La moderna metodologia d’allenamento nel calcio non può fare a meno di esercitazioni che stimolino, in maniera fedele al modello di gioco, la tattica, la tecnica e la componente atletica! Malgrado la componente tattica/situazionale sia la guida principale per le esercitazioni specifiche, questa può essere stimolata in maniera ottimale solamente se l’intensità di determinati stimoli (tecnici, muscolari, metabolici, ecc.) è il più possibile affine a quello che accade in partita. Questo vale sia per i dilettanti che per i professionisti! Con il post odierno, analizzeremo una struttura estremamente flessibile per stimolare diversi aspetti tattici/situazionali nel contesto di gioco, come i movimenti degli esterni, i ripiegamenti dei centrocampisti, gli inserimenti delle mezz’ali, ecc.
STRUTTURA DI BASE
La struttura consigliata è adeguata per 20 giocatori + 2 portieri. Nell’ultimo paragrafo spiegheremo come poter avere gli stessi stimoli allenanti, ma con un numero inferiore di giocatori. L’utilizzo di tutto il campo, rende l’esercitazione estremamente impegnativa (soprattutto per alcuni giocatori), quindi consiglio di giocare su dimensioni leggermente inferiori (come abbiamo fatto nella figura sotto). Noi faremo l’esempio di varianti con il 4-4-2, ma nulla vieta di utilizzare moduli diversi; infatti questa è una struttura estremamente flessibile, che si adatta a più scopi e giocatori. Il campo risulta diviso in 3 parti (difesa-centrocampo-attacco) con i giocatori dentro ad ogni loro zona; gli spostamenti da una zona all’altra (che determineranno le caratteristiche allenanti), saranno possibili solamente in base alle regole di ogni variante che indicheremo sotto.
È particolarmente importante utilizzare questa esercitazione con giocatori maturi dal punto di vista mentale e tattico, perchè è importante aver il bagaglio “situazionale” per gestire le scelte di gioco in maniera rapida e corretta.
VARIANTE PER IL LAVORO DIFENSIVO
Partiamo con le prime 2 regole di base:
La palla può attraversare una zona alla volta; in altre parole, non si possono fare lanci lunghi dalla propria difesa al proprio attacco,
Ogni giocatore non può andare in un settore diverso dal suo: cioè i centrocampisti rimangono a centrocampo, i difensori in difesa, ecc.
In questa prima variante, inseriremo la regola in cui: in fase possesso palla, 2 giocatori per settore, possono andare in un settore avanzato.
Quindi in condizioni di possesso palla, 2 difensori possono andare nella zona di centrocampo e 2 centrocampisti possono andare nella zona offensiva (vedi figura sopra). Chi è in “Non possesso palla” deve rimanere nel proprio settore. In questo modo, a centrocampo (in fase di possesso) ci sarà un 6c4 e in attacco un 4c4. Questo stimolerà particolarmente gli scivolamenti difensivi e le coperture da parte dei difensori e dei centrocampisti (della squadra in “non possesso”). Ovviamente, se si vuole rendere il compito difensivo più impegnativo, si può concedere anche a 3 giocatori alla volta di andare nel settore successivo (7c4 a centrocampo e 5c4 in attacco). Questa variante è molto utile anche per la transizione offensiva (contropiede), visto che in caso di conquista della palla da parte dei difensori, ci saranno diversi compagni in avanti a cui trasmettere la palla. Quando si passa dalla fase di possesso a quella di “non possesso” e non si è nel proprio settore, non è possibile intervenire sulla palla fino a quando non si torna nella propria zona; ad esempio, un difensore che in fase di possesso si porta nella zona di centrocampo, una volta persa la palla, non potrà intervenire su questa fino a quando non tornerà in difesa.
Questo tipo di esercitazione è apparentemente semplice, ma affinchè i giocatori riescano a seguire nella maniera migliore le regole, devono avere appreso e consolidato la presa di posizione, le coperture, e i movimenti specifici del difensore. In questo contesto, sarà l’allenatore a focalizzarsi sui movimenti in fase di “Non possesso”; ad esempio, le 2 punte che si trovano a difendere in un 5c2 (considerando il portiere), dovranno focalizzarsi sul “direzionare” il pallone sulle fasce e non centralmente senza pressare eccessivamente (vedi movimento attaccanti blu nella figura sotto); in questo modo, si creerà un chiaro “lato forte” della squadra avversaria, su cui potranno coprire più facilmente i centrocampisti e difensori.
Un’ulteriore variante potrebbe essere quella di permettere a tutti di andare nel settore successivo (in fase di possesso), e ad un giocatore di ripiegare nel settore precedente in fase di “non possesso” (cioè ad una punta di ripiegare a centrocampo, o ad un centrocampista di ripiegare in difesa). In questi casi si giocherà nei vari settori con maggiore densità, quindi gli stimoli tecnici/tattici/atletici saranno superiori. Di conseguenza, in difesa (fase di costruzione) si giocherà un 5c3 (considerando il portiere), a centrocampo un 8c5 e in attacco un 6c5.
