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  1. Allenamento funzionale: prevenzione, potenziamento o riabilitazione?

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    Il concetto di “funzionalità” è ormai entrato nella terminologia e nella metodologia dell’allenamento contemporaneo. Ma quello che è necessario evitare, è il generalizzare l’inserimento dell’allenamento funzionale senza considerare il contesto.

    Mi spiego meglio: nel nostro articolo introduttivo abbiamo visto come sia necessaria una progressività esecutiva dei movimenti e delle caratteristiche del carico affinchè lo stimolo allenante sia efficace nel tempo. Il punto di partenza “comune”, deve poi essere direzionato verso gli obiettivi e la caratteristica degli atleti che abbiamo di fronte; in assenza di questa direzionalità, l’allenamento perde la propria efficacia.

    Il primo testo che lessi sull’argomento fu quello di Alberto Andorlini, probabilmente il libro che meglio rende l’idea di cosa sia l’allenamento funzionale. Quello che immediatamente mi affascinò, fu la possibilità di incrementare il carico ed il reclutamento delle fibre muscolari aumentando la difficoltà dell’esercitazione, senza la necessità di utilizzare i pesi tipici che si trovano in palestra; questo permette di effettuare carichi di forza con piccoli attrezzi, senza la necessità di andare in sala pesi.

    Infatti, ad esempio, se lo stimolo biologico principale per il miglioramento della forza massima è dato da ripetizioni ad impegno molto elevato e dalla durata di almeno 07-0.8” (Colli 2012), questo è possibile ottenerlo anche incrementando la difficoltà dell’esercitazione e non necessariamente con l’utilizzo di pesi elevati. Ma facciamo un esempio con lo squat per capirci meglio.

    Per effettuare un back squat con bilanciere con carichi orientati allo sviluppo della forza massima (serie di 4-6 ripetizioni), è necessario familiarizzare adeguatamente con il movimento (per gestire il carico sulle articolazioni e sulla colonna), farsi seguire da personale qualificato in grado di rilevare il massimale, utilizzare un peso considerevole (richiedendo assistenza) ed avere a disposizione l’attrezzatura di una sala pesi. Questo ci fa capire come, per motivi logistici e di tempo, sia difficilmente applicabile per la maggior parte degli atleti.

    Eseguendo uno squat monopodalico invece (cioè sfruttando il principio della funzionalità), è possibile utilizzare un carico estremamente inferiore (Colli 2012); non solo, sfruttando angoli articolari meno favorevoli sarà possibile utilizzare una porzione particolarmente elevata del proprio massimale senza l’aggiunta di carichi esterni.

    È ovvio che anche l’esecuzione dello squat monopodalico richiede l’aiuto di personale qualificato per l’apprendimento, ma non necessità dell’attrezzatura della sala pesi, si impara più velocemente e si riduce fortemente il rischio di problematiche alla colonna dovuto all’utilizzo di pesi elevati.

    Non solo, lo squat monopodalico è anche più specifico per molte discipline, visto che la corsa e gli spostamenti in molte discipline (come negli sport di squadra) sono di natura monopodalica; in più, l’aggiunta di eventuali sovraccarichi come manubri e kettlebell non va a sovraccaricare la colonna.

    Anche le varianti possibili possono indirizzare maggiormente lo sforzo verso una catena cinetica piuttosto che l’altra; ad esempio, mantenendo un peso nella mano controlaterale alla gamba in appoggio, sarà possibile far lavorare maggiormente i glutei (soprattutto il gluteo medio) e i muscoli che sostengono l’arcata plantare. Mentre, tenendo il peso solamente nella mano corrispondente alla gamba in appoggio, lavorerà principalmente la porzione mediale del quadricipite.

    Anche la propedeutica dello squat monopodalico è più semplice, in quanto viene effettuata solitamente con il solo sforzo eccentrico, quindi già particolarmente efficace per lo sviluppo della forza.

    Differenze tra lo squat classico e quello monopodalico in funzione dell’allenamento della Forza massima

    Una volta ribadita l’importanza della conoscenza dei movimenti funzionali, è necessario comprendere le differenze ed i punti in comune quando si tratta di applicarli al contesto (performance, prevenzione e riabilitazione) ed al gruppo di sportivi di riferimento. Infatti, il rischio è quello di eseguire progressioni allenanti che non siano completamente aderenti allo scopo prefisso, considerando l’allenamento funzionale come qualcosa di efficace a priori, senza adattarlo alla situazione.

    In questo post andremo a vedere come indirizzare le progressioni verso lo scopo prefissato, considerando il contesto di riferimento; non solo, alla fine potrete trovare anche gli approfondimenti per una corretta applicazione alla preparazione atletica nel calcio, in riferimento alla performance ed alla prevenzione infortuni.

    Performance, prevenzione o riabilitazione?

    Nella figura sotto, è possibile vedere un’immagine semplificata di quanto introdotto sopra, evidenziando come ogni obiettivo abbia elementi in comune e diversificati rispetto all’altro. Ma andiamo ora ad approfondire i concetti.

    Possiamo considerare l’allenamento funzionale finalizzato alla performance come la “ricerca dell’esaltazione della funzione”, nell’ambito preventivo come “l’evitare disfunzioni” e in quello riabilitativo come il “curare una disfunzione”.

    Prima di andare a vedere queste 3 differenze più nel dettaglio (e gli eventuali punti in comune), mi preme un’importante precisazione; anche se si parla di obiettivi e di progressioni esecutive, è fondamentale che l’atleta impari correttamente i movimenti che deve effettuare. Senza questo importante presupposto, qualsiasi tipo di intervento metodologico rischia di essere inefficace, se non addirittura deleterio; questo vale in particolar modo quando si prescrivono movimenti da fare in autonomia (come a casa) o quando si lavora in contemporanea con tanti atleti.

    In questi casi, è sempre necessario assicurarsi della corretta esecuzione dei movimenti funzionali prima di passare allo step successivo; questo non solo consentirà un allenamento più efficace, ma permetterà agli atleti di percepire con maggiori facilità eventuali asimmetrie ed anomalie posturali, per integrare un eventuale intervento correttivo.

    Performance come “esaltazione della funzione”

    L’allenamento funzionale in virtù della performance deve garantire principalmente sostegno e transfert; ma cosa significa?

    Per “sostegno” si intende lo sviluppo di tutte quelle abilità generali che permettono all’atleta di realizzare le proprie potenzialità dal versante biomeccanico; alcuni semplificano questo concetto con il termine “atletismo”, il quale forse rende meglio l’idea.

    La capacità di indirizzare correttamente le direzioni di forza degli schemi motori di base (e della disciplina praticata), con un’intensità e durata tale da ottenere il miglior rendimento, è lo scopo dell’allenamento funzionale in funzione della performance.

    Considerando che il sistema nervoso centrale riconosce i movimenti e non i singoli muscoli, è quindi fondamentale che i gesti si avvicinino il più possibile a quello che l’atleta effettua nella sua disciplina, utilizzando i movimenti funzionali come “veicoli” all’interno delle progressioni allenanti.

    Rappresentazione (modificata) dei movimenti funzionali

    Entriamo quindi nel concetto di “transfert”, cioè la possibilità di trasferire con l’allenamento specifico della disciplina, il supporto offerto dall’allenamento funzionale. Considerando la complessità del movimento (invece di utilizzare un approccio riduzionista) è ovvio che solamente l’utilizzo di determinati movimenti (e derivati) come lo squat, lo stacco, l’affondo, ecc. (vedi immagine sopra) possano garantire un transfert ideale. È poi ovvio che le varianti delle progressioni dei vari step, dovranno essere individualizzati in base alle caratteristiche del soggetto e della disciplina. Potete trovare alcuni esempi nel nostro articolo dedicato agli step dell’allenamento funzionale.

    Quello che è importante comprendere, è che se lo scopo è la performance e non sono presenti anomalie posturali, è particolarmente importante la specificità degli stimoli.

    Ma facciamo un esempio: per un runner che deve migliorare la propria forza muscolare specifica, i lavori con le salite (in forma continua o di ripetute) sono sicuramente i mezzi allenanti più adeguati; l’utilizzo di altri protocolli può risultare utile solamente se individualmente sono riscontrate lacune (come particolari carenze di forza in alcuni distretti, asimmetrie, ecc.) o generici fattori che portano alla necessità di effettuare specifici interventi in determinate popolazioni di atleti (vedi sotto “Potenziamento preventivo e/o individualizzato”).

    Se invece l’obiettivo è quello di migliorare la stiffness, il salto della corda rappresenta sicuramente il metodo più funzionale, dimostrato anche nello studio di Garcia-Pinillos et al 2020.

    Protocollo (adattato) tratto dallo studio di Garcia-Pinillos et al 2020. Clicca sull’immagine per ingrandire.

    Potete trovare un approfondimento nel rapporto tra stiffness, forza massima ed allenamento funzionale nel nostro articolo specifico.

    Ma facciamo ora l’esempio di approcci non proprio corretti, come l’utilizzo di superfici instabili (come bosu o tavole propriocettive) in discipline come il calcio; queste hanno poco senso se utilizzate ai fini della prestazione. Infatti, nel calcio la destabilizzazione dell’equilibrio avviene nei cambi di direzione complessi ed intensi, oltre che nei contrasti; in altre parole, l’instabilità della superficie non è una variabile discriminante dell’equilibrio nel calcio.

    In questi contesti, le superfici instabili troverebbero la loro utilità solamente per quei calciatori che hanno problematiche all’articolazione delle caviglie o al ginocchio; ma in questi casi, l’utilizzo di determinate superfici sarebbero parte di un protocollo riabilitativo o preventivo, a non finalizzato alla performance.

    Anche i protocolli di allungamento (finalizzati all’atletismo) dovrebbero essere il più possibile funzionale, infatti si parla di Allungamento funzionale e non di stretching.

    Potenziamento preventivo o individualizzato

    Come potete vedere dall’immagine sotto, questo approccio lo possiamo considerare in comune tra la parte riguardante la performance e la prevenzione. In sostanza, si tratta di lavorare con un “approccio preventivo” anche in assenza di problematiche (posturali, asimmetrie, ecc.) nei contesti in cui viene riconosciuto, per particolari variabili, un rischio di infortuni (o di sottoprestazione) individuale o di una popolazione di atleti; il tutto per migliorare pattern di movimento o ridurre il rischio di infortuni.

    Sostanzialmente questo approccio aiuta ad evitare che la ricerca della prestazione non vada a “disturbare” l’atletismo generale dell’atleta, incrementando il rischio di infortuni. Ma vediamo sotto alcuni esempi per essere più chiari.

    Il rischio di accorciamento del muscolo ileo-psoas è particolarmente frequente nel calcio; da come possiamo leggere in questo articolo di Paolo Terziotti, questo può portare ad un’antiversione del bacino che può essere causa di infortuni o problematiche agli adduttori o alla schiena. Quindi per un calciatore, anche in assenza di fattori di rischio di partenza, è importante mantenere durante la stagione un corretto grado di allungamento preventivo di questo muscolo. Stesso discorso vale per gli altri muscoli (come gli ischiocrurali) che possono andare incontro ad accorciamento e tutte quelle catene muscolari che possono andare incontro ad asimmetrie legate alla lateralità della disciplina.

    Cambiando disciplina e passando al running, è stato visto come l’indebolimento a cui va incontro il core in gara (soprattutto quelle più lunghe), possa essere causa di un incremento dello stato di fatica (con ripercussioni sulla performance) negli ultimi Km; di conseguenza, anche in assenza di problematiche o ipotonie muscolari, un adeguato allenamento del core è in grado di prevenire questo fenomeno, anche migliorando quella che è la percezione della fatica per tuta la gara. È comunque ovvio, che tale approccio debba tenere in considerazione le catene che più di altre possono andare incontro a fatica e lo sviluppo della forza orizzontale; potete approfondire l’argomento leggendo il nostro articolo dedicato all’allenamento del core per il runner.

    Finiamo con un esempio trasversale, cioè l’utilizzo dello squat monopodalico eccentrico per prevenire il DOMS (o genericamente il “mal di gambe”) alla catena estensoria; potete trovare una descrizione in questo video di Roberto Colli. Come si vede dal video, questo approccio può essere utile sia nel calcio (soprattutto ad inizio preparazione), sia nel running, per incrementare i livelli di forza eccentrica allo scopo di migliorare in discesa.

    Prevenzione come “evitare disfunzioni”

    Passiamo ora alla prevenzione vera e propria, che a mio parere si esegue nel miglior modo tramite l’approccio dell’Esercizio correttivo®; queste prevede un approccio tramite 3 step:

    • Valutazione posturale dell’atleta e dei movimenti: senza una valutazione che permetta di comprendere “anomalie”, è impossibile identificare i punti su cui effettuare la prevenzione.
    • Lavoro analitico: questo prevede di andare ad agire sulla catena (o anche sull’anello della catena) su cui è stata indentificata l’anomalia.
    • Lavoro di integrazione: questa fase (successiva a quella precedente) permette di far riacquisire il corretto atletismo ed i pattern motori della disciplina praticata.

    Ma andiamo a vedere nel dettaglio queste 3 fasi.

    Valutazione posturale dell’atleta e dei movimenti

    L’ideale è effettuare questo approccio in collaborazione tra chi si occupa della preparazione e personale fisioterapico (meglio se osteopata), oltre all’eventuale supervisione di personale medico (ortopedico o fisiatra); ancor meglio se ci si avvale di un esperto in biomeccanica. È importante non valutare solamente la postura statica, ma utilizzare anche test dinamici per individuare problematiche che non vengono evidenziate staticamente. Non mi dilungo ulteriormente su questo aspetto, perché richiederebbe diverso tempo; per approfondire i test posturali consiglio il testo Esercizio Correttivo® (di Luca Russo e coll) mentre per chi volesse approfondire la valutazione biomeccanica, consiglio il corso online di Biomeccanica di Mauro Testa. Per chi vuole invece approfondire la biomeccanica in un campo specifico come il calcio, consigliamo Biomeccanica nel calcio dello stesso autore.

    Lavoro analitico

    Questo tipo di approccio prende spunto dalla Teoria dell’anello debole (detto anche Paradosso dell’allenamento funzionale). Una volta indentificato l’anomalia posturale (o biomeccanica) si agisce sulla catena cinetica alla quale è riconosciuta la causa di tale problematica, o addirittura su un singolo anello della catena (come può essere un solo gruppo muscolare). L’obiettivo, ad esempio, può essere il rinforzo muscolare, oppure la ripresa di un corretto range of motion (quando sono presenti rigidità), il lavoro sull’elasticità, sulla stabilità, ecc.

    In questa fase, non necessariamente vengono utilizzati gesti motori monoarticolari, ma viene data la precedenza alla categoria dei movimenti funzionali di base (come quelli da decubito), oppure le varianti più semplici degli altri movimenti; questo affinchè l’intervento vada a colmare l’anomalia che genera la problematica.

    Ad esempio, se l’atleta ha una scarsa forza dei muscoli plantari (condizione frequente nei runner che utilizzano scarpe troppo ammortizzate), l’intervento analitico sarà mirato proprio allo sviluppo della sensibilità della volta, ed al rinforzo di tutti quei muscoli che permettono un appoggio del piede stabile ed efficace, a tal punto di permettere la massima riutilizzazione elastica della catena estensoria.

    Se invece si considera un calciatore con instabilità al ginocchio, l’obiettivo analitico potrà essere quello di far lavorare la muscolatura estensoria e flessoria in condizioni di equilibrio instabile.

    Lavoro di integrazione

    Si procede a questa fase quando l’anomalia individuata è considerata risolta; l’obiettivo è quello di restituire la giusta coordinazione ed efficienza dei movimenti, in funzione degli schemi motori di base e della gestualità specifica della disciplina. Accanto ai movimenti funzionali sarà importante anche effettuare un’ampia gamma di esercitazioni di rapidità coordinativa (vedi qui un esempio riferito al calcio), al fine di permettere all’atleta di allenarsi con il giusto grado di atletismo.

    Esercitazioni di rapidità coordinativa per il calcio; utili anche come “Lavoro di integrazione”

    Ma attenzione, la sottovalutazione di questa fase (cosa che purtroppo accade spesso) può portare a frequenti recidive; infatti, solitamente viene ricercata l’immediata ripresa della condizione in funzione della partecipazione alle competizioni non appena l’atleta non sente più fastidio o dolore.

    Ma può accadere che un infortunio o solo un fastidio, tendano a far assumere posture o movimenti in grado di modificare quello che è l’equilibrio dei riflessi motori, cioè quelli facilitatori e quelli inibitori; senza addentrarci eccessivamente in quella che è la fisiologia del sistema nervoso, è opportuno sapere che la contrazione muscolare può essere “facilitata” grazie all’attività dei motoneuroni gamma, che aumentano sensibilità/eccitabilità in base alla difficoltà del gesto motorio; vengono attivati quando si percepisce una maggiore difficoltà nell’eseguire il movimento. È questo il motivo per il quale, aumentando la complessità e la difficoltà del movimento (anche con carichi molto leggeri), è possibile allenare efficacemente la forza.

    Accanto alla loro funzione eccitatorie, esiste anche l’attività inibitoria dei GTO (Organi Tendinei del Golgi), in grado di inibire la contrazione quando il tendine è sottoposto ad eccessive tensioni. Altro elemento che ha effetti inibitori sono gli interneroni di Renshaw, interneuroni in grado di ridurre l’attività muscolare grazie ad un fenomeno di feedback negativo. Come spesso descritto da Sergio Rossi su linkedin, questi interneuroni, possono incrementare la loro attività a causa di un infortunio o di posture/movimenti errati dovuti a fastidi/dolori.

    La conseguenza, è che anche se guariti e ripristinati i livelli di forza delle catene, la loro attività può rimanere elevata al livello del sistema nervoso, influenzando il movimento della muscolatura coinvolta in un determinato movimento (solitamente accade a livello di un emilato).

    In questi casi, un’eccessiva attività degli interneuroni di Renshaw tende ad inibire il comportamento elastico ed esplosivo della catena; la conseguenza, nel medio-lungo termine, potrebbe essere quella di dare origine ad anomalie biomeccaniche e asimmetrie che prima o poi possono sfociare in ulteriori infortuni.

    È questo il motivo per il quale a seguito di un infortunio, ne possono seguire altri, anche in zone anatomiche diverse da quella iniziale. In questi casi, è necessario eseguire un’ulteriore Valutazione dei movimenti anche in questa fase, in maniera tale da essere certi di una completa ripresa motoria dell’atleta ed evitare successivi infortuni o recidive.

    Movimento antalgico preventivo

    Esistono approcci terapeutici nei quali eseguire determinati movimenti in presenza di fastidio o minimo dolore, è considerata una situazione ordinaria; questo in parte contravviene alla logica della riabilitazione, che mette al centro della ripresa e della terapia l’eseguire i movimenti in assenza di fastidio o dolore.

    Ma facciamo un esempio per chiarire meglio una di queste condizioni: fino a 15-20 anni fa le tendinopatie al tendine d’achille erano dei veri e propri incubi per i runner, in quanto potevano lasciare l’atleta senza correre per diverse settimane o mesi. In quei casi, l’intervento era solitamente di natura conservativa (al limite con terapie per velocizzare la scomparsa dei sintomi), seguito da una ripresa graduale; nonostante questo era possibile (e per alcuni runner frequentemente) andare incontro a recidive.

    Addirittura, 30-40 anni fa le case produttrici di scarpe da running iniziarono ad alzare il drop (cioè il dislivello tacco-punta) con la convinzione che ciò potesse ridurre il rischio di questi infortuni; di fatto, gli infortuni proseguirono, in quanto quella non era certamente la soluzione ideale per ridurre l’incidenza delle tendinopatie (guarda questo video se vuoi sapere come scegliere correttamente una scarpa da running).

    Ma la svolta all’approccio alle tendinopatie avvenne nel 1998 con la ricerca di Alfredson et al; nello studio, runner con diversi gradi di tendinopatia furono sottoposti ad esercizi eccentrici per la muscolatura dei polpacci. Caratteristica peculiare, fu che veniva richiesto di esercitarsi nelle fasi iniziali anche in condizione di fastidio o leggero dolore; riporto sotto la frase presa dalla pagina 4 della ricerca:

    The patients were told to go ahead with the exercise even if they experienced pain

    Quello che era importante, era evitare affaticamenti al muscolo; per questo, gli esercizi venivano somministrati in 3 momenti della giornata in singole serie.

    Gli effetti positivi di questo approccio scaturirono in ulteriori studi ed approfondimenti; infatti, dal 1998 al 2020 si possono contare fino a 53 ricerche sull’argomento. Ovviamente gli studi successivi portarono a perfezionare il protocollo, testimoniando come non solamente gli sforzi di natura eccentrica fossero efficaci nel trattamento (Beyer et al 2015).

    Quello che si è compreso, è che la tendinopatia all’achilleo, non è da considerare una problematica che coinvolge solo il tendine, ma tutta l’unità muscolo-tendinea, in relazione alla forza e all’elasticità che questa riesce a produrre. Non a caso, nello studio di Magusson ed al 2019, gli autori conclusero che anche la rimozione del carico meccanico sul tendine (cioè il solo approccio conservativo) fosse causa della riduzione della produzione di collagene e della disorganizzazione delle fibre.

    Per questo motivo, questo tipo di approccio può essere positivo anche se nella fase iniziale viene sperimentato fastidio o leggero dolore alla struttura interessata; non è da escludere (anche se manca un numero di studi sufficiente), che questo metodo possa essere efficace anche nel trattamento di altri tipi di tendinopatia ad altre strutture corporee.

    Quello che è importante, è il non effettuare un approccio “fai da te”, ma seguire le indicazioni di personale qualificato (fisioterapista o personale medico), in quanto il carico deve comunque essere individualizzato, cioè applicato in relazione alla gravità della patologia e diluito in più momenti della giornata per evitare affaticamenti eccessivi all’unità muscolo tendinea.

    Tutto questo per dimostrare come un approccio antalgico preventivo, possa essere considerata un criterio che ha in sé sia componenti relative alla riabilitazione che alla prevenzione.

    Riabilitazione come “curare una disfunzione”

    La riabilitazione prevede tutte quelle fasi in cui si favorisce il processo di guarigione e la successiva funzionalità motoria dell’atleta; è ovvio che più figure professionali prendono parte a questa fase, dal medico (ortopedico o fisiatra) al fisioterapista ed infine al preparatore atletico.

    Il fine ultimo di questa fase è quella di ridonare all’atleta il pieno atletismo e controllo del movimento, in funzione della successiva ripresa dell’allenamento specifico della disciplina.

    Quello che è importante, è come debba essere in primis il personale medico (al limite in accordo con le altre figure) a decidere e dettare i tempi della riabilitazione.

    Non mi dilungo ulteriormente per quanto riguarda questo ambito, in quanto è specifico in base al tipo di infortunio considerato ed altamente individualizzato in base all’atleta. Nella pagina di Performance Lab dedicata al recupero funzionale, potete trovare diversi approfondimenti.

    Conclusioni ed approfondimenti

    L’approccio funzionale al movimento facilita il processo di miglioramento della performance in quanto tiene in considerazione l’intera complessità dei gesti motori; consente di avere una visione globale e non riduzionistica del movimento. Per semplificare, tiene in considerazione la relazione tra le varie catene cinetiche, e non la singola somma degli effetti di ognuna. Questo permette di indirizzare lo stimolo allenante in direzione di rendere la performance efficace ed efficiente. Per approfondire al meglio l’allenamento funzionale consiglio il testo di Alberto Andorlini.

    Ma quello che è importante comprendere, è che a volte è comunque necessario un approccio più riduzionista, cioè in tutti quei casi in cui si identificano anomalie e carenze dovute ad una catena o ad un anello di essa; in questi casi, tipici dell’Esercizio Correttivo®, è necessario avere un approccio più analitico, per poi integrarlo, ritornando all’aspetto globale della funzionalità del movimento. È il caso di quando si tratta il gesto motorio non come performance, ma come prevenzione o riabilitazione. Per approfondire, consiglio il testo Esercizio Correttivo® di Luca Russo e colleghi.

    Per chi volesse invece approfondire questi argomenti in relazione alla preparazione atletica nel calcio, consigliamo il webinar Catene Miofasciali ed Allenamento di Marco Giovannelli.

    Puoi accedere a questo ed altri Webinar sottoscrivendo uno dei piani d’abbonamento mensili ed annuali a Performance Lab (garanzia 14 giorni). Applicando il Codice Promozionale MISTERMANAGER al momento dell’acquisto, avrai lo sconto del 10%.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  2. La scienza e l’arte dell’allenamento intermittente

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    La scoperta delle risposte fisiologiche all’allenamento intermittente risale a circa 60 anni fa, con le 2 pubblicazioni del 1960 di Astrand e colleghi (Astrand et al 1960a e Astrand et al 1960b). Ma il metodo d’allenamento ad intervalli compare nella metodologia d’allenamento già dagli anni ‘40.

    Tutt’oggi, malgrado l’elevato numero di ricerche disponibili sul metodo, poco si è fatto per andare incontro all’esigenza di chi sul campo prepara gli atleti, soprattutto in una disciplina come l’atletica leggera. È il classico “gap” (divario) che esiste anche in altri sport tra “la teoria e la pratica”.

    In questo articolo, spiegheremo i motivi di questo gap, partendo dalle fondamenta fisiologiche di questo approccio, per poi comprende le differenza significative con gli altri metodi, per arrivare infine a conclusioni che siano in grado di fornire indicazioni pratiche per il suo utilizzo, sia in sport di endurance che per sport di squadra.

    Ma cerchiamo di fare una prima distinzione di natura terminologica; ad oggi, tutti gli allenamenti in cui si alternano intensità elevate ad intensità molto basse (o pause da fermo), fanno parte della famiglia degli allenamenti intervallati. Questi, in ambito sperimentale sono anche definiti HIIT (Hight Intensity Interval Training); all’interno di questa famiglia appartengono altre sottofamiglie come le ripetute, lo speed endurance ed il metodo Intermittente.

    Ciò che rende unico l’allenamento Intermittente (se effettuato correttamente), è la capacità di far lavorare l’atleta ad intensità fisiologiche molto elevate con livelli di fatica muscolare inferiore rispetto agli altri metodi intervallati; questo consente di effettuare volumi allenanti superiori ad intensità fisiologiche elevate.

    Fondamenta teoriche dell’allenamento intermittente

    Sotto è rappresentato un grafico che ha fatto la storia dell’allenamento Intermittente, tratta dal secondo studio di Astrand et al 1960; le scritte sono in spagnolo perché è tratta dalla pubblicazione di Casas 2008.

    Figura 1: immagine tratta da Casas 2008; Journal of Human Sport and Exercise online.

    L’immagine è molto più semplice di quanto si possa immaginare e dimostra il fattore chiave dell’utilizzo dell’allenamento intermittente. Sostanzialmente vengono raffigurate le concentrazioni lattato (asse verticale) in risposta a 3 tipi di protocolli al cicloergometro. Ogni protocollo utilizzava un rapporto 1/2 tra fase attiva e pausa; in altre parole, in tutti e 3 i casi la fase attiva (trabajo) durava la metà della fase di pausa. Altro elemento in comune era la potenza della fase attiva, che in tutti i protocolli era di 413w, un’intensità che i soggetti riuscirebbero, di continuo (senza pause), a produrre solamente per 3’ (tempo di esaurimento). La pausa era passiva, cioè non si produceva alcuno sforzo.

    L’unica differenza era la durata delle varie fasi; cioè mantenendo il rapporto sempre 1/2, nel protocollo indicato con la freccia verde le varie fasi erano di 60/120” (60” di pedalata a 413w e 120” di recupero passivo), quello con la freccia rossa di 30/60” e quello con la freccia blu 10/20”.

    In sostanza, in tutti e 3 i casi il lavoro totale prodotto era lo stesso (si pedalava attivamente per 10’ dei 30’ del totale), ma cambiava solamente la durata delle varie fasi. Il risultato principale, fu che minore era la durata delle fasi e minore era il lattato accumulato nel sangue.

    Ormai è risaputo che il lattato presente nel sangue, è la risultante tra la produzione lo smaltimento dello stesso. Di conseguenza minori concentrazioni indicano come l’attivazione della glicogenolisi/glicolisi abbia avuto un peso inferiore nella produzione di energia; questo sta ad indicare come il grado di affaticamento a cui è arrivato il muscolo nel protocollo 10/20” (freccia blu), è con tutta probabilità inferiore rispetto agli altri 2 protocolli; non a caso è possibile vedere come nel 60/120” la media dei soggetti testati non sia riuscito ad arrivare fino alla fine dei 30’ del protocollo (la linea si interrompe prima).

    Ora, le evidenze sperimentali di questi ultimi anni ci hanno permesso di capire che il lattato non è la causa diretta della fatica, ma è “testimone” di un’elevata attivazione della glicogenolisi/glicolisi e di uno scarso smaltimento del lattato, situazioni in cui l’organismo va incontro a fatica; puoi approfondire leggendo l’articolo sullo shunt del glicogeno.

    La prima conclusione a cui possiamo giungere, è che con fasi di durata inferiore, il livello di affaticamento muscolare è minore, e di conseguenza è possibile sostenere quell’intensità per un periodo prolungato, con un effetto allenante presumibilmente maggiore.

    Una volta stabilito questo primo punto importante, è interessante approfondire quello che è emerso nei successivi 60 anni di bibliografia internazionale, al fine di comprendere quali possano essere i protocolli più efficaci all’atto pratico. Ma prima, rispondiamo ad una domanda molto importante.

    Perché quando le fasi sono più corte, la concentrazione di lattato è inferiore?

    La risposta a questa domanda è il fattore chiave per comprendere l’efficacia dell’allenamento Intermittente. Cominciamo, come nel paragrafo precedente, con una figura presa sempre dalla pubblicazione di Casas 2008, che raffigura un’immagine tratta dalla seconda ricerca di Astrand et al 1960.

    Non fatevi spaventare, è molto più semplice di quanto si possa immaginare. Nella parte sinistra della figura viene riportato l’ossigeno necessario per soddisfare la produzione di energia nel protocollo in cui la fase attiva è più breve (10”), mentre nella parte destra l’ossigeno necessario per il protocollo con la fase attiva più lunga (60”). Non a caso, l’ossigeno necessario del protocollo di 60” è 6 volte maggiore, cioè 5.4 litri contro i 0.9 del protocollo della fase di 10” (cerchiolini rossi e blu).

    Figura 2: immagine tratta da Casas 2008; Journal of Human Sport and Exercise online.

    Andando a vedere nel dettaglio la parte di sinistra, dei 0.9 litri di ossigeno necessari, 0.47 provengono dall’ossigeno trasportato dal torrente ematico (parte del grafico con linee orizzontali), 0.43 dalla mioglobina (parte “a quadretti”) e soli 0.043  per il TMB (metabolismo basale, che è sempre costante nell’unità di tempo, quindi ininfluente nei nostri calcoli).

    La mioglobina non è altro che una proteina globulare presente nella cellula che funziona da “riserva di ossigeno”; semplificando, accumula ossigeno all’interno della cella muscolare nei momenti in cui questa non lavora a regimi elevati, per poi cederla alla cellula (ai mitocondri) quando l’intensità è elevata. In media, l’intera quantità di mioglobina presente nei muscoli coinvolti nel protocollo di Astrand era in grado di legare 0.43 litri di ossigeno. In sostanza, durante le fasi attive di 10” una parte dell’ossigeno necessario proveniva dalla circolazione e una parte veniva ceduto dalla mioglobina; durante le fasi passive (20”) la mioglobina si “ricaricava” di ossigeno.

    Nella parte destra dell’immagine invece, è raffigurato l’ossigeno necessario per il protocollo con fase attiva di 60”. Anche questo caso, circa la metà dell’ossigeno necessario proviene dal torrente ematico (parte con righe orizzontali), mentre 0.43 l dalla mioglobina, cioè lo stesso valore fornito per lo “sforzo” dei 10”; questo avviene perché la capacità delle cellule muscolari (coinvolte nell’esercizio) di incamerare ossigeno nella mioglobina è limitata a quella quantità di 0.43 litri, che si ricarica solamente durante le fasi di pausa (o di intensità più bassa).

    Questo, significa che l’ossigeno presente dalla cellula (che serve per il metabolismo aerobico) non sarà sufficiente a soddisfare l’intera produzione di ATP del protocollo di 60”, per questo motivo la cellula dovrà ricorrere al metabolismo anaerobico. In sostanza, l’equivalente energetico di 1.91 litri di ossigeno (vedi riquadro rosso dell’immagine) dovrà essere fornito dal metabolismo anaerobico, causando un “debito d’ossigeno”. Debito d’ossigeno che sarà ripagato nella fase passiva dell’esercizio; se il debito accumulato sarà eccessivo (cioè superiore a quello che può essere ripagato durante la fase passiva), la cellula muscolare andrà prima o poi incontro a fatica, cioè non riuscirà più a produrre la potenza desiderata. Ciò si evidenzia (vedi figura 1 in alto) da un accumulo di lattato nel sangue.

