sopra, non è necessario utilizzare bilanceri con pesi elevati, ma sfruttare al meglio la biomeccanica dei movimenti per creare tensioni muscolari il più vicine possibile agli stimoli tipici della forza massima.
Con le dovute semplificazioni, lo stimoli principale avviene tramite sforzi di intensità prossimi al massimale per una durata di almeno 700-800ms (Colli 2012). Uno squat monopodalico eccentrico (per chi non è abituato a fare questo tipo di lavori) è probabilmente già sufficiente per dare questo effetto allenante. Nel tempo, migliorando i livelli di forza, si potranno introdurre dei piccoli pesi, o svolgere l’esercizio in modalità statico/dinamica per continuare ad incrementare i livelli di forza.
Per chi vuole approfondire, potete leggere il nostro articolo dedicato all’allenamento per la forza massima per il runner.
Personalmente ritengo che gli esercizi debbano essere semplici e di natura monopodalica.
La semplicità è essenziale per chi si allena a livello amatoriale e non riesce ad essere seguito da un preparatore; infatti, eseguire un esercizio scorrettamente può peggiorare l’equilibrio delle catene muscolari, limitare i miglioramenti ed incrementare il rischio di infortuni.
Ad esempio, esercizi come questo possono essere estremamente utili per migliorare la forza specifica del discesista, ma eseguendo salti di ampiezza o altezza diversa (da soli è difficile monitorarsi), si possono generare le problematiche indicate sopra.
Per questo motivo ritengo che movimenti più semplici come lo squat monopodalico (ed affini) siano più utili da eseguire, e di conseguenza più proficui. Movimenti come questo, svolti anche lentamente, sono in grado di ridurre anche il mal di gambe indotto dalla discesa (Lima et al 2018).
La natura monopodalica dell’esercizio è necessaria in quanto allena in misura più evidente la stabilizzazione, dimensione necessaria per chi corre in discesa.
Ricordo che l’allenamento per la forza massima, se strutturato correttamente, porta benefici a tutte le tipologie di runner e su tutte le pendenze!
Ma passiamo ora agli esercizi complementari; molti runner effettuano periodicamente sedute per la core stability. Malgrado questi possano essere efficaci, è importante strutturarli correttamente; nel nostro post dedicato agli esercizi di core stability per la corsa trovate alcuni protocolli estremamente specifici.
E gli esercizi per la propriocettività?
Per la stabilità della caviglia vengono consigliati lavori con la tavoletta propriocettiva, bosu, o altri elementi instabili. Questi sono lavori essenziali per chi soffre di instabilità alla caviglia (solitamente dovuta a precedenti distorsioni), ma sono utili per chi corre in discesa?
Il razionale sarebbe quello di rinforzare la stabilità della caviglia (anche per un soggetto che non ha problemi) ed essere più sicuri sui terreni più tecnici.
È però da far notare. come in questi esercizi i muscoli rimangano in contrazione per tanti secondi, mentre in un passo di corsa solamente qualche centinaio di millisecondi (per di più con picchi di tensioni molto superiori). Non solo, l’esecuzione di volumi eccessivi di questo tipo di lavori, può modificare (prolungare) la durata dell’appoggio del piede, peggiorando l’elasticità
Di conseguenza non è detto che possano essere efficaci per tutti!
Visto che benefici (per la corsa in discesa) non sono mai stati dimostrati da studi e ricerche, sono portato a pensare che l’utilità di questo tipo di lavori possa essere valida per quei soggetti che rientrano da una distorsione o che soffrano di instabilità alla caviglia.
Concludiamo questo capitolo riassumendo come lavorare sulla forza massima degli arti inferiori (in particolar modo della catena estensoria) sia il primo step per migliorare in discesa (e non solo), in quanto agisce sui presupposti funzionali delle altre variabili come la stiffness e le abilità tecnico-specifiche.
Minore è il livello di forza del runner, e maggiori saranno i benefici, a patto che vengano strutturati con un approccio metodologico corretto, con esercizi semplici e di natura monopodalica; ovviamente i protocolli vanno individualizzati.
I lavori per la core stability possono essere efficaci nel caso in cui vengano strutturati in maniera estremamente specifica ed adeguata, mentre per quelli propriocettivi attualmente non esistono studi che ne dimostrano i benefici per i runner senza problemi alle caviglie.
L’allenamento della stiffness per il discesista
Nel nostro articolo dedicato alle componenti neuromuscolari del runner abbiamo introdotto in maniera dettagliata cosa sia la stiffness; con le dovute semplificazioni, possiamo definirla come l’attitudine (della catena estensoria) ad accumulare e restituire l’energia elastica in maniera ottimale, riducendo il costo energetico.