In questo modo, si stimolerà la fase di ripiegamento in partita, un movimento oggi molto in voga, soprattutto quando si gioca con diversi centrocampisti con caratteristiche offensive; in questi contesti, per supplire alle carenze “difensive” dei giocatori, si tende ad aumentare la densità dei giocatori (tramite ripiegamenti) nelle varie zone del campo, quando ci si trova in “non possesso”. Ovviamente all’interno del mezzo d’allenamento, ogni giocatore di ogni settore, per un tot minuti, sarà considerato quello che ripiega, anche in maniera specifica al proprio ruolo.
VARIANTE PER LA COSTRUZIONE/POSSESSO PALLA
Partendo dalle regole di base (giocatore nel proprio settore e NO palla lunga):
In fase di possesso palla, i giocatori possono indietreggiare in una zona che precede la propria (centrocampisti in difesa – attaccanti a centrocampo).
2 o 3 centrocampisti alla volta (in fase di possesso) possono andare nella zona offensiva.
I giocatori della squadra in “non possesso” devono rimanere nella propria zona.
Con questa variante si faciliteranno gli smarcamenti (scaglionamento) in fase di costruzione, permettendo una trama di passaggio in grado di “pulire la palla” (cioè creare palla scoperta), per poi facilitare gli inserimenti (movimenti alle spalle dei difensori), in particolar modo dei centrocampisti. Ovviamente questo tipo di movimenti saranno possibili se i giocatori sono in grado di scaglionarsi correttamente, conoscere i movimenti di base e di reparto, oltre ad avere doti tecniche adeguate.
Ulteriori varianti possono essere quelle di limitare i tocchi (ad esempio 2 o 3) o stabilire un numero di passaggi “minimo” prima di poter concludere. Tutte queste varianti, sono consigliabili quando l’esercitazione diventa “troppo semplice” per chi è in possesso. Ricordo che il sostituire i centrali di centrocampo con dei Jolly (che fanno solamente la fase offensiva con la squadra in possesso), permette di utilizzare un numero inferiore di giocatori.
VARIANTE PER GLI ESTERNI
Nel calcio moderno, spesso si utilizzano gli esterni difensivi alti, sia che si giochi con la difesa a 5, che a 4. Questi giocatori devono avere corsa e tecnica, oltre ad essere in grado di padroneggiare gli inserimenti e i ripiegamenti difensivi. Per allenare tutte queste componenti, è possibile partire dalla struttura/regole di base (ognuno nella sua zona, ecc.) permettendo:
Gli esterni hanno la possibilità di andare in tutte le zone del campo (attacco, difesa e centrocampo), sia in fase di possesso che di “non possesso”.
1 o 2 centrocampisti alla volta (in fase di possesso) possono andare nella zona offensiva
Nella figura sotto, sono riportate di squadre che giocano a specchio con un 3-5-2 (o 5-3-2), in cui i 2 esterni (per squadra) possono andare in tutte e 3 le zone.
ULTERIORI VARIANTI
Purtroppo non sempre si hanno a disposizione 22 giocatori per fare un’esercitazione, di questo tipo; per questo motivo, sono da tenere in considerazioni ulteriori varianti che permettono di raggiungere gli scopi prefissi (vedi sopra).
Se si hanno a disposizione 18 giocatori, è possibile far giocare un 9c9 su un campo che va da un limite dell’area all’altro (o leggermente più corto) restringendolo di circa 5 metri per lato. Giocando con il 3-3-2 si riescono a riproporre quasi tutti i fondamenti tecnico/tattici del 4-4-2, con il 3-4-1 si riesce fare un ottimo lavoro con gli esterni, ecc.
Un’altra variante che permettono di adattare l’esercitazione allo scopo, può essere l’introduzione di jolly a metacampo, per fare un 9c9+1 Jolly (19 giocatori).
In caso di disponibilità di giocatori dispari, è possibili limitare maggiormente (numero di tocchi massimi, limite di uomini che si possono spostare da un settore all’altro, ecc) la squadra in superiorità numerica.
CONCLUSIONI
Concludiamo specificando che il senso di questa esercitazione è quello di effettuare partite a tema, focalizzandosi su alcuni elementi, mantenendo per tutti il contesto della partita (elevata specificità). Nell’ipotizzare il carico atletico di questa esercitazione, c’è da tenere in considerazione che in alcuni ruoli (in base alle varianti considerate) ci sarà un lavoro fisico molto maggiore rispetto ad altri; ad esempio, i giocatori che frequentemente vanno in una zona successiva o che possono/devono ripiegare, sicuramente spenderanno più energie; di conseguenza, è da predisporre una “rotazione” dei ruoli, all’interno dell’esercitazione. Ritengo inoltre che questo mezzo sia molto utile, per far apprendere ai giocatori movimenti nuovi, con estrema gradualità, ma con un elevato livello di specificità. È ovvio che questa struttura di base si dimostra estremamente versatile per diversi moduli e fondamenti tattici; in questo post abbiamo presentato solo alcune varianti (le più semplici) che possono rappresentare stimoli particolarmente specifici negli allenamenti della parte centrale della settimana.
Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it)
Riuscire ad automatizzare dei movimenti dal punto di vista tecnico/atletico/coordinativo, non è indice di averli completamente appresi; infatti è la corretta applicazione nel contesto di gioco ad indicarne la massima efficienza
Nel precedente post, abbiamo analizzato i primi 2 Step della didattica della preparazione atletica del difensore, cioè quelli focalizzati sui presupposti atletici e coordinativi (primo step) e sull’apprendimento tecnicodei movimenti (secondo step). Nel post odierno, affronteremo il terzo step, cioè quello che permette di applicare i movimenti tecnici (passo postero/laterale accostato e passo incrociato) in contesti tattici, al fine di dare al difensore le migliori “armi” per gestire lo spazio e il tempo nella difesa della propria porta.
STEP N° 3 (applicazione specifica)
Fornire al difensore le competenze per comprendere quando, come e dove muoversi, è lo scopo del post odierno! Precisiamo sempre che stiamo parlando di abilità individuali (situazioni in cui, molti allenatori lamentano lacune dei difensori moderni) e non di tattica di reparto, della quale troverete comunque diversi link utili alla fine di questo post.
Ricordiamo che l’abilità del difensore nel rubare palla ed effettuare contrasti efficaci si sviluppa sin dalle categorie giovanili; infatti già in un precedente post abbiamo sottolineato l’importanza della didattica dell’1c1 non solo dal punto di vista offensivo, ma anche di quello difensivo. Senza queste abilità istintive, difficilmente si diventerà bravi difensori, perché non si riuscirà a difendere bene “a uomo nella zona”. Sotto proporremo una struttura nuova e altre 4 già approfondite che, con opportune modifiche, fanno al nostro caso.
ESERCITAZIONI PER L’1vs1 DIFENSIVO
(a “uomo” nella “zona”)
L’obiettivo in fase difensiva (tattica individuale) è quella di indirizzare l’attaccante verso zone meno pericolose e/o rubare palla, a seconda del contesto di gioco; nella figura sopra (utilizzata anche per la didattica dell’1c1 negli esordienti) è raffigurata una struttura in cui lo scopo dell’attaccante è quella di entrare in un’area definita, mentre quella del difensore è quella di evitarlo (senza dover necessariamente rubare palla); ulteriori varianti si possono inserire in relazione alle dimensioni dell’area e l’eventuale presenza di porte nell’area. Questo tipo di esercitazioni è particolarmente allenante nei confronti della presa di posizione del difensore (postura) e dei movimenti di passo postero/laterale accostato; di conseguenza, è raccomandato soprattutto nelle categorie giovanili.
L’immagine sopra invece è presa dall’1vs1 per lo sviluppo della rapidità; in questa struttura si effettua un 1c1 dopo una fase di rapidità per fare gol nella porta; è possibile introdurre la regola “il primo che tocca la palla è l’attaccante”! Di conseguenza l’attaccante (il primo che tocca la palla) dovrà fare gol nella porta entro 5-6”, mentre il difensore dovrà semplicemente cercare di “non prendere gol” impedendo all’attaccante di tirare o rubando palla. Il fatto di arrivare sul pallone in velocità e di non sapere in anticipo chi dei 2 sarà l’attaccante, rende l’esercitazione meno prevedibile della precedente oltre che veloce. Consiglio di eseguirla con 7-9 giocatori (reparto difensivo più qualche centrocampista) per ottimizzare la densità di gioco e renderla allenante anche dal punto di vista atletico (rapidità cognitiva). Variando le dimensioni della porta, si modula la difficoltà dell’esercitazione.
Nell’immagine sopra è raffigurato un esempio di 1c1 ad oltranza (non spieghiamo la struttura, perché potete trovare in maniera estremamente dettagliata nel post specifico). La maggior difficoltà (rispetto alle strutture precedenti) consiste nel fatto che il difensore deve proteggere 2 porte, ed adeguare la propria postura e i propri movimenti in relazione alla porta maggiormente “in pericolo”; non solo, sarà maggiormente costretto ad intervenire sulla palla quando l’attaccante si avvicina alle porte. È sempre da limitare il tempo a disposizione all’attaccante per segnare.
2c2 CON LE SPONDE
Questa struttura può essere utilizzata sia per l’apprendimento del concetto “marco-copro” (come spiegato nel post corrispondete), sia per il concetto di “marcatura a uomo nella zona”. Infatti, lo scopo di ogni coppia di giocatori all’interno del quadrato è di far andare la palla da una sponda all’altra (ovviamente dello stesso colore dei giocatori all’interno).