    Questo è il motivo per il quale intervalli più brevi sono maggiormente tollerati dalla cellula muscolare; in questi casi non si forma debito d’ossigeno (o si forma in modo minore) perché i 0.43 litri accumulati nella mioglobina riescono a supplire l’ossigeno necessario insieme a quello proveniente dalla circolazione per lo svolgimento della fase attiva.

    Questo è il fulcro dell’efficacia del metodo intermittente, cioè la capacità (con brevi intervalli) di riuscire a tollerare carichi di lavoro prolungati ad una certa intensità, rispetto ad intervalli più lunghi.

    Non solo mioglobina: il ruolo della fosfocreatina

    Quella descritta sopra rappresenta ovviamente una semplificazione, seppur molto funzionale, di quello che accade nella cellula muscolare durante l’allenamento intermittente. Un ulteriore precisazione (che comunque non cambia la sostanza di quanto espresso sopra) è necessaria (Colli 2016); infatti, chi ha studiato fisiologia dello sport, si ricorderà che ad ogni incremento dell’intensità dell’esercizio si genera necessariamente un debito d’ossigeno, anche se lo sforzo è di breve entità (come 10”).

    Come detto sopra, il debito d’ossigeno determina l’attivazione dei 2 metabolismi anaerobici, quello alattacido (sistema della fosfocreatina) e quello lattacido (quello della glicogenolisi/glicolisi); non mi dilungo sulle differenze, che potete comunque trovare nel nostro post dedicato ai metabolismi ed alla fatica.

    Semplificazione delle differenze tra il sistema della Fosfocreatina e la Glicogenolisi/Glicolisi

    Quello che è importante comprendere, è che se il debito non è eccessivo, il meccanismo della forsfocreatina (metabolismo anaerobico alattacido) riesce a fornire gran parte dell’energia necessaria per colmarlo; visto che allo stesso tempo questo debito viene ripagato abbastanza velocemente (per il ripristino della fosfocreatina è necessaria una sola reazione) durante la pausa, l’impatto sulla fatica sarà inferiore.

    In casi invece di debiti più significativi, si ricorrerà anche ad un’attivazione marcata della glicogenolisi/glicolisi (testimoniato da un aumento di lattato nel sangue) che avrà indiscutibilmente ripercussioni più evidenti nei confronti della fatica.

    Possiamo quindi concludere in via definitiva come il vantaggio dell’utilizzo di intervalli più brevi (allenamento Intermittente) permette di avere un’attività minore della glicogenolisi/glicolisi (grazie alla Mioglobina ed al sistema della fosfocreatina) e di conseguenza una minor incidenza della fatica, una maggior tolleranza allo sforzo e una capacità di effettuare un volume maggiore ad intensità elevata.

    Quali sono i vantaggi concreti in ambito metodologico dell’allenamento intermittente?

    (differenza con il metodo intervallato classico/ripetute)

    Il metodo ad intervalli è conosciuto sin dagli anni ‘40, e la sua efficacia deriva dal fatto di riuscire ad eseguire, ad elevata intensità (ritmo gara o leggermente superiore), un lavoro maggiore rispetto ad una ripetizione unica, proprio perché le pause (attive o passive) permettono una parziale ristorazione del metabolismo muscolare. Come abbiamo visto fino ad ora, l’allenamento Intermittente (cioè fasi più brevi) permette di ottenere ulteriori vantaggi in termini di prolungamento dello sforzo allenante, rispetto ad intervalli più lunghi.

    Ma facciamo un esempio concreto per chiarire al meglio i vantaggi derivanti da questo metodo; dalla bibliografia internazionale sappiamo che lavorando alla MPA (cioè Massima Potenza Aerobica; vedremo meglio nel prossimo capitolo cosa sia) un atleta riesce a mantenere questa intensità per una durata che va dai 4’ agli 11’. Utilizzando l’intermittente 15/15 (15” alla MPA e 15” di recupero passivo) un ciclista è in grado di svolgere 60/70’ totali di lavoro, pari a 30-35’ alla MPA (Casas 2008). Aumentando la durata degli intervalli (ad esempio di 2-3’), abbiamo visto che l’affaticamento muscolare non permetterebbe di effettuare un volume alla VAM paragonabile a quello ottenibile con l’intermittente.

    Non solo, nella figura a fianco potete vedere un possibile andamento della frequenza cardiaca in 2 protocolli in cui il rapporto tra la fase attiva/passiva è lo stesso (cioè 2/1), come le intensità (potenza) delle fasi; è evidente che malgrado ci si aspetti che il lavoro meccanico possa essere uguale, con gli intervalli più brevi il lavoro aerobico è maggiore, testimoniato da un maggior mantenimento della frequenza cardiaca a livelli considerati “allenanti” (riga blu tratteggiata). Questo per 2 motivi: il primo è che si verifica un minore debito di ossigeno di natura lattacida (abbiamo visto sopra i motivi), quindi c’è un maggiore sfruttamento del metabolismo ossidativo. Il secondo è che le continue accelerazioni dell’intermittente comportano sicuramente un lavoro più rilevante (anche se le potenze delle fasi attive sono le stesse), che deve essere ovviamente compensato con un consumo di ossigeno maggiore (e di conseguenza una frequenza cardiaca media superiore) rispetto all’allenamento con gli intervalli più lunghi (Bisciotti 2000).

    Ma la superiorità dell’intermittente (rispetto agli intervalli più lunghi) in termini allenanti è confermata da 2 pubblicazioni molto recenti che approfondiscono i risultati della stessa ricerca (Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020). A differenza degli studi precedenti, i 2 protocolli con intervalli differenti vennero confrontati in base agli effetti allenanti (cioè quello che interessa realmente a noi), chiedendo di effettuare ogni allenamento con il massimo impegno, cercando di portarlo a termine nel migliore dei modi. In altre parole, la fase passiva era “senza sforzo”, mentre la fase attiva veniva effettuata “a sensazione”.

    A pari percezione di fatica, l’allenamento con intervalli più brevi fu in grado di sviluppare una potenza media superiore del 13%, ma soprattutto un incremento statisticamente significativo (dopo 3 settimane) dei parametri che influenzano la performance, come la potenza media in una prova a cronometro di 20’ (+4%), la Massima potenza aerobica (+3.4%) ed un miglioramento dell’economia del gesto (1.8%). I pochi punti percentuali di miglioramento hanno un peso elevato, in considerazione del fatto che i soggetti testati erano ciclisti d’elitè; inoltre, nel protocollo con intervalli più lunghi, non si assistette a miglioramenti dei suddetti parametri della performance (vedi immagine sotto).

    Dati estrapolati dagli studi di Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020

    Il parametro più interessante da confrontare, a mio parere è il “Tempo >90% Vo2max” (vedi immagine sopra), che rappresenta quanto l’atleta passa a all’intensità che determina maggiori adattamenti (Arnold 2020); nell’Intermittente è nettamente superiore rispetto al protocollo con intervalli più lunghi (ripetute). Questo potrebbe essere uno dei motivi principali che testimonia la superiorità (in questo studio) del metodo ad intervalli più brevi.

    Riassumendo, le peculiarità (in base allo stato attuale delle evidenze) dell’intermittente (intervalli pari o inferiori ai 30”) rispetto a quelli con fasi più lunghe sarebbero:

    • Permette di stare ad un’intensità fisiologica allenante (Tempo > 90% del Vo2max) per un periodo di tempo superiore; è quindi lecito ipotizzare che l’impatto allenante sul potenziale ossidativo sia maggiore.
    • Le concentrazioni ematiche di lattato rimangono inferiori, a testimonianza di un probabile minor affaticamento muscolare a causa di una più bassa attivazione della glicogenolisi/glicolisi, ed un maggior utilizzo dei meccanismi ossidativi.
    • Si verificano un numero maggiore di accelerazioni/decelerazioni; questo potrebbe essere un vantaggio nel caso in cui la ricerca dell’effetto allenante sul potenziale ossidativo sia contestuale al fine del miglioramento della capacità di accelerazione (sport di squadra).
    • Ultimo aspetto di natura psicologica e per nulla trascurabile è l’impatto sulla fatica; il fatto di poter “rallentare” dopo ogni breve fase (ad esempio 30”) permette di rendere lo sforzo più tollerabile dal punto di vista mentale (a pari lavoro effettuato); inoltre il minor affaticamento muscolare (anche se accompagnato da un maggiore impegno respiratorio) consente all’atleta di dover attingere una minor riserva di attivazione neuromuscolare per lo sforzo.

    È sempre da preferire l’intermittente alle ripetute?

    La risposta è “NO!” e ne spiego brevemente i motivi. Ogni atleta è diverso dall’altro, e di conseguenza una soluzione allenante che può andare bene per la maggior parte degli atleti, non è detto che sia assolutamente la migliore per tutti.

    L’immagine a fianco è estremamente emblematica; presa dallo studio di sopra, indica il tempo passato oltre il 90% del Vo2max durante i 2 protocolli; le colonne, rappresentano la media dei risultati dei vari atleti, indicando la superiorità del protocollo con intervalli più brevi. I punti invece, indicano i tempi dei singoli ciclisti nei 2 protocolli; i dati dello stesso atleta si riconoscono perché uniti da linee. Come potete vedere, la maggior parte dei soggetti presenta dati superiori nell’intermittente rispetto alle ripetute; il soggetto contrassegnato con le frecce blu invece, non presenta alcuna differenza significativa tra i 2 protocolli, mentre quello contrassegnato con le frecce rosse, presenta un andamento opposto a tutti gli altri (cioè è riuscito a stare oltre il 90% del Vo2max nel protocollo con intervalli più lunghi).

    Questo indica come non sempre le soluzioni che sono “statisticamente” le migliori, siano l’ideale per tutti. Ad esempio, è possibile ipotizzare che soggetti fisiologicamente poco portati per i cambi di ritmo, si trovino meglio ad eseguire allenamenti con intervalli più lunghi rispetto all’Intermittente.

    Non solo, quando si parla del processo di allenamento, è da tenere in considerazione l’intero insieme degli allenamenti utilizzati (anche la progressione durante la stagione) e il recupero tra i vari stimoli allenanti. Nel nostro post dedicato alla programmazione del runner, potete trovare un esempio molto chiaro. Infatti, gli allenamenti di alta intensità possiamo definirli “la punta dell’iceberg” dello sviluppo del massimo potenziale aerobico dell’atleta di endurance, nel quale l’allenamento generale (resistenza aerobica e qualità neuromuscolari) rappresenta la larga base, senza la quale non è possibile raggiungere elevati livelli funzionali. Inoltre, utilizzare (per l’alta intensità) sempre lo stesso allenamento, non è certo la soluzione migliore in quanto si può andare facilmente incontro ad affaticamenti.

    In ogni modo, l’utilizzo di fasi più brevi (Intermittente) rappresenta uno stimolo allenante che coinvolge maggiormente (a pari intensità) il meccanismo aerobico e con un minor grado di affaticamento muscolare; questo permette, con tutta probabilità, un più rapido recupero tra le sedute ed un conseguente miglioramento più veloce della massima potenza aerobica rispetto all’utilizzo di fasi più lunghe (ripetute).

    Ma quali sono le intensità ideali per formulare un allenamento intermittente? Lo vedremo nel prossimo capitolo.

    Tra scienza ed arte

    (quando il mondo della scienza non va sempre incontro alle esigenze dello sport)

    Quando si cerca di utilizzare al meglio un mezzo allenante, è importante comprendere come stabilire le varie intensità delle varie fasi, indipendentemente dal fatto che si tratti di momenti lunghi o brevi. Ma cosa succede se le ricerche che cercano di approfondire un determinato mezzo allenante utilizzano delle intensità misurate con apparecchiature costose (diverse decine di migliaia di euro) che la maggior parte degli atleti ed allenatori non possono permettersi?

    Semplice, succede che la correttezza con la quale viene prescritto un determinato mezzo allenante, dipende maggiormente dall’abilità del tecnico (o allenatore, o preparatore atletico) di applicare i giusti concetti metodologici alle caratteristiche dell’atleta (arte), piuttosto che riprodurre in maniera fedele quello che proviene dalla ricerca scientifica.

    Definizione arte: […] poggia su accorgimenti tecnici, abilità e norme che derivano dallo studio e dall’esperienza […]

    Definizione scienza: […] insieme di conoscenze ottenute grazie ad attività di ricerca prevalentemente organizzata con procedimenti metodici e rigorosi, coniugando la sperimentazione con ragionamenti logici […]

    Fonte: wikipedia

    La maggior parte degli studi sull’allenamento intermittente utilizzano come intensità di riferimento la Massima Potenza Aerobica (MPA); com’è possibile vedere dall’immagine sotto, si ottiene da un protocollo in cui l’intensità dell’esercizio (Exercise Intensity) incrementa progressivamente.

    La conseguenza è l’incremento del consumo di ossigeno (Oxygen Consumption) fino a raggiungere il Vo2max ad un’intensità (cerchiata in rosso) oltre la quale il consumo di ossigeno non aumenta ulteriormente.

    Questa intensità (che può essere una potenza o una velocità) è stata per anni il riferimento per stabilire le intensità allenanti dell’intermittente in ambito sperimentale; purtroppo è possibile ottenere questa solo con strumentazioni molto costose che utilizzano i centri di ricerca.

    Questo è il motivo per cui attualmente è possibile considerare l’intermittente più un’arte rispetto ad una scienza; diverso, sarebbe stato se si fossero utilizzate, in ambito sperimentale, intensità di riferimento come i “ritmi gara” o la “percezione soggettiva dello sforzo”, parametri che tutti riuscirebbero a padroneggiare senza la necessità di attrezzature costose. Aggiungo sotto altre lacune presenti in bibliografia internazionale; questo al fine di riuscire a leggere con spirito critico le ricerche future, con la speranza che vengano effettuate con parametri che maggiormente vadano incontro alle esigenze programmatiche di allenatori, tecnici e preparatori atletici.

    • La MPA differisce anche di valori superiori del 10% tra valutazioni effettuate in pista e con il nastro trasportatore (Panascì et al 2016).
    • La MPA è “protocollo dipendente”, cioè non esiste un consenso unanime su quale sia il protocollo da usare per misurarla; di conseguenza, protocolli diversi possono dare risultati leggermente diversi sullo stesso atleta (Garcìa-Pinillos et al 2017).
    • Attualmente la maggior parte degli studi è orientata agli aggiustamenti (cioè le risposte fisiologiche durante l’allenamento) piuttosto che agli adattamenti (miglioramento nel medio-lungo termine della performance).

    Prima di passare alle indicazioni che interessano, al fine di effettuare protocolli allenanti che tutti possano eseguire dal punto di vista pratico, riassumo i risultati in comune tra i vari studi, che permettono di avere un’idea abbastanza chiara di come dovrebbe essere strutturato un allenamento Intermittente:

    • È riconosciuto come il Tempo passato oltre il 90% del Vo2max sia il parametro ideale per quantificare il carico allenante sul sistema aerobico (Buchheit et al 2013, part I).
    • È da attendersi comunque risposte eterogenee tra i vari atleti, sia dal punto di vista del Vo2 che dalla risposta allenante, sia in base alle caratteristiche individuali che in base al livello d’allenamento.
    • La durata ideale delle fasi attive è compresa tra i 10” e i 30”; ideale 15/15” o 30/30”.
    • Intensità: nella fase attiva è il 100-105% della MPA, mentre la passiva pari o inferiore al 70% della MPA (Buchheit et al 2013, part II).
    • Per massimizzare il Tempo oltre al 90% del Vo2max, è consigliabile dividere in più serie di 10’ il lavoro della seduta (Buchheit et al 2013, part I).

    Dalla teoria alla pratica

    In base a quanto detto sopra, il primo passo da effettuare è trovare le intensità allenanti della fase attiva e passiva; non potendo valutare il Vo2max e la MPA (detta anche vVo2max), è possibile orientarsi su altri 3 parametri, cioè “l’intensità di gara”, il “modello di gara” o la “percezione della fatica”. Facciamo ora l’esempio di 3 discipline sportive, partendo sempre dal presupposto che l’individualizzazione dell’allenamento deve essere un parametro fondamentale che il tecnico (o il preparatore atletico) deve considerare al fine di ottimizzare lo stimolo allenante

    L’esempio dell’atletica leggera

    Gli atleti del mezzofondo breve (800-3000m) effettuano poche ripetute a ritmo gara durante la stagione, proprio perché queste intensità sono particolarmente elevate e producono un elevato livello d’affaticamento. L’utilizzo dell’intermittente, utilizzando come fasi attive i ritmi gara, permette di effettuare diversi minuti a quest’intensità, minimizzando l’effetto della fatica ma abituando il sistema neuromuscolare al ritmo specifico e stimolando particolarmente le componenti aerobiche. Starà poi al tecnico saper dosare nei vari periodi della stagione (in base alle condizioni di forma e agli obiettivi) la durata delle fasi attive/passive e il tempo totale della seduta.

    Discorso diverso sarà invece per chi affronta gare su strada (di lunghezza pari o superiori ai 10 Km); in questo caso, sarebbe poco utile effettuare le fasi attive a ritmi gara, in quanto queste possono essere tenute con poca difficoltà anche per diversi minuti senza pause. Non solo, la maggior parte di chi affronta questo tipo di competizioni, corre a livello amatoriale, quindi è anche da considerare (soprattutto quando si stabilisce il volume della seduta) il livello d’allenamento.

    In questi casi, è possibile utilizzare come velocità di riferimento un’intensità compresa tra il Ritmo Gara 5000m ed il Ritmo Gara 3000m; questo perché a livello empirico (Christensen 2012) sono considerate le velocità più vicine alla MPA.

    Il runner che corre gare su strada potrà trarre un gran beneficio da un corretto inserimento dell’allenamento intermittente nel proprio programma; infatti, eseguendo ritmi ed intensità superiori a quelle che utilizza in competizione, migliorerà la sua velocità di gara, minimizzando le condizioni di affaticamento tipiche di altre sedute come le ripetute. Trovare un’approfondita analisi dei protocolli ideali per il runner nel nostro articolo specifico.

    L’esempio del ciclismo

    In confronto all’atletica leggera, le gare ciclistiche si sviluppano su distanze e percorsi diversificati; non solo, in base al livello dell’atleta, esiste una forte eterogenicità del modello di gara; un professionista che si gioca la vittoria in una competizione, probabilmente inizierà la gara a ritmi blandi per poi finirla con sforzi massimali. Un “gregario”, probabilmente effettuerà il suo massimo sforzo nei pressi del finale di gara, ma anche fino ai 2/3 o 3/4 di competizione. Un amatore che partecipa ad una granfondo, probabilmente non raggiungerà la sua massima intensità fisiologica, ma distribuirà lo sforzo concentrando la maggior spesa energetica nei tratti in salita.

    Tutto questo per dimostrare come in questa disciplina sia difficile fissare un “Ritmo Gara” su cui basarsi per le intensità dell’intermittente; i professionisti sono ovviamente in grado di avere a disposizione fondi e strutture per misurare correttamente la MPA, ma per chi corre a livello dilettantistico-amatoriale non è così.

    A quest’ultima tipologia di atleti viene incontro la gestione dell’impegno tramite la percezione dello sforzo. Nei primi capitoli di questo articolo, abbiamo più volte citato gli studi di Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020  (quello dei ciclisti) in cui venne confrontato un protocollo Intermittente ad uno di Ripetute; entrambe le tipologie di allenamento erano effettuate tramite la percezione dello sforzo, cioè gli atleti dovevano essere in grado di distribuire le energie in maniera tale da riuscire a concludere l’allenamento nel migliore dei modi.

    Probabilmente potrebbe sembrare “poco scientifico” come metodo, ma il protocollo Intermittente permise comunque di migliorare la condizione atletica di ciclisti professionisti, cioè atleti che avevano già un ottimo livello di partenza. Di conseguenza, è ovvio che gli stessi margini di miglioramento (se non superiori) siano possibili anche per ciclisti non professionisti, validando la percezione dello sforzo come un ottimo metodo di monitorizzazione dell’intensità di allenamento; ovviamente prerequisiti di questo metodo sono un minimo di esperienza nell’utilizzarlo e l’impegno di dare il massimo durante la seduta.

    L’esempio del calcio

    Se sono stati necessari studi e ricerche per dimostrare l’efficacia dell’allenamento Intermittente negli sport di endurance, non ci sono dubbi (e non servono ricerche a supporto) che questa tipologia di stimolo sia assolutamente da preferire alle ripetute ed alle corse continue, in discipline a caratteristiche intermittenti come il calcio.

    Le difficoltà invece, nascono dal fatto che la valutazione della condizione aerobica del calciatore non è facile; infatti, più volte Roberto Colli nel suo blog indica come un test massimale sia poco tollerato dai calciatori, in quanto non sono abituati a sostenere sforzi di questo tipo.

    La prima soluzione (soprattutto a livello dilettantistico) sarebbe quella di utilizzare (come abbiamo visto per il ciclismo) la percezione dello sforzo, analogamente a quello che avviene nei fartlek; l’alternativa è basarsi sui parametri della potenza metabolica in riferimento alla categoria (“modello di gara”) ed eventualmente anche all’individualizzazione del carico. Mi spiego meglio: grazie al foglio di calcolo per le navette e per le corse lineari del prof Colli, è possibile stabilire diversi protocolli di lavoro, cambiando alcune caratteristiche (distanza, tempi, cambi di direzione, ecc.), ma mantenendo costante il carico oggettivo (cioè la Potenza metabolica). Ovviamente sta poi alla sensibilità ed all’esperienza del preparatore (o di chi si occupa della parte atletica) comprendere quali possano essere le potenze ideali per il proprio gruppo o per i vari gruppi di lavoro della squadra.

    Quello che è importante, è comprendere come nel calcio sforzi allenanti di natura Intermittente siano assolutamente da preferire a quelli prolungati (come le ripetute), in quanto coincidono maggiormente con il modello funzionale del calciatore e ne consegono tutti i vantaggi fisiologici (minor affaticamento a pari lavoro prodotto). Poi ha poca importanza se vengono chiamati fartlek, intermittente, navette aerobiche, ecc; l’importante è la caratteristica dello sforzo, ed il carico applicato nelle varie serie.

    Conclusioni

    I 2 aspetti principali dell’allenamento Intermittente sono le differenze fisiologiche rispetto alle prove con intervalli più lunghi ed il fatto che attualmente rappresenta un’arte (intesa come abilità che deriva dallo studio e dall’esperienza) piuttosto che una scienza.

    Se per gli sport di squadra, l’Intermittente (nelle sue più svariate forme) rappresenta l’unica soluzione per allenare la Potenza Aerobia a secco, negli sport di endurance va inquadrato nell’intera programmazione dell’allenamento; inoltre, non è sempre da considerare migliore rispetto ad altri allenamenti di natura intervallata (come le ripetute), in quanto soggettivamente alcuni atleti potrebbero tollerare maggiormente quest’ultimo tipo di sforzo.

    Non solo, solo perché un mezzo allenante provoca un maggiore affaticamento (come le ripetute), non significa che sia necessariamente meno efficace se si dà il giusto tempo di recupero per smaltirne gli effetti; questo anche in virtù del fatto che stimoli di diverse caratteristiche (se si utilizza il principio della progressività del carico) possono dare sollecitazioni più multilaterali, rappresentando una soluzione ideale in certi periodi della stagione e in alcune fasi di crescita dell’atleta.

    L’Intermittente è il classico esempio di come quando si parla di allenamento, l’evidenza che emerge dal mondo della ricerca rappresenta un importante fonte di studio e di approfondimento, grazie al quale ogni operatore (tecnico, preparatore atletico, ecc.) migliora la propria conoscenza teorica, che deve assolutamente fare i conti con quella che è l’esperienza nel mondo reale.

    Infatti, l’individualizzazione dell’allenamento ed il saper adattare il training ai mezzi a disposizione, rappresentano 2 aspetti fondamentali da abbinare alla conoscenza teorica della metodologia d’allenamento.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  3. Come rendere meno monotono il fartlek per i calciatori

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    Nei settori dilettantistici, e non solo, la somministrazione di mezzi a secco per la potenza aerobica è di norma “mal digerita” dal calciatore; per questo, si rende necessario, durante la stagione, il variare quanto possibile i mezzi proposti, al fine di rendere meno monotoni questi stimoli allenanti. L’utilizzo dei fartlek, permette di poter variare i protocolli, mantenendo pressappoco simili gli stimoli allenanti. Nel post odierno, andremo a vedere 2 strutture esercitative che potranno tornare utili nell’arco della stagione per rendere meno monotono il lavoro a secco della potenza aerobica. Alla fine del post, potrete trovare i link ad altre strutture esercitative.

    PERCHE’ IL FARTLEK

    Il fartlek soddisfa gran parte dei requisiti richiesti del modello metabolico del calciatore, per la presenza di cambi di direzione e variazioni d’intensità. A differenza dei lavori con palla (Small Side Games detti anche SSG) permette di avere uno stimolo più uniforme e “sicuro” dei metabolismi coinvolti; ovviamente, rispetto agli SSG, lo stimolo è meno specifico, ma il giusto mix di lavori con e senza palla permette sicuramente di allenare nella maniera più adeguata la potenza aerobica del calciatore, in tutte le categorie. Per approfondire questo concetto, vi invitiamo a leggere l’articolo sul lavoro con palla o senza.

    FARTLEK A TEMPO E A SPAZIO

    Chi segue il nostro sito, è a conoscenza del fatto che è possibile affrontare questi protocolli in 2 modi, cioè seguendo lo “spazio” o il “tempo”. Facciamo un esempio semplice per spiegarne la differenza: predisponendo un percorso come quello nella figura sotto, potremmo dare ai giocatori le seguenti indicazioni:

    1. Eseguire il percorso (senso orario o antiorario) alternando 15” di intensità medio/alta a 30” ad intensità lenta. In questo caso, l’alternanza dell’intensità veloce/lento è data dall’allenatore che detta i tempi: “fartlek e tempo”.
    2. Eseguire il percorso eseguendo andature medio-alte quando ci si trova a correre tra i coni rossi, ed eseguire andature lente quando si corre nelle altre zone. In questo caso, l’intensità è data dalla zona (cioè dallo spazio) dove si trova il giocatore (tra i coni si corre velocemente): “farltek a spazio”.

    Da qui, è possibile capire come ogni percorso con cambi di direzione è possibile eseguirlo in 2 modalità diverse (a “spazio” o a “tempo”); ma, a livello allenante, che differenza c’è tra un fartlek a tempo o a spazio? La differenza allenante è minima: nel fartlek a spazio, è possibile (come vedremo nella prima struttura esercitativa) dare lo stimolo biomeccanico preciso durante il periodo di intensità voluta; ad esempio se ho l’intenzione di far fare dei cambi di direzione brevi (zig-zag) ad intensità medio alta, assegnerò a quel settore un’intensità medio-alta. In questo modo, sarò sicuro di allenare i cambi di direzione brevi (zig-zag) nella struttura esercitativa.

    Inoltre, il fartlek a spazio è, a mio parere, meglio tollerato dal punto di vista psicologico, perché il giocatore sa quando inizia e quando finisce l’azione intensa; in ogni modo, è sempre l’alternanza delle 2 tipologie di fartlek (a spazio o a tempo) a rendere l’allenamento aerobico a secco meno monotono.

    PROTOCOLLO N° 1

    Predisponendo una struttura come quella sotto, è possibile utilizzare tutto il campo facendo seguire il percorso in andata e in ritorno senza fermarsi; quando si arriva alla fine del percorso, si effettua il cambio di senso e si continua ritornando indietro. In questa struttura, sono presenti tratti rettilinei, tratti con cambi di direzione e 2 tratti con cambi di senso (navetta).

    Eseguendo questo fartlek a tempo, le andature saranno dettate dall’allenatore in base allo scorrere del tempo (esempio 10” ad intensità medio/alta, alternati a 20” ad intensità bassa). Variando le dimensioni dei tratti lineari e gli angoli dei cambi di direzione, sarà possibile modulare il carico neuromuscolare (ad esempio, più gli angoli sono chiusi, e più il carico neuromuscolare è intenso).

    Cambiando le tempistiche invece, si potrà variare il carico metabolico; ad esempio un 15”/15” (15” intensità medio/alta + 15” intensità lenta) rappresenta un carico maggiore rispetto ad un 15”/30”. Anche variando gli intervalli (mantenendo costante il rapporto tra parte intensa e parte lenta) si agirà diversamente sul carico neuromuscolare. Ad esempio, se effettuo intervalli 5”/10”, le accelerazioni/decelerazioni saranno molto superiori rispetto ad un intervallo 20”/40”; infatti nel primo caso, ci saranno 4 accelerazioni in ogni minuto, mentre nell’altro, solo 1.

    Utilizzando la stessa struttura, è possibile eseguire un Fartlek a spazio; prendendo come riferimento l’immagine sotto, è possibile, ad esempio, eseguire i tratti rettilinei intensi (linee rosse), e i cambi di direzione lentamente (linee nere). In questo modo, si lavora prevalentemente sulla corsa lineare intensa. Se invece si vuole lavorare sull’intensità nei cambi di direzione, sarà sufficiente attribuire la parte intensa ai tratti con le linee nere, mentre la parte lenta quella con le linee rosse. Variando la distanza tra i coni, si agisce sul rapporto tra fase veloce e fase lenta.

    PROTOCOLLO N° 2 (Fartlek Donati)

    Questa struttura prende spunto dal Fartlek Donati, la cui versione originale è possibile trovarla a questo link. Com’è possibile vede nella figura sotto, questa struttura (fartlek a spazio), prevede l’utilizzo di 3 intensità, cioè:

    • Corsa blanda: frecce nere.
    • Accelerazione (quasi massimale): frecce rosse.
    • Corsa media: freccia blu.

    È importante non forzare al massimo nei tratti in accelerazione, altrimenti si rischierebbe di avere un calo drastico dell’intensità nei minuti finali. Il protocollo è abbastanza ben tollerato psicologicamente dai giocatori, perché è molto vario. Il carico neuromuscolare è prevalentemente dato dall’elevato numero di accelerazioni; non sono presenti invece, cambi di direzioni ad intensità elevata.

    Trasformando questo protocollo in un fartlek a tempo (cioè correndo il percorso di continuo e definendo le fasi ad intensità medio/alta e quelle ad intensità bassa in base al tempo), è possibile invece lavorare anche sui cambi di direzione intensi; di contro, però potranno essere usate solo 2 intensità.

    CONCLUSIONI

    Il Fartlek è sicuramente un ottimo mezzo che permette di individualizzare le intensità allenanti in base alle caratteristiche del giocatore e allo stato di fatica attuale. Infatti il giocatore riesce, con buona approssimazione, ad ottimizzare il ritmo in base alle esigenze dell’esercitazione e allo stato di forma. Diventa meno utile nelle seguenti condizioni:

    • Quando il giocatore, di proposito, esegue ritmi più lenti di quelli che dovrebbe tenere: questo accade raramente, ed è causato da problemi di motivazione.
    • Quando il giocatore non riesce a dosare correttamente le intensità o se non è mai stato abituato a fare lavoro atletico a secco: questo solitamente succede agli atleti più giovani che passano di categoria, o la prima volta che viene proposta questa tipologia di esercitazione. Con le giuste indicazioni e con la giusta “pressione” da parte di chi somministra il mezzo allenante (allenatore o preparatore), è possibile indirizzare tutti i giocatori verso le giuste intensità allenanti.

    Ma il fartlek è il mezzo allenante da preferire per lo stimolo delle componenti aerobiche a secco?

    A mio parere lo è nei settori giovanili e dilettantistici; in aggiunta propongo spesso anche lavori metabolici (cioè basati sulla potenza metabolica, prendendo spunto dal blog del Professor Colli), perché permettono di avere uno stimolo allenante oggettivo, cioè basato su distanze e tempi, fissati dall’allenatore/preparatore (in questi casi, ogni esercitazione diventa anche un test rettangolare). In questo modo, ci sarà la certezza che lo stimolo allenante (cioè il carico) sarà quello voluto, senza il rischio che l’atleta utilizzi intensità eccessive (per troppa foga, con rischio di affaticamento) o insufficienti (per demotivazione, inesperienza o stanchezza). Non solo, grazie ai protocolli che utilizzano la Potenza Metabolica, è anche possibile individualizzare (oltre che oggettivare) gli stimoli allenanti, come accade nei settori professionistici. Le caratteristiche di questi mezzi allenanti, saranno approfonditi in un post successivo.