È da precisare che il valore di stiffness è relativo all’intensità dell’impatto del piede al suolo. Mi spiego meglio: nella corsa in discesa è necessaria una stiffness superiore rispetto alla corsa in pianura, perché le forze scambiate al suolo sono maggiori.
Per questo motivo è necessario essere certi di avere una stiffness adeguata per sfruttare le proprie abilità di discesista. La forza massima è un importante presupposto della stiffness, ma quest’ultima qualità va comunque allenata (non è sufficiente avere elevati livelli di forza massima).
Ma come si allena la stiffness?
È evidente che gli stimoli allenanti principali sono i tratti di corsa a velocità elevate (in piano) e le corse in discesa.
Tra gli allenamenti in piano che allenano maggiormente la stiffness troviamo
Sono tutti allenamenti per la Velocità, di conseguenza utili per migliorare la stiffness.
Tra gli allenamenti che comprendono, al loro interno, tratti in discesa troviamo invece
Quest’ultimi invece, comprendono al loro interno sia tratti (ad alta intensità) in discesa che in salita, fornendo uno stimolo completo allo sviluppo delle qualità neuromuscolari.
Sono comunque tutti allenamenti da svolgere su terreno neutro (asfalto o sterrato/erba regolare).
Ricordo sempre che la forza è la base della velocità (e di conseguenza anche della stiffness), quindi questo tipo di lavori è meglio affrontarli dopo aver costruito una base di forza muscolare.
Affrontare questi lavori precocemente all’interno della stagione potrebbe esporre non solo al classico “mal di gambe”, ma anche prolungare eccessivamente il tempo necessario per recuperare, incrementando il rischio di infortuni.
Come sottolineato prima, l’introduzione precoce delle discese nella stagione è giusto che avvenga nei lunghi collinari, cercando comunque di approcciare a dislivelli e pendenze con estrema gradualità.
Ma per allenare la stiffness del discesista esistono allenamenti complementari efficaci?
Come vedremo sotto, stabilità e frequenza sono qualità fondamentali da abbinare alla stiffness per eccellere in discesa.
Per chi vuole dedicare ulteriore tempo a questa qualità, può trovare utili le andature di preatletica e la scaletta; vediamo brevemente di cosa si tratta.
- Le andature di preatletica sono in grado di migliorare diversi aspetti della tecnica di corsa (oltre alla stiffness), tra cui la frequenza dei passi e la stabilità (soprattutto a livello delle anche). L’eventuale introduzione di queste attività deve comunque essere estremamente graduale, oltre a presentare una cura metodologica particolarmente dettagliata. Potete approfondire leggendo il nostro articolo dedicato alle andature di preatletica per il runner.
- Anche la scaletta è uno strumento molto semplice per migliorare la stabilità delle caviglie e la frequenza dei movimenti; potete trovare tanti esercizi in questo video. Anche in questo caso l‘approccio deve essere estremamente graduale iniziando con i movimenti “frontali” e “laterali”. I “saltelli” andrebbero invece fatti solo dopo un po’ che si ha acquisito esperienza. Affinché sia allenante è necessario imparare ed applicare più movimenti possibili, meglio se scalzi. Per provare gli esercizi della scaletta (senza acquistarla), è possibile sfruttare le mattonelle di casa.
Non mi stancherò mai di ripetere come i mezzi allenanti complementari vadano introdotti con estrema gradualità, perché (senza questo criterio) c’è il rischio che portino affaticamenti che generano poi infortuni.
Vediamo ora invece come allenare le possibilità funzionali più specifiche per correre in discesa.
L’allenamento specifico del discesista
In presenza di una stiffness adeguata, sono fondamentali la stabilità e la frequenza dei movimenti.
Per essere “stabili” è necessario che il controllo del movimento riesca ad adeguarsi alle asperità del terreno mantenendo una corsa il più efficiente e stabile…è sicuramente più facile a dirsi che a farsi, ma con l’allenamento specifico si è in grado di migliorare questo controllo.
La “frequenza dei movimenti” è invece fondamentale soprattutto quando il grado di scivolosità è particolarmente elevato; in questi casi è necessario fare passi più corti, ed avere una buona frequenza per scendere ad elevata velocità e minimizzando gli impatti al suolo.
Ma come allenare tutto questo?
Ovviamente correndo su terreni estremamente specifici che hanno un certo grado di tecnicità.
L’approccio metodologico avviene in 2 modi; il primo è quello di inserire, durante tutta la stagione, dislivelli su terreni tecnici progressivamente crescenti.
Come indicato sopra, si può iniziare con dei collinari con salite/discese non particolarmente impegnative e lunghe, per poi incrementare progressivamente il carico di lavoro in contemporanea al miglioramento della forza massima e della stiffness.
Altro elemento è quello di fare dei veri e propri allenamenti di “ripetute in discesa” su terreni tecnici, nei quali affinare gradualmente le proprie qualità di discesista.