Imponendo la marcatura a uomo, lo stimolo allenante della marcatura, del posizionamento (postura difensiva) e dei movimenti difensivi sarà maggiore.
Aumentando le dimensioni del quadrato (ideale 22x22m per l’ultima variante descritta) il compito difensivo diventa più difficile.
Ultima variante consigliata, è quella di poter rubare palla solo per “intercettamento di palla” e non su contrasto; in questo modo diventa più allenante per la “presa di posizione” e meno allenante per la capacità di contrastare l’avversario.
Inoltre, consigliamo di invertire le sponde con i giocatori centrali abbastanza spesso (ogni 90/120”) perché l’intensità dell’esercitazione è particolarmente elevata.
3c3 CON LE SPONDE
In questa struttura, ci sono solo 2 sponde e fungono da Jolly; lo scopo (per fare il punto) è quello di far passare la palla da una sponda all’altra tramite almeno un passaggio dei giocatori in mezzo al campo. Se la palla esce lateralmente si esegue la rimessa con i piedi (mettere palloni a disposizione ai lati del campo). Le dimensioni del campo sono di 35x20m. Valgono le stesse raccomandazioni dell’esercitazione sopra relative al tempo di ogni serie, che non deve essere troppo lungo perché l’esercitazione è particolarmente intesa. In questo caso, non essendoci cambi tra sponde e giocatori centrali, è meglio organizzarsi in diverse microserie di 60” con 30-40” di recupero, durante il quale, l’allenatore può effettuare correzioni dettagliate dei movimenti dei difensori. Riportiamo sotto le varianti principali.
Aumentando le dimensioni del campo il compito difensivo diventa più impegnativo perché è più facile “attaccare lo spazio” da parte della squadra in possesso. È consigliabile incrementarne le dimensioni quando il livello tecnico dei giocatori non è elevato.
Possibilità di rubare palla solo per “intercettamento” e non su contrasto.
Imporre la marcatura ad uomo o a zona; nel caso della zona, è possibile aggiungere un Jolly all’interno del campo (vedi figura sotto) per facilitare la circolazione della palla. In quest’ultimo caso, è fondamentale non solo allargare il campo, ma che i giocatori abbiano già appreso i concetti di tattica di reparto (sotto potete trovare i link ai nostri articoli dedicati all’argomento).
CONCLUSIONI ED ULTERIORI APPROFONDIMENTI
Come testo di riferimento per questo tipo di didattica, consideriamo sempre quello di Claudio Donatelli, che consigliamo vivamente di leggere, anche per il CD allegato che permette di comprendere al meglio la caratteristica analitica dei movimenti oltre che le applicazioni pratiche.
Sotto riportiamo i link di articoli dedicati alla tattica difensiva di reparto.
L’atteggiamento posturale del difensore (in fase di non possesso) e il modo di muoversi deve essere appreso in maniera analitica, pena la perdita di istanti fondamentali nell’azione di gioco!
Questo è un presupposto fondamentale per la preparazione (atletica, tecnica e tattica) del difensore. In questo post approfondiremo i 3 step fondamentali per la formazione atletica specifica del difensore, per fornire tutti i mezzi necessari per svolgere al meglio questo ruolo. L’articolo è rivolto a tutti gli staff che lavorano con le categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva, e per tutti coloro che, nelle categorie successive, si occupano del reparto difensivo.
Partiremo dal presupposto con il definire l’abilità tecnico/atletica difensore come un insieme di componenti neuromuscolari, posturali ed attitudinali specifiche di ruolo. In particolar modo al difensore viene richiesto:
In fase di non possesso deve avere una postura dinamica (antero/posteriore) che permetta rapidamente di correre in avanti, all’indietro, lateralmente e “scivolare” (vedi figura a fianco).
Non deve essere solamente rapido ed esplosivo, ma saper accompagnare (passo accostato o passo incrociato) l’azione del portatore di palla nella direzione voluta e in maniera tale da essere sempre pronto per accelerare.
Avere scelta di tempo e capacità di intervento.
Saper effettuare i movimenti di reparto.
Analizzeremo i primi 3 punti (che sono quelli più connessi ad aspetti coordinativi e atletici), tramite Step didattici progressivi per ottimizzare l’allenamento di uno dei ruoli più importanti nel calcio.
STEP N° 1: presupposti coordinativi e atletici
Per “presupposti” si intendono tutte quelle qualità motorie che permettono di apprendere e sfruttare al meglio le abilità specifiche difensive; per facilitare la didattica, consideriamo i mezzi allenanti generali che utilizza tutta la squadra, perché sono importanti per tutti i ruoli (e di conseguenza vengono svolti insieme al resto dei compagni). La formazione del difensore inizia ovviamente (come tutti gli altri ruoli) sin dal settore giovanile (Piccoli Amici, Pulcini ed Esordienti) lavorando su presupposti fondamentali come l’1c1, il contrasto e la coordinazione. Dalla categoria Giovanissimi (e in parte dall’ultimo anno Esordienti), è poi necessario lavorare su:
Rapidità coordinativa: solitamente sono esercitazioni in circuito ripetute più volte con lo scopo principale di incrementare la coordinazione, la frequenza dei movimenti, l’attitudine ad una postura di attesa corretta e prevenire gli infortuni. È importante inserire i presupposti dell’esplosività, andature varie variando orientamento di corsa, piede di frenata e di partenza. Sono proposti solitamente nel secondo allenamento settimanale, ed eventualmente anche nel primo.