    Sotto riproponiamo gli altri articoli dedicati al Fartlek, presenti nel nostro blog.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e Preparatore Atletico AC Sorbolo (melsh76@libero.it)

  4. Attivazione: finta e passo

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    Per “attivazione”, si intende la prassi iniziale dell’allenamento finalizzata a preparare il giocatore alla fase centrale dello stesso. Concettualmente non è tanto diverso al concetto di “riscaldamento”, ma il termine “attivazione” rende sicuramente meglio l’idea di quello che deve essere lo scopo e la prassi di questa fase, cioè quella di attivare il giocatore a tal punto da essere pronto per la fase successiva. In questo post, cercheremo di comprendere inizialmente i punti in comune e le differenze tra i protocolli di attivazione per adulti e quelli per la scuola calcio; successivamente presenteremo 2 strutture che ritengo estremamente utili in tutte le categorie (con i dovuti adattamenti).

    CARATTERISTICHE DELL’ATTIVAZIONE

    Nel post dedicato al riscaldamento per gli adulti, abbiamo visto come sia da considerare una vera e propria fase allenante, all’interno della quale (seppur con la dovuta gradualità) è possibile perseguire scopi di natura tecnica, preventiva e coordinativa. Di conseguenza, l’attivazione non deve solo preparare il giocatore fisiologicamente alla fase successiva, ma deve essere anche utile (tecnico, coordinativo e/o preventivo) e possibilmente divertente; quello che bisogna evitare nell’arco della stagione, è la monotonia e la ripetitività, altrimenti si corre il rischio di perdere prezioso tempo d’allenamento e di non motivare adeguatamente i giocatori. Utilizzando la barra di ricerca a fianco del testo è possibile cercare, tra i più di mille articoli di Mistermanager, le esercitazioni che più possono interessare, inserendo semplicemente le parole chiave. Ma facciamo un passo avanti e cerchiamo di comprendere le eventuali differenze tra l’attivazione necessaria per un adulto e quella per un giovane calciatore.

    Nella prima parte del post dedicato al riscaldamento pre-partita, abbiamo elencato come variano, durante questa fase, i meccanismi fisiologici necessari per portare l’organismo ad un corretto stato di attivazione. Chi ha lavorato sia con adulti che nella scuola calcio, sa che i bambini hanno una minore inerzia nel portare lo stato metabolico ad un livello superiore (necessario per la fase successiva dell’allenamento) per un’inferiore massa corporea e per il fatto che molte volte iniziano l’allenamento già in uno stato di attivazione; infatti, non è raro vederli arrivare al campo di corsa e mettersi a giocare (anche ad intensità elevata) tra di loro prima che inizi l’allenamento. Per questi motivi, nella scuola calcio è meno necessario focalizzarsi sull’inizio “blando” dell’allenamento, in quanto sono necessari veramente pochi minuti per portare il metabolismo di un giovane calciatore a livello ideale. Piuttosto, nel settore giovanile è fondamentale creare il giusto ambiente (motivante e stimolante) ed attivare gli schemi motori e tecnici (visto che la tecnica e la coordinazione non è ancora stabilizzata), al fine di trasmettere fiducia e positività per la parte successiva dell’allenamento. Questo discorso è valido particolarmente nella fase pre-puberale della crescita (Piccoli Amici e Pulcini); successivamente, durante la pubertà, l’organismo acquisisce massa muscolare e tende temporaneamente a perdere coordinazione, incrementando quindi l’inerzia con la quale si attiva ed il rischio di infortuni. Di conseguenza, da questa fase, è importante proporre un’attivazione il cui incremento progressivo dell’intensità si avvicina maggiormente a quello degli adulti, sempre rimanendo in un ambito utile (coordinazione/tecnica/prevenzione infortuni) e particolarmente motivante.

    STRUTTURA N° 1

    Questa struttura allenante, con le opportune varianti, è possibile adattarla a qualsiasi categoria (dai Piccoli Amici alle prime squadre dei settori dilettantistici); la finalità di questo mezzo è prevalentemente di natura tecnica e ludica, ma nulla vieta di introdurre variazioni anche per le componenti coordinative come nel passaggio strutturato. Lo schema sotto, riporta quelle che sono le distanze ideali per i primi anni della scuola calcio; ogni gruppo di giocatori potrà essere formato da 2-3 unità.

    Il giocatore con la palla (rosso), partirà in guida verso il cono ed eseguirà una finta allo stesso per poi portarsi velocemente verso la coppia di cinesini di fronte. Una volta arrivato, si girerà e dovrà ripassare la palla al compagno, cercando di abbattere il cono (vedi immagine sotto); se riuscirà ad abbatterlo, la sua squadra avrà un punto (vince la squadra che per prima arriva a 3-5 punti). Successivamente, il compagno (blu) che ha preso la palla effettuerà gli stessi compiti, mentre il primo tornerà camminando o correndo verso la postazione di partenza.

    Come potete vedere, lo schema esecutivo è particolarmente semplice, ma racchiude 2 elementi tecnici di base, cioè la guida/finta e il passaggio/stop, il tutto in una situazione ludica (motivazione). La varianti sono ovviamente fondamentali per rendere il gioco meno noioso ed adattarlo alla categoria; andiamo a vederle sotto:

    • Distanze e proporzioni: è ovvio che gli adulti dovranno utilizzare distanze maggiori ma, in linea di massima, minori sono le distanze e maggiori sono le probabilità fare punti. Una variante nella variante potrebbe essere quella di allontanare il cono per le squadre che hanno vinto le sfide precedenti.
    • Tipologia di finta: proporre finte o movimenti già appresi è importante, in quanto permette di stabilizzare la tecnica. Per i Piccoli Amici invece, è sufficiente indicare di fare “genericamente una finta”, lasciando a loro la libertà di effettuare il movimento che vogliono, lasciando spazio alla loro creatività e voglia di sperimentare; l’importante, è fare capire che lo scopo della finta è quello di ingannare/scartare l’avversario. Di conseguenza, per dare ritmo l’azione si può ricordare che “più veloce sono e più tiri farò al cono”, mentre per motivare la precisione si può indicare che “più arrivo vicino al cono (senza abbatterlo) e migliore sarà la mia finta”. Per le categorie che hanno già affrontato la didattica delle finte, è possibile riproporre i movimenti già appresi o stimolare la fantasia/creatività nel trovarne nuovi.
    • Piede di utilizzo: cercare di abbattere il cono con il piede debole è più difficile che con il dominante; di conseguenza, questa rappresenta la prima variabile per quanto riguarda questa variante. È anche possibile attribuire un punteggio diverso in base al piede utilizzato per trasmettere la palla, lasciando a loro la libertà di scelta: ad esempio, se abbatto il cono usando il piede forte farò avere 1 punto alla mia squadra, mentre se uso il debole, ne farò avere 2. Se invece si vuole dare maggiore importanza all’attenzione dei giocatori, si può formulare la seguente regola: “uso il piede corrispondente al lato del cono da cui arriva la palla”. Di conseguenza, se la palla trasmessa dal compagno passa dal lato destro del cono, allora vorrà dire che dovrò cercare di abbattere il cono usando il piede destro…e viceversa se la palla passa a sinistra. Se invece il compagno abbatte il cono, potrò usare il piede che preferisco. Nell’immagine sotto, la palla trasmessa dal giocatore rosso passa a destra del cono, quindi il giocatore blu dovrà cercare di abbatterlo (dopo aver fatto la finta ed essersi posizionato) calciandolo con il piede destro.

     

    STRUTTURA N° 2

    Lo svolgimento di base è molto più semplice del precedente, ma le variabili poi portano alla necessità di maggiore attenzione. La prima variante consiste nel portare la palla al compagno di fronte, facendo la finta al primo cono del rombo di coni centrali e allo stesso tempo far passare la palla tra i 2 coni laterali. Dopo averla lasciata al compagno, ci si posiziona dietro alla fila del compagno a cui l’ho passata. In questa modalità, è da prestare attenzione a non scontrarsi con i giocatori che provengono da altre direzioni.

    È ovvio che in questo caso, è importante eseguire una finta che mi permetta di non allungarmi troppo la palla, altrimenti non riuscirei a farla passare tra i coni laterali. La prima variante potrebbe essere quella di effettuare 3 passaggi al compagno a cui devo lasciare la palla. Come potete vedere nell’immagine sotto, il giocatore rosso con la palla effettua 3 passaggi con il suo compagno, che puoi parte verso i coni. Una volta trasmessa la palla, vado sempre al posto del compagno a cui l’ho passata.

    La stessa struttura poi, può essere utilizzata per fare le tipiche azioni di giropalla nel quadrato, allenando di conseguenza anche la trasmissione/stop del passaggio. L’ultima variante che richiede maggiore attenzione da parte dei giocatori è la seguente, in cui si alterna un passaggio (ad esempio in senso antiorario) ad una guida+finta ai coni centrali. Vale sempre la regola “vado al posto del giocatore a cui l’ho passata”. L’altra regola è: “si alternano finte, a passaggi in senso antiorario”. L’esecuzione è la seguente: il giocatore con la palla effettua una finta ai coni e passa la palla al primo giocatore della fila di fronte (vedi giocatore rosso nell’immagine sotto).

    Chi riceve la palla (giocatore rosso in alto) eseguirà immediatamente un passaggio al compagno alla propria destra (giocatore blu a sinistra dell’immagine), che una volta ricevuta la palla, andrà a fare la finta al cono…e così via.

    Questa variante richiede una maggiore attenzione, perché in base alla “provenienza” della palla, dovrò fare un compito diverso; non solo, usando più palloni, sarà da prestare maggiore attenzione (e dialogo) a quello che succede in campo. Per rendere ancor più impegnativa l’esercitazione, si possono imporre 3 passaggi ogni volta che c’è la trasmissione della palla.

    CONCLUSIONI e ALTRE ESERCITAZIONI

    Quelle presentate sopra, sono solo alcune delle molteplici soluzioni tecniche che possono essere introdotte come attivazione; è chiaro che nelle categorie che vanno oltre gli esordienti, sono da inserire (a fine attivazione) anche dei movimenti di allungamento funzionale, per preservare il tono trofismo e la mobilità delle catene muscolari e di conseguenza prevenire gli infortuni. Sempre per calciatori maturi, è anche essenziale finire l’attivazione con azioni ad alta intensità muscolare, in particolar modo se la parte successiva dell’allenamento prevede esercitazioni ad alta potenza metabolica.

    Nel nostro blog potrete trovare altre innumerevoli esercitazioni da poter utilizzare come attivazione per la scuola calcio come quelle sotto:

    Oppure sulla tecnica calcistica specifica

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e Preparatore Atletico AC Sorbolo (melsh76@libero.it)

  5. Calcio e coordinazione: lo scalpo gigante

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    Il bagaglio coordinativo di un calciatore, rappresenta le fondamenta per lo sviluppo delle abilità tecniche e tattiche future. Questo significa che una precoce specializzazione nei primi anni della Scuola calcio, non potrà altro che limitare lo sviluppo calcistico futuro del giovane calciatore, perché lo priva di quegli elementi di base su cui costruire la propria carriera. Allo stesso tempo, un lavoro coordinativo eccessivamente generale, dispersivo e poco specifico per una disciplina come il calcio, può portare a perdere tempo prezioso, in un’età in cui la sensibilità per alcuni aspetti del calcio (vedi 1c1) è massimale. Allora come gestire l’allenamento per la coordinazione nei primi anni della scuola calcio ottimizzando il tempo e i mezzi a disposizione?

     

    coordinazione e calcioNei 2 articoli dedicati all’argomento, abbiamo visto che quando si parla di coordinazione è giusto considerare anche la vicarianza con lo sport praticato; per il calcio, abbiamo raccolto le capacità coordinative in 3 gruppi principali (vedi tabella sotto), per semplificare la didattica e per comprendere quali di queste possono essere allenate a secco e quali con la palla, soprattutto in relazione all’età.
    Per fare un esempio, l’1c1 libero è un ottimo mezzo per lo sviluppo dell’agilità nella categoria Pulcini, ma solo se non si è in grado di guidare con un minimo di tecnica la palla (sopratutto su spazi stretti), altrimenti uscirà continuamente. Allora nei primi anni della scuola calcio, per strutturare lo schema motorio della corsa e l’agilità, sono necessari mezzi a secco; in questo post, vedremo un mezzo allenante estremamente efficace e divertente, che ha anche una forte impronta educativa nei confronti della gestione dell’esuberanza del piccolo calciatore. Ma andiamo per ordine e cominciamo a descrivere la struttura di base.

    STRUTTURA DI BASE

    Per 15 bambini, consiglio un campo di dimensioni di 15x15m o 18x18m a seconda dell’età; si può somministrare questo esercizio fino alla terza elementare. Lo scalpo, come abbiamo visto nella prima variante di questo esercizio, non è altro che una “coda” che il giocatore si infila dietro ai pantaloncini e deve spuntare per almeno 40-50 cm; si possono utilizzare delle casacche, o del nastro bianco/rosso di opportuna lunghezza. I giocatori si divideranno in 2 categorie: i conigli o i cacciatori.

    • I conigli saranno i giocatori che hanno la coda e devono scappare (senza uscire dal campo) senza farsi prendere la coda.
    • I cacciatori (senza coda) dovranno prendere le code dei conigli.

    Quando ad un coniglio viene tolta la coda, questo diventa automaticamente cacciatore; quando un cacciatore prende la coda ad un coniglio, deve uscire dal campo, sistemarsi bene la coda e poi rientrare facendo il coniglio. Se un coniglio esce dal campo, diventa automaticamente cacciatore e deve dare la coda ad un compagno. Non si possono avere 2 code contemporaneamente. Malgrado questa esercitazione possa sembrare semplice e banale, offre molti stimoli allenanti e spunti per la gestione dell’esuberanza e rispetto delle regole, cioè aspetti che si vanno a formare in particolar modo nei primi anni della scuola calcio. Nella tabella sotto, sono riportati gli stimoli allenanti di questo mezzo: oltre all’ovvio effetto sull’agilità, il fatto di dover scappare e correre velocemente in uno spazio delimitato (campo) ha un buon impatto allenante sul Senso del gioco. Infatti, nei primi anni della scuola calcio, la palla esce spesso perché i giocatori non hanno ancora bene sviluppato il senso dello spazio e del tempo; con questo tipo di esercitazioni (anche senza palla) si riesce ad allenare l’abilità del bambino a gestire la velocità e la direzionalità del movimento.

    Non solo, anche il fatto di dover prestare attenzione a più “cacciatori”, il coniglio, svilupperà sia la visione periferica, che l’attenzione a più aspetti del gioco, che sono la base degli elementi tattici da adulti. Ma andiamo ora a vedere 2 aspetti educativi fondamentali di questo gioco.

    GESTIONE DELLE REGOLE E DELL’ESUBERANZA

    Una volta comprese le regole del gioco, è fondamentale che i giocatori imparino a rispettarle, senza che l’allenatore debba avere “100 occhi” per fare l’arbitro. Ad esempio, se un coniglio esce dal campo e un cacciatore lo vede, se chi è uscito non lo ammette, può nascere un diverbio tra i 2 giocatori, che sosterranno idee diverse. A questo punto cosa può fare l’allenatore?

    • La prima cosa è quella di far capire ai propri giocatori se preferiscono giocare con compagni corretti o scorretti; a questo punto emergerà in maniera spontanea la consapevolezza che il “gioco scorretto” non piace a nessuno e di conseguenza è sempre meglio essere onesti.
    • La seconda cosa è quella di ammettere che possano insorgere contrasti, ma che è altrettanto importante risolverli velocemente. Dopo aver verbalizzato la situazione con tutto il gruppo, si può inserire la regola che “chi è cacciatore ha sempre ragione, ma se l’allenatore vede che gioca in maniera scorretta, viene estromesso dal gioco”.

    Altro aspetto importante in questo gioco è la gestione dell’esuberanza; non sarà raro vedere giocatori che inizialmente faranno di tutto (tirare la maglia, placcaggi stile rugby, ecc.) pur di fermare il compagno e rubargli la coda. Questo tipo di atteggiamenti sono dovuti ad un eccesso di foga che può essere normale a quell’età; verbalizzando le situazioni con i giocatori e stabilendo quello che “è possibile” o “non possibile” fare durante, il gioco si riuscirà a gestire l’esuberanza con un buon impatto allenante sulla conoscenza dello schema corporeo, che è poi la base della fase tecnica del contrasto.

    VARIANTI e CONCLUSIONI FINALI

    Una volta apprese ed interiorizzate le regole, si può passare alla variante che più di altre entusiasma i bambini quando fanno questo gioco, cioè la regola in cui ogni giocatore è sia cacciatore che coniglio, e di conseguenza si possono avere più code (ricordandosi che la code va messa od aggiunta solo fuori dal campo). Vince il giocatore che alla fine di ogni manche ha più code. A quest’ultima variate si potrà arrivare solamente se i giocatori hanno ben interiorizzato le regole e gli atteggiamenti funzionali da tenere in campo. Sotto, potete vedere i link ad altre esercitazioni finalizzate al miglioramento della coordinazione del calcio.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  6. Il metodo Martingala applicato alle scommesse sportive

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    (Ultimo aggiornamento: 11/03/2020)

    Nella ricerca dei metodi più efficaci per vincere nelle scommesse sportive, il Martingala (detto anche Progressivo al raddoppio) è sicuramente uno dei più conosciuti. Purtroppo questa strategia (per lo meno nella sua forma originale) è nata per essere attuata nei giochi tipo “testa o croce”, cioè in quei contesti in cui si vince il doppio della propria giocata e si ha il 50% di probabilità di vincere. È ovvio che nel mondo dello sport, quando si trovano delle quote pari a 2, non è detto che la possibilità di vincita sia del 50%; in ogni modo, partendo dal Valore di una scommessa, è possibile (tramite lo studio del pronostico) avvicinarsi il più possibile a conoscere questo dato.

    In questo post, faremo inizialmente una rapida spiegazione del metodo Martingala classico, e poi cercheremo di capire se e in che modo può essere applicato alle scommesse sportive.

    Importante: mistermanager.it è un sito di formazione, pertanto i contenuti del sito non rappresentano un incentivo al gioco d’azzardo né tantomeno costituiscono forma di pubblicità, come indicato dall’AGCOM al punto 5.6 delle proprie Linee Guida (allegate alla delibera 132/19/CONS).

    Il gioco è vietato ai minori di anni 18. Può causare dipendenza

    Se hai meno di 18 anni e sei uno scommettitore con problemi di gioco abbandona subito questa pagina!

    Se invece siete alla ricerca di un metodo per guadagnare con le scommesse in maniera matematica e senza azzardo, vi consigliamo di leggere il nostro post sul Matched Betting.

    MARTINGALA CLASSICO

    La strategia progressiva (cioè 1 singola alla volta) prevede di raddoppiare la propria puntata ogni volta che si perde e di ritornare alla puntata singola ogni volta che si vince. Ma facciamo ora un esempio molto pratico con il tiro della monetina;

    • Iniziamo con una cassa simbolica di 20 Euro
    • Consideriamo la puntata di base di 1 Euro (cioè il 5% della Cassa).

    Le regole di base sono molto semplici, e sono le seguenti:

    • Quando si vince, la puntata successiva sarà di 1 Euro
    • Quando si perde, la puntata successiva sarà il doppio della puntata precedente.
    • Si esegue il cash-out (cioè il ritiro della vincita) quando si arriva a vincere la metà (50%) della cassa, cioè 10 Euro (corrispondenti a 30 Euro di cassa).

    Nell’immagine sopra è rappresentata una prova che ho fatto semplicemente con una moneta (testa o croce). Quotando a 2 la vittoria (testa o croce) e giocando con questo metodo (vi invito a provare) è evidente che si “avanza” di 1 quota (nel nostro caso 1 Euro) ogni volta che si vince. Quindi dopo 10 vittorie si arriva al 50% della nostra cassa iniziale (che è il nostro obiettivo); tenendo in considerazione che ogni volta la probabilità di vittoria del 50%, è ragionevole ipotizzare che servano “in media” 20 giocate per arrivare al 50% della propria cassa iniziale. Sembra molto facile, ma questa strategia (senza opportune modifiche) nasconde parecchie insidie; infatti, il motivo per cui è consigliabile fare un Cash-out (cioè ritirare la vincita della giocata e ripartire da zero) è relativa alla pericolosità (partendo con una cassa di 20 unità) di perdere 4 giocate consecutive (evento con la probabilità che si verifichi il 12.5% delle volte).

    Com’è possibile vedere dalla parte inferiore dell’immagine sopra, alla 4° perdita consecutiva, si necessita una giocata di 16 unità (euro nel nostro caso) quando in cassa si ha una quota non sufficiente (13 nel nostro caso) per coprirla. Allora cosa fare in questo caso? Le opzioni sono 2:

    OPZIONE 1

    La prima è quella di rimpinguare la cassa con una quota sufficiente a coprire la scommessa successiva (nel nostro caso 3 Unità); in caso di vittoria, si rivinceranno anche i soldi utilizzati per rimpinguare la cassa (vedi immagine sotto). Questo tipo di strategia è consigliabile attuarla quando il valore della cassa è particolarmente esiguo; infatti, se la cassa è di 20 Euro, nel nostro caso abbiamo dovuto rimpinguarla di soli 3 euro (tanto alla prima vincita li recupereremo).

    Il problema è quando la cassa ha un valore elevato (ad esempio 1000 Euro); in questi casi, non è facile rimpinguare con quote elevate, soprattutto nel caso di sequenze di sconfitte consecutive superiori a 4. Infatti noi consigliamo la seconda opzione.

    OPZIONE 2

    In questa strategia si utilizza la regola che “quando non si ha cassa sufficiente per fare la puntata, si gioca metà della cassa”. Nell’immagine sotto è rappresentata una parte di una progressione in cui si perde per 5 volte consecutivamente. Com’è possibile vedere, dalla 4° “non vincita” invece di giocare il doppio di quanto perso nella giocata precedente (com’è nella regola base del Martingala), si gioca metà della cassa fino alla vincita successiva….e poi si riprende con le normali regole del martingala.

    In questo modo, non c’è l’obbligo di rimpinguare la cassa, ma il numero di giocate necessarie per arrivare a guadagnare il 50% della cassa iniziale incrementa parecchio; scaricando l’esempio da cui è tratta l’immagine sopra, è possibile notare come siano state necessarie 55 giocate, anziché le 20 “di media”, per arrivare al nostro obiettivo.

    A questo punto è possibile comprendere perché si fissino obiettivi parziali (ad esempio un cash-out del 50% della cassa iniziale, ma si possono utilizzare anche percentuali inferiori), proprio per effettuare di tanto in tanto dei prelievi ad obiettivo raggiunto (intanto si guadagna qualcosa), per poi minimizzare i disagi quando ci sono 4 o più “sconfitte” consecutive. Riassumiamo quindi sotto le caratteristiche del Martingala classico:

    • Si effettua una giocata alla volta
    • Si punta il 5% della cassa iniziale, considerata un’unità iniziale di gioco
    • Quando si vince, si continua a giocare il valore di un’unità iniziale.
    • Quando si perde, si gioca il doppio della puntata precedente.
    • Si esegue il cash-out ad una percentuale (massimo 50%) della cassa iniziale

    Nel caso in cui ci fossero 4 o più sconfitte consecutive (oppure se non c’è sufficiente quota nel conto):

    • Opzione 1: si rimpingua la cassa fino ad arrivare alla quota necessaria per la giocata
    • Opzione 2: si gioca la metà di quanto rimanente nel conto fino alla prima vittoria, e poi si riprende con le normali regole.

    APPLICAZIONE DEL MARTINGALA AL CALCIO

    È ovvio che in ambito sportivo è possibile trovare delle quote pari a 2, ma non è possibile conoscere con certezza le reali probabilità di vincita (come lo è per il lancio della moneta ad esempio). È comunque possibile affidarsi a pronostici più o meno affidabili; ovviamente le condizioni ideali sono quelle di trovare quote simili a 2, con pronostici il più possibile superiori al 50% (scommessa di valore).

    Attenzione, il Martingala è stato nel tempo causa di elevate perdite per molti scommettitori; infatti l’utilizzo in un contesto non adeguato, è causa di rendimenti particolarmente negativi. Questo avviene quando non si effettuano correttamente i pronostici o quando si utilizza male il metodo. Per questo motivo, consigliamo di fare prima una lunga sperimentazione senza scommettere realmente e di utilizzarlo solo con strategia che abbiano un ROI (ritorno dell’investimento, che in questo post useremo come sinonimo di Yield) positivo.

    A questo link potete scaricare una nostra sperimentazione-esempio partendo dall’utilizzo di quote pari o leggermente superiori a 2, con pronostici il più possibile superiori al 50%. Riassumendo, i risultati ottenuti nell’immagine sotto sono stati ottenuti utilizzando i dati di un pronostico grezzo, cioè basato esclusivamente dai dati matematici ottenuti dal sito prosoccer.eu.

    Quello che emerge, è che è stato possibile possibile incrementare il ROI della strategia originaria, utilizzando il progressivo al raddoppio. Tutto questo però, non deve assolutamente illudere che il martingala applicato al calcio possa essere una facile strategia per fare profitti. Infatti, per utilizzarlo è assolutamente necessario:

    • Applicarlo ad una strategia di base (cioè scommesse singole) che di per sè permetta già di ottenere un ROI positivo (e non è facile!).
    • Utilizzare scommesse di valore (Value Bet) con quote intorno a 2, e pronostico percentuale (cioè probabilità di azzeccare la scommessa) superiore al 50%.
    • Utilizzarlo solo per i periodi in cui si è sicuri che la strategia di base permetta di avere ROI positivi (attenzione alla stagionalità delle scommesse); nel nostro esempio, abbiamo applicato il metodo solamente dai primi di Ottobre al 19 Aprile (con il senno di poi sarebbe stato meglio finire prima); in altri periodi dell’anno, avrebbe dato risultati fallimentari.
    • Sperimentare il metodo (senza scommettere realmente) prima di utilizzarlo; questa è un’indicazione che vale ovviamente per tutti i tipi di strategia, ma in particolar modo per il Martingala, perchè, come è in grado di migliorare un ROI positivo, è in grado di peggiorare un ROI negativo. La stessa nostra sperimentazione che abbiamo pubblicato sopra, e ha dato ipotetici “frutti” per la stagione 2016/2017, non è detto che possa dare gli stessi risultati anche nelle annate future.
    • Effettuare sempre con la massima accuratezza i pronostici; nella nostra prova abbiamo utilizzato (per comodità e velocità) pronostici grezzi (cioè ottenuti solamente da calcoli matematici); è chiaro che invece è sempre necessario rifinire il pronostico (cioè analizzare la partita al di là dei numeri). Nel nostro post specifico puoi vedere i concetti di pronostico grezzo e rifinitura. Non solo, è sempre meglio scommettete sui mercati classici (1X2 o al limite gli Asian handicap), piuttosto che sugli Over2.5.

    RIASSUNTO CONCLUSIVO E RIFERIMENTI PRATICI

    Il progressivo al raddoppio non è altro che un metodo di scommesse in cui lo stake (cioè “quanto” giocare in base alla mia disponibilità) viene deciso in base al risultato della partita precedente; questo potrebbe essere in contrasto con la normale e corretta formulazione dello stake (cioè, a pari quota, gioco uno stake maggiore quando la probabilità di vincita è maggiore). Utilizzare più catene di Martingala (cioè più sequenze di gioco), permette comunque di adottare una strategia di stake maggiormente adeguata. Ad esempio, visto che le quote sono sempre intorno a 2, avendo più progressioni, potrò giocare le scommesse di 4-8 unità solamente su partita in cui la probabilità di vincita (in base al mio pronostico) è particolarmente superiore al 50%; le scommesse a 1 unità invece, le potrò giocare quando le probabilità sono anche non troppo superiori al 50% (su puntate comunque di valore). Rimane comunque ovvio che maggiori sono le scommesse utilizzate con alta probabilità di vincita (particolarmente superiore al 50%) e migliore sarà il rendimento della mia strategia. Giocare partite in cui non si è certi che la probabilità di vincita sia superiore al 50%, incrementa notevolmente il rischio di avere grosse perdite.

    COSA FARE SE LA QUOTA NON È PARI A 2?

    Può succedere di trovarsi davanti ad una scommessa di elevato valore, ma con una quota diversa da 2; in questi casi c’è da desistere o è possibile trovare una soluzione per inserire il pronostico nel progressivo? Se la quota è superiore a 2 non ci sono problemi, è sufficiente utilizzare la linea asiatica a favore della squadra che ha valore nel proprio risultato. Mi spiego meglio: detta anche asian line, la linea asiatica è quella coppia di valori (l’uno a vantaggio di una squadra e l’uno a vantaggio dell’altra) con handicap asiatico, più vicino al 2 (potete vedere sotto un esempio).

    linea asiatica

    Se ipotizzo (per svariati motivi) che ci possa essere valore per il risultato del Brescia (cioè la quota della squadra in trasferta è più alta di quello che mi aspetto), per il mio progressivo non potrò comunque usare il “2 fisso”, visto che la quota è troppo altra, cioè 4.75 (e il Brescia non ha comunque più del 50% di probabilità di vincita). La linea nera della figura evidenza la linea asiatica, cioè i 2 valori più vicini a “2” a vantaggio dell’una o dell’altra squadra (per chi non ha dimestichezza con questa terminologia, è sufficiente leggere il nostro post sugli asian handicap). Di conseguenza, se ipotizzo che ci sia valore dalla parte della squadra fuori casa, giocherò il +0.75 per il Brescia: in altre parole, vincerò la scommessa se il Brescia vince o pareggia; nel caso in cui perda con un gol di scarto, metà della scommessa verrà rimborsata. Con la vittoria della fiorentina con 2 o più gol di scarto, perderò la scommessa.

    Cosa fare invece se la quota è inferiore a 2? Ad esempio, se ritengo ci sia un elevato valore per un risultato (come “1” fisso) pari a 1.65, come posso fare? Personalmente mi sono dato alcune regole per utilizzare anche questo tipo di quote, in maniera tale da poter implementare nei progressivi anche value bet, ma con quote inferiori a 2; le riporto sotto:

    • Se la quota è comunque superiore a 1.75, utilizzo le normale regole del Martingala; in altre parole, se vinco, la scommessa successiva sarà di 1 unità.
    • Se la quota è compresa tra 1.5 e 1.75 e vinco la scommessa, la volta successiva giocherò metà di quanto appena giocato. Ad esempio se scommetto 4 unità su una giocata (ad esempio 1 fisso) e vinco, la volta successiva giocherò 2 unità.
    • Se la quota è inferiore a 1.5 e vinco la scommessa, abbasserò leggermente lo stake fino a quando arriverò al valore di cassa che precede le perdite.
    • Se la quota viene rimborsata a metà (ad esempio gioco 1 AH -0.25 e si verifica un pareggio) la volta successiva giocherò “1.5 x l’unità di giocata precedente”; ad esempio, se gioco 2 unità ed ho un rimborso parziale, la volta successiva giocherò 3 unità.

    Ovviamente queste sono semplici regole per ottimizzare gli stake all’interno del progressivo; nulla vieta di trovare altre soluzioni, a patto che non vadano ad incrementare il rischio di perdite.

    Il Martingala rimane un metodo che può ottimizzare una strategia di per sé positiva (cioè on ROI superiore a 0 e andamento abbastanza costante nel tempo); non fa miracoli e soprattutto aumenta il rischio di perdite se la strategia di base non è efficiente. Di conseguenza, è consigliabile utilizzarla solo dopo un lungo periodo di sperimentazione e solamente per chi riesce ad avere con certezza un rendimento positivo a stake fisso.

    Un’alternativa molto più efficace (perchè sfrutta anche le giocate Live) del Martingala è il Landi Cah Basic di Gianluca Landi strategia a quote elevate.

    Se invece vuoi essere certo (dal punto di vista matematico) di avere dei profitti con le scommesse, ti consigliamo il Matched Betting o le sure bet. Per un guadagno statistico nel lungo termine, prova le value bet di nuova generazione.

    Puoi trovare tutti gli altri nostri contenuti sul betting online alla nostra pagina principale dedicata alle scommesse.

    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it)

  7. Esercitazione universale a tuttocampo

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    La moderna metodologia d’allenamento nel calcio non può fare a meno di esercitazioni che stimolino, in maniera fedele al modello di gioco, la tattica, la tecnica e la componente atletica! Malgrado la componente tattica/situazionale sia la guida principale per le esercitazioni specifiche, questa può essere stimolata in maniera ottimale solamente se l’intensità di determinati stimoli (tecnici, muscolari, metabolici, ecc.) è il più possibile affine a quello che accade in partita. Questo vale sia per i dilettanti che per i professionisti! Con il post odierno, analizzeremo una struttura estremamente flessibile per stimolare diversi aspetti tattici/situazionali nel contesto di gioco, come i movimenti degli esterni, i ripiegamenti dei centrocampisti, gli inserimenti delle mezz’ali, ecc.