Quest’ultimo approccio (che non esclude a priori il primo) è consigliabile nel caso in cui si abbiano pochi percorsi tecnici a disposizione (sono quindi da sfruttare ripetutamente i pochi disponibili), oppure nel caso in cui la discesa sia un vero e proprio “punto debole”, e di conseguenza richieda più tempo da dedicarvi.
Ma come organizzare le ripetute in discesa?
Personalmente le introdurrei solamente nella seconda parte della stagione, o comunque dopo aver lavorato in maniera consistente su forza massima e stiffness. Questo per avere la certezza di avere qualità neuromuscolari adeguate per affrontarle.
Fattore chiave è il tipo di discesa utilizzata; deve essere una discesa tecnica, ma non pericolosa! La lunghezza ideale sarebbe tra i 400 ed i 1000m. Lo svolgimento prevede di correrla in salita di corsa facile (o anche camminando se è particolarmente ripida), mentre il tratto in discesa andrebbe fatto “come se si stesse affrontando un trail di 12 Km”.
Il volume totale del tratto in discesa dovrebbe essere, la prima volta, di 1600m-1800m, non di più. La prima seduta deve sempre essere di “rodaggio”, visto che è una metodica d’allenamento il cui effetto è estremamente soggettivo. Anche l’incremento del carico dovrebbe essere estremamente soggettivo; consiglierei di incrementare non più di 200-400m di volume a seduta.
La frequenza con la quale farle dipende da altre variabili; partendo dal presupposto che andrebbero iniziate dopo il lavoro di forza e di stiffness, le posizionerei in maniera tale da esser “distanti” almeno 7-14 giorni tra loro, oppure da lunghi (con tratti particolarmente tecnici) o da gare trail.
Infatti, come abbiamo visto sopra, gli stimoli biologici indotti dalla corsa in discesa richiedono diversi giorni per essere recuperati (a seconda dell’abitudine), ma allo stesso tempo lasciano “impronte allenati” che perdurano maggiormente (Bontemps et al 2021).
Ultimo aspetto da considerare è il grado di tecnicità della discesa; abbiamo detto che primariamente non deve essere pericolosa! Il grado di difficoltà sarebbe bene tararlo in base alle caratteristiche individuali; si dovrebbe scegliere un tratto in cui comunque si riesca a correre senza timore, in quanto è stato visto come la paura tenda a stimolare una tecnica primariamente incentrata sulla stabilità indotta dalle anche e discapito della stabilità indotta dalle caviglie.
In altre parole, se ho timore mentre affronto la discesa tenderò ad adottare un tipo di locomozione che limiterà spontaneamente l’attività stabilizzativa delle caviglia, favorendo quella dell’anca (meno efficiente…lo si capisce perchè si muove eccessivamente il busto); questo tipo di strategia è poco funzionale, ed incrementa drasticamente il costo energetico.
Per adottare una strategia maggiormente incentrata sulla stabilità della caviglia, è necessario quindi iniziare con discese che non inducano “timore” nell’affrontarle. Con il passare delle ripetizioni (e degli allenamenti) l’atleta si sentirà sempre più sicuro; questo avviene perché affrontando sempre gli stessi tratti, aumenterà la “confidenza” con le difficoltà del tracciato.
L’effetto, sarà quello di abituarsi ad utilizzare maggiormente la caviglia per stabilizzare il movimento, e di conseguenza adottare una locomozione più efficiente anche in competizione.
È quindi da ricordarsi come la tecnica di corsa utilizzata in discesa dipenda anche dal grado di timore con la quale viene affrontata; con questo non significa che si debba essere dei “braveheart” quando il sentiero scende, ma essere consapevoli che in allenamento è importante gestire i tracciati in maniera tale da trovare soluzioni che favoriscano la sicurezza di chi corre. In questo modo si instaurerà un circolo virtuoso che aiuterà il runner a migliorare progressivamente le proprie abilità da discesista.
Come organizzare la stagione ed individualizzare l’allenamento per la discesa
L’immagine a fianco è presa dal nostro articolo dedicato all’allenamento per il trail; nel contenuto in questione trovate i dettagli.
È quindi evidente come l’inserimento di discese tecniche nei lunghi possa avvenire con molta cautela e gradualità, già dalla fine del Periodo Generale (vedi lato sinistro della base della piramide).
Per quanto riguarda le “ripetute in discesa” è da attendere di aver sviluppato sufficienti livelli di stiffness tramite i lavori di velocità.
Nel nostro post dedicato all’individualizzazione dell’allenamento abbiamo visto come atleti dotati di maggiore forza muscolare (atleti “veloci”) si adattano prima ai lavori con discese (e sono tendenzialmente più performanti), ma si trovano a meno agio con le salite; per migliorare in salita potete leggere il nostro articolo specifico.