Lavoro per la resistenza muscolare locale: in questo caso risulta fondamentale l’allenamento funzionale, in particolare i percorsi finalizzati alla stabilità articolare, alla prevenzione infortuni e all’incremento dell’accelerazione; nel post dedicato alla programmazione dell’allenamento funzionale, potete vedere 2 protocolli (i primi 2 esempi) per questi obiettivi. Ricordiamo che l’allenamento funzionale non è utile solo per la prevenzione infortuni, ma anche per ridurre la spesa energetica dei movimenti meno consueti. Solitamente viene somministrato nella prima (ed eventualmente nella seconda, se si effettuano 3 allenamenti) seduta settimanale.
Lavoro per l’esplosività e rapidità: si intendono tutti quei lavori eseguiti insieme al resto della squadra; a questo link potete vedere il lavoro analitico per la rapidità, a questo link la raccolta di lavori globali (rapidità del Venerdì) e a questo il protocollo per l’esplosività. Solitamente la rapidità viene inserita nell’ultima seduta settimanale, mentre l’esplosività (quando somministrata) nella seduta centrale.
STEP N° 2: lavoro analitico dei movimenti difensivi
A differenza del primo step didattico (che è rappresentato da esercitazioni fatte con il resto della squadra), questa fase è specifica per i difensori. Il nostro riferimento principale in questo step è il testo di Claudio Donatelli, attualmente il libro che affronta l’argomento in maniera più approfondita. Il termine di tecnica difensiva (malgrado non si utilizzi la palla) credo quello più corretto per identificare questo tipo di lavori, che nella fase iniziale deve comprendere esercitazioni analitiche per acquisire la giusta postura dinamica del difensore e la tecnica delle andature; nei dettagli:
La postura in fase di non possesso deve essere in posizione antero/posteriore con il baricentro abbassato (per facilitare l’accelerazione) e il busto eretto. Questa postura deve essere mantenuta anche in situazioni dinamiche (cioè in movimento) quando la palla non è nelle immediate vicinanze (per essere pronti a “scappare” o “accorciare”), ma comunque in possesso della squadra avversaria.
Spostamenti: ricordiamo che in caso di 1c1 il difensore deve facilitare la corsa dell’avversario verso l’esterno (o sul piede debole se ci si trova in zona centrale). Per mantenere la giusta reattività (quindi una postura dinamica il più possibile simile a quanto indicato sopra) può adottare 3 tipi di andature a seconda della velocità dell’avversario: la prima è il passo postero/laterale accostato (detto anche scivolamento laterale all’indietro), utilizzato solitamente quando si è “puntati” dall’attaccante e/o si indietreggia. Il secondo è il passo laterale incrociato: (vedi figura sotto) questo permette di spostarsi lateralmente abbastanza velocemente rimanendo frontali all’attaccante; solitamente è utilizzato nell’1c1 sulle fasce laterali. Ultimo tipo di movimento è la normale corsa rettilinea in accelerazione (massima intensità), solitamente utilizzata quando la velocità di spostamento della palla e dell’avversario è elevata.
È ovvio che il primo di questi è il più lento (passo postero/laterale accostato), ma allo stesso tempo quello che permette di essere più reattivi di fronte alle intenzioni dell’attaccante. Il secondo (passo laterale incrociato) permette di spostarsi più velocemente, ma nel momento in cui si incrocia il passo, si è meno reattivi di fronte ad un eventuale cambio di direzione dell’attaccante. Incrementare l’efficienza e la velocità con la quale vengono affrontate queste 2 andature è lo scopo di questo step! In questo modo, sarà possibile utilizzare le andature più efficaci (cioè che permettono di mantenere una maggior livello di reattività) anche a velocità di spostamento elevate!
N.B.: ricordiamo che per “reattività” intendiamo il grado di prontezza con la quale si può rispondere ad un cambio di direzione e velocità. La postura dinamica corretta, ovviamente è quella con il baricentro abbassato e base d’appoggio sufficientemente larga.
Struttura N° 1
Rappresenta sicuramente il tipo di esercitazione più “didattica” tra quelle proposte. Si tratta di eseguire dei tratti di 10 metri nelle 2 andature indicate sopra con partenze ed arrivi in posizione antero-posteriore (destro o sinistro).