    STRUTTURA DI BASE

    La struttura consigliata è adeguata per 20 giocatori + 2 portieri. Nell’ultimo paragrafo spiegheremo come poter avere gli stessi stimoli allenanti, ma con un numero inferiore di giocatori. L’utilizzo di tutto il campo, rende l’esercitazione estremamente impegnativa (soprattutto per alcuni giocatori), quindi consiglio di giocare su dimensioni leggermente inferiori (come abbiamo fatto nella figura sotto). Noi faremo l’esempio di varianti con il 4-4-2, ma nulla vieta di utilizzare moduli diversi; infatti questa è una struttura estremamente flessibile, che si adatta a più scopi e giocatori. Il campo risulta diviso in 3 parti (difesa-centrocampo-attacco) con i giocatori dentro ad ogni loro zona; gli spostamenti da una zona all’altra (che determineranno le caratteristiche allenanti), saranno possibili solamente in base alle regole di ogni variante che indicheremo sotto.

    tattica calcioÈ particolarmente importante utilizzare questa esercitazione con giocatori maturi dal punto di vista mentale e tattico, perchè è importante aver il bagaglio “situazionale” per gestire le scelte di gioco in maniera rapida e corretta.

    VARIANTE PER IL LAVORO DIFENSIVO

    Partiamo con le prime 2 regole di base:

    • La palla può attraversare una zona alla volta; in altre parole, non si possono fare lanci lunghi dalla propria difesa al proprio attacco,
    • Ogni giocatore non può andare in un settore diverso dal suo: cioè i centrocampisti rimangono a centrocampo, i difensori in difesa, ecc.

    In questa prima variante, inseriremo la regola in cui: in fase possesso palla, 2 giocatori per settore, possono andare in un settore avanzato.

    movimenti difensiviQuindi in condizioni di possesso palla, 2 difensori possono andare nella zona di centrocampo e 2 centrocampisti possono andare nella zona offensiva (vedi figura sopra). Chi è in “Non possesso palla” deve rimanere nel proprio settore. In questo modo, a centrocampo (in fase di possesso) ci sarà un 6c4 e in attacco un 4c4. Questo stimolerà particolarmente gli scivolamenti difensivi e le coperture da parte dei difensori e dei centrocampisti (della squadra in “non possesso”). Ovviamente, se si vuole rendere il compito difensivo più impegnativo, si può concedere anche a 3 giocatori alla volta di andare nel settore successivo (7c4 a centrocampo e 5c4 in attacco). Questa variante è molto utile anche per la transizione offensiva (contropiede), visto che in caso di conquista della palla da parte dei difensori, ci saranno diversi compagni in avanti a cui trasmettere la palla. Quando si passa dalla fase di possesso a quella di “non possesso” e non si è nel proprio settore, non è possibile intervenire sulla palla fino a quando non si torna nella propria zona; ad esempio, un difensore che in fase di possesso si porta nella zona di centrocampo, una volta persa la palla, non potrà intervenire su questa fino a quando non tornerà in difesa.

    Questo tipo di esercitazione è apparentemente semplice, ma affinchè i giocatori riescano a seguire nella maniera migliore le regole, devono avere appreso e consolidato la presa di posizione, le coperture, e i movimenti specifici del difensore. In questo contesto, sarà l’allenatore a focalizzarsi sui movimenti in fase di “Non possesso”; ad esempio, le 2 punte che si trovano a difendere in un 5c2 (considerando il portiere), dovranno focalizzarsi sul “direzionare” il pallone sulle fasce e non centralmente senza pressare eccessivamente (vedi movimento attaccanti blu nella figura sotto); in questo modo, si creerà un chiaro “lato forte” della squadra avversaria, su cui potranno coprire più facilmente i centrocampisti e difensori.

    tattica difesaUn’ulteriore variante potrebbe essere quella di permettere a tutti di andare nel settore successivo (in fase di possesso), e ad un giocatore di ripiegare nel settore precedente in fase di “non possesso” (cioè ad una punta di ripiegare a centrocampo, o ad un centrocampista di ripiegare in difesa). In questi casi si giocherà nei vari settori con maggiore densità, quindi gli stimoli tecnici/tattici/atletici saranno superiori. Di conseguenza, in difesa (fase di costruzione) si giocherà un 5c3 (considerando il portiere), a centrocampo un 8c5 e in attacco un 6c5.

    ripiegamenti difensiviIn questo modo, si stimolerà la fase di ripiegamento in partita, un movimento oggi molto in voga, soprattutto quando si gioca con diversi centrocampisti con caratteristiche offensive; in questi contesti, per supplire alle carenze “difensive” dei giocatori, si tende ad aumentare la densità dei giocatori (tramite ripiegamenti) nelle varie zone del campo, quando ci si trova in “non possesso”. Ovviamente all’interno del mezzo d’allenamento, ogni giocatore di ogni settore, per un tot minuti, sarà considerato quello che ripiega, anche in maniera specifica al proprio ruolo.

    VARIANTE PER LA COSTRUZIONE/POSSESSO PALLA

    Partendo dalle regole di base (giocatore nel proprio settore e NO palla lunga):

    • In fase di possesso palla, i giocatori possono indietreggiare in una zona che precede la propria (centrocampisti in difesa – attaccanti a centrocampo).
    • 2 o 3 centrocampisti alla volta (in fase di possesso) possono andare nella zona offensiva.
    • I giocatori della squadra in “non possesso” devono rimanere nella propria zona.

    Con questa variante si faciliteranno gli smarcamenti (scaglionamento) in fase di costruzione, permettendo una trama di passaggio in grado di “pulire la palla” (cioè creare palla scoperta), per poi facilitare gli inserimenti (movimenti alle spalle dei difensori), in particolar modo dei centrocampisti. Ovviamente questo tipo di movimenti saranno possibili se i giocatori sono in grado di scaglionarsi correttamente, conoscere i movimenti di base e di reparto, oltre ad avere doti tecniche adeguate.

    possesso pallaUlteriori varianti possono essere quelle di limitare i tocchi (ad esempio 2 o 3) o stabilire un numero di passaggi “minimo” prima di poter concludere. Tutte queste varianti, sono consigliabili quando l’esercitazione diventa “troppo semplice” per chi è in possesso. Ricordo che il sostituire i centrali di centrocampo con dei Jolly (che fanno solamente la fase offensiva con la squadra in possesso), permette di utilizzare un numero inferiore di giocatori.

    VARIANTE PER GLI ESTERNI

    Nel calcio moderno, spesso si utilizzano gli esterni difensivi alti, sia che si giochi con la difesa a 5, che a 4. Questi giocatori devono avere corsa e tecnica, oltre ad essere in grado di padroneggiare gli inserimenti e i ripiegamenti difensivi. Per allenare tutte queste componenti, è possibile partire dalla struttura/regole di base (ognuno nella sua zona, ecc.) permettendo:

    • Gli esterni hanno la possibilità di andare in tutte le zone del campo (attacco, difesa e centrocampo), sia in fase di possesso che di “non possesso”.
    • 1 o 2 centrocampisti alla volta (in fase di possesso) possono andare nella zona offensiva

    Nella figura sotto, sono riportate di squadre che giocano a specchio con un 3-5-2 (o 5-3-2), in cui i 2 esterni (per squadra) possono andare in tutte e 3 le zone.

    inserimenti esterni

    ULTERIORI VARIANTI

    Purtroppo non sempre si hanno a disposizione 22 giocatori per fare un’esercitazione, di questo tipo; per questo motivo, sono da tenere in considerazioni ulteriori varianti che permettono di raggiungere gli scopi prefissi (vedi sopra).

    1. Se si hanno a disposizione 18 giocatori, è possibile far giocare un 9c9 su un campo che va da un limite dell’area all’altro (o leggermente più corto) restringendolo di circa 5 metri per lato. Giocando con il 3-3-2 si riescono a riproporre quasi tutti i fondamenti tecnico/tattici del 4-4-2, con il 3-4-1 si riesce fare un ottimo lavoro con gli esterni, ecc.
    2. Un’altra variante che permettono di adattare l’esercitazione allo scopo, può essere l’introduzione di jolly a metacampo, per fare un 9c9+1 Jolly (19 giocatori).
    3. In caso di disponibilità di giocatori dispari, è possibili limitare maggiormente (numero di tocchi massimi, limite di uomini che si possono spostare da un settore all’altro, ecc) la squadra in superiorità numerica.

    CONCLUSIONI

    Concludiamo specificando che il senso di questa esercitazione è quello di effettuare partite a tema, focalizzandosi su alcuni elementi, mantenendo per tutti il contesto della partita (elevata specificità). Nell’ipotizzare il carico atletico di questa esercitazione, c’è da tenere in considerazione che in alcuni ruoli (in base alle varianti considerate) ci sarà un lavoro fisico molto maggiore rispetto ad altri; ad esempio, i giocatori che frequentemente vanno in una zona successiva o che possono/devono ripiegare, sicuramente spenderanno più energie; di conseguenza, è da predisporre una “rotazione” dei ruoli, all’interno dell’esercitazione. Ritengo inoltre che questo mezzo sia molto utile, per far apprendere ai giocatori movimenti nuovi, con estrema gradualità, ma con un elevato livello di specificità. È ovvio che questa struttura di base si dimostra estremamente versatile per diversi moduli e fondamenti tattici; in questo post abbiamo presentato solo alcune varianti (le più semplici) che possono rappresentare stimoli particolarmente specifici negli allenamenti della parte centrale della settimana.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  8. 7 Idee regalo per Mister, Prof ed Istruttori

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    Aggiornato al 01/12/2023

    Non sapete cosa regalare per Natale (o per qualsiasi altra occasione) ad un amico allenatore o preparatore atletico? Volete manifestare la vostra stima ad un collega con un regalo che dimostra la vostra ammirazione?….oppure volete fare una sorpresa ai vostri giocatori con qualcosa che sia economico, ma che dimostri la vostra attenzione nei loro confronti? Allora questo è il post giusto per voi.

    REGALARE COMPETENZA

    La differenza non la fanno le strutture, ma le persone”; è una frase di Massimo de Paoli, l’ideatore del Metodo del Castello, che immagino tutti gli allenatori (soprattutto del settore giovanile) conoscano. Se la differenza la fanno le persone, allora il regalo più utile che si può fare ad un allenatore sono le “competenze”; i libri rappresentano il veicolo più efficace per la trasmissione di idee e protocolli che permettono di portare il mister ad un livello di conoscenza superiore della materia. L’aggiornamento tramite la lettura dovrebbe essere considerato parte integrante del proprio incarico, anche durante la stagione, vista la possibilità di contestualizzare ed applicare con effetto immediato quanto appreso sul campo.

    Sull’argomento ho creato 2 post (che sono in continuo aggiornamento), uno per la preparazione atletica e l’altro per la Scuola calcio. In questi articoli non trovate solamente libri consigliati, ma anche abbonamenti a piattaforme digitali (con relativi codici sconto) che offrono contenuti come webinar, corsi ed e-book.

    LA LAVAGNA DELL’ALLENATORE ED ALTRI ACCESSORI

    Malgrado l’evoluzione tecnologica sia sempre più parte del calcio, la lavagna rappresenta ancora il metodo più rapido ed efficace per spiegare in maniera chiara e veloce la propria idea di gioco (in particolar modo nei contesti dilettantistici). Ovviamente oggi esistono lavagne di dimensioni più contenute di quella che utilizzava Oronzo Canà per descrivere la sua Bi-zona, ma è sempre essenziale che ci sia la possibilità di scrivere, cancellare e “scarabocchiare” le proprie idee. I set Taktifol rappresentano attualmente la soluzione migliore da utilizzare negli spogliatoi; utile da portare, soprattutto in trasferta, rappresenta la lavagna più versatile attualmente in commercio.

    Per quanto riguarda invece le lavagne da campo, è facile trovare diversi prodotti anche a basso costo; ma visto che stiamo cercando idee regalo, vi consigliamo la Precision, che rappresenta la soluzione sicuramente più utile e maneggevole per il mister durante la partita.

    Nelle idee regalo ovviamente non può mancare il Play Book; le 200 pagine in formato A5 su quaderno della 1X1SPORT, rappresentano attualmente la miglior soluzione in commercio.

    Un altro accessorio che molti allenatori non si fanno mancare (quando vanno sui campi d’allenamento o alle partite) è la borsa porta-documenti. Questa può essere utile per portarsi dietro distinte, referti, lavagne, i propri documenti, le schede d’allenamento ed eventualmente il PC. L’importante è che sia resistente e comoda da usare; il Top di gamma è rappresentato dalla HSEOK 3 Vie.  È impermeabile, fornita di tracolla e tasca laterale per gli accessori più piccoli; l’interno è particolarmente morbido per evitare graffi. Ha la garanzia a vita. L’unica accortezza da considerare è che il modello da 15.6 pollici ha dimensioni interne di 40×28 cm; se sono necessarie misure superiori, conviene optare per il modello da 17.3 pollici.

    Per un modello più spazioso, è possibile optare per la Borsa Kroser; è dotata di diversi scompartimenti, tasca RFID e capacità espandibile. Se invece si vuole optare per qualcosa di più stiloso e vintage (per uno studente universitario o per chi è spesso in viaggio), consigliamo quella in pelle della Stilord.

    Queste borse sono un’ottima idea regalo anche per i dirigenti accompagnatori, figure spesso sottovalutate (soprattutto nei settori dilettantistici), ma indispensabili. Un pensiero (per Natale, o a fine stagione) sono convinto che possa far piacere a questi importanti collaboratori, che donano il proprio tempo e la propria disponibilità durante tutta la stagione.

    ABBIGLIAMENTO TERMICO ED IMPERMEABILE

    Per chi allena o fa sport all’aria aperta anche in inverno, gli indumenti termici ed impermeabili rappresentano un regalo di estrema utilità! Come maglie termiche, gli indumenti dell’Under Armour rappresentano la soluzione ottimale come idea regalo (miglior rapporto qualità/prezzo).

    Per quanto riguarda invece l’abbigliamento impermeabile, solitamente la parte superiore viene fornita dalle società (giaccone, K-way, ecc.), mentre i pantaloni possono risultare “l’anello debole” quando fa molto freddo e piove (o addirittura nevica); il materiale Gore Tex è il tessuto ottimale per garantire impermeabilità e traspirazione. In particolar modo i pantaloni della Berghaus rappresentano la migliore soluzione, in quanto sono impermeabili, antivento e traspiranti. Le cuciture, le cerniere resistenti all’acqua e la leggerezza del materiale, impediscono che si appesantisca e si inzuppi d’acqua anche se la pioggia è molto intensa.

    Volendo invece regale abbigliamento sportivo casual di altissima qualità, consiglio vivamente i capi di Carl Torsberg. Gli articoli sono progettati in Svizzera, prodotti con i migliori materiali e con una varietà di colori in grado di soddisfare qualsiasi gusto; giacche, felpe, polo, magliette e pantaloni sono in grado di assecondare lo stile di vita sportivo in quanto sono pratici, resistenti e robusti. L’elevatissimo punteggio di TrustedShops è la migliore garanzia di qualità di questi prodotti. Non solo, durante tutto l’anno sono presenti nuovi arrivi e  saldi anche con sconti elevati.

    IDEE PER GIOCATORI E STAFF

    Il panettone di fine anno è sempre gradito, e soprattutto per l’allenatore è simbolo di “conferma”! Scherzi a parte, è tradizione per diversi mister e società regalare un ricordo dell’annata proprio nel periodo di Natale. Dovendosi adattare a badget solitamente limitati, è importante che questo ricordo rappresenti qualcosa di esclusivo e che testimoni l’attenzione verso i propri giocatori. Di seguito presentiamo 3 idee estremamente economiche ma molto gradite:

    • Scaldacollo personalizzati: per quella che è la mia esperienza, uno scaldacollo con stampato il nome del giocatore rappresenta, tra le soluzioni più economiche, quella più gradita (per tutte le età). È sempre consigliabile effettuare l’operazione di acquisto e stampa in un negozio o fornitore di fiducia, in quanto la personalizzazione deve avere la massima cura.
    • Se invece si vuole optare per uno scaldacollo economico, ma di buona qualità, quelli della Higher State sono sicuramente la migliore opzione.
    • Per i più giovani, una tazza personalizzata con il logo societario o la foto della propria squadra è sicuramente gradita; non solo, essendo qualcosa di durevole e “senza età”, sarà un ricordo che i giocatori si porteranno dietro tutta la vita.

    Per staff ed allenatori, una maglia personalizzata è sicuramente un’ottima scelta.

    Ma cosa scrivere/disegnare sulla maglia?

    maglia personalizzata regalo
    (Clicca sull’immagine per ingrandire)

    Se si vuole regalare un campo d’abbigliamento da indossare giornalmente, è da pensare ad una personalizzazione non troppo vistosa; mentre se si vuole regale un qualcosa che diventi un “cimelio ricordo”, allora vanno benissimo immagini e aforismi tipici del calcio.

    Oggi, grazie a Canva, è possibile realizzare una maglietta personalizzata; Canva è una piattaforma che permette di creare gratuitamente grafiche in pochi click; inoltre, è anche possibile stamparle direttamente sulla maglia e riceverla a casa. Basta accedere al template desiderato ed iniziare con le modifiche.

    Avete vinto il campionato o avete raggiunto un obiettivo che per voi era particolarmente significativo? Allora la maglietta a fianco è un ottimo consiglio; potete scaricare gratuitamente il template dell’immagine a questo link.

    Se invece si vuole regalare qualcosa che farà rimanere a bocca aperta, consigliamo le tazze della Mycuston Style; queste sono nere a temperatura ambiente, ma quando si versa la bevanda calda compare la personalizzazione voluta. Per far imprimere la personalizzazione è sufficiente contattare il venditore seguendo le opzioni e le indicazioni della pagina Amazon, e successivamente inviare le immagini desiderate. È sufficiente leggere i commenti e visionare i video della pagina Amazon per farsi un’idea dell’originalità di questo regalo.

    CARICABATTERIE PORTATILE (POWER BANK)

    Spesso si va ad allenamento dopo il lavoro, oppure si rimane fuori tutto il giorno; è la vita del mister, ed è importante avere sempre dietro il proprio smatphone perfettamente funzionante. Quando non si ha la possibilità di caricarlo, un caricabatterie portatile (power bank) può tornare utile; con alcuni di questi dispositivi (quelli di maggior capacità), è anche possibile ricaricare anche tablet e notebook.

    Essendo apparecchiature particolarmente utilizzate, esiste un’ampia gamma di prodotti presenti in commercio; per scegliere quello più adeguato è importante comprendere le esigenze della persona a cui viene regalato. Infatti, senza scendere eccessivamente nei dettagli, questi prodotti si differenziano prevalentemente per dimensioni, peso, costi, velocità di ricarica, capacità di ricarica, oltre ad altri elementi come la resistenza agli urti, impermeabilità ed eventualmente l’autoricarica con pannelli solari. Ma andiamo ora a vedere quali possono essere i migliori da regalare in base alle esigenze.

    power bank regaloTra i power bank più compatti, cioè più leggeri e di dimensioni ridotte (8.2×8.2×1.5 cm in 160 g), troviamo quello della Monice. Con una capacità di 10000 mAh riesce a caricare almeno un paio di volte la maggior parte degli smartphone.

    Se si vuole invece un prodotto con maggiore capacità (fino a 20000 mAh) per poter ricaricare più volte e contemporaneamente più device, il Power Bank da 20000 mAh dell’INIU è quello con il miglior rapporto qualità/prezzo.

    Ci tengo a far notare che questa categoria di prodotti ha tendenzialmente delle recensioni positive su Amazon; considerandone l’utilità, c’è la possibilità di trovare articoli con diverse caratteristiche, e i prezzi non elevati; possono essere considerarti delle ottime idee regalo per mister e componenti dello staff.

    BUONI REGALO (GIFT CARDS)

    Se la fantasia per trovare il regalo giusto latita o le opzioni migliori sono già state prese in considerazione in passato, un buono regalo (in Inglese, Gift Card) è sicuramente l’opzione ideale. Ne esistono di diversi tipi, adatti a tutte le tasche, associati ad un singolo negozio o anche ad uno store online. Questi ultimi permettono di fare acquisti tra una larghissima vastità di prodotti; primo tra tutti è il Buono Amazon, in formato digitale, stampabile o in cofanetto. Le Gift Cards Decathlon invece, possono essere utilizzate sia online che nei negozi Decathlon.

    Non perderti anche il post dedicato alle idee regalo per i runners nel quale potrai trovare altre idee per sportivi ed amanti dell’outdoor, come abbigliamento, zaini, borse ed accessori.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it).

  9. Giochi per la scuola calcio: attenzione ai ragni

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    Oggi vi presentiamo un altro ottimo esercizio da fare in palestra o su campi in erba quando la superficie non è secca. Lo scopo è quello di stimolare la guida nel traffico, allenando la conduzione della palla in maniera globale; questo tipo di mezzi allenanti sono fondamentali nei primi anni della scuola calcio, in quanto permettono di stimolare il dominio della palla in un regime tecnico che permette, senza troppe difficoltà, di accoppiare la gestione della guida ad un contesto variabile definito dai “ragni”. Questo non è il primo post che dedichiamo all’argomento, quindi vi invitiamo anche a visionare gli altri articoli (di cui i link alla fine della pagina) che abbiamo già pubblicato. Buona lettura!

    STRUTTURA DI BASE

    attenzione-ai-ragni-1Prima di passare alla descrizione della struttura, definiamo le 2 tipologie di ruoli in questo gioco: i Giocatori (pallini blu della figura sopra) hanno la palla (giocano in piedi) e la devono guidare all’interno della struttura di gioco dalla zona di PARTENZA alla zona D’ARRIVO senza farla uscire, senza farla prendere ai ragni.

    I ragni giocano a 4 zampe (pallini rossi, senza palla) e il loro scopo è quello di afferrare a terra la palla dei “giocatori”. Si invertono i ruoli tra ragno e giocatore quando:

    • Un ragno afferra la palla di un giocatore: in tal caso, il ragno si alza in piedi e diventa giocatore e viceversa.
    • Ad un giocatore esce la palla dal campo di gioco: in questo caso, dovrà recuperare la palla con le mani e darla ad un ragno (a sua discrezione), scambiandosi di ruoli.

    Ogni ragno è assegnato ad una zona; come vedete nell’immagine sopra, le zone sono 3 e quando si invertono i ruoli tra giocatore e ragno, il primo va nella zona del ragno a cui ha ceduto (o che gli ha rubato) il pallone. Come detto sopra, lo scopo dei giocatori (pallini blu) è quello di portare la palla fino ai cerchi rossi della zona d’arrivo; in questo caso al giocatore verrà assegnato un punto e potrà tornare (con la palla in mano) nella zona di partenza.

    Per le dimensioni può andare benissimo un campo da pallavolo (9x18m), ma tali misure possono anche essere aumentate in caso di difficoltà dei giocatori nel guidare la palla. Com’è possibile vedere nella figura sopra, la ZONA 2 è libera dai ragni; questo permette ai giocatori, una volta oltrepassata la ZONA 1, di poter fermare la palla e comprendere quali siano gli spazi migliori (pressione dei ragni) dove guidare la palla. Infatti i primi criteri di verbalizzazione sono:

    • Guidare guardando dove sono gli spazi vuoti per evitare i ragni
    • Tenere la palla vicino al corpo (senza allungarsela), altrimenti c’è il rischio che esca dal campo.

    Ovviamente la prima variante è quella di inserire i ragni anche nella ZONA 2; in questo modo i giocatori avranno una maggiore pressione e dovranno essere più abili nel guidare negli spazi.

    VARIANTE 1

    attenzione-ai-ragni-2Il primo Step per incrementare le difficoltà dell’esercitazione è quello di considerare una zona unica (quindi senza vincolare lo spazio i ragni) e inserire dei “percorsi” da effettuare prima di poter portare la palla nella zona d’arrivo. Nell’immagine sopra, ogni giocatore (prima di poter portare la palla nei cerchi) dovrà:

    • Far passare la palla in una delle 2 porticine di coni gialli.
    • Far passare la palla sotto almeno un ostacolo basso (blu).
    • Strisciare e far passare la palla sotto ad un ostacolo alto (rosso).

    Un ulteriore incremento delle difficoltà, si può ottenere limitando le dimensioni del campo o aumentando il numero dei ragni

    attenzione-ai-ragni-3Per incrementare ulteriormente la motivazione dei giocatori, si può dare la possibilità (a chi ferma la palla nel cerchio) di effettuare un tiro in porta (con portiere, vedi immagine sopra); in questo caso, si dà un punto in più in caso di Gol. Ovviamente il percorso, in questo caso, dovrà essere abbastanza lungo da non fare arrivare contemporaneamente troppi giocatori a tirare. Riportiamo sotto ulteriori varianti:

    • In caso di gruppi particolarmente eterogenei, può accadere che i giocatori meno abili si trovino per gran parte del gioco a fare i ragni. In questi casi, si può introdurre la regola “chi fa gol diventa ragno, e dà la palla ad un ragno”.
    • Invece, in caso di gruppi abbastanza omogenei, si può introdurre la variante: “chi fa gol, va in porta!”.

    VARIANTE 2

    attenzione-ai-ragni-4Ultima variante è quella di richiedere un continuo movimento (avanti/indietro) dei giocatori per ottenere i punti (vedi immagine sopra). Quindi una volta giunti in una zona d’arrivo (cioè in un cerchio rosso), si dovrà immediatamente ripartire per andare nella zona opposta (facendo tutti i percorsi richiesti) in cui sono presenti altri cerchi rossi; ogni volta che si giunge in un cerchio rosso, viene assegnato un punto. Questa variante concede una maggior densità di gioco (si rimane fermi meno tempo), ma è da inserire solo quando i giocatori hanno un buon dominio di palla in quei contesti. Per incrementare ulteriormente gli stimoli, si può aggiungere la regola: se tocco la schiena del ragno senza farmi prendere la palla, avrò un punto in più.

    CONCLUSIONI

    Il miglioramento del dominio della palla nei primi anni di scuola calcio, si ottiene primariamente tramite esercitazioni globali in cui al giocatore è possibile “toccare tante volte la palla”. Solo in questo modo, potrà acquisire le doti tecnico/coordinative necessarie per sviluppare le abilità tecnico/tattiche successive. L’inserimento dei ragni nel contesto di gioco, permette di avere un’opposizione al dominio della palla non particolarmente impegnativa, che quindi consente (nei primissimi anni della scuola calcio) di allenare la guida in maniera ottimale. In fondo al post, potete vedere i link ad altre strutture simili (ordinate per difficoltà progressiva) a quella presentata in questo articolo.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  10. Come stabilire un’efficace programma di allenamento funzionale

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    (Aggiornato al 05/08/2022)

    Miglioramento della mobilità articolare, potenziamento muscolare, prevenzione infortuni, sono tutti obiettivi che è possibile raggiungere tramite un utilizzo corretto dell’allenamento funzionale. Nel post odierno cercheremo di far capire come costruire un “percorso” (cioè una progressione di movimenti e variabili) di allenamento funzionale in base al proprio target, definito dallo sport praticato (o dal tipo di riabilitazione desiderata), dalla caratteristica dei soggetti che si allenano e dal tempo a disposizione.

    Nella parte finale dell’articolo riporteremo poi l’esempio di alcuni protocolli con particolare riferimento al calcio e alla corsa, con obiettivi riguardanti la prevenzione infortuni, la mobilità dell’anca, la core stability, la forza del calciatore dilettante, ecc

    movimenti allenamento funzionale

    Nel precedente post abbiamo approfondito la teoria e le motivazioni che ci hanno portato a definire l’efficienza metodologica dell’allenamento funzionale. La naturalità dei movimenti proposti, la ricerca continua dell’equilibrio (statico, dinamico ed in volo), la multiplanarità e la progressione esecutiva sono alcuni dei presupposti teorici che potete approfondire leggendo il precedente articolo. Nell’immagine sopra, potete vedere la suddivisione degli 8 movimenti funzionali proposti dal libro di Alberto Andorlini (il più completo attualmente in circolazione).

    Per comodità metodologica ed in base alla mia esperienza, ritengo più semplice utilizzare la suddivisione proposta sotto, accorpando i 3 movimenti che determinano la forza orizzontale (tirare, spingere e ruotare), eliminando gli “spostamenti” (che dipendono prevalentemente dalla programmazione specifica della disciplina, e di conseguenza vanno inseriti nel lavoro specifico) ed inserendo il lavoro per la stiffness. Di conseguenza, i 6 movimenti principali saranno:

    allenamento funzionale

    • Core stability da decubito: rappresenta la prima fase, ma allo stesso tempo necessita di mantenimento per evitare che un indebolimento del core, durante la stagione, provochi degli squilibri.
    • Forza orizzontale: insieme dei movimenti di tirare, spingere e ruotare.
    • Squat: ricordiamo che la forza che l’organismo può immettere in questo movimento cala tanto più si è “piegati” e soprattutto se si utilizza l’appoggio monopodalico. Queste considerazioni (già fatte quando abbiamo parlato della corsa in discesa) sono fondamentali per evitare di utilizzare carichi con il bilancere che nel lungo termine possono portare a problemi alla colonna.
    • Stacco: le differenze con lo squat le abbiamo viste nel precedente post. Se, si considera la corsa come un insieme di continue accelerazioni (fase di spinta) e decelerazioni (fase di impatto), è evidente comprendere come lo stacco monopodalico possa essere, dal punto di vista biomeccanico, il movimento di elezione per lo sviluppo della fase di spinta (accelerazione); vedi figura sotto.

    spinta corsa

    • Affondo: altro movimento che bene si abbina con i movimenti rotatori (che non abbiamo considerato come una categoria di movimenti “unica”, ma inserita nella Forza orizzontale). Ha la peculiarità di trasmettere forze sia in maniera orizzontale che verticale.
    • Stiffness: non è da considerarsi come un movimento vero e proprio (infatti non rientra nella classificazione di Androlini), ma rappresenta (come i movimenti funzionali) un presupposto essenziale per molte discipline sportive. Senza addentrarci in concetti complessi di biomeccanica, basta considerare come una stiffness adeguata sia in grado permettere di utilizzare al meglio l’elasticità muscolare mentre si corre. Nella figura sotto è presentata un’immagine di 2 soggetti che corrono alla stessa velocità, ma con stiffness diverse (con conseguente diversa componente elastica). È ovvio che il soggetto numero 1 (a pari di altre condizioni) esaurirà precocemente (rispetto al secondo) le proprie riserve energetiche a causa un minor utilizzo delle componenti elastiche.

    stiffness

    Concludiamo il paragrafo chiarendo la differenza tra la stiffness e il movimento dello squat; lo squat prevede l’estensione di tutte e 3 le articolazioni (anca/ginocchio/caviglia), mentre nella stiffness è particolarmente accentuato il lavoro sulla caviglia e minimizzato il lavoro sul ginocchio ed anche. Ricordiamo che la stiffness è importante tanto più la velocità di corsa è elevata e rettilinea (velocisti/mezzofondisti veloci), ma un adeguato lavoro su questa capacità è in grado di far ottenere miglioramenti anche ai fondisti (corsa su strada) e negli sport di squadra (come vedremo nell’esempio sotto). Allenamenti di elezione per questa qualità sono il salto con la corda, il salto di ostacoli bassi e le esercitazioni di potenziamento funzionale per il tricipite surale.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog sono esclusivamente a scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica o di un professionista dell’attività sportiva.

    COME STABILIRE IL PROGRAMMA DI ALLENAMENTO FUNZIONALE

    infografica-percorso

    FASE N° 1: DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

    Questi possono essere generali, come il miglioramento dell’atletismo generale dell’atleta; in alcuni casi invece si possono strutturare (all’interno dell’allenamento generale) “percorsi” più specifici; in questo post potete trovare un approfondimento di quelli che possono essere gli obiettivi perseguibili con l’allenamento funzionale.

    Ma vediamo alcuni esempi sotto:

    1. Migliorare la mobilità associata alla stabilità articolare per la prevenzione degli infortuni in una squadra di calcio dilettantistica.
    2. Incremento dell’accelerazione per giocatori di calcio.
    3. Lavoro personalizzato per il miglioramento dell’escursione articolare dell’anca, in relazione ai movimenti di estensione per runner e calciatori.
    4. Lavoro personalizzato per il miglioramento della stiffness per il calciatore.