Esistono però runner che devono introdurre con maggiore gradualità le discese tecniche (sia nei lunghi, che con le ripetute in discesa); questo perché rischiano di andare maggiormente incontro ad affaticamenti (testimoniati dal “mal di gambe” dalle 24/48 ore successive). Solitamente sono runner con caratteristiche “resistenti”, perché dotati prevalentemente di fibre lente, e di conseguenza meno adatte alle contrazioni “veloci” della discesa. Anche le atlete soffrono maggiormente le discese, come tutti quei runner dotati di lassità legamentosa (il 10-20% circa del totale). Tutte queste categorie di podisti, oltre a dover introdurre le discese tecniche con più attenzione, dovrebbero lavorare con maggior enfasi sulla forza massima ad inizio stagione.
Una regola che comunque vale per tutti, è che se nelle 24/48 ore successive all’allenamento ho mal di gambe, allora significa che ho esagerato con le discese.
Discese ed accessori per il runner
Esistono accessori che permettono di essere più veloci in discesa?
Dalla revisione di Bontemps et al 2021 emerge il beneficio degli indumenti compressivi per ridurre le vibrazioni muscolari durante i tratti in discesa.
In particolar modo nello studio di Ehrstrom et al 2018 fu visto come indossare indumenti compressivi (cosce e polpacci) riducesse gli effetti della fatica durante la corsa e del dolore muscolare nel giorno successivo.
È da far notare che nello studio non vennero utilizzati solamente delle calze, ma anche degli scaldamuscoli per le cosce, che sono i gruppi muscolari che maggiormente risentono delle contrazioni muscolari in discesa. Potete approfondire quali siano i prodotti migliori leggendo il nostro articolo sugli indumenti compressivi per il runner. È ragionevole ipotizzare come siano soprattutto i podisti over 40 a beneficiarne.
Altri approfondimenti sono stati fatte sul tipo di calzature; fermo restando che per i trail sono necessarie scarpe con un battistrada e stabilità adeguate alla tipologia di tracciato, emergono comunque indicazioni interessanti da studi e ricerche. Chan et al 2018 dimostrarono come scarpe maximaliste (cioè con ammortizzazione superiore alla norma) incrementassero l’impatto del carico esterno rispetto a delle scarpe con normale ammortizzazione; questo potrebbe incrementare il rischio di infortuni.
Non solo, scarpe con drop inferiore (4 mm) furono in grado di migliorare (del 3%) il tempo di percorrenza di una discesa di 800m al -25% in runner esperti, rispetto all’utilizzo di calzature con drop di 8 mm (Defer et al 2020).
Altro accessorio (magari meno conosciuto) che può aiutare in discesa sono le solette Noene; queste sono in grado di ridurre significativamente le vibrazioni muscolari. Quello che è importante sapere, è che la riduzione delle vibrazioni è efficace solo se queste sono eccessive; per chi ha un livello di vibrazioni “fisiologico” questo prodotto potrebbe avere effetti deleteri nei confronti dell’efficienza di corsa (in particolar modo in pianura). Potete approfondire l’argomento nel nostro post dedicato alle vibrazioni ed oscillazioni muscolari.
Se invece siete alla ricerca della scarpa da running ideale per le vostre caratteristiche, potete scaricare gratuitamente la nostra guida gratuita nel canale Telegram dedicato alla corsa.
Ultima raccomandazione riguardate gli accessori la facciamo per le cinture e gli zaini porta-borraccia; questi devono essere di altissima qualità per garantire un ottimo “ancoraggio” al corpo ed evitare “sballottamenti” che inducano disagio nel correre.
Quindi devono essere ben fissati al corpo (da provare sempre prima in allenamento); tra le tante buone soluzioni, consigliamo la cintura Pulse Belt e lo zaino portaborraccia della Salomon rappresentano probabilmente il top (è sufficiente valutare la votazione degli utenti su amazon).
Conclusioni e riassunto finale
Correre in discesa è sempre stata ritenuta “un’arte”, ed in parte è così; significa che ottenere dei miglioramenti in discesa è più difficile rispetto ad ottenere dei progressi in piano o in salita.
Ma con le conoscenze attuali, è possibile colmare le proprie lacune anche per chi non è propriamente un discesista.
Serve però conoscere gli stimoli allenanti che consentono di colmare questo tipo di lacune, ed introdurle con estrema gradualità nel proprio allenamento, sin da inizio stagione.
Spero che questo articolo abbia contribuito ad incrementare le conoscenze metodologiche di chi vuole migliorarsi; se vi è piaciuto il contenuto e volete rimanere in contatto con le mie pubblicazioni, consiglio di collegarvi al canale Telegram mistermanager_running, nel quale troverete anche contenuti in anteprima ed esclusivi per i soli iscritti al canale. In più, gratuitamente, potrete scaricare la guida alla scelta delle scarpe da running.
Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.