Successivamente si possono combinare questi movimenti tra di loro e con andature rettilinee. Inizialmente vanno eseguite a secco focalizzandosi sulla precisione, secondariamente sulla velocità. Successivamente, sulla stessa struttura si utilizza come riferimento un compagno che guida la palla (vedi figura sopra).
Struttura N° 2
Questo tipo di esercitazioni può essere svolto fino a 4 giocatori contemporaneamente; si prepara una struttura come nella figura sotto (4 quadrati di 10x10m accostati) con un cono centrale ad ogni quadrato e 4 cinesini colorati ai lati. Precisiamo che questa è un’esercitazione di tecnica difensiva, e non di tattica di reparto, quindi ogni giocatore dovrà focalizzarsi solamente sul proprio compito. L’allenatore indicherà un colore e i giocatori dovranno arrivare il più velocemente possibile al colore del cinesino (o cono) indicato e posizionarsi nella postura dinamica corretta; successivamente indicherà un altro colore e i giocatori dovranno spostarsi di conseguenza. Lo spostamento potrà essere effettuato nelle 3 andature indicate sopra (passo accostato, incrociato o corsa rettilinea), sempre dopo specifica dell’allenatore.
Affinchè la postura sia corretta, è necessario dare riferimenti ai giocatori; di conseguenza, la posizione della palla sarà l’allenatore, l’avversario sarà il cinesino colorato e come porta si potrà utilizzare quella del campo. Ulteriori varianti sono relative al segnale dell’allenatore (alzare un cinesino colorato piuttosto che dirne il colore) e la frequenza con la quale indica i colori.
CONCLUSIONI
Nell’immmagine sopra, potete vedere uno schema riassuntivo dei 3 step che abbiamo proposto. Nel prossimo post andremo ad analizzare l’applicazione pratica della tecnica difensiva in situazione; questo per permettere al difensore di “trasformare” le abilità acquisite in contesto di gioco. Ricordiamo che un ottimo testo per approfondire l’argomento è quello di Claudio Donatelli, di cui potete trovare un’ampia recensione a questo link. Nella seconda parte, approfondiremo l’applicazione in situazione tattica di quanto sviluppato in questo post.
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Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it
Inauguriamo oggi una nuova rubrica dedicata alla recensione di “utility” per chi si occupa delle materie trattate nel nostro blog, cioè calcio, corsa e alimentazione. Iniziamo con la recensione di un testo del 2012, cioè l’Allenamento della Forza a bassa velocità (di Giampietro Alberti, Maurizio Garufi e Nicola Silvaggi), i cui principi sono già stati già approfonditamente sviscerati nei post specifici (prima e seconda parte). In questi post abbiamo confrontato questo approccio con gli Esercizi Statico Dinamici, trovando parecchie analogie, malgrado l’origine dei 2 metodi fosse completamente diversa. Riportiamo sotto le conclusioni a cui eravamo giunti:
Nello specifico è stata riscontrata la capacità di incrementare/mantenere i vari indici di forza (massa muscolare, forza massima, esplosività, ecc) di entrambe le fibre muscolari, accoppiate ad un basso rischio di infortuni (da sovraccarico ed acuto) e un rapido recupero funzionale.
Il testo è rivolto prevalentemente a: preparatori atletici, studenti di Scienze Motorie, istruttori di palestre, appassionati di pesistica/body building e allenatori che curano (nella loro attività) anche l’aspetto atletico. Il capitolo più interessante è sicuramente l’ottavo, perché illustra la variante (del metodo) più semplice, riportando la contestualizzazione nell’allenamento di atleti (tra i quali Nicola Vizzoni) di livello mondiale.
ORIGINALITA’ DEI CONTENUTI
L’allenamento della forza a bassa velocità descrive un metodo che sfrutta prevalentemente un singolo tipo di adattamento (cioè quello miogeno), rispetto agli altri metodi che sfruttano anche quello neurogeno.
GRADO DI APPROFONDIMENTO DEI CONTENUTI
Il testo sviluppa in maniera estremamente dettagliata sia la teoria (cioè l’aspetto fisiologico) che la pratica (diversi riscontri da parte di atleti di livello mondiale) di questo metodo.
FACILITA’ DI APPLICAZIONE DEI CONTENUTI
Tra i 2 metodi descritti, cioè la Serie Lenta a Scalare e la Forza a Bassa velocità, il secondo è sicuramente quello più facile da applicare nell’allenamento quotidiano, perché non richiede assistenza nei sollevamenti.
RAPPORTO QUALITA’/PREZZO
Purtroppo non esiste la versione digitale del libro (probabilmente perché è di 4 anni fà), ma i 20 Euro del formato cartaceo sono più che spesi bene; inoltre, comprandolo su Amazon, si può avere un discreto sconto. Clicca sull’immagine qui sotto per acquistarlo su Amazon
ALTRI PRODOTTI RECENSITI:
Importante: i giudizi dei libri che recensiamo riflettono quello che è la nostra opinione. Di conseguenza recensiamo solamente testi che abbiamo letto, approfondito e soprattutto che ci sono piaciuti.