    N.B.: in fondo all’articolo, vedrete alcuni esempi di protocolli, riguardanti proprio gli obiettivi indicati sopra.

    FASE N° 2: MOVIMENTI DA INGLOBARE

    Più generico è l’obiettivo (esempio mobilità articolare + prevenzione infortuni nel calcio) e più movimenti sono da inglobare nel proprio percorso. Allo stesso modo, più l’obiettivo è specifico e maggiori dovranno essere i gradi di difficoltà (ed approfondimento) associati ai (o al) movimenti scelti; ad esempio, un lavoro personalizzato per incrementare l’escursione dell’anca avrà come movimento principale l’affondo, e movimenti secondari la Corse Stability e la Forza orizzontale.

    FASE 3: DEFINIRE GRADO DI APPROFONDIMENTO/DIFFICOLTA’ DEI MOVIMENTI

    Come detto sopra, dipende dallo sport considerato (calcio, running, basket, ecc.), dal numero di atleti che si allenano (il programma per un singolo runner, può avere un livello di personalizzazione maggiore, rispetto ad una squadra di calcio), dal gruppo che si allena (adulti, giovani, master, ecc.) e dal tempo a disposizione. Quest’ultima, è una variante molto importante, perché definisce lo spazio che può avere l’allenamento funzionale all’interno del tempo di allenamento e di conseguenza il livello difficoltà che può raggiungere il programma.

    plank

    FASE N° 4: STABILIRE IL PERCORSO DELL’ALLENAMENTO

    Si divide il programma in più Step temporali di difficoltà progressiva, che si prefiggono di raggiungere il nostro obiettivo. Obiettivo che può essere anche di carattere generale (prevenzione infortuni, incremento della stiffness, ecc.), e di conseguenza una volta raggiunto, necessita di un regolare mantenimento per il resto della stagione agonistica.

    ESEMPI DI PROTOCOLLO

    Sotto riportiamo alcuni esempi di come può essere strutturato un programma di allenamento funzionale, basandoci sugli obiettivi elencati in FASE 1.

    ESEMPIO N°1: rinforzo del tono addominale in condizioni prima generali e poi specifiche

    I muscoli addominali vengono considerati da tantissimi autori (Kelly Starrett, Michael Boyle, Vincenzo Canali) come un “anello debole” delle catene cinetiche, e per questo devono essere rinforzati con anticipo rispetto agli altri gruppi muscolari ed in maniera inizialmente analitica.

    Divisi in 3 gruppi principali (retto dell’addome, trasverso ed obliqui) svolgono primariamente l’azione stabilizzatrice, cooperano alla respirazione e (in alcune discipline) permettono i movimenti del busto.

    Ma cosa significa azione stabilizzatrice?

    Michael Boyle, nel suo libro (attualmente considerato come punto di riferimento dell’allenamento funzionale negli sport) indica come dovrebbero avere funzioni anti-estensorie, anti-rotatorie e anti-flessorie. Mi spiego meglio: questi muscoli, se lavorano in isolamento, sono in grado di flettere (frontalmente e lateralmente) e ruotare il busto, in particolar modo a livello della parte lombare della colonna.

    Ma secondo lo stesso autore (e anche secondo Kelly Starrett) la parte lombare della colonna dovrebbe rimanere il più possibile stabile, e tutti i movimenti dovrebbero originare a livello delle anche, delle spalle o tuttalpiù a livello del torace.

    Questo perché la stabilità della colonna è un prerequisito essenziale per movimenti efficienti e per ridurre il rischio di infortuni; non ci credete? Provate a guardare la stabilità del tronco di Marcel Jacobs ed Eliud Kipchoge.

    quali sono i muscoli addominali
    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Detto questo è evidente il motivo per il quale gli addominali vadano allenati come anti-estensori, anti-flessori (laterali) ed anti-rotatori, cioè come gruppi muscolari in grado opporsi a movimenti eccessivi del tronco (soprattutto dela parte lombare), conferendo quindi “stabilità”; attenzione…non significa “rigidità”, ma il minimizzare i movimenti della colonna al fine di ottenere un gesto motorio efficiente ed armonico grazie all’intervento di anche, spalle e degli arti. In questo modo saranno le articolazioni delle anche e della spalla a essere la “guida” dei movimenti, rispettando quello che è il loro ruolo funzionale.

    Gli esercizi da preferire nella prima fase dell’allenamento sono quindi posizioni statiche che mettono in tensione questi muscoli come anti-estensori, anti-rotatori ed anti-flessori (laterali).

    Ma attenzione, non trascuriamo il legame che hanno con la funzione respiratoria!

    Infatti, la funzione del trasverso dell’addome (cioè quello più “profondo”) è anche quella di assecondare la respirazione; di conseguenza, l’allenamento di questo muscolo deve considerare anche la respirazione. Questo aspetto è estremamente importante, perché se lavoro solo sul retto dell’addome, potrò anche avere la “tartaruga”, ma non riuscirò ad essere stabile durante i movimenti, soprattutto quando vado in affanno respiratorio.

    Ma come allenare il trasverso?

    In maniera analitica è molto semplice: effettuando un normale plank (durata 45”) si alternano 5” di inspirazioni con il naso a 10” di espirazione veloce e forzata con la bocca; negli ultimi secondi di espirazione forzata sarà evidente la contrazione del trasverso (stringendo “la pancia”) per “buttare fuori” tutta l’aria rimasta. Ovviamente a questo esercizio si deve arrivare gradualmente, imparando prima il plank (arrivando a 45” continui) e la contrazione analitica del trasverso (vedi questo video di Gaetano Rosace).

    esercizi per rinforzare muscoli addominali

    Bene, una volta fissati i punti fondamentali della prima fase dello sviluppo del tono addominale, possiamo ipotizzare 3 step per un percorso funzionale.

    1. STEP N° 1: utilizzo prevalentemente del plank respiratorio (se si ha già appreso la tecnica indicata sopra), plank laterale e il plank con 1 arto sollevato (alternanza di 1 mano o 1 piede); tutti in forma statica (vedi immagine sopra); chi non riesce, deve partire da una progressione con esercizi più leggeri. Questo primo step può essere considerato lo stesso per la maggior parte degli sport.
    2. STEP N° 2: abbinamento a potenziamento del core (addominali, bacino e torace) e degli arti in maniera funzionale agli sport praticati. Si tratta di utilizzare ed adattare i movimenti funzionali (vedi seconda immagine dell’articolo) in base alla disciplina considerata; un punto in comune tra tutte è l’importanza della capacità di contrazione addominale in concomitanza della capacità di estensione dell’anca (allungamento del retto femorale e dell’ileo-psoas) per evitare l’antiversione del bacino (Canali 2015); vedi immagine sotto.
    3. STEP N°3: correzione ed adattamento del programma in base alla biomeccanica del movimento sport-specifico e delle caratteristiche del soggetto. Senza scendere nei dettagli, è evidente come un runner debba lavorare diversamente rispetto a chi pratica il salto in alto (pensate all’arco dorsale durante il valicamento dell’asticella); quest’ultimo, per evitare di infortunarsi, non deve solamente avere un maggior tono muscolare dell’addome, ma anche un controllo motorio che permette di gestire i movimenti dinamici minimizzando il rischio di problematiche al rachide.

    antiversione bacino infortuni

    È quindi evidente come siano necessari 2 transfert (quello del passaggio allo STEP N° 2 e quello del passaggio allo STEP N° 3) al fine di migliorare la motricità e ridurre il rischio di infortuni.

    Il primo transfert avverrà grazie all’utilizzo di movimenti funzionali (quelli della seconda immagine di questo articolo), all’interno dei quali gli addominali non rappresenterebbero l’anello debole (perché potenziati nello STEP N° 1), mentre il secondo (il più importante) con i movimenti specifici della disciplina in condizioni ottimali grazie a quanto effettuato nello STEP N° 2.

    Ad esempio, un runner nello STEP N° 3, sarà in grado di facilitare il transfer con la corsa in salita, le andature di pre-atletica, ecc.

    Per chi volesse approfondire come affrontare lo STEP N° 1 (ed in parte il N° 2), consiglio il libro di Michael Boyle, oppure potete trovare nel nostro blog l’esempio dei primi 2 step dedicati alla core stability nella corsa.

    ESEMPIO N° 2: il paradosso dell’allenamento funzionale

    Più di un “esempio”, questo è un concetto a mio parere importante; come volte ribadito, l’allenamento funzionale prende in considerazione i movimenti e non i singoli muscoli. Possiamo quindi dire che considera le catene cinetiche, cioè l’insieme di muscoli embricati tra di loro, con il connettivo ed altri tessuti, al fine di applicare e direzionare la forza.

    Dall’immagine sotto possiamo vedere un esempio di suddivisione (possono esserci variazioni da autore ad autore).

    catene cinetiche
    Immagine tratta da: https://www.dottordavidemambrin.it/la-posturologia/

    All’interno di queste catene esistono comunque gruppi muscolari che vanno più facilmente “in difficoltà”, cioè possono rappresentare l’anello debole della catena.

    Ovviamente non in tutti i soggetti hanno dei deficit, ma leggendo testi di diversi autori autorevoli in materi, ho notato come alcuni sono particolarmente ricorrenti (vedi immagine sotto).

    Questo è uno dei motivi per il quale i muscoli addominali (vedi l’esempio del precedente capitolo) sono solitamente potenziati precocemente (all’interno della stagione) ed in maniera analitica.

    anelli deboli catene cinetiche

    Gli altri gruppi muscolari sono i fissatori della scapola, i glutei (soprattutto gli abduttori e rotatori esterni) ed i muscoli responsabili dell’avvolgimento dell’elica podalica.

    Secondo Vincenzo Canali anche i posteriori della coscia (quando lavorano da estensori dell’anca) rappresentano un “anello debole”; non a caso è il gruppo muscolare che più facilmente va incontro ad infortuni nel calcio.

    Ovviamente il fatto che tutti i muscoli citati sopra possano rappresentare dei punti deboli, non significa che sia così per tutti gli atleti; dipende da soggetto a soggetto.

    Di norma, con il passare dell’età, e degli infortuni, è più probabile che queste problematiche possano emergere; queste portano ad incrementare il rischio di infortuni ed a peggiorare quella che è l’efficienza motoria (e di conseguenza la performance). Non necessariamente saranno questi muscoli ad infortunarsi (raramente ci si lesiona ai glutei o agli addominali), ma la loro debolezza può causare infortuni ad altre strutture. Faccio sotto alcune considerazioni, senza la presunzione di essere esaustivo, ma solamente per fare alcuni esempi.

    Quando i fissatori della spalla sono deboli, si tende ad accentuare la cifosi dorsale (ad “ingobbirsi”); questo ha come possibile ripercussione la limitazione meccanica degli spazi respiratori. Non solo, nelle discipline in cui la corsa è predominante, l’atleta non riuscirà ad estendere indietro i gomiti, compensando con la rotazione del tronco con relativa perdita di efficienza meccanica; questo perché, come abbiamo visto sopra, il tronco dovrebbe rimanere il più possibile stabile durante la corsa. Questi muscoli tendono particolarmente ad indebolirsi per chi lavora tanto tempo seduto e con l’uso dei cellulari; in questi casi consiglio di effettuare spesso la sequenza di rinforzo della linea mediana.

    I glutei ed i rotatori esterni dell’anca sono muscoli fondamentali la cui corretta attivazione consente di evitare il collasso dell’asse trasverso del bacino, che può essere causa di infortuni e scarsa efficienza nella corsa (Michaud 2021); nell’immagine sotto vediamo una delle conseguenze di questa debolezza (Segno di Trendelenburg) ed alcune posizioni tratte dallo Yoga (solo a scopo illustrativo) che possono aiutare a ridurre la problematica.

    Segno di Trendelenburg

    Altri gruppi muscolari, spesso causa di infortuni e sottoprestazioni (soprattutto per i runner), sono quelli coinvolti nell’avvolgimento dell’elica podalica; la conseguenza più diretta è l’iperpronazione (aggravata anche dall’uso di scarpe eccessivamente protettive mentre si corre), che può dare origine ad infortuni al ginocchio, al tendine d’achille ed ai polpacci…oltre a perdita di elasticità. Per chi vuole approfondire, può leggere il nostro articolo sull’iperpronazione.

    Chiudo con i posteriori della coscia; questi sono gruppi muscolari che in discipline con tanti cambi di direzione tendono a diventare più deboli e rigidi rispetto agli anteriori della coscia. Non solo, a causa della dominanza tecnica (soprattutto nel calcio) un emilato tende a diventare più forte e rigido dell’altro, incrementando ulteriormente il rischio di problematiche. Un lavoro adeguato di potenziamento muscolare (un muscolo più “resistente” si lesiona più difficilmente) e di coordinazione, aiuta a ridurre il rischio di lesioni a questi gruppi muscolari (vedi il nostro articolo dedicato alla prevenzione degli infortuni nel calcio).

    Come potete notare, le problematiche associate a questi tipi di infortuni possono coinvolgere la forza (la maggior parte delle volte), la mobilità o la coordinazione (in particolar modo la sincronizzazione delle unità motorie).

    Per chi volesse approfondire consiglio i testi di Tom Michaud, Michael Boyle, Daniele Vecchioni (per gli appassionati di corsa) e di Luca Russo e coll (per la valutazione posturale).

    Per chi opera nell’ambito del calcio (o è appassionato di running) può scaricare gratuitamente le nostre risorse gratuite (dei mini-ebook) iscrivendovi gratuitamente ai nostri canali telegram; in più, riceverete i contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale.

    EEMPIO N° 3: miglioramento dell’escursione articolare dell’anca, in relazione ai movimenti di estensione per runner e calciatori

    L’estensione dell’anca è un aspetto fondamentale, per i runner di alto livello; l’immagine sotto raffigura in allenamento Galen Rupp (3° alla maratona olimpica di Rio de Janeiro) e Mo Farah (Campione Olimpico 5000m e 10000m a Londra e Rio de Janeiro). Nel circolo giallo è evidenziata l’escursione a cui arriva l’anca durante la fase di volo.

    farah-rupp

    Un’adeguata escursione permette di avere una lunghezza del passo adeguata e di conseguenza un adeguato rapporto tra frequenza ed ampiezza del movimento. In un atleta di alto livello, un deficit a livello di questa articolazione non permetterebbe di sfruttare al massimo le proprie qualità neuromuscolari. In podisti amatori il discorso è diverso, perché le velocità relative alle quali vengono corse le gare permette di compensare (almeno in parte) una ridotta ampiezza del passo con un incremento della frequenza.

    messi

    Nel calcio, è possibile fare le stesse considerazioni (vedi immagine sopra), soprattutto in virtù del fatto che è più facile (anche a livello dilettantistico) raggiungere velocità elevate e movimenti in cui è richiesta un’elevata articolarità dell’anca (anche a intensità non elevate). Soggetti carenti in questo tipo di movimenti, dovrebbero fare un lavoro mirato per colmare queste lacune, anche perché potrebbero essere frutto di retroazioni che sono causa di infortuni. Un programma di allenamento funzionale specifico per questo obiettivo, dovrebbe includere sia il movimento di affondo (movimento primario) che movimenti in grado di incrementare la forza degli estensori (squat e stacco). Soprattutto il movimento dell’affondo consigliamo di eseguirlo nel primo step nella modalità Statico Dinamica. Questo perché permette di essere maggiormente sicuri (vista la lentezza del movimento, vedi video sotto) di effettuarlo nella maniera più corretta e di stimolare soprattutto le fibre lente.

    Negli step successivi, questo movimento potrà essere effettuato a velocità maggiore, ma sempre prestando attenzione alla distanza (massima, compatibilmente con il controllo dell’equilibrio) tra i piedi e al busto eretto. Non ci dileguiamo ulteriormente per non appesantire il post, se comunque avete quesiti potete scrivere un commento in fondo al post o mandarmi una mail.

    ESEMPIO N° 4: lavoro personalizzato per il miglioramento della stiffness per il calciatore

    Questo protocollo è stato utilizzato per un giocatore di Prima Categoria dotato di una forza muscolare elevata (rispetto alla media della categoria), ma stiffness ridotta. Il giocatore lamentava di percepire come in situazioni in cui veniva richiesta brillantezza muscolare (allunghi, cambi di direzione) si sentisse poco esplosivo lavorando eccessivamente con la parte posteriore delle cosce.

    È stato quindi programmato un protocollo personalizzato da effettuare prima del 2° allenamento settimanale (su 3 totali) della durata di 20-25’ circa. Questo prevedeva non solo esercizi per la stiffness, ma anche per la prevenzione degli infortuni al retto femorale, di cui il calciatore ha sofferto in passato.

    1. STEP N° 1: addominali a terra, plank (2 giri bipodalici), squat parallelo (2 serie di 15 ripetizioni non ad esaurimento), stacco ad una gamba (2 serie da 10 ripetizioni non ad esaurimento), sole taps coerver (5×20), multibalzi tra ostacoli bassi a piedi pari (10 ripetizioni di 5 miniostacoli), salti monopodalici destra/sinistra e avanti/indietro tra linea a terra (6×10 totale).
    2. STEP N° 2: come sopra, ma in aggiunta: lavoro statico dinamico per la publagia (2×20” prono e supino; vedi immagine sotto per la posizione prono), multibalzi monopodalici tra ostacoli bassi (6 ripetizioni di 5 miniostacoli).

    pubalgia prevenzione

    1. STEP N° 3: come sopra, ma in aggiunta 2-3 ripetizioni corsa balzata a navetta (20+20m) con riferimenti di 2-3 metri per balzo (cinesini a terra); vedi immagine sotto.

    N.B.: il terzo step veniva fatto solamente se non era in previsione esercizi di balzi nella seduta di squadra di giornata.

    balzata

    Il protocollo, secondo le sensazioni del giocatore, ha dato ottimi risultati; in partita si sentiva più brillante e meno affaticato anche nei finale. Unico leggero effetto collaterale è stato che nella parte finale dell’allenamento di squadra del giorno corrispondente al lavoro funzionale, si sentiva molto stanco. Nel periodo di allenamento non si sono riscontrati infortuni.

    Conclusioni: l’allenamento funzionale in questione si è rivelato proficuo ed efficace; è comunque un protocollo consigliabile (se somministrato nei settori dilettantistici) solamente per atleti fortemente motivati e dotati di buone capacità di recupero.

    ESEMPIO N° 5: core stability per il miglioramento della performance del runners

    È stato dimostrato come l’affaticamento a cui vanno incontro i muscoli del core nei finali di gara, porti ad un peggioramento della performance dovuto ad incremento della fatica, ad un peggioramento della tecnica di corsa e della funzione respiratoria. Un adeguato protocollo di allenamento funzionale per il core (e non solo di core stability) è ormai ritenuto efficace a tutti gli effetti per prevenire il calo prestativo dovuto a questi fattori. Di conseguenza, un programma dovrebbe tenere in considerazione non solo la stabilizzazione del core, ma anche l’incremento funzionale delle catene cinetiche responsabili della spinta orizzontale, quali quella posteriore e quella flessoria. Queste catene infatti non subiscono particolari microtraumi come quella estensoria (per semplificare, quella in cui lavorano prevalentemente anteriori della coscia e polpacci), di conseguenza, affaticheranno in maniera minima i muscoli che attutiscono l’impatto con il terreno.

    Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è catena-posteriore-running-1.png

    Riporto sotto i 3 step, che potete trovare in maniera estremamente dettagliata nel nostro post dedicato all’allenamento funzionale del core per i runner.

    • STEP N° 1: sensibilizzazione e potenziamento del retto dell’addome per evitare l’antiversione del bacino in condizioni di affaticamento. In più introduzione dello stacco con kettlebell per migliorare la forza orizzontale
    • STEP N° 2: agli esercizi sopra, vengono aggiunti mezzi allenanti finalizzati al miglioramento delle catene muscolari responsabili dei movimenti rotatori e oscillatori del tronco (plank modificati). In più, viene aggiunto l’Hip thrust monopodalico modificato per incrementare la resistenza muscolare della catena posteriore e di conseguenza la spinta orizzontale e la capacità di andare in salita.
    • STEP N° 3: a quanto fatto sopra, vengono aggiunti asana presi dallo yoga per favorire la mobilità e l’ulteriore stabilità delle catene cinetiche (soprattutto a livello distale), al fine di diminuire la viscosità delle catene cinetiche.

    ESEMPIO N° 6: potenziamento muscolare (pausa estiva) per il calciatore dilettante

    La pausa estiva è il momento ideale per il calciatore dilettante di dedicarsi al lavoro muscolare, visto che gli affaticamenti tipici di questa attività non si andrebbero a ripercuotere sulle partite settimanali. Un programma effettuato in maniera corretta (se abbinato anche ad un lavoro aerobico), permette di presentarsi ad inizio preparazione in condizioni ideali, riducendo drasticamente il rischio di infortuni ed effettuare questa fase con minore fatica. Durante l’anno sarà poi necessario limitarsi al mantenimento nelle esercitazioni svolte con la squadra o tramite un programma personalizzato.

    Ma che caratteristiche deve avere un programma di potenziamento estivo?

    La prima è quella di poter essere fatto a casa, con un numero particolarmente limitato di attrezzi e con dei movimenti semplici da effettuare (visto che non si può essere seguiti direttamente); la seconda quella che sia veramente funzionale a quella che è l’attività del calciatore (vedi immagine sotto).

    potenziamento dilettanti

    Nel nostro post dedicato all’argomento, potete trovare i 2 semplici step per effettuare una corretta preparazione muscolare estiva. Sottolineo la semplicità (dal punto di vista dei movimenti e dei mezzi necessari) del protocollo, affinchè possa essere svolto in completa autonomia da parte del giocatore. Per questo protocollo è sufficiente un kettlebell ed una corda per saltare.

    • STEP N° 1: apprendimento delle tecniche esecutive dei movimenti funzionali più semplici, comunque orientati al miglioramento della resistenza muscolare locale, oltre della mobilità e stabilità articolare.
    • STEP N° 2: incremento della difficoltà dei movimenti grazie alla riduzione del numero di appoggi ed in alcuni casi all’aumento del carico.

    ESEMPIO N° 7: iperpronazione e potenziamento elica podalica

    Un “cattivo” appoggio del piede è spesso associato a problemi di iperpronazione; questo è spesso causa di infortuni, e non permette all’atleta di esprimere il proprio potenziale.

    L’errore da evitare, è quello di concentrarsi solo sulla problematica associata al piede, quando invece è  da valutare l’intero insieme delle catene cinetiche per di capire quale possa essere il rimedio. Altro errore da evitare, è quello di illudersi che con una scarpa con supporti si possa evitare il problema degli infortuni. La necessità di “supporti” o “plantari ortopedici”, dovrebbe essere stabilita da personale medico (ortopedico o fisiatra) e solo in presenza di dismorfismi.

    infortuni corsa

    Nell’immagine sopra sono raffigurate le origini degli infortuni più comuni; è su queste variabili che un programma di intervento funzionale dovrebbe focalizzarsi, considerando non so lo il “piede” come causa. Nel nostro post dedicato a corsa e pronazione, troverete un programma di base proprio per prevenire gli infortuni associati all’iperpronazione ed alle cause più frequenti di infortuni.

    Non trascurare la meccanica della colonna

    Una colonna stabile che riesca a mantenere il più possibile la sua posizione naturale durante la pratica sportiva, è un presupposto fondamentale per la performance; per questo motivo, si effettuano gli esercizi funzionali per il core. Ma a volte può essere necessario ricorrere periodicamente alla sequenza di rinforzo ideata da Kelly Starret, proprio per evitare che anelli deboli della catena (addominali, fissatori della scapola, glutei, ecc.) perdano tono compromettendo l’efficienza fisica ed incrementando il rischio di infortuni.  Questo vale in particolar modo per chi ha uno stile di vita (al di fuori della pratica sportiva) sedentario (come un lavoro al PC), o chi passa genericamente tanto tempo seduto. In questi casi, l’utilizzo periodico della sequenza di rinforzo può aiutare notevolmente a mantenere una posizione corretta della colonna, anche durante la pratica sportiva.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  11. La preparazione atletica al Leicester di Ranieri: spunti per le programmazioni future

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    Quello di Ranieri, nella Premiere League 2015/2016, è stato additato come un autentico “miracolo” e al tecnico Romano è stato riconosciuto gran parte del merito, a tal punto di esser soprannominato “King Claudio”. Ma quali sono state le chiavi che hanno permesso a questa squadra di vincere la Premier? Claudio Ranieri ha utilizzato metodologie innovative o è riuscito semplicemente ad adattare le sue metodiche al gruppo? Quale ruolo ha avuto la preparazione atletica in tutto questo? In questo post cercheremo di analizzare tutti questi quesiti, con particolare attenzione all’aspetto atletico!

    preparazione atletica, leicester, ranieri

    “LA MENTALITA’ È LA PRIMA COSA CHE FA LA DIFFERENZA”

    Probabilmente è il primo concetto che emerge dalle interviste del tecnico! King Claudio è riuscito ad impostare il gioco e l’allenamento della squadra non solo secondo le loro caratteristiche, ma anche secondo quelle che erano i loro bisogni; ciò ha permesso di ottenere il 101% da ogni suo effettivo, cosa che non sempre riesce a molti allenatori. Inoltre l’aver rafforzato un gruppo già unito, ha creato un ambiente congeniale probabilmente a tutte le caratteristiche dello staff e giocatori.

    Dal punto di vista metodologico, questa sua frase rispecchia molto la sua filosofia calcistica:

    «Non mi piace dire che facciamo schemi in attacco, a calcio si gioca con l’organizzazione difensiva, poi negli ultimi trenta metri dipende dalle nostre idee»

    Ovviamente questo è un modello di gioco che si sposa facilmente con il modo di giocare della Premier. Riassumendo, avere una difesa organizzata e giocatori tatticamente versatili ed intelligenti (di conseguenza poco prevedibili) in avanti, è stato il pensiero tattico principale del tecnico. Ricordiamo che tale approccio, rende ancor più difficile il lavoro degli analisti delle squadre avversarie, che oggi rappresenta la fonte di informazione più importante del modo di giocare della squadra avversaria.

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    LA COMPONENTE ATLETICA NELL’ALLENAMENTO DEL LEICESTER

    Le squadre di Ranieri hanno sempre fatto dei buoni finali di stagione dal punto di vista atletico; da ricordare su tutte il Parma nella stagione 2006/07 (recupero salvezza) e la Roma nel 2009/10 (l’annata della rimonta sull’Inter). Proprio in queste 2 stagioni, il tecnico è entrato “in corsa”, quindi è ragionevole ipotizzare che la maggior parte della preparazione non sia dipesa da lui; ciò rinforza sempre di più l’ipotesi di chi ritiene quanto sia importante la giusta motivazione per mantenere le giuste intensità in allenamento e per “dare veramente tutto” in partita.

    Non a caso, in accordo con i giocatori nella passata stagione decise di dare 1 giorno in più di riposo (Mercoledì) ai giocatori, concentrando 2 brevi ed intensi picchi di carico settimanali (presumibilmente il Martedì e il Giovedì); ciò rappresenta una novità per un allenatore Italiano, solitamente abituato a gestire un solo piccolo di carico, ma più “modulato” nella parte centrale della settimana. Ciò è stato possibile grazie alla grossa dedizione ed impegno (superiore alla norma, secondo il tecnico) dei giocatori in tutti gli allenamenti.

    ELEMENTI DELLA PREPARAZIONE ATLETICA DEL LEICESTER

    Ma vediamo ora quali sono stati gli aspetti più peculiari della gestione atletica nell’allenamento, elencandoli da quelli che ritengo più “innovativi”. Tali elementi ci sono forniti dall’articolo pubblicato sul sito della BBC. Riporteremo quindi quanto emerge dal testo dell’articolo, contestualizzando il tutto (quando possibile) con le evidenze attuali della scienza della preparazione atletica nel calcio; il tutto per comprendere come l’esempio del Leicester possa essere di utile per la programmazione atletica (per professionisti e dilettanti) della prossima stagione.

    1. NON AVER PARTITE DI COPPA

    leicester infortuniRappresenta la variabile che più di altre ha influito positivamente sulla programmazione atletica; si pensi che quando le altre squadre in lotta per il campionato dovevano affrontare turni infrasettimanali, il Leicester (di Mercoledì) riposava. Ciò permetteva di ricaricare le pile e poter recuperare “acciacchi” vari nell’arco della settimana intera. Non a caso, la squadra di Ranieri ha avuto meno infortuni di tutte le altre e di conseguenza ha potuto utilizzare meno giocatori totali in stagione, permettendosi (più spesso delle altre) di mettere in campo i migliori.

    1. TENERE IN FORTE CONSIDERAZIONE LE INDICAZIONI DELLO STAFF MEDICO

    Molti staff medici (di squadre Inglesi e non) si lamentano del fatto che non sempre gli allenatori tengono in considerazione le loro indicazioni. Non di rado, alcuni giocatori vengono fatti medicogiocare al limite dell’infortunio, con il rischio di successive assenze dalle partite in caso poi di lesioni. In questo tipo di decisioni (quando si tratta di casi “al limite”), grosso peso ce l’ha l’allenatore; Ranieri è stato riconosciuto dal suo staff come un allenatore che più di altri ha ascoltato le loro indicazioni, sicuramente aiutando il lavoro di prevenzione e cura messo in piedi dallo staff medico. Ricordiamo che già avevamo dedicato un post alla relazione tra infortuni e risultati, prendendo spunto da un’importante ricerca, che trovò proprio in squadre professionistiche una correlazione tra lesioni nella stagione e classifica finale. Su questo dovrebbero riflettere soprattutto gli allenatori di squadre dilettantistiche, che spesso mettono in campo giocatori in “dubbie” condizioni atletiche (e a rischio di infortuni), solo per il “timore” di perdere una partita, o al limite di essere esonerati. Ma nei settori dilettantistici, è più importante la salute dei giocatori o il risultato?

    1. ACCURATA PROGRAMMAZIONE E VALUTAZIONE DEL CARICO ALLENANTE

    Come già citato sopra, la programmazione settimanale prevedeva 2 picchi intensi di carico (a inizio e dopo la metà) e un giorno di riposo il Mercoledì. Nelle “settimane standard” delle altre squadre, si tende invece a tenere il carico medio-alto per la parte centrale della settimana (da Martedì a Venerdì), ma modulando il tipo di stimolo (Aerobico, Forza, lavori specifici e Rapidità). Non solo, probabilmente (deduciamo da quanto emerge dall’articolo della BBC) i carichi a cui sottoponeva King Claudio i propri giocatori, avevano un elevato livello di specificità (cioè molto lavoro con palla), per permettere di sfruttare al meglio il poco tempo a disposizione. Ciò permetteva comunque ai suoi ragazzi di rimanere molto motivati (sappiamo tutti che ai giocatori di calcio piace poco correre senza palla) e mantenere intensità superiori alla norma durante le esercitazioni specifiche. Concludendo: poco lavoro ma molto specifico e ad alta intensità; se il tasso di infortuni rimane basso e se si hanno giocatori motivati, è sicuramente una strategia particolarmente efficace!

    1. ALLENAMENTO DELLA FORZA ORIZZONTALE

    L’efficienza delle ripartenze del Leicester della stagione 2015/2016, secondo il tecnico Romano, furono anche frutto di uno specifico allenamento atletico basato sulla velocità. Già nel post squatdedicato alla Match Analysis qualitativa abbiamo fatto notare come le azioni da gol siano praticamente sempre accompagnate da situazioni alta intensità di corsa; è logico immaginare che durante le ripartenze, siano presenti non solo elevati livelli di accelerazione, ma anche di velocità. Un altro aspetto interessante è l’attenzione particolare dedicata al potenziamento dei muscoli della catena posteriore. Tradizionalmente si è portati ad ipotizzare che il lavoro con i pesi nelle squadre professionistiche sia improntato prevalentemente allo sviluppo dell’esplosività, tramite il nordbordpotenziamento delle catene che permettono l’estensione delle articolazioni caviglia-ginocchio-anca come lo squat. Lo staff del Leicester invece concentrò particolarmente l’attenzione sulla catena posteriore della coscia, tramite un particolare attrezzo che contemporaneamente all’esecuzione, valutava i parametri di forza e sbilanciamento dei posteriori della coscia. Fondamentalmente l’esercizio che si effettua è il Nordic Hamstring, di cui avevamo già parlato per la prevenzione degli infortuni; lo staff di Ranieri non si è solamente limitato ad utilizzarlo per la prevenzione (probabilmente insieme ad altri movimenti), ma anche per il rinforzo di muscoli necessari per correre a velocità elevata (posteriori della coscia).

    ATTENZIONE, questo tipo di esercizio è utile nella prevenzione degli infortuni, ma deve essere abbinato a esercitazioni di core stability e di allenamento funzionale, che servono (i primi) per bilanciare in maniera adeguata la muscolatura del tronco e (i secondi) per trasformare biomeccanicamente il lavoro di potenziamento in guadagno in efficacia dei movimenti. Non solo, il Nordic Hamstring deve essere effettuato con estrema consapevolezza nel ripartire in maniera adeguata il peso (durante la discesa) su entrambe le gambe; infatti è ampiamente risaputo che, soprattutto tra i dilettanti, la gamba dominante nella parte posteriore della coscia è più forte del controlaterale, di conseguenza, la ripartizione del carico deve essere fatta con estrema attenzione per non acuire ancora di più le differenze.

    1. CONFRONTO INSIEME AI GIOCATORI DEI DATI SIGNIFICATIVI

    Gli staff delle squadre professionistiche hanno a disposizione una variabilità di dati (ottenuti da strumenti e protocolli) che in linea teorica permettono di comprendere al meglio come un giocatore si allena e il suo livello di affaticamento oggettivo (esami) e soggettivo (percezione dello sforzo). Ranieri con i suoi collaboratori hanno cercato per tutta la stagione di condividere insieme ai loro giocatori i dati (accelerazioni/decelerazioni, cambi di direzione, ecc) provenienti dalle partite e dagli allenamenti specifici, proprio per responsabilizzarli e dare loro il maggior feedback possibile del lavoro svolto; sicuramente questo ha influito molto sulla motivazione (di cui abbiamo detto sopra) nell’affrontare l’allenamento.

    Dal punto di vista della valutazione soggettiva, lo staff dei Leicester non si è limitato all’RPE, ma ha cercato (tramite questionari dettagliati) di comprendere al meglio lo stato di salute psico-fisico e del recupero (ore di sonno, ecc.)…..elemento fondamentale, proprio per il fatto di dare 1 giorno in più di recupero. Purtroppo dall’articolo della BBC non emerge se il Leicester valutasse anche la Potenza Metabolica in partita o in allenamento.

    1. ICE CHAMBER E SUCCO DI BARBABIETOLE

    Le criosaune (Ice Chamber) sono utilizzate allo scopo di migliorare il recupero; per intenderci, ne hanno parlato anche agli Europei 2016 dopo il Twitt di Bonucci (che insieme a De Rossi e Chiellini, si stava preparando per entrare). Ormai tutte le squadre professionistiche ne fanno utilizzo (anche se in forme diversa dalla criosauna), quindi questo aspetto del Leicester non può essere considerata una novità.

    L’integrazione con succo di barbabietole ha invece rappresentato una novità per il calcio; ultimamente ha riscosso molto interesse scientifico, in quanto è stato visto che l’assunzione di nitrati-inorganici da fonti vegetali è in grado di ridurre il costo metabolico dell’esercizio e quindi migliorare (seppur minimamente) la performance di resistenza. Il succo di barbabietola è particolarmente ricco di queste sostanze ed è facilmente reperibile in commercio sottoforma di succo o estratto.

    Malgrado sia stato dimostrato che in sport di resistenza questo tipo di integrazione possa essere utile (per soggetti di sesso maschile che gareggiano a livello amatoriale), in sport di natura intermittente (come il calcio) sono necessari ulteriori approfondimenti dal punto di vista sperimentale. Per approfondi l’argomento, ti invitiamo a leggere il nostro articolo sul succo di barbabietole.

    CONCLUSIONI

    Quello che emerge nell’articolo della BBC, è che in un gruppo unito e fortemente motivato, adattare la programmazione dell’allenamento e le strategie di gioco alle caratteristiche della squadra può veramente produrre ottimi risultati. Nei dettagli:

    A livello professionistico, la cura degli aspetti difensivi deve essere maniacale! A livello dilettantistico invece (quando il tempo per allenarsi è poco) a mio parere, si perde ancora troppo tempo nell’affrontare schemi offensivi mnemonici che non fanno altro che ridurre la densità dell’allenamento.

    Se il lavoro atletico specifico viene fatto con la massima motivazione e consapevolezza, si può ridurre il lavoro a secco (poco amato dai giocatori) a vantaggio di quello con la palla. Stesse considerazioni a mio parere possono essere fatti per i dilettanti, ma a patto che:

    1. I giocatori siano consapevoli della giusta intensità da tenere nei lavori con palla e fortemente motivati.
    2. Si affronti un lavoro di prevenzione particolarmente accurato (perché il rischio di infortuni, con il lavoro specifico, aumenta) con l’allenamento funzionale.
    3. Si riesca il più possibile a percepire eventuali cali prestativi dovuti a deficit di condizione e si rispetti il concetto di Condizione di necessarietà nella preparazione altetica del calciatore.

    Estensione articolazioni

    Ultimo aspetto che a mio parere è il più interessante per un preparatore è l’allenamento della forza orizzontale. Con l’allenamento con i pesi spesso si tende a sfruttare il carico in condizioni di gravità (cioè sollevare dei pesi verticalmente, vedi immagine sopra) per stimolare l’estensione delle articolazioni (caviglia/ginocchio/anca), cioè un aspetto fondamentale nell’accelerazione; nella figura sotto è possibile vedere il legame tra l’estensione delle articolazioni e la forza orizzontale.

    Forza orizzontale

    Poco invece si conosce sull’utilizzo di mezzi speciali per allenare in maniera specifica la forza orizzontale, che a mio parere fornirebbero un maggior effetto allenante nei confronti dell’accelerazione (perché fondamentalmente il giocatore si sposta orizzontalmente per il campo). Attualmente è reperibile veramente poco materiale sull’argomento, e quasi tutto dal sito http://laltrametodologia.com/; i mezzi che attualmente possiamo annoverare tra quelli più utili sono:

    • Sprint assistito: si tratta tramite un TRX di “facilitare” l’esecuzione dello sprint. Per l’accelerazione, sembra più efficace dello sprint con resistenza (Upton 2011).
    • Utilizzo del torsion pulley a coppie: si tratta di uno sprint con resistenza (fornita dal compagno all’estremo del TRX); è più efficace per la fase lanciata oltre 12-13m (Upton 2011).
    • Utilizzo di macchina isoenerziale: un corretto utilizzo della macchina isoenerziale con filo di lunghezza adeguata e carrucole, permette di eseguire azioni muscolari particolarmente intense ed allenanti (superiori a quelle ottenibili con i metodi sopra).
    • Esercitazioni di spinte, lotta e trazioni a carico libero: abbiamo già approfondito questa metodica quando abbiamo parlato del contrasto.

    Concludiamo l’argomento dicendo che se le prime 3 strategie richiedono tempi e mezzi (soprattutto l’isoinerziale) che non tutte le società dilettantistiche possono permettersi, le “spinte, lotta e trazioni” sono mezzi allenanti molto più fruibili a tutti, ma richiedono un’adeguata conoscenza nella somministrazione e propedeutica degli esercizi.

    Le mie considerazioni fatte sull’allenamento del Leicester sono frutto di quanto letto online; se qualcuno fosse a conoscenza di altri elementi di discussione può tranquillamente riportarli nei “Commenti” o mandarmi una mail.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  12. Esercizi per l’1vs1 “analitico” nella Scuola Calcio

    1 Comment

    Oggi approfondiremo una variabile dell’allenamento giovanile che a mio parere è molto trascurata; vedo sempre più spesso che l’inserimento della didattica del “possesso palla” (chiamiamo così lo scopo della didattica finalizzato al gioco collettivo, a discapito di quello individuale) è anticipato rispetto ad una volta. Ovviamente non critico questo tipo di scelta a priori, ma per il fatto che lavorando così anticipatamente sul “possesso palla” (come fanno molte squadre dalla 2-3° elementare), si va a trascurare inevitabilmente l’1c1 nelle sue diverse varianti, come la capacità di gestire i contrasti, scartare il portiere, dominare la palla in velocità e a gestire la transizione.
    1vs1È evidente che iniziando precocemente la didattica del gioco collettivo, i risultati numerici nelle partite arrivano prima, ma a discapito dei fondamentali “istintivi” citati sopra, che raggiungono la loro massima allenabilità quando il SNC (Sistema Nervoso Centrale) è nella fase finale dello sviluppo (dove c’è la maturazione calciomassima allenabilità), cioè intorno agli 8-9 anni (vedi figura a fianco). A sostegno di questa tesi, citiamo 3 “indizi” che reputo fondamentali:

    • I calciatori dei settori dilettantistici oggi sono poco abili nell’1c1 offensivo!
    • Molti allenatori di prime squadre si lamentano che i giocatori (soprattutto a livello dilettantistico) non sanno difendere correttamente, soprattutto la fase “a uomo nella zona”. Trascurare la tattica individuale (cioè tutto quello che ruota intorno all’1vs1) offensiva in un’età così importante, indirettamente toglie stimoli allenanti anche a quella difensiva.
    • Gli osservatori (talent scout) delle squadre professionistiche quando vanno a vedere le partite dei giocatori di 7-9 anni, tendono a selezionare chi è in grado con le proprie abilità individuali (e non collettive) di risolvere la partita.

    Questa presentata sopra è solamente la mia opinione…per chi volesse aggiungere contenuti o semplicemente esprimere il proprio parere, può farlo nello spazio in fondo alla pagina dedicata ai commenti.

    1vs1 ANALITICO

    Ma veniamo ora all’argomento del post odierno; cercheremo di dare indicazioni per l’allenamento dell’1c1 analitico, partendo dalla struttura di base e fornendo poi le varianti situazionali per la categoria Pulcini. Prima però precisiamo la differenza tra 1vs1 analitico e globale, la cui alternanza nella programmazione dell’allenamento è fondamentale.

    • Per 1vs1 analitico si intendono quelle strutture esercitative in cui attaccante (giocatore in “possesso palla”) e difensore (giocatore in “non possesso palla”) partono da punti prestabiliti; di conseguenza si creeranno delle situazioni “standard” (ad esempio difensore che arriva a fianco) che affrontate più volte (cioè ripetute nell’esercitazione), migliorano la capacità del giocatore di “saltare” l’avversario in quella situazione specifica (cioè difensore che arriva di fianco).
    • Per 1c1 globale invece si intendono quelle strutture esercitative in cui (per spazi ampi o per improbabilità di trovarsi sempre di fronte alla stessa situazione) si affronta l’avversario in maniera “inaspettata” e di conseguenza migliorano la capacità di saltare l’avversario in maniera creativa e con intuito.

    Nel post sulla didattica generale dell’1c1 abbiamo sottolineato l’importanza dell’inizio precoce dell’1vs1 globale come mezzo d’allenamento nei primissimi anni per stimolare la coordinazione, la tecnica, la capacità di rubare la palla all’avversario, ecc. La fase analitica è consigliabile iniziarla quando i giocatori hanno acquisito una buona capacità tecnica di guida della palla (con entrambi i piedi) e appreso almeno le finte di base;

    questo perché i giocatori dovranno avere una padronanza tecnica tale da permetter loro di focalizzarsi sul tipo di scelta di gioco, invece che sulla guida.

    Sarà fondamentale, dal punto di vista didattico stimolare la scelta più opportuna da parte dell’attaccante in base alla situazione e alla lettura del comportamento del difensore.

    1c1 analitico 1Nell’immagine sopra è possibile vedere una semplice esercitazione di 1c1 con partenza a lato del difensore. Da che parte dovrà guidare la palla l’attaccante?…verso lo spazio vuoto o verso l’avversario? Dovrà guidare in velocità o lentamente tenendo in considerazione che prima o poi dovrà affrontare l’avversario? Sinceramente non credo che esista una sola risposta ad ognuna delle domande sopra, ma sia invece importante stimolare i giocatori a ragionare anche in base alle loro capacità.

    1c1 analitico 2Nell’immagine sopra è rappresentata la scelta dell’attaccante (cioè quella di rientrare sulla sinistra) perché il difensore è andato sulla traiettoria di corsa dell’attaccante.

    1c1 analitico 3Nel caso in cui invece il difensore puntasse deciso sull’attaccante, questo potrà proteggere la palla con il proprio corpo e tirare successivamente in porta. Ma in base a quali elementi l’attaccante dovrebbe decidere di rientrare o di proteggere la palla?

    • Il primo è ovviamente la traiettoria di corsa del difensore; come detto sopra, è importante la capacità dell’attaccante di leggere la “situazione” ed agire di conseguenza. Se il difensore corre sulla traiettoria dell’attaccante (cioè arriverà tra palla e porta) allora sarà facile prenderlo in controtempo rientrando sulla sinistra.
    • Se invece il difensore punta sul contrasto, sarà fondamentale che l’attaccante protegga e sposti la palla senza perdere l’equilibrio per tirare subito dopo.

    Ricordiamo che in questo tipo di esercitazioni è fondamentale dare anche al difensore la possibilità di fare punto (altrimenti sarebbe semplicemente tentato a buttare fuori la palla invece di conquistarla); nelle figure sopra infatti è raffigurata anche una porta di coni (a fianco della partenza degli attaccanti) dove possono fare gol i difensori. Altro aspetto importante è l’impegno del portiere, che non dovrà solamente parare, ma rendere la palla prontamente disponibile al difensore nel caso in cui dovesse tenerla in campo (dopo averla parata), ed eventualmente non poterla toccare con le mani in caso di retropassaggio del difensore.

    1c1 analitico 4Sopra è raffigurata un’altra situazione (partenza frontale/laterale), in cui l’attaccante vede arrivare il difensore sulla sua direzione di corsa (tra palla ed attaccante); in questo caso rientrerà (come nel primo caso fatto vedere sopra) sulla destra cogliendolo in controtempo. A differenza della situazione precedente, l’attaccante ha dovuto puntare immediatamente la guida verso il centro del campo, perché nel caso in cui avesse puntato il difensore, avrebbe avuto 1 sola “via di fuga” e il difensore avrebbe potuto posizionarsi correttamente (piede destro avanti) ed evitare di essere saltato in maniera pericolosa (vedi figura sotto).

    1c1 analitico 5VARIANTI

    È evidente che per questo tipo di esercitazioni possono essere fatte tantissime varianti, ognuna delle quali avrà le sue “verbalizzazioni”. In questo post non le andremo a sviscerare tutte, ma è ovvio che ogni allenatore può scegliere quelle che ritiene più opportune in base a quello che accade in partita (dipende quindi dalla categoria) e alle lacune che dimostrano i propri giocatori nel contesto dell’1vs1. Prima di passare a questo tipo di esercitazioni, i giocatori (oltre ad avere una buona capacità di guida con entrambi i piedi) dovranno aver appreso alcune delle finte di base (come la “forbice”, la “forbice inversa”, “palla dietro gamba d’appoggio”…o semplicemente “fintare di tirare per poi rientrare”) per avere più opzioni sia frontalmente che quando sono girati. Sotto riporto alcune delle varianti:

    • Partenza dell’attaccante: fronte alla porta, laterale, diagonale, ecc.
    • Partenza del difensore: frontale all’avversario, laterale, in diagonale, a fianco, ecc.
    • Dimensioni del campo: piccole (prevalenza all’aspetto tecnico), grande (prevalenza sia dell’aspetto tecnico che neuromuscolare), stretto, lungo, ecc.
    • Scopo dell’attaccante: gol in porta, gol in porta piccola, meta, ecc.
    • Presenza di più coppie all’interno del campo: come potete vedere a questo link, il fatto di far esercitare contemporaneamente 2 coppie, dà la possibilità di mantenere una densità maggiore (perchè quando esce una palla si gioca con quello rimasto in campo).

    maradona
    CONCLUSIONI

    Stimolare e consolidare le scelte nell’1c1 rappresenta una fase fondamentale nella didattica della Scuola calcio, per avere giocatori in grado di essere propositivi nelle fasi individuali di gioco anche quando saranno più grandi. La “verbalizzazione” (dialogo deduttivo) è un aspetto fondamentale per stimolare la comprensione delle scelte effettuate e da effettuare in determinate situazioni. Un buon consiglio da dare ai giocatori potrebbe essere:

    “Pensate quale può essere la vostra direzione di corsa ideale e come può comportarsi di conseguenza il difensore; in questo modo potrete prevedere la situazione e le opzioni ideali per scartare l’avversario”

    Visto che questo tipo di esercitazione offre una densità non molto elevata, è fondamentale avere solamente 3-4 giocatori per fila, in maniera tale da tenere alto lo stimolo di gioco e l’attenzione. Visto che l’alternanza tra 1vs1 analitico e globale è fondamentale, riportiamo sotto alcune esercitazioni di 1c1 a carattere globale:

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  13. Psicocinetica e trasmissione della palla

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    Prima di iniziare a descrivere il post odierno, stabiliamo subito cosa si intende per esercitazioni psicocinetiche, cioè

    tutte quelle esercitazioni (senza vincoli tecnici analitici) che allenano la capacità del giocatore di adattare la scelta motoria ad uno stimolo (visivo, sonoro, tattile) esterno.

    Da qui, è ovvio capire come tutte le situazioni di gioco (partite, SSD, 1c1, 2c1, ecc.) sono di ovvia natura “psicocinetica”, ma non lo sono tutte le esercitazioni tecniche. Abbiamo spesso approfondito esercitazioni tecniche di 2 tipi:

    • Di natura analitica: in cui il numero di tocchi, piede e parte di utilizzo sono vincolati dall’allenatore
    • Di natura globale: in cui non ci sono vincoli, ma lo scopo è quello di risolvere velocemente uno scopo motorio (passaggio, guida, ecc.).

    Le esercitazioni psicocinetiche ovviamente appartengo a quelle globali, con la peculiarità di richiedere in breve tempo al giocatore di “fare la giusta scelta di gioco”. A questo link è possibile visionare una struttura con due varianti, la prima analitica e la seconda globale/psicocinetica. Oggi esamineremo 2 strutture, una più semplice e l’altra più complessa.

    STRUTTURA 1: PASSO E RICEVO

    psicocinetica-1La struttura di base (4 giocatori + 2 palloni) è quella dell’immagine sopra, con 7-10m di distanza tra i vari giocatori.

    • Il giocatore verde rappresenta il fulcro dell’esercitazione: la regola è che quando riceve la palla, la deve trasmettere (di prima intenzione, con il piede che consente il passaggio ad aprire) al giocatore libero!
    • Gli viene passata una palla alla volta dagli altri giocatori che giocano a 2 tocchi obbligatori (“stoppo con un piede e passo con l’altro”).

    psicocinetica Come possibile vedere nell’immagine sopra, il giocatore giallo la trasmette al verde, che di prima intenzione (sinistro) la passa al giocatore libero (il blu); immediatamente dopo, il rosso la passa al verde, che la trasmette (di prima intenzione, con il sinistro) al giallo (vedi sotto)…e si continua senza soluzione di continuità.

    passaggio

    È ovvio che un’esercitazione del genere può risultare abbastanza impegnativa (se vengono rispettati i vincoli analitici riguardanti i tocchi e il piede di utilizzo) per giocatori di Scuola Calcio, mentre per degli adulti risulta relativamente semplice; proprio per questo, nelle prime squadre è fondamentale richiedere un “ritmo” elevato nell’esercitazione, in maniera tale che una volta passata una palla, il verde, si trovi immediatamente a gestire la successiva. La durata delle serie (ad ogni serie si cambia giocatore che funge da “fulcro” dell’esercitazione) dipende dal ritmo tenuto; se questo è elevato non dovrebbe essere più di 1’-1’30”. Le varianti ovviamente sono 2 tipi:

    • Orientate a rendere più facile l’esercitazione: si applicano solitamente nella Scuola Calcio e prevedono di mantenere più liberi i vincoli di piede e N° tocchi; ad esempio si possono mantenere i tocchi definiti dalla struttura di base, ma lasciare libero il piede di utilizzo.
    • Orientate a rendere più difficile l’esercitazione: si impone a tutti di giocare ad un tocco, oppure (come nella figura sotto) si incrementa il numero di giocatori (almeno 2 giocatori in più, dove ci sono i palloni) e si utilizza la regola “passo e vado al posto del giocatore a cui l’ho passata”. Quest’ultima variante è particolarmente impegnativa, e si può mettere (per renderla più facile) un giocatore in più anche dietro al verde.

    psicocinetica 4

    STRUTTURA 2: PSICOCINETICA A MURO O A TRIANGOLO

    Questa struttura viene svolta in un quadrato in cui i giocatori si muovono liberamente; la prima variante prevede il PASSAGGIO PSICOCINETICO A MURO. Essendo un’esercitazione a carattere globale, non vengono vincolati numeri di tocchi e il piede di utilizzo, ma deve essere richiesta dall’allenatore (oltre che la massima attenzione) la massima precisione dei gesti…correggendo, se serve, anche la scelta del piede di passaggio e il numero di tocchi.

    psicocinetica Per 10 giocatori (divisi in 2 colori) si prepara un quadrato di 25-30m di lato e 2-3 palloni (per 18 giocatori si può anche arrivare a 35-40m di lato con 4-5 palloni). La regola è la seguente:

    rimanendo sempre in movimento, passo la palla (a muro) al giocatore del mio colore e poi la trasmetto ad un giocatore di colore diverso che farà la stessa cosa.

    Come per la struttura precedente, a seconda del livello del gruppo che si allena, sono da modulare le richieste e le esigenze da parte dell’allenatore. Sotto riportiamo alcune varianti:

    • La prima volta che si utilizza questo mezzo nella Scuola Calcio è possibile far eseguire l’esercitazione con le mani.
    • Stessa cosa vale per il numero di palloni; ad esempio, per 10 giocatori si può partire con 2 palloni, per poi passare a 3 quando l’esercitazione è già appresa.
    • Dialogo tra i giocatori: lasciando libero il dialogo (incitandoli a chiamare il compagno per la giocata) il gioco diventa più semplice, ma si allena un aspetto fondamentale del possesso palla…cioè il “vedo con gli occhi del compagno”. Eseguendola invece “senza dialogo” l’esercitazione diventa più allenante per i meccanismi attentivi (se i giocatori sono già ben attivati!).

    psicocinetica 6Il PASSAGGIO PSICOCINETICO A TRIANGOLO prevede la stessa struttura organizzativa (spazio, N° giocatori, N° palloni, ecc.), ma con la seguenti regole

    • Passo la palla ad un giocatore di colore diverso e vado in pressione
    • Chi riceve la palla (giocatore rosso a sinistra nella figura sopra), triangola con un compagno libero (dello stesso colore) per “saltare” quello che va in pressione (il blu)
    • Si continua senza soluzione di continuità (vedi immagine sotto)

    N.B.: nelle immagini sono stati riportati solamente i giocatori coinvolti nella giocata per rendere più chiaro l’esempio.

    psicocinetica 7Sono possibili le stesse varianti del “Passaggio Psicocinetico a muro” ad esclusione della variante “senza dialogo”…fondamentale in questa esercitazione è il “dialogo” tra i giocatori. È importantissimo incitare i giocatori all’attenzione, ma anche aiutare quelli in difficoltà: ciò può esser effettuato sia stimolando ulteriormente la comunicazione tra i giocatori, che suggerendo ai giocatori “se me la passa uno dello stesso colore, allora chiudo il triangolo – se me la palla un colore diverso, allora chiedo il triangolo al compagno”.

    banner viviani

    CONCLUSIONI

    Le strutture sopra, possono essere proposte sia nelle Scuole Calcio (nella fase didattica “trasmissione della palla” e “possesso palla in gioco collettivo”), che nella categoria Esordienti-Giovanissimi (nella fase didattica delle parole chiave “Longo”, “Corto”, Scarica”, ecc.) che come riscaldamento nelle categorie Juniores-Prima Squadra. I 3 aspetti (in ordine didattico) di cui l’allenatore deve prestare attenzione sono: la giusta consequenzialità dei passaggi, l’aiuto per i giocatori che fanno più fatica e l’elevato ritmo di gioco. Sotto riportiamo alcuni mezzi per lo sviluppo della tecnica analitica e globale per la trasmissione/ricezione della palla.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)

  14. Il Funino: come stimolare i fondamenti tecnico/tattici con il 3vs3

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    “Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile”

    È una frase di Johan Cruyff, uno degli interpreti del Calcio totale Olandese degli anni ’70; se il contesto era quello del calcio professionistico, non significa che tale ideale possa non essere applicata anche nella Scuola Calcio, nel processo di crescita dei giovani calciatori. Negli ultimi anni, a livello metodologico, il miglior interprete di questa idea è stato Horst Wein, la di cui programmazione è stata presa da esempio in diverse nazioni al mondo (compresa la Federazione Calcio Spagnola) per formare i propri giocatori. La teoria principale è quella di mettere il giovane al primo posto della didattica, creando quindi un calcio a misura di bambino; se questa idea credo possa essere comune a tutte le società/federazioni, quello che rende unico il programma di Horst Wein sono i principi della didattica, che potete approfondire leggendo i suoli libri (primo libro, secondo libro). Lo scopo di questo post non è quella di fare un riassunto delle sue ottime idee, ma di analizzare la struttura allenante principale su cui si basa questa didattica, cioè il Funino. Ricordiamo che per “struttura” intendiamo l’insieme degli elementi principali che accomunano più esercitazioni. Non a caso, il Funino è proposto come uno delle strutture di base per l’apprendimento tecnico/tattico nella scuola calcio e come elemento allenante anche nel calcio degli adulti.

    STRUTTURA DEL FUNINOfunino-1

    • Dimensioni campo di gioco: 25 x 35m circa: può variare in base all’età dei giocatori e alle dimensioni del terreno erboso a disposizione (se si fanno più campi).
    • Si gioca un 3vs3 con 2 riserve per squadra.
    • 2 Porte per squadra larghe 2m e alte 1 m distanti tra loro circa 12m.
    • Due aree di 6m davanti ad ogni coppia di porte.

    Come vedremo sotto, ci sono alcune regole che lo diversificano dal normale gioco del calcio, ma sono elementi che tendono a “semplificare” lo svolgimento del gioco, a testimoniare l’idea di base enunciata all’inizio del post. Non vogliamo comunque limitarci a descrivere la struttura di gioco, ma dare spunti interessanti a chi insegna/allena nel calcio, suggerendo eventuali modifiche e stimolando un approccio costruttivo verso questo metodo. Tra le regole troviamo (il regolamento completo potete trovarlo a questo link):

    • La ripresa di gioco da fondocampo (gol subito, rimessa dal fondo) si effettua partendo dalla riga dell’area. Non esistono calci d’angolo; quando la palla esce dietro la porta toccata dal difensore, la squadra in difesa esegue la “Ripresa di gioco da fondocampo”.
    • Il gioco viene ripreso (ripresa da fondocampo o rimessa laterale) con il giocatore che può scegliere liberamente tra guida o passaggio
    • Autoarbitraggio.
    • Il gol può essere effettuato solo tirando da dentro l’area.
    • Ogni volta che si segna, si effettua una sostituzione.
    • Il rigore è una sorta di shoot out con un avversario frontale e gli altri avversari/compagni che partono 5m dietro.

    Le varianti suggerite sono:

    • Obbligo di distribuirsi nelle 2 fasce del campo (campo diviso longitudinalmente in 2): almeno 1 giocatore sempre per fascia.
    • 1 dei 3 giocatori in fase di “non possesso” deve rimanere nella propria area
    • Si difendono le porte in diagonale.

    funino

    PREGI, DIFETTI E STIMOLI ALLA DIDATTICA

    Cercheremo ora di analizzare nel dettaglio gli stimoli allenanti di questa struttura, dando suggerimenti per l’inserimento di questo tipo di esercitazioni nelle diverse categorie d’età, sfruttando la caratteristica principale di questa struttura, cioè quella di

    stimolare in un contesto di elevata densità di gioco i vari fondamentali tecnico/tattici della difesa e dell’attacco.

    Questo metodo viene consigliato sin dai 7 anni, ma a mio parere fino ai 9 è più utile (quando si vuole stimolare l’elevata densità di gioco) l’utilizzo delle porte centrali; questo perché fino a tale età, è difficile che riescano ad autoarbitrarsi e perché non sempre riescono a scegliere con disinvoltura l’opzione di segnare in una delle 2 porte in base al contesto tattico. Quando migliora la padronanza tecnica e la capacità di riconoscere le scelte di gioco, il Funino diventa molto più allenante, sia per le componenti offensive che difensive.

    funino-2In particolar modo, nella categoria Pulcini è molto utile per apprendere e rinforzare il concetto di APPOGGIO/SOSTEGNO in base alla relazione palla coperta/scoperta. In questo contesto, può essere didatticamente utile l’utilizzo di 1 jolly (vedi il giocatore giallo nella figura sopra) e il dare la possibilità di segnare solo dopo un numero definito di passaggi.

    horst weinSempre nella stessa categoria (e ancor di più negli Esordienti), risulta efficace per allenare il CAMBIO DI GIOCO in un contesto che richiede un livello di forza muscolare specifica non elevata. Anche in questi casi può essere utile inserire un jolly (vedi figura sopra) e dare la possibilità di segnare solamente dopo un passaggio/lancio nella fascia di campo opposta (ad esempio destra) a quella da dove proviene la palla (sinistra). Per stimolare gli INSERIMENTI invece è possibile mantenere le stesse regole dei “cambi di gioco”, ma con gol di prima intenzione (ovviamente da dentro l’area).

    3vs3Nelle fasce d’età superiori invece, con adeguate regole (gol ammissibile dopo solo determinate situazioni) è possibile stimolare gli INTERSCAMBI e i movimenti per creare dei 2c1. Se invece l’obiettivo è quello di dare enfasi alla componente atletica, è possibile utilizzare i 2 giocatori riserve, come sponde, coinvolgendo anche loro per mantenere in campo la palla ed alta la densità di gioco (con stimoli per la potenza aerobica).funino 5Com’è possibile vedere dalla figura sopra, le sponde (a cui può essere vincolato di giocare di prima, o al “massimo 2 tocchi”) devono essere poste di fronte (lateralmente o a fondocampo). Ovviamente si possono modificare le dimensioni del campo in base all’età e al tipo di stimolo atletico; infatti è ragionevole ipotizzare che campi relativamente piccoli stimolino particolarmente le qualità neuromuscolari (tanti cambi di direzione), mentre campi relativamente grandi stimolino prevalentemente la potenza aerobica. La durata di ogni serie (dopo la quale si ruotano le sponde) ideale per giocatori adulti è di circa 2’; ricordiamo che più si prolunga la serie e più si abbassa il ritmo delle giocate e l’intensità.

    festivalUltima variante che proponiamo è il tipo di “difesa” da adottare nel contesto di gioco; spesso sentiamo dire agli allenatori delle prime squadre dilettantistiche che “i giocatori di oggi non sanno marcare a uomo nella zona”, probabilmente per un indirizzamento precocoe verso la difesa a zona senza prima imparare a difendere sull’uomo; “difendere sull’uomo” significa non solo saper rubare la palla all’avversario, ma adottare le giuste posture frontali, saperlo indirizzare, saperlo marcare adeguatamente (probabilmente l’aspetto più difficile), intervenire nel momento opportuno, ecc. Per stimolare questo tipo di didattica è possibile inserire la regola “si può rubare la palla solo all’avversario diretto dichiarato ad inizio serie”!

    RIASSUNTO CONCLUSIVO

    Analogamente al 2vs2 con le sponde, il Funino si può considerare una struttura allenante estremamente efficace per stimolare le corrette scelte di gioco (tattica) nelle diverse categorie d’età (a partire dai 9 anni), a patto che vengano applicate le giuste varianti; in particolar modo, è possibile lavorare su:

    • Densità di gioco: Pulcinilibro funino
    • Appoggio/sostegno: Pulcini/Esordienti
    • Ampiezza e giropalla: Pulcini/Esordienti
    • 2c1 – 3c2: dai Pulcini/Esordienti
    • Tagli/inserimenti e cambi di gioco: dagli Esordienti
    • Creare spazi ed interscambi: dai Giovanissimi
    • Difesa a uomo nella zona: dai Giovanissimi

    Per chi volesse approfondire la metodologia d’allenamento di Horst Wein, consigliamo di leggere i 2 bellissimi (è sufficiente leggere le recensioni per capirlo) libri tradotti in Italiano dell’autore (primo libro, secondo libro). Puoi trovare anche le recensioni dei testi nel nostro post dedicato ai migliori libri per la scuola calcio.

    Se invece sei interessato alla parte coordinativa/motoria nel settore giovanile, puoi accedere al nostro Canale Telegram dedicato all’argomento e scaricare gratuitamente il nostro mini e-book L’allenamento motorio ed atletico nel settore giovanile; in più, settimanalmente riceverai aggiornamenti e contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale.

    coordinazione scuola calcio

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  15. MOVIMENTO SPECIFICO FUNZIONALE: Recensione

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    L’anno scorso, mi venne chiesto da un collega (allenatore di Esordienti, II° anno) del materiale riguardante la gestualità tecnico/coordinativa del difensore; infatti, quando si inizia la didattica della difesa non è sufficiente focalizzare l’apprendimento sul “quando” muoversi, ma anche sul “come” muoversi. MSF (Movimento Specifico Funzionale, di Claudio Donatelli; Calzetti e Mariucci editori) rispendeva proprio a questa esigenza!