MFC (Movimento Specifico Funzionale): indispensabile per tutti gli staff delle categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva; non è comunque un libro di nicchia, ma veramente utile a tutti allenatori e preparatori che curano l’aspetto neuromuscolare del calciatore a secco e con palla.
Nei settori dilettantistici, la seduta pre-gara è solitamente dedicata alla rifinitura e alle “conclusioni”. In questi contesti, si vedono molto spesso esercitazioni di semplici esecuzioni di tiro in porta (su porta unica) dopo normale scambio con un allenatore o giocatore. Oltre ad esser esercitazioni molto semplici (fin troppo per degli adulti), hanno una densità estremamente bassa; in un contesto dove il tempo settimanale da dedicare all’allenamento è scarso, a mio parere il loro utilizzo è poco giustificato. Quindi un’esercitazione per il tiro in porta in un settore dilettantistico, non dovrebbe comprendere solamente il gesto tecnico, ma avere almeno uno o due altri obiettivi (che siano di tipo tattico, tecnico od atletico). Ad esempio:
Tiro in porta e possesso palla: partite a tema (ancora meglio se un gioco di posizione) in cui è possibile andare a concludere dopo un determinato numero di passaggi. Modulando il numero dei Jolly o il N° di passaggi richiesti, si lavora maggiormente sul possesso o sulla finalizzazione.
Conclusione dopo lavoro tecnico: solitamente nella parte finale del riscaldamento (se questo è dedicato alla tecnica). Riportiamo l’esempio di un mezzo abbinato allo stop orientato o alla sovrapposizione.
Conclusione dopo lavoro tattico analitico: esercitazioni analitiche di sequenze di scambi e passaggi che portano alla conclusione senza avversari o con una pressione difensiva modesta. Sono i classici mezzi che gli allenatori utilizzano per impostare le azioni offensive di base.
Finalizzazione in un contesto tattico individuale: si considerano i mezzi di 1c1 in cui lo scopo di almeno di uno dei 2 giocatori è quello di finalizzare in porta con portiere. Riportiamo un esempio in abbinamento alla rapidità e uno in “situazione”.
Conclusioni in regime di pressione tecnica e atletica: come l’esercitazione che andremo a vedere di seguito.
CONCLUSIONI IN REGIME DI PRESSIONE TECNICA ED ATLETICA
Questo mezzo nasce dall’esigenza di combinare l’esecuzione tecnica veloce del gesto in abbinamento ad altri stimoli. Com’è possibile vedere sopra, la struttura prevede l’utilizzo di un pallone a testa e 2 portieri; la sistemazione delle porte è puramente indicativa, ma è consigliabile che entrambe (o almeno una) siano sistemate in maniera tale da non permettere alla palla di finire lontano…o ci sia uno dello staff che faccia da raccattapalle dietro la porta che non ha “protezioni”. L’esercizio inizia con il giocatore blu che parte in velocità palla al piede, esegue il giro del cono giallo centrale e tira in porta prima della riga blu (vedi figura sotto).
Appena dopo il tiro, l’allenatore fischierà e partirà il primo della fila rossa per eseguire lo stesso gesto (giro del cono e tiro in porta); nel frattempo il giocatore blu che ha appena tirato dovrà doppiare (o semplicemente toccare) il cono blu ed andare a disturbare il tiro del rosso (vedi figura sotto).
Dopo il tentativo di tiro del Rosso, partirà un altro giocatore Blu…che sarà inseguito dal Rosso dopo aver doppiato il cono. Il primo giocatore Blu che era partito (in alto a sinistra) tornerà nella sua fila con il pallone (vedi figura sotto).
ACCORGIMENTI E VARIANTI
È particolarmente importante che chi propone l’esercizio sistemi i riferimenti (linee di tiro, partenze, cono da doppiare) in maniera tale che il giocatore che insegue abbia il margine di poter raggiungere chi ha la palla (soprattutto se questo non esegue con precisione e velocità la guida della palla). Proprio per rincoraggiare la fase in cui il giocatore insegue quello con la palla, si può attribuire 1 punto al gol e 2 punti a chi riesce a toccare il pallone del giocatore che insegue. Cambiando la posizione del cono da doppiare, si riesce facilmente a modulare questo aspetto.
Le proporzioni riportate nelle immagini sopra rappresentano un semplice esempio: in particolar modo la distanza tra il cono e la linea di tiro dell’avversario (ad esempio la distanza tra il cono rosso e la linea blu) non dovrebbe superare i 15-17m se questo mezzo viene proposto nella seduta pre-partita (ad esempio il venerdì); se la seduta viene inserita a metà settimana, è possibile utilizzare distanze fino a 20-25m. Risulta ovviamente un mezzo ideale per il lavoro sulle componenti neuromuscolari nel settore giovanile, da utilizzare sopratutto in palestra.