    L’atteggiamento posturale del difensore (in fase di non possesso palla) e il modo di muoversi deve essere appreso in maniera analitica, pena la perdita di istanti fondamentali nell’azione di gioco

    Ovviamente è necessario lavorare prima sui prerequisiti coordinativi e motori, e successivamente anche sull’applicazione di questa gestualità (analitica) in situazione.

    MSF bottone jpeg

    Il libro di Claudio Donatelli affronta proprio tutti questi aspetti, partendo dallo sviluppo delle catene muscolari attraverso esercizi di Resistenza Muscolare Locale specifici (come gli affondi ed andature), passando dagli elementi coordinativi (frequenza dei passi) per poi iniziare ad affrontare la gestualità analitica del difensore. Il tutto, viene poi “trasformato” con esercitazioni situazionali (fase tattica)!

    Ma il testo non è utile solamente per la didattica difensiva; all’interno sono presenti veramente tanti spunti sia per l’allenamento analitico, che globale della rapidità (per tutti i ruoli)! Elemento fondamentale è il DVD, (47’ con ottima definizione ed audio) che permettere di comprendere al meglio le esercitazioni proposte dall’autore. Ricordiamo inoltre che l’autore ha deciso di devolvere i propri proventi a Save The Children!

    MSF (Movimento Specifico Funzionale) è indispensabile per tutti gli staff delle categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva; non è comunque un libro di nicchia, ma veramente utile a tutti allenatori e preparatori che curano l’aspetto neuromuscolare del calciatore a secco e con palla. Qui sotto riportiamo la Tabella riassuntiva dei giudizi:

    MSF

    ORIGINALITA’ DEI CONTENUTI: la parte più interessante del video è proprio l’apprendimento della gestualità analitica dei movimenti difensivi, che sinceramente non ho mai trovato in altri testi.

    GRADO DI APPROFONDIMENTO DEI CONTENUTI: i contenuti più “curati” (soprattutto nel video) sono proprio gli elementi difensivi; di pregio, il link tra l’aspetto analitico dei movimenti a quello “situazionale!.

    FACILITA’ DI APPLICAZIONE DEI CONTENUTI: tutti i mezzi affrontati nel libro/video sono applicati in campo, quindi non richiedono nessuna attrezzatura esterna che non siano palloni e cinesini. Inoltre tutti i concetti sono spiegati con la massima chiarezza.

    RAPPORTO QUALITA’/PREZZO: anche non essendoci la versione digitale del libro i 20 Euro del formato cartaceo+DVD sono ottimamente spesi. Comprandolo su Amazon, si può avere un discreto sconto. Clicca sul pulsante qui sotto per acquistarlo su Amazon

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    RECENSIONI DI ALTRI PRODOTTI

    Importante: i giudizi dei libri che recensiamo riflettono quello che è la nostra opinione. Di conseguenza recensiamo solamente testi che abbiamo letto, approfondito e soprattutto che ci sono piaciuti.

    • L’ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA
      VELOCITA’
      : analisi del metodo d’allenamento per la forza basato sul “Tempo sotto tensione muscolare”. Gli effetti sono su tutti i tipi di forza, con elevato impatto sulla prevenzione infortuni e rapido recupero funzionale dopo la seduta.
    • STUDIARE GLI AVVERSARI….E SE STESSI: il testo aiuta a comprendere come la Match Analysis può aiutare a migliorare l’allenamento e l’approccio alla partita.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  16. “1-Contro-Portiere”: progressione esecutiva per la scuola calcio

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    Nei precedenti documenti, abbiamo analizzato l’1c1 in diverse forme (vedi in fondo al post per l’elenco dei link); quando si parla di 1cP (1-contro-Portiere) nelle prime fasi della didattica calcistica, ci si scontra con 2 difficoltà che non sono solo tecniche, ma psicologiche, dovute alla paura e alla frenesia:

    • La paura del portiere di “uscire” ad affrontare il giocatore con la palla.
    • L’incapacità da parte del giocatore di comprendere che è inutile calciare in porta direttamente se il portiere esce correttamente.

    In questo post cercheremo con una didattica di 3 step progressivi, di far apprendere correttamente gli atteggiamenti ideali da tenere (sia il giocatore che il portiere) nelle prime fasi della didattica calcistica (I°/II° elementare).

    STRUTTURA 1: 1cP IN ABBINAMENTO A LAVORO TECNICO E COORDINATIVO

    1cP 1Per avere l’idea delle dimensioni, si consiglia di “costruire” la struttura delle misure un campetto da 5c5 o da calcetto. Com’è possibile vedere dall’immagine sopra, la struttura prevede coni, cinesini, ostacoli (di diverse dimensioni) e materassi. Al “via” dell’allenatore, il giocatore con la palla (giallo) effettuerà il più velocemente possibile lo slalom tra i coni ed andrà a tirare in porta prima della riga di cinesini blu. Il portiere (blu), al “via” dell’allenatore, dovrà fare un capovolta sul materasso blu, correre, saltando, 3 ostacoli bassi, infilarsi sotto un ostacolo alto (vicino alla propria porta) e posizionarsi in porta per parare la palla del giocatore giallo.

    • Se il giocatore giallo riuscirà a fare gol, avrà un punto
    • Se il portiere blu riuscirà a parare (deviando la palla fuori o in campo) la palla avrà un punto
    • Se il giocatore giallo tirerà la palla fuori, entrambi avranno 0 punti.

    Appare ovvio che lo stimolo principale per entrambi i giocatori è la “velocità di esecuzione del compito (tecnico o coordinativo)” preliminare del tiro. Infatti, se il giocatore giallo sarà più veloce (nell’arrivare al tiro) del blu, allora riuscirà a fare gol facilmente (praticamente a porta “vuota”), mentre se il portiere riuscirà a posizionarsi in tempo in porta, allora avrà possibilità di “parare” la palla.

    1cP 2Nella figura sopra, è raffigurato l’utilizzo di tutto il campetto (è bene che ci siano “protezioni” dietro entrambe le porte, per evitare che la palla finisca lontano) per evitare file troppo lunghe (3-4 giocatori per fila). Il fatto che sia una proposta per i primi anni di scuola calcio è evidente dalla presenza di (per il giocatore con la palla) un compito tecnico semplice e, per il portiere, dei compiti motori prevalentemente coordinativi. Modulando il numero dei coni (per il giocatore con la palla) e il numero di compiti motori (per il portiere) si facilita l’uno o l’altro….consiglio di modulare il tutto per rendere “difficile” al portiere di arrivare in tempo se il giocatore esegue velocemente lo slalom con la palla; in queste condizioni, entrambi sono stimolati per eseguire i gesti più velocemente possibili. Questa prima variante della struttura non presenta momenti di 1cP, ma fornisce l’apprendimento dei movimenti di base della prossima variante.

    1cP 3Nella figura sopra è rappresentata la variante senza riga di tiro; in altre parole, il compito del giocatore con la palla sarà quello di fare gol (da qualsiasi distanza) e del portiere sarà quello di parare, trattenendo la palla con le mani. In questo modo, diventa un vero 1cP; fattore molto importante riveste la Verbalizzazione del compito:

    • Il primo compito da verbalizzare è quello del portiere; “rimanendo sulla riga di porta, sarà molto più difficile parare la palla, mentre andando incontro al giocatore, sarà più facile rubargliela”.

    In questa fase, è importante che chi gioca in porta vinca la paura di andare incontro al giocatore con la palla; fattore importante sarà l’acquisizione della capacità di leggere la gestualità dell’attaccante per andarci incontro quando si allunga la palla e rimanere in posizione (magari avanzando leggermente) quando è in procinto di tirare.

    • Il secondo compito da verbalizzare è quello del giocatore con la palla: “se il portiere esce dalla porta, è inutile tirare direttamente perché probabilmente gli finirebbe la palla addosso”.

    L’apprendimento di questo elemento predispone anche un minimo di abilità tecnica, cioè la capacità di spostare la palla quando un avversario (il portiere in questo caso) viene incontro. Per questo motivo, questa variante è consigliabile solo quando i giocatori hanno raggiunto un minimo di livello tecnico della guida.

    STRUTTURA 2: 1cP PSICOCINETICO

    1cP 4In questa struttura (vedi immagine sopra) i 2 giocatori partono da fondocampo, eseguono un percorso semplice con la palla (nel nostro caso è necessario fare il giro di un cono e far passare la palla sotto ad un ostacolo) e devono far meta (cioè fermare la palla con la suola) nel cerchio posto a metacampo.

    1cP 5Il primo che ferma la palla diventerà l’attaccante (come il blu nella figura sopra), mentre l’altro (giallo) diventerà il portiere. L’attaccante, prima di tirare dalla riga di cinesini blu dovrà far passare la palla sotto un ostacolo posto a metacampo, mentre il portiere, prima di parare, dovrà strisciare sotto un ostacolo alto posto a fianco della porta. Valgono tutte le considerazioni fatte per l’esercizio sopra per quanto riguarda l’attribuzione dei punti; modulando il percorso da far fare all’attaccante (ad esempio si può aggiungere un ostacolo in più a metacampo) è possibile facilitare il portiere o viceversa. Sempre dalla figura, è possibile vedere com’è possibile utilizzare il campo per 2 strutture esercitative parallele.

    1cP 6Nell’ultima variante di questa struttura, l’attaccante può tirare da dove vuole e il portiere può uscire incontro all’attaccante (come nell’ultima variante della struttura precedente). Valgono le stesse verbalizzazioni fatte per la struttura precedente.

    STRUTTURA 3: GARA DI 1c1 IN VELOCITA’

    1cP 7Com’è possibile vedere dalla figura sopra, in quest’ultima struttura entrambi i giocatori dovranno affrontare in slalom (in andata/ritorno) la fila di 4 coni ed andare a tirare in porta; il primo che tira (in questo caso, il blu), dopo aver tirato, potrà andare a prendere la palla dell’altro giocatore in ritardo (il giallo).

    • Al primo giocatore che segna, verranno attribuiti 2 punti
    • Al secondo giocatore che (eventualmente) segna verrà attribuito 1 punto
    • Se il primo giocatore che tira (in questo caso, il blu), riuscirà a prendere in mano la palla del secondo (giallo), gli verrà attribuito un punto.

    Valgono le stesse verbalizzazioni fatte per le ultime varianti delle strutture precedenti. È ovvio che in base al numero di coni dello slalom, sarà più o meno facile fare “selezione” e dare la possibilità, al primo che tira, di arrivare a “prendere” anche la palla del secondo. Come nelle strutture precedenti, è possibile inserire (come variante più semplice) la riga di tiro (cinesini blu), prima della quale bisogna tirare per fare gol.

     

    CONCLUSIONI

    1cP

    L’insieme delle esercitazioni presentate oggi, è dedicata ai primi anni della scuola calcio, per l’apprendimento della guida globale, del tiro e per l’atteggiamento del portiere. Per una densità allenante ottimale, in tutte queste strutture è consigliabile fare file di 3-4 giocatori. Sotto riportiamo altri giochi/esercitazioni con finalità allenante simile.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio Audax Poviglio (melsh76@libero.it)

  17. Recensioni libri: ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA VELOCITA’

    2 Comments

    Inauguriamo oggi una nuova rubrica dedicata alla recensione di “utility” per chi si occupa delle materie trattate nel nostro blog, cioè calcio, corsa e alimentazione. Iniziamo con la recensione di un testo del 2012, cioè l’Allenamento della Forza a bassa velocità (di Giampietro Alberti, Maurizio Garufi e Nicola Silvaggi), i cui principi sono già stati già approfonditamente sviscerati nei post specifici (prima e seconda parte). In questi post abbiamo confrontato questo approccio con gli Esercizi Alberti_AllenamentoForza_copertina_4luglioStatico Dinamici, trovando parecchie analogie, malgrado l’origine dei 2 metodi fosse completamente diversa. Riportiamo sotto le conclusioni a cui eravamo giunti:

    Nello specifico è stata riscontrata la capacità di incrementare/mantenere i vari indici di forza (massa muscolare, forza massima, esplosività, ecc) di entrambe le fibre muscolari, accoppiate ad un basso rischio di infortuni (da sovraccarico ed acuto) e un rapido recupero funzionale.

    Il testo è rivolto prevalentemente a: preparatori atletici, studenti di Scienze Motorie, istruttori di palestre, appassionati di pesistica/body building e allenatori che curano (nella loro attività) anche l’aspetto atletico. Il capitolo più interessante è sicuramente l’ottavo, perché illustra la variante (del metodo) più semplice, riportando la contestualizzazione nell’allenamento di atleti (tra i quali Nicola Vizzoni) di livello mondiale.

    ORIGINALITA’ DEI CONTENUTI

    L’allenamento della forza a bassa velocità descrive un metodo che sfrutta prevalentemente un singolo tipo di adattamento (cioè quello miogeno), rispetto agli altri metodi che sfruttano anche quello neurogeno.

    GRADO DI APPROFONDIMENTO DEI CONTENUTI

    Il testo sviluppa in maniera estremamente dettagliata sia la teoria (cioè l’aspetto fisiologico) che la pratica (diversi riscontri da parte di atleti di livello mondiale) di questo metodo.

    FACILITA’ DI APPLICAZIONE DEI CONTENUTI

    Tra i 2 metodi descritti, cioè la Serie Lenta a Scalare e la Forza a Bassa velocità, il secondo è sicuramente quello più facile da applicare nell’allenamento quotidiano, perché non richiede assistenza nei sollevamenti.

    RAPPORTO QUALITA’/PREZZO

    Purtroppo non esiste la versione digitale del libro (probabilmente perché è di 4 anni fà), ma i 20 Euro del formato cartaceo sono più che spesi bene; inoltre, comprandolo su Amazon, si può avere un discreto sconto. Clicca sull’immagine qui sotto per acquistarlo su Amazon

    ALTRI PRODOTTI RECENSITI:

    Importante: i giudizi dei libri che recensiamo riflettono quello che è la nostra opinione. Di conseguenza recensiamo solamente testi che abbiamo letto, approfondito e soprattutto che ci sono piaciuti.

    • MFC (Movimento Specifico Funzionale): indispensabile per tutti gli staff delle categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva; non è comunque un libro di nicchia, ma veramente utile a tutti allenatori e preparatori che curano l’aspetto neuromuscolare del calciatore a secco e con palla.
    • Studiare gli avversari…e se stessi: un libro per dilettanti e professionisti del calcio.

     

  18. Scuola calcio: gioco del “Guido e guardo”

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    Presentiamo oggi un gioco per la guida globale della palla (cioè senza vincoli relativi al piede di utilizzo e numero di tocchi), ideale per giocatori di I° e II° elementare; questa struttura è da svolgere preferibilmente in palestra, o comunque nelle condizioni in cui si hanno a disposizione diversi oggetti colorati.

    STRUTTURA DI BASE

    Guida e guardo 1

    In un campo di 12x12m per (10 giocatori) disseminare tanti attrezzi colorati quanti sono il numero di giocatori; com’è possibile vedere nella figura sopra, per 6 giocatori sono disseminati 6 cerchi verdi, 6 coni rossi, 6 coni gialli e 6 cinesini blu. I giocatori dovranno guidare la palla dentro al rettangolo di gioco senza scontrarsi e senza toccare gli oggetti in campo; ad un certo punto, l’allenatore dirà un colore (ad esempio “rosso”, vedi figura sotto) e giocatori dovranno andare a posizionarsi vicino agli oggetti del colore nominato (non più di un giocatore per oggetto). È importante chiarire bene quando considerare un oggetto colorato “occupato” da un giocatore. Solitamente l’indicazione “se il pallone del giocatore tocca l’oggetto colorato, allora è assegnato a lui” è sufficiente; per i cerchi è più semplice, in quanto è sufficiente considerare un cerchio “occupato” quando un giocatore ferma dentro la palla.

     

    Guida e guardo 2Attenzione: nel caso in cui non si abbiano disposizione tanti oggetti dello stesso colore (in relazione al numero di giocatori), è possibile assegnare ad un oggetto più di un giocatore. Ad esempio, nei cerchi possono entrare anche 2 giocatori, sopra un materasso possono entrare fino a 4 giocatori, ecc. Inoltre, è possibile posizionare oggetti diversi, ma dello stesso colore; in questo caso l’istruttore potrà nominare il colore o la tipologia di oggetti.

     

    VARIANTI

    Una volta compresa la struttura di base, è possibile sbizzarrirsi in diverse varianti divertenti e impegnative.

    • Variante analitica: questo tipo di variante è possibile inserirla quando i giocatori saranno in grado di guidare la palla (almeno in maniera grossolana) con entrambi i piedi e discriminare parti diverse del piede (interno, esterno, ecc.). All’interno della struttura di base, l’istruttore indicherà quale piede o parti di piede utilizzare per guidare la palla. Ad esempio: guida solo destro, solo sinistro, solo interno o solo esterno.
    • Variante a penalità: quando ad un giocatore esce la palla dal campo, questo si deve sedere sul bordo ed aspettare la fine del turno. Allo stesso tempo è possibile togliere 1 oggetto per colore: in questo modo gli oggetti colorati saranno limitati e il giocatore che non riesce ad occupare nessun oggetto colorato, avrà una penalità (o dovrà effettuare una penitenza….come una capovolta).
    • Variante segnale visivo: mantenendo anche una delle varianti sopra (in particolar modo quella “a penalità”) è possibile indicare il colore tramite il sollevamento di un oggetto da parte dell’istruttore. In altre parole, l’allenatore avrà in mano una copia di tutti gli oggetti colorati; senza segnali uditivi, quando alzerà uno degli oggetti colorati, i giocatori dovranno andare ad occupare quello corrispondente. È ancor meglio se gli istruttori sono 2 (uno con 2 oggetti e l’altro con gli altri 2), in questo modo i giocatori dovranno essere più attenti mentre guidano la palla.

     

    Guida e guardo 3

    VARIANTE CON I RAGNI

    Mantenendo le ultime 2 varianti sopra, per rendere più difficile l’esercitazione, sarà possibile inserire 1 o più “ragni” all’interno del campo. Riportiamo sotto le caratteristiche dei “ragni

    Lo scopo dei ragni (si spostano a gattoni e non possono alzarsi in piedi), è quello di afferrare a terra la palla dei giocatori. Si invertono i ruoli tra ragno e giocatore quando:

    • Un ragno afferra la palla di un giocatore: in tal caso, il ragno si alza in piedi e diventa giocatore e viceversa.
    • Ad un giocatore esce la palla dal campo di gioco: in questo caso, dovrà recuperare la palla con le mani e darla ad un ragno (a sua discrezione), scambiandosi di ruoli.

    Quest’ultima variante è sicuramente quella che stimola in maniera più importante le capacità attentive dei giocatori, e di conseguenza la tecnica di conduzione della palla. Per incrementare ulteriormente le difficoltà, è possibile rimpicciolire il campo.

     

    CONCLUSIONI

     

    Guido e guardo

    L’insegnamento della guida della palla nei primi anni della Scuola Calcio deve comprendere prevalentemente un rapporto prossimo a “1/1 tra giocatore e palla” (cioè quasi una palla per giocatore) e una serie di stimoli adeguati alle capacità attuali dei giocatori (attrezzi, dimensioni del campo, presenza di ragni o stimolo delle capacità attentive). Questo permette di allenare, seppur in maniera globale, questo fondamentale tramite un’elevata “densità tecnica”. Nella tabella sopra, è possibile vedere come questo gioco sia univoco verso il fondamentale della Guida, ma rappresenta uno dei mezzi fondamentali nelle prime fasce d’età. Sotto riportiamo altri giochi/esercitazioni con finalità allenante simile.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio Audax Poviglio (melsh76@libero.it)

  19. Esercitazione tecnica globale per il passaggio e scaglionamento (seconda parte)

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    Nella prima parte dedicata a questo mezzo d’allenamento abbiamo descritto la struttura di base e la prima variante di questa struttura. Nel post odierno, analizzeremo ulteriori varianti, in ordine di difficoltà progressiva. La prima è quella di ridurre le giocate dei centrali ad 1 solo tocco (le sponde devono mantenerne 2, per garantire lo smarcamento contemporaneo di entrambi i centrali); in questo caso sarà fondamentale aumentare le dimensioni del campo fino a 12m per lato. Questo per garantire una superficie maggiore di “zona luce”, necessaria quando si gioca ad un tocco. Nel caso in cui si dovessero trovare difficoltà iniziali con questa variante, è possibile inserire la regola dell’abbinamento del passaggio sponda-centrale (la sponda deve passarla sempre allo stesso centrale); in questo modo i 2 centrali potranno giocare in maniera più stazionaria, concentrandosi meglio sulla precisione della presa di posizione e del passaggio.

    scaglionamento trinagoli 4

    Ovviamente non sempre si hanno a disposizione 8 giocatori o “multipli di 8”; dovendo gestire un numero diverso di giocatori è opportuno fare delle modifiche all’esercitazione al fine di ottimizzare l’allenamento per tutti (fermo restando, che “8” è il numero di elementi ideale per questo mezzo allenante). Nel caso di 9 giocatori, si può inserire 1 jolly (giocatore giallo, vedi immagine sopra), che può essere utilizzato da entrambe i 2 gruppi a giocate alterne: in altre parole, dopo aver fatto una giocata con il gruppo dei blu, si smarcherà per effettuare una giocata per i rossi. Essendo l’ordine dei passaggi lo stesso (3 in tutto), nei passaggi 1-2, una volta ricevuta la palla, ogni giocatore si troverà ad avere 2 opzioni (il jolly e il compagno). Importante in questo caso è insistere, da parte dell’allenatore, sulla scelta del passaggio più consono alla situazione e al dialogo tra i vari giocatori; in questo caso il campo andrà allargato a 12x12m (giocando a 2 tocchi) o 15x15m nel caso delle giocate ad 1 tocco.

    scaglionamento trinagoli 5Nel caso in cui si abbiano a disposizione 10 giocatori, è consigliabile dividerli in 2 gruppi (senza jolly). In questo caso, i passaggi da effettuare saranno 5 (1-2 tocchi, a scelta dei giocatori) su campo grande 20x20m. Essendo l’esercizio più impegnativo, è importante inizialmente focalizzarsi sugli aspetti di base dell’esercizio (mai rimanere “orizzontali” e uscire dal cono d’ombra); una volta eseguito con una certa disinvoltura, sarà possibile chiedere che i movimenti siano tali che il 3° e 5° passaggio siano effettuati dallo stesso giocatore (vedi figura sopra).

    scaglionamento trinagoli 6Tornando alla struttura di base (campo 10x10m), è possibile utilizzare la stessa modalità di gioco aggiungendo le seguenti regole (vedi figura sopra):

    • Quando una sponda la passa ad un giocatore centrale, questa entra in campo.
    • Quando un giocatore centrale la passa ad una sponda, questo va a fare la sponda.

    In questo modo c’è un continuo turnover dei ruoli, con la possibilità di prolungare le serie di gioco, in quanto diventa meno faticoso. In questo caso si utilizzeranno 5 giocatori per gruppo e la giocata d’inizio (per evitare confusione) deve prevedere 2 giocatori (sponde) sulla palla.

    scaglionamento trinagoli 7L’ultima variante prevede sempre la struttura di base e 8 giocatori (eventualmente anche 9, di cui 1 jolly); quando la sponda passa la palla al giocatore centrale dovrà indicare “solo” o “uomo”. Nel caso in cui dica “solo”, il giocatore centrale dovrà girarsi e passare immediatamente la palla alla sponda. Nel caso in cui la sponda dica “uomo”, il giocatore centrale dovrà scaricare la palla all’altro centrale (come nella versione di base). Le uniche difficoltà possono insorgere nel caso in cui la sponda dica “solo”; in questo caso il giocatore centrale dovrà essere abile nel comprendere da che parte si trova la sponda opposta e con 2 tocchi (stop con l’interno e passaggio con l’interno dell’altro piede) trasmettergli la palla. Nella figura sopra viene riportato un esempio.

    CONCLUSIONI

    Contrariamente a diverse esercitazioni tecniche dedicate alla trasmissione/ricezione della palla, questa non è adatta alle prime fasi del riscaldamento (al limite nella seconda parte), in quanto richiede una piena attivazione da parte dei giocatori. Lo stimolo d’allenamento principale di questo mezzo è nei confronti della “capacità di anticipazione di gioco” nello stretto, in relazione al posizionamento dei giocatori con lo stesso colore e di quelli di colore diverso; in particolar modo è importante la ricerca della “reciprocità” tra i 2 centrali e il posizionamento in “zona luce” nei movimenti di smarcamento. La riduzione del N° di tocchi comporta ad un incremento ulteriore della difficoltà. La naturale evoluzione “in situazione” di questo mezzo è il “2c2 con le sponde”. Sotto riportiamo alcuni mezzi per lo sviluppo della tecnica analitica e globale per la trasmissione/ricezione della palla.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  20. Esercitazione tecnica globale per passaggio e scaglionamento (prima parte)

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    Lo scaglionamento offensivo è un fondamentale tattico in possesso palla; il concetto è quello che non bisogna mai farsi trovare piatti (cioè in orizzontale) rispetto al compagno in possesso palla, ma formare tanti triangoli per dare al compagno con la palla la possibilità di avere più opzioni di gioco. Questa necessità deriva dal fatto che i passaggi orizzontali sono più facili da intercettare da parte della squadra avversaria. Per questo, nella situazione di possesso palla (prima di una verticalizzazione o di un cambio di gioco) si cerca di farla avanzare tramite passaggi più lunghi verso la porta avversaria (didatticamente detti “appoggio”) alternati a passaggi più brevi all’indietro (detti “sostegno”).

    scaglionamento trinagoli 1

    La strutturazione di esercitazioni stile “gioco di posizione”, difficilmente ripropongono questa situazione analogamente ai possessi palla, in quanto lo scopo è quello di mantenere la palla il più possibile (e non di farla avanzare). Questo tipo di concetto invece è spesso approfondito nelle partite a tema (solitamente si divide il campo in settori orizzontali), ma la densità di gioco per giocatore è ovviamente bassa (e di conseguenza lo stimolo tecnico). L’esercitazione di oggi invece si propone di sviluppare questo concetto in fase didattica, in forma globale, ma non in situazione; in questo modo, la densità diventa superiore e viene stimolata oltre alla tecnica anche la “formazione” e il “riconoscimento” dei triangoli.

    STRUTTURA DI BASE

    scaglionamento trinagoli 2

    Com’è possibile vedere sopra, la figura di base è formata da un quadrato (8x8m o 10x10m), 8 giocatori (2 gruppi da 4) e 2 palloni (1 pallone per gruppo). Ogni gruppo (esempio i rossi) sarà formato da 2 “sponde” (al di fuori del campo, sui lati opposti del quadrato) e 2 giocatori all’interno del quadrato. Lo scopo sarà quello di far arrivare la palla da una sponda all’altra (per ogni gruppo senza che ci sia influenza tra l’uno e l’altro) tramite 3 passaggi, senza trasmettere la palla in orizzontale; inoltre, ci si smarcherà in modo di essere sempre in “zona luce” e “frontalmente” (cioè non dietro alla schiena) al portatore di palla.

    scaglionamento trinagoli 3

    Gli elementi da verbalizzare da parte dell’allenatore saranno:

    • Quando ha palla la sponda, entrambi i giocatori si devono smarcare lontano da essa; l’unica attenzione sarà quella di uscire dal cono d’ombra dei giocatori dell’altro gruppo che sta facendo la stessa esercitazione. È fondamentale che entrambi i giocatori centrali si smarchino velocemente (non solo quello più lontano dalla sponda) e che la sponda effettui il passaggio a quello meglio posizionato, anche in relazione alla presenza dei blu (zona luce).
    • Quando il primo giocatore riceverà la palla (passaggio 1), l’altro giocatore blu dovrà andare in “zona luce a sostegno”, cioè fuori dal cono d’ombra dei blu e di fronte al giocatore che ha ricevuto la palla, per riceverla (passaggio 2).
    • Una volta ricevuta la sfera, il secondo giocatore rosso la trasmetterà all’altra sponda rossa (passaggio 3) per poi riprendere la stessa modalità di passaggi.

    È fondamentale che l’allenatore stimoli entrambi i giocatori centrali a smarcarsi in maniera ottimale, anche quando la palla è alla sponda, in maniera tale che l’ordine dei passaggi non sia sempre lo stesso. Affinchè la serie di passaggi avvenga in maniera corretta, sono fondamentali non solo i movimenti di smarcamento, ma anche l’atteggiamento posturale nella ricezione/trasmissione della palla, affinchè il passaggio successivo avvenga con la massima precisione. La prima volta che si somministra questo mezzo è possibile lasciare la trasmissione a tocchi liberi; appena compreso il senso dell’esercitazione è possibile inserire le varianti. Essendo, quelli dei giocatori centrali, movimenti abbastanza dispendiosi, è consigliabile scambiare i ruoli tra sponde e centrali ogni 1’/1’30”.

    da aggiungere

    VARIANTE

    Il primo “scalino” è quello di limitare a 2 tocchi (stop con un piede e trasmetto con l’altro) la giocata di tutti i giocatori. In questo modo, ci sarà la massima ricerca dell’atteggiamento posturale corretto nello stop della palla. Inizialmente non ci sarà comunque da dare una grossa pressione temporale alla giocata, quanto invece focalizzarsi sulla precisione dei passaggi. Una volta ottenuto questo scopo, è possibile richiedere (da parte dell’allenatore) una maggiore velocità di esecuzione.

    Ulteriori varianti saranno approfondite nella Seconda parte.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  21. La rapidità del Venerdì (quinta parte)

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    Continua la rassegna dedicata alle sedute di rapidità “pre-partita”, che solitamente nei settori dilettantistici, corrisponde al Venerdì sera. Nei primi “capitoli” dedicati all’argomento (oltre ad analizzare diversi mezzi allenanti) abbiamo approfondito il razionale metodologico, la correlazione con i lavori con palla e la somministrazione di questi mezzi quando si gioca infrasettimanalmente. Nella quarta e in quest’ultima parte invece sono presentate delle strutture esercitative con cambi di direzione di diversa angolatura, che ne determinano l’intensità in termini di potenza (accelerazioni) e lavoro eccentrico di frenata (decelerazioni).

    STRUTTURA A “N”

    struttura a N 1

    La prima struttura prevede un percorso (da effettuare alla massima intensità) con 2 tratti in accelerazione da 10m, una frenata e un breve tratto di rapidità. Consigliamo sempre di affiancare 2 strutture e di far eseguire l’esercitazione sottoforma di gara. I cinesini blu sono stati messi per facilitare la comprensione della direzione di corsa (“si passa tra i cinesini e i coni”).

    struttura a N 2

    Ovviamente, l’esercitazione deve essere posta in maniera da allenare simmetricamente l’aspetto coordinativo/muscolare, quindi (come sopra), basta cambiare il posizionamento dei cinesini e si ottengono direzioni di corsa speculari. La stessa struttura (ma aumentando le distanze) può essere effettuata con la palla; analogamente a quanto proposto per alcune esercitazioni (e relative varianti), l’inserimento del pallone (con criterio) può contribuire ad un maggiore stimolo “cognitivo” (vedi rapidità cognitiva) all’esercitazione. Nella struttura sotto, il compito del giocatore è quelli di partire con palla (che può essere calciata del giocatore verso il cerchio), eseguire la parte di rapidità senza palla come sopra e fermare la palla nel cerchio; ovviamente le distanze in questo caso dovranno essere anche raddoppiate, per garantire lo stimolo primario dell’esercitazione, cioè l’esecuzione di accelerazioni/decelerazioni particolarmente elevate.

    struttura a N 3

    STRUTTURA A “DOPPIA N”

    In questa esercitazione, gli angoli sono molto più pronunciati, quindi si avrà anche una maggiore sollecitazione di natura eccentrica, dovuta alle decelerazioni importanti.

    struttura a N 4

    Nella figura sopra, è disegnata la struttura di base. Fondamentalmente c’è un quadrato di coni rossi, di 7-10m per lato (distanti 2-3 metri dalle partenze e dagli arrivi) con 2 coni gialli al centro, distanziati di un paio di metri. Nella variante di base (vedi sotto) fondamentalmente sono presenti 2 cambi di senso. È opportuno far eseguire l’esercitazione da entrambi i lati di partenza ad ogni giocatore.

    struttura a N 5

    Nella variante più impegnativa (vedi sotto) il cambio di senso (cioè di 180°) è solamente 1, ma in aggiunta sono presenti 3 cambi di direzione di almeno 150°. Ovviamente il carico muscolare eccentrico non dipende solamente dagli angoli di curva, ma anche dalla lunghezza dei tratti di corsa; fondamentalmente, più sono lunghi i tratti singoli di corsa e maggiore sarà lo spazio per accelerare, e di conseguenza l’intensità della decelerazione.

    struttura a N 6

    Quelle presentate sopra, sono solamente 2 varianti (una semplice, ed una più impegnativa) che si possono estrapolare dalla struttura esercitativa di base. Nessuno esclude che si possano inserire altri tipi di cambi di direzione come “giri di coni” (vedi figura sotto) o “incroci” tra le traiettorie di corsa come presentato in un post precedente.

    struttura a N 7

    CONCLUSIONI

    L’intensità dello stimolo allenante di natura neuromuscolare non è dato solamente dalla potenza che si esprime nell’esercitazione [ricordiamo che la potenza dipende da accelerazione (per la maggior parte) e dalla velocità]. Anche il carico eccentrico (cioè l’entità della decelerazione, cioè della “frenata”) rappresenta un potente stimolo allenante per la strutture neuromuscolari del giocatore, in quando nel calcio è altrettanto presente, in particolar modo nei cambi di direzione. È proprio l’allenamento con i cambi di direzione a determinare uno stimolo allenante neuromuscolare completo per il calciatore. Ricordiamo che l’angolo di decelerazione e la velocità dalla quale si decelera sono i determinati principali del carico eccentrico.

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    preparazione atletica dilettanti

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  22. Variamo e rendiamo divertente il riscaldamento (seconda parte)

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    Nella prima parte sull’argomento abbiamo approfondito alcuni spunti da altre discipline che possono essere utilizzate come varie forme di riscaldamento, trovando vicarianza (prevalentemente cognitiva e coordinativa) con alcuni aspetti del calcio. Nel post odierno, affronteremo l’utilizzo di mezzi analoghi, ma con maggiore finalità atletico/coordinativa (analogamente al gioco Entriamo in porta).

    figura 3

    SPUNTI DAL RUGBY

    Escludendo la condizione del placcaggio (che non inseriremo in questo tipo di esercitazioni), le esercitazioni provenienti dal rugby permettono di dare stimoli importanti riguardo la rapidità cognitiva (cioè essere rapidi in un contesto “in divenire”, leggendo ed interpretando il contesto di gioco) e il concetto del “sostegno”. Infatti

    La chiave della rapidità nel calcio non è solamente l’esecuzione di movimenti alla massima intensità, ma anche l’abilità di aggiustare costantemente la propria posizione/postura in maniera tale da reagire velocemente ai determinati stimoli” (Ian Jeffreys)

    E giochi/attività in cui la palla viene dominata con le mani (piuttosto che con i piedi) accentuano ancor di più l’effetto allenante nei confronti di questa qualità atletico/specifica. Quindi via libera a giochi tipo acchiapparella, Entriamo in porta, e tutte quelle attività che, con adattamenti dovuti all’età, possono stimolare la rapidità dei calciatori. Partiamo da un’esercitazione molto semplice:

    Rugby 1

    La variante più semplice prevede la suddivisione in 2 squadre di 4-5 giocatori alla volta (vedi figura sopra); il regolamento è simile ad “acchiapparella”. Al numero indicato dall’allenatore (in questo caso il 2), i giocatori corrispondenti dovranno effettuare la curva dal loro cono più lontano; a questo punto l’allenatore lancerà il pallone ad uno dei 2 giocatori (in questo caso il giallo) che dovrà andare a fare meta nella “meta” dell’avversario. Il giocatore in “non possesso palla” (il blu, nella figura sopra) dovrà a sua volta toccare chi ha la palla con entrambe le mani; se ci riesce, otterrà il punto, altrimenti se il giallo riuscirà ad andare in meta sarà lui ad ottenerlo. Attenzione: il fatto di dover “prendere” l’avversario con entrambe le mani costituisce una difficoltà (rispetto al doverlo fare con solo una) non indifferente! È evidente che un’esercitazione del genere sollecita le qualità neuromuscolari in maniera “cognitiva” ed allo stesso modo difficile da riprodurre nel caso in cui venisse fatta “giocando con i piedi”. Inoltre è possibile somministrarla a qualsiasi età (dalla Scuola Calcio alle prime squadre). Consigli da dare a chi è in possesso palla sono di “non rimanere mai fermo” e di “non aver traiettorie di corsa troppo prevedibile” (cioè cambiare spesso direzione).

    SECONDA VARIANTE

    Rugby 2

    Questa prevede un maggior carico “cognitivo” rispetto alla prima, allenando anche il “Senso del gioco” e non solo “l’Agilità”. La parte iniziale è la stessa della variante precedente, solo che l’allenatore indicherà 2 numeri (di conseguenza si possono utilizzare 6-10 giocatori per squadra). Lo scopo di chi ottiene la palla (in questo caso i blu), è sempre quello di andare a fare meta; l’azione potrà durare non più di 15” e il passaggio potrà essere fatto sia in avanti che all’indietro. Se chi ha la palla viene “preso con entrambi le mani” dall’avversario, sarà obbligato a passarla al compagno arrestando la propria corsa (non sono ammessi placcaggi). Ovviamente la squadra senza palla può entrarne in possesso intercettando i passaggi o raccogliendo il pallone da terra (nel caso in cui dovesse cadere). In questa variante sono fondamentali i movimenti del compagno senza palla, per dare sempre una linea di passaggio “pulita”, in particolar modo quando il compagno deve arrestare la sua corsa…..in questo caso la “linea” migliore è a “sostegno”. Quando le dinamiche di gioco di questa variante sono comprese, è possibile utilizzare questa esercitazione per sviluppare la didattica delle traiettorie di smarcamento del 2c2 (taglio, sovrapposizione, passante, ecc.) e della corrispondente fase difensiva. Varianti che possono rendere più impegnativa l’esercitazione (ma sono consigliabili solamente a gruppi che rispondono molto bene alle prime 2 varianti) è il chiamare 3 giocatori alla volta (prolungando il tempo di gioco e le dimensioni del campo), ridurre la superficie di gioco, obbligare qualsiasi passaggio a “sostegno”, ecc.

    TERZA VARIANTE (CALCIO GAELICO)

    Cork v Donegal - GAA Football All-Ireland Senior Championship Semi-Final

    Il calcio gaelico è una disciplina di origine irlandese, che trova molte analogie con il calcio e con il rugby; proprio per questo motivo, trova collocazione ideale nel processo didattico che stiamo affrontando in questo post. Pur essendo una disciplina dalle regole abbastanza complesse (vedi la pagina di wikipedia), è sicuramente più facile da apprendere se si sono già fatte esercitazioni simili al rugby (come sopra). Da questo video, è possibile notare come sia una disciplina altamente spettacolare, atletica (si corre sempre a velocità elevate perché il dominio della palla è meno impegnativo) e coordinativa (si utilizzano parecchie abilità motorie). Sono presenti parecchie finte (con conseguenti cambi di direzioni), salti e contrasti, a testimonianza dell’elevato impatto allenante che può avere questo sport. È ovvio che la prima domanda che può sorgere è la seguente: ma è facile da insegnare, affinchè possa trovare un contesto allenante nel calcio?…ovviamente NO, ma può essere utile introdurre gradualmente le regole in relazione a:

    • Tipologia di guida della palla: con i piedi (palla a terra), con le mani palleggiando ogni 3 passi, palleggiando con i piedi, ecc.
    • Tipologia di trasmissione della palla: mano, piede, mano/piede.
    • Modi per segnare: al volo, dall’area, da fuori-area, ecc.
    • Placcaggio: è sconsigliato (per evitare contrasti), ma è possibile inserire la regola delle esercitazioni sopra (quando si viene presi dall’avversario si deve arrestare la corsa e passare immediatamente la palla).

    L’inserimento di queste regole può essere progressiva, sempre partendo da quelle simili al Rugby, che facilitano notevolmente l’acquisizione delle successive. È ovvio che il percorso didattico di questo tipo di esercitazioni è abbastanza lungo; per questo motivo è consigliabile introdurlo sin dai primi giorni di preparazione (e tenendole “vive” durante l’anno), partendo dalle prime varianti. L’intera progressione esecutiva è consigliabile prevalentemente a quei gruppi che rispondono bene variante dopo variante.

    figura 2

    CONCLUSIONI

    Le qualità di un allenatore/preparatore si vede anche in base alla capacità di variare (e rendere stimolanti) le tipologia di esercitazioni, mantenendo costanti gli obiettivi delle stesse (cioè la qualità degli stimoli allenanti). Se ciò viene fatto con competenza, è logico che i livelli di motivazione (e probabilmente anche la qualità degli stimoli) rimangano sempre ai massimi livelli. Quelle affrontate in questi 2 ultimi post, rappresentano solamente alcuni esempi di come da discipline diverse, si possano trovare stimoli interessanti anche per il gioco del calcio. Ovviamente sono condizioni che devono anche essere “sperimentate” per affinarne le regole (dimensioni campi, N° di giocatori per campo, regole, varianti, ecc)……a testimonianza che la voglia di sperimentare (cioè il non seguire sempre i soliti dettami “si è sempre fatto così….”) e la capacità di osservare rimangono sempre 2 qualità essenziali per chi vuole “trasmettere” competenze ad un gruppo!!!!!

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  23. Giochi per la scuola calcio: “Apro e chiudo le porte”

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    L’esercitazione che proponiamo oggi è un mezzo valido nei primi anni delle scuole calcio per stimolare la guida globale della palla, unita ad alcuni aspetti della coordinazione. L’utilità di un mezzo semplice e globale, soprattutto nel primo anno di scuola calcio, va particolarmente incontro alle esigenze di giocatori che, in questa fase di crescita, poco tollerano i mezzi analitici. Negli anni successivi, questo tipo di esercitazioni (nelle varianti più difficili), sono utili per trasformare i lavori analitici in regime di precisione.

    STRUTTURA DI BASE

    apro chiudo porte 1

    In un campo 18x18m (per 10-12 giocatori circa; con più giocatori è possibile incrementare le dimensioni del campo) si posizionano 6 porte di coni larghe circa 1 metro. I giocatori si dividono in “guardiani” delle porte e “giocatori”. I “giocatori” dovranno guidare la palla liberamente nello spazio cercando di farla entrare nelle porte libere; i “guardiani” (idealmente 4, se si utilizzano 6 porte) dovranno “occupare” le porte di coni posizionandosi al centro di esse; i “giocatori”, ovviamente non possono entrare nelle porte occupate dai “guardiani”. I “giocatori” otterranno un punto ogni volta che riusciranno a passare in una porta libera, mentre i “guardiani” otterranno 3 punti ogni volta che riusciranno ad “interrompere” la guida di un giocatore dentro una porta. È da precisare che per “interrompere” la guida di un giocatore nella porta il proprio pallone deve essere fermo (piede sopra la palla) nella porta. Nella figura sopra è possibile vedere un esempio; i gialli sono i “giocatori” e i blu sono i “guardiani”. Soprattutto nella categoria piccoli Amici è fondamentale verbalizzare le strategie dei “giocatori” e “guardiani”; questi ultimi dovranno essere rapidi (veloci nel pensare, abili ne fare!) nell’individuare le traiettorie dei “giocatori” per bloccare le porte disponibili. I “giocatori” invece dovranno individuare le porte libere e guidare la palla velocemente. Ovviamente non è possibile calciare la palla dei compagni, ma i “guardiani” possono (nei pressi delle porte) calciare la propria palla contro quella dei “giocatori” per fare i 3 punti. Per rendere l’esercitazione più impegnativa per i “giocatori”, è possibile far usare loro dei palloni di gomma o spugna, mentre ai “guardiani” dei palloni di cuoio.

    VARIANTI

    apro chiudo porte 2

    La struttura potrà essere resa più impegnativa e stimolante se al posto delle porte vengono inseriti degli ostacoli (vedi figura sopra); è possibile utilizzare degli ostacoli bassi (sotto i quali far passare la palla ottenendo un punto) e degli ostacoli alti (sotto i quali dovranno passare sia il “giocatore” che la palla, ottenendo 2 punti). La difficoltà starà, per i “giocatori”, individuare non solo gli ostacoli liberi, ma anche (tra quelli alti) quelli più lontani dai “guardiani”, visto che per passare sotto un ostacolo ci si impiega più tempo.

    apro chiudo porte 3

    Ulteriore variante (soprattutto quando cominciano ad avere confidenza con la guida della palla) è quella di delimitare il campo di gioco (vedi sopra) e di assegnare 1 tana per i “giocatori” e una per i “guardiani”. Si parte con un giocatore e guardiano fermi per tana, senza palla. Quando ad un giocatore o guardiano esce la palla, questi dovrà darla al compagno nella tana, scambiandosi di posto. Questa variante introduce l’ulteriore stimolo del “perimetro” di gioco e lo stimolo a non uscire, altrimenti ci si poterebbe nella tana.

    apro chiudo porte 4

    Ultima variante, più impegnativa, sarà quella di eliminare le tane e inserire 1-2 ”ragni”. Come nel Gioco delle piccole tane, i ragni giocano a 4 zampe e il loro scopo è quello di afferrare a terra la palla dei “giocatori”. Si invertono i ruoli tra ragno e giocatore quando:

    • Un ragno afferra la palla di un giocatore: in tal caso, il ragno si alza in piedi e diventa giocatore e viceversa.
    • Ad un giocatore esce la palla dal campo di gioco: in questo caso, dovrà recuperare la palla con le mani e darla ad un ragno (a sua discrezione), scambiandosi di ruoli.

    I ragni non possono prendere la palla ai “guardiani” e se ad un guardiano esce la palla, può continuare a giocare, senza doverla dare ai ragni.

    CONCLUSIONI

    La struttura presentata oggi è facilmente collocabile (nelle varianti adeguate) nella didattica dei primi anni della scuola calcio. Modulando dimensione del campo, rapporto “giocatori”/”guardiani”, N° di porte/ostacoli e N° di ragni è possibile rendere il gioco più o meno impegnativo. L’allenatore/istruttore dovrà prestare particolare attenzione nello stimolare adeguatamente i “guardiani”! Sotto riportiamo altri giochi/esercitazioni con finalità allenante simile.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio Audax Poviglio (melsh76@libero.it) (altro…)

  24. La valutazione della condizione atletica nel calcio: condizione “necessaria”, ma non “sufficiente” (seconda parte)

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    Nella prima parte dedicata all’argomento abbiamo visto come non sia lecito attendersi un rapporto tra dose/risposta tra l’allenamento atletico (soprattutto a secco) e performance atletica in partita, ma invece sia necessario un livello minimo (condizione di necessarietà) al fine di poter esprimere il massimo potenziale specifico (dal punto di vista tecnico/tattico/atletico) del calciatore. Tale “livello minimo” dipende dalla categoria, dal tempo e dai mezzi che si ha a adisposizione per allenarsi; oggi cercheremo di approfondire la valutazione atletica del calciatore e quali possono essere i test più utili nel calcio (sempre compatibilmente con i mezzi e tempo a disposizione).

    prima

     

    PRINCIPI DI VALUTAZIONE FUNZIONALE DEL CALCIATORE

    Il calcio è uno sport estremamente complesso, di natura multifattoriale (cioè sono diversi gli elementi tecnici, tattici, psicologici ed atletici che lo caratterizzano), che rende la valutazione stessa particolarmente difficile. Ne consegue che qualsiasi tipo di valutazione deve essere integrata da diversi “punti di vista”; per questo, la capacità di osservare (ciò che accade in allenamento e in partita) e di elaborare (quello che si vede, oltre all’esito dei test e i dati della match analysis) le informazioni che abbiamo, rappresenta il vero fulcro della valutazione, che non potrà mai essere sostituita da un solo indice o numero. “Occhio+cervello” rappresentano ancora il più efficace laboratorio di biomeccanica/fisiologia esistente. Facendo un paragone con il lavoro di un medico, gli esami (necessari) permettono di confermare/smentire le teorie/impressioni del medico stesso e possono permettere di comprendere l’entità di una determinata situazione, ma non potranno mai sostituire la visione integrata (data dalla sua competenza e bravura) del paziente che il medico stesso deve avere. La stessa cosa vale per la valutazione atletica; alcuni test (o valori della match Analysis) possono indicare alcune condizioni di necessarietà, ma solamente elaborati in una visione complessiva (dalla mente di chi si occupa di questo) possono dare un quadro chiaro della situazione. In altre parole, non è possibile valutare complessivamente un calciatore se non lo si vedere giocare in partita o allenarsi.

    elaborazione

    La capacità di osservazione, è quindi un aspetto cruciale di chi valuta, e l’esito dei test atletici (o indici di match analysis) aiutano ad avere un quadro più preciso della situazione, andando ad integrare tutte le informazioni (processo di elaborazione). Facciamo ora un semplice esempio: somministro un gioco il posizione della figura sotto (4c4 con 2 jolly in un campo 25x35m in 4 serie da 6’ con 1’30” di recupero). Nell’osservare i dati elaborati dal GPS, dovrò essere consapevole che gli indici, soprattutto quelli relativi alle intensità di gioco (media, tempo oltre i 20w, ecc.), possono variare in base a:

    • Livello/tipologia dei giocatori a cui viene somministrato il mezzo.
    • Caratteristiche del campo.
    • Caratteristiche del calciatore al quale viene applicato al GPS.
    • Momento settimanale dell’applicazione del mezzo
    • Caratteristiche del soggetto (preparatore, allenatore, collaboratore, ecc.) che somministra il mezzo.

    posizione4c4 2 jolly

    Di conseguenza, l’interpretazione dei dati elaborati del GPS dovrà essere assolutamente contestualizzata alla situazione (le cui variabili sono elencate sopra); sono quindi dell’opinione che il preparatore atletico moderno deve avere anche un’ottima formazione tecnico/tattica, dalla quale dipende la capacità di osservazione/elaborazione di quello che accade sul campo di gioco e d’allenamento.

     

    TEST PER LA VALUTAZIONE FUNZIONALE DEL CALCIATORE

    Tornando al concetto espresso nel precedente post, qualsiasi test atletico somministrato nel calcio può rispondere solamente a condizioni di necessarietà, ma non di sufficienza: in altre parole può indicarmi se il calciatore ha o meno una determinata qualità atletica necessaria per giocare in quel ruolo/livello, ma non indica la bontà atletica generica globale. Ovviamente, per rientrare in un senso di praticità, ogni test a mio parere deve rispondere il più fedelmente possibile a questi requisiti:

    1) Attendibilità e Obiettività: vedi il post specifico per la spiegazione.

    2) Specificità: come vedremo più avanti, è la capacità di misurare variabili che il più possibile si avvicinino a quelle necessarie per la performance calcistica. Ad esempio, è inutile misurare la potenza aerobica del calciatore tramite corsa lineare, o limitarsi a valutare l’esplosività tramite salti bipodalici verticali.

    3) Senso pratico: lo ritengo un insieme di requisiti che permettono di adattare il test alla realtà nella quale viene utilizzato, che tiene conto delle disponibilità di mezzi e dalla disponibilità di tempo per valutare i giocatori.

    navetta

    Chi ha una certa conoscenza sull’argomento, sa benissimo che i test di cui si conosce maggiormente l’Attendibilità/Obiettività (cioè quelli che hanno avuto maggiore indagine a livello scientifico), poco soddisfano i criteri di Specificità e Senso pratico, proprio per il fatto che poco si è fatto negli ultimi anni per colmare le lacune tra “Scienza e realtà nel calcio”. Allora cosa fare? Di seguito riporto quelle che sono le mie opinioni nei riguardi della valutazione atletica nei dilettanti, partendo dalla classificazione delle tipologie di test più utilizzate.

    • Test time trial: sono protocolli in cui si chiede ad un soggetto di percorrere, nel breve tempo possibile, una determinata distanza/lavoro fisico. Visto che si può considerare un test a intensità pressappoco costante (seppur decisa dal soggetto, in base alla strategia di percorrere una determinata distanza), non trova nessuna applicazione nel calcio, perché è uno sport con cambi di direzione/intensità.
    • Test incrementali: solo uno di questi (lo Yoyo intermittent recovery test) si è rilevato particolarmente sensibile a livello scientifico (cioè in grado di rilevare modeste variazioni dello stato di forma), ed allo stesso tempo in grado di discriminare calciatori di diverso livello, probabilmente per il suo alto livello di specificità. Il difetto principale (come spesso ribadito da Roberto Colli nel suo sito) di questo test (soprattutto se applicato ai dilettanti) è che raggiungendo l’esaurimento, poco va incontro alle sensazioni di fatica che ha il calciatore in partita (che sono determinati da fattori diversi), quindi è possibile che non venga eseguito al 100% dell’impegno, invalidando l’applicazione del protocollo.
    • Test all-out brevi: test in cui si richiede di percorrere una breve distanza (non necessariamente rettilinea) o un compito motorio (esempio salto) esprimendo sin da subito il massimo sforzo possibile. Tra questi annoveriamo tutti i test di salto, e test rettilinei e a navetta: è ovvio che tra i test di corsa, sono preferibili quelli che includono cambi di direzione e tra quelli di salto, quelli di natura monopodalica che coinvolgano anche aspetti coordinativi.
    • Test di soglia (sottomassimali): tra questi, non intendo quelli per la Soglia Anaerobica, ma quelli in cui viene richiesto di fare per un determinato periodo di tempo (ad esempio 2 serie di 8’ con 2’ di recupero) un lavoro fisico ad una determinata potenza aerobica (esprimiblile in watt, ad esempio 17 w); ovviamente tanto più il test è vario (in termini di potenze e cambi di direzione) e tanto più va incontro alle esigenze di specificità. Questo tipo di valutazione va particolarmente incontro alle esigenze di necessarietà; in altre parole, se il giocatore è in grado di completare tale protocollo, allora si può dire che ha la potenza aerobica necessaria per giocare in un determinato ruolo e in una determinata categoria. Altri vantaggi di questo tipo di valutazione (per la potenza aerobica), è che richiede ai giocatori un impegno non ad esaurimento (a patto che sia abbiano le qualità per completarlo) e può essere usato anche come protocollo di allenamento. Test misti di soglia e all-out: sono protocolli di soglia (sottomassimali), con all’interno dei tratti massimali (all-out), come il test navetta-calcio.

    triplo

    CONCLUSIONI RELATIVE ALLA VALUTAZIONE PER I DILETTANTI

    Vista la scarsità dei mezzi (oltre alla non costanza delle condizioni dei terreni durante l’anno) e del tempo a disposizione, in queste categorie, la capacità dell’allenatore/preparatore di osservare quello che accade in allenamento e in campo appare preponderante.

    La valutazione funzionale, andrebbe fatta ogni qualvolta è possibile monitorare l’allenamento (Armando Fucci),

    per questo motivo, i protocolli di soglia/sottomassimali sono ideali per le qualità aerobiche. Ovviamente maggiori sono i mezzi a disposizione (come un generatore di toni) e più vario/specifico può essere il protocollo. Facendo in modo che diventi anche un buon stimolo allenante, una semplice soluzione (sempre per i dilettanti) potrebbe essere quella di proporre 2 serie di 8-10’ a 15-17w (a seconda dei ruoli) con recupero 2’ da fermo. Anche senza particolari mezzi, un protocollo a doppia navetta (andata-ritorno-andata) di 20-21m in 15” (con 15” di recupero da fermo) permettono di sviluppare rispettivamente 15-17w (secondo la tabella di Colli).

    angoli

    Per le qualità neuromuscolari ritengo il test più semplice e specifico il Salto triplo da fermo; a questo link potete vedere l’analisi completa di questo protocollo. Questo permette di valutare l’esplosività in maniera monopodalica, in proiezione orizzontale e con aspetto elastico/reattivo. Oltretutto è in grado di notare il differenziale tra arto dominante/complementare. Ovviamente non è da limitarsi a valutare “quanto” un calciatore salta, ma anche il “come” salta, in virtù di una ottimizzazione della performance e prevenzione infortuni; la possibilità di utilizzare una videocamera ad alta frequenza, permette di valutare/confrontare tempi di volo, tempi d’appoggio, rapporto tra tempo/lunghezza di salto, ecc.

    La possibilità di utilizzare una videocamera ad alta frequenza dà l’occasione di eseguire anche protocolli massimali a navetta andata/ritorno (tipologia “all-out brevi”). Oltre al “tempo impiegato”, può dare indicazioni sul “differenziale piede forte/dominante” (in base a quello usato per il cambio di direzione), sulla “capacità di accelerazione nei primi 3-5 metri”, sul “tempo di inversione” e soprattutto sull’osservazione dell’angolo di inclinazione del busto: gli atleti in grado di accelerare più velocemente sono in grado di inclinare maggiormente il busto in avanti (Hewit 2013), probabilmente trovando un ottimo compromesso nell’estensione antigravitaria delle articolazioni, uniti ad un’ottimale estensione dell’anca (che dalla ricerca di Jones 2009 sarebbe il fattore maggiormente influente) e flessione dell’arto in volo. Nei pressi del Cambio di direzione invece, risulta fondamentale la gestione coordinativa della frequenza dei movimenti e l’inclinazione del busto verso la nuova direzione. È ovvio che la lunghezza della navetta risulta fondamentale per la priorità valutativa: una navetta “10+10m” permette una valutazione preponderante dell’aspetto coordinativo, mentre in un protocollo “20+20m” (che permette di raggiungere potenze e velocità più elevate) la coordinazione si fonde all’efficienza muscolare nel gestire contrazioni muscolari di intensità elevate (forza reattiva).

    cambio direzione

    Come conclusione finale, spero di aver dato interessanti spunti di discussione in una materia in cui c’è ancora veramente tanto da approfondire. Per motivi di spazio, non sono stati trattati i protocolli per l’individuazione dei fattori di rischio degli infortuni, dei quali si possono leggere alcuni spunti a questo link.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  25. La valutazione della condizione atletica nel calcio: condizione “necessaria”, ma non “sufficiente” (prima parte)

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    Dopo più di 3 anni dal mio primo articolo sulla valutazione atletica del calciatore, mi sono accorto quanto sia grande il gap tra la teoria espressa dal maggior numero delle ricerche scientifiche sull’argomento e l’applicazione pratica nell’allenamento. All’inizio ero convinto che la valutazione atletica del calciatore dovesse passare esclusivamente attraverso l’utilizzo di test approfonditi e validati in ambito scientifico; con l’esperienza (e seguendo anche il blog del prof. Colli) mi sono reso conto che la valutazione del calciatore rappresenta una materia estremamente complessa, che riflette la complessità del gioco stesso. Per questo motivo sono giunto alle seguenti considerazioni (che poi verranno approfondito di seguito):

    • I test nel calcio (come in tutte le discipline sportive) permettono di indagare condizioni di “necessarietà”, ma non di “sufficienza” (lo spiegheremo nel prossimo paragrafo) per comprendere la condizione atletica del calciatore.
    • Occhio+cervello” rappresentano ancora il più importante laboratorio di biomeccanica/fisiologia esistente: in altri termini, la capacità di osservare (ciò che accade in allenamento e in partita) e di elaborare (quello che si vede, oltre all’esito di test e della match analysis) le informazioni che abbiamo, rappresenta il vero fulcro della valutazione, che non potrà mai essere sostituita da un solo indice o numero, in virtù della complessità della prestazione calcistica.
    • La possibilità di valutare la condizione atletica del calciatore tramite test, è direttamente proporzionale alle possibilità economiche della società in cui si lavora (professionisti/dilettanti). Indipendente da questo, i test da preferire sono quelli di “soglia” (non anaerobica, come vedremo in seguito) e “all-out” brevi, con possibilità di analizzare il “come” (dal punto di vista tecnico/biomeccanico) vengono eseguiti questi test. I “test incrementali” sono meno adeguati e i “time trial” sono completamente inadeguati!

    immagine 1

    CONDIZIONE DI “NECESSARIETA’” E DI “SUFFICIENZA” NELLA VALUTAZIONE DEL CALCIATORE

    Partiamo con lo stabilire il significato di questi termini:

    • Condizione di sufficienza: quando un test (da solo) è in grado di “definire” (indipendentemente da altre variabili) la performance atletica del calciatore o una parte significativa di essa (qualità aerobiche, neuromuscolari o entrambi).

    In altre parole, ci si chiede se esiste un test in grado di valutare da solo la condizione atletica specifica (di natura metabolica e/o neuromuscolare) del calciatore. Ovviamente la risposta è NO, perché la prestazione atletica nel calcio è multifattoriale e perché non si è ancora riusciti a determinare scientificamente quanto (in termini percentuali) incida questa sulla partita. Gli stessi dati della match analysis, che da un lato permettono di individuare il modello funzionale del calciatore e di individuare i mezzi di allenamento più adeguati (se basati sulla potenza metabolica e non sulle velocità), sono la risultante di 2 variabili:

    1) Le qualità atletiche del giocatore preso in esame.

    2) La “domanda” prestativa del match (e del ruolo) che può cambiare da partita a partita in base al contesto tecnico/tattico e al risultato.

    immagine 2

    Un esempio di quanto la ricerca scientifica non sempre sia “adeguata” alle esigenze dei preparatori/allenatori è data dal fatto che per molti anni si sono allenate le qualità metaboliche dei calciatori come se fossero dei mezzofondisti, tramite ripetute lineari di diversa lunghezza/intensità; le stesse valutazioni, poi sono state fatte tramite test incrementali di natura lineare, che ovviamente, in risposta a questi stimoli, davano miglioramenti ai risultati dei test. Ma cosa se ne fa di tutto questo se

    ormai si conosce che le differenze maggiori (tra atleti di livello diverso) a livello metabolico sono date dal costo energetico nei cambi di direzione (cioè con l’efficienza con la quale un giocatore riesce a cambiare direzione alle varie velocità)?

    …..variabile che non è nè allenabile con ripetute, né valutabile tramite test lineare!!!! Inoltre, come può un test incrementale di 8-12’, fornirmi indicazioni sulla tenuta metabolica in una partita di 90’?

    immagine 3

    • Condizione di necessarietà: quando il livello di una determinata variabile è necessaria per giocare a calcio (in una determinata categoria), ma da sola non può indicare la “bontà atletica” del calciatore stesso.

    In altre parole, esiste un livello “minimo” di potenza aerobica (vedremo successivamente come valutarlo), per poter giocare, ad esempio, in Eccellenza? A mio parere la risposta è SI (anche se difficile dare un valore di potenza aerobico preciso), e questo valore è necessario per poter giocare in una determinata categoria, ma da solo non è sufficiente per indicare che il giocatore ha tutte le qualità sufficienti per giocare a questo livello. Cerchiamo di esemplificare il concetto in altro modo: non esiste (come nelle discipline di resistenza) un rapporto sempre lineare di dose/risposta tra l’allenamento delle qualità aerobiche e la performance calcistica: cioè, non è che più alleno la potenza aerobica e più diventerò performante in partita!…questo perché la “domanda tecnico/tattica” della partita influenza il movimento dei giocatori….ma è altrettanto vero che se non ho un livello atletico sufficiente, probabilmente non riuscirò a tenere il ritmo partita (tipico del mio ruolo/categoria) o avrò un calo eccessivo nel finale. Concludendo, la Condizione di necessarietà è proprio questo, cioè indicare un livello minimo di una certa qualità atletica (nel prossimo post vedremo quali sono i modi che ritengo più adeguati per valutarla), affinchè il giocatore possa rispondere con efficienza e lucidità tecnico/tattica alla “domanda” della partita. Ovviamente questo “livello” dipende dalla categoria considerata (in Serie A è superiore che in Prima categoria) e dal tempo totale che si ha per allenarsi, ma non è detto che sia un “livello” basso!

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    CONCLUSIONI ALLA PRIMA PARTE

    Lo studio dell’allenamento atletico nel calcio ha seguito in questi ultimi 20-30 anni degli alti e bassi (in termini di concretezza); in concetto di necessarietà sopra espresso, spero possa dare adeguati spunti di riflessione, partendo dal presupposto che non va preso come “cum grano salis”. Infatti è evidente (in tutte le categorie) che atleti particolarmente dotati di determinate qualità atletiche possano (in alcuni casi) fare la differenza proprio grazie a queste, ma ciò non significa che le qualità atletiche debbano essere allenate “a secco” in maniera talmente estrema da “sacrificare” gli elementi tecnico/tattici! Nella seconda parte, tratteremo l’importanza della capacità di osservazione/elaborazione del preparatore atletico e quali sono, a mio parere, i metodi più adeguati per le valutazioni atletiche del calciatore (soprattutto a livello dilettantistico).

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

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