CARICO DI LAVORO: come seduta pre-partita, sono consigliate 5-6 esecuzioni (tiro+insegumento dell’avversario) per giocatore. Ricordo che con circa 6-7 giocatori per fila (rispetto a 8-9) è probabile che il carico di lavoro vada a stimolare anche le qualità aerobiche (anche se molto dipende dalle distanze tra i vari riferimenti).
CONCLUSIONI
Il mezzo proposto oggi si prefigge di contestualizzare la fase tecnica del tiro in porta in un regime di pressione tipico della partita; inoltre, presenta elementi atletici tipici della seduta del “Venerdì dei dilettanti”. Ricordiamo che questo mezzo può essere utilizzato anche come esercitazione atletica nel settore giovanile, modulando distanze e numero di giocatori (che rappresentano l’intervallo di tempo tra ogni ripetizione). Concludiamo ribadendo l’importanza delle distanze corrette, affinchè lo stimolo allenante sia adeguato; di conseguenza è necessaria un po’ di esperienza nel trovare i giusti dimensionamenti in base alle caratteristiche dei giocatori e agli scopi allenanti che si vogliono perseguire.
Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)
In ambito dilettantistico, il tempo limitato a disposizione riveste una variabile fondamentale che condiziona l’allenamento atletico (contrariamente ai settori professionistici); per questo motivo, il preparatore atletico che lavora in questi contesti deve avere un gran senso critico nella scelta della qualità (specificità allenante) e quantità (tempo a disposizione) dei mezzi proposti. Deve avere una
dettagliata conoscenza della tecnica e della tattica calcistica, al fine di sapere percepire-valutare (anche senza mezzi tecnologici) visivamente le componenti biomeccaniche (il cervello lo possiamo ancora considerare come il miglior analizzatore biomeccanico esistente), atletiche e cognitive del calcio, al fine di supportare al meglio l’attività dell’allenatore.
Riportiamo sotto, quelle che sono, a mio parere, le competenze specifiche che deve avere un preparatore atletico che lavora in ambito dilettantistico.
1) MINIMIZZARE IL TEMPO E MASSIMIZZARE L’EFFETTO DELL’ALLENAMENTO GENERALE A SECCO
Anche con l’avvento di una maggior conoscenza del modello funzionale, l’allenamento generale mantiene una porzione importante dell’allenamento atletico, per un’adeguata prevenzione degli infortuni, per stimolare adeguatamente le massime potenze (metaboliche e neuromuscolari) ed a sostegno della coordinazione. Questi mezzi allenanti devono rispondere ai criteri di specificità della disciplina.
2) SAPER PROGRAMMARE E SOMMINISTRARE L’ALLENAMENTO ATLETICO SPECIFICO IN COLLABORAZIONE CON L’ALLENATORE
Saper fondere tecnica-tattica e componenti atletiche nello stesso mezzo, permette di massimizzare lo stimolo allenante; unire le competenze dell’allenatore (variabili tattiche significative per il gruppo considerato) con quelle del preparatore (variabili che mantengono un’intensità specifica adeguata) è fondamentale nello stabilire i mezzi allenanti. Ovviamente ciò implica il dover abbattere la barriera concettuale che vede preparatore e allenatore lavorare e programmare l’attività separatamente. Questo non riguarda solamente la programmazione degli allenamenti che hanno finalità atletico-tattica, ma anche l’adeguamento dei carichi di lavoro a secco a quelli somministrati dall’allenatore, al fine di evitare sovraccarichi ed infortuni. Infatti, uno dei rischi maggiori, nei casi di scarsa comunicazione/interazione tra allenatore e preparatore, è quello di eseguire carichi settimanali eccessivi o insufficienti.
Altro aspetto collaborativo che ritengo importante è quello con il fisioterapista/massaggiatore della squadra; la gestione degli atleti infortunati (o anche con fastidi che possono propendere ad un incremento del rischio) dovrebbe seguire una priorità che va verso la salute dell’atleta, e non la presenza nella partita più prossima; è un approccio che paga nel medio-lungo termine, cioè sull’andamento di tutto il campionato.
3) SAPER LAVORARE ADEGUATAMENTE SULLA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI
Mentre le squadre professionistiche hanno sufficiente tempo a disposizione per effettuare tutte le componenti dell’allenamento, nei dilettanti è fondamentale “minimizzare il tempo e massimizzare gli effetti” di tali interventi. Per questo motivo, il saper includere nell’allenamento generale stimoli che vanno in questa direzione (come la rapidità coordinativa, l’allenamento funzionale, un riscaldamento adeguato, ecc.) è fondamentale. È anche da ricordare che la fatica è una delle variabili che va ad incidere sul tasso di infortuni, quindi il carico dell’allenamento deve essere tale da preparare adeguatamente il giocatore al match. In Promozione, ad esempio, i carichi metabolici e neuromuscolari sono del 15-40% inferiori rispetto ai professionisti (Pasini 2015), ma la partita dura comunque 90’, ed il tempo per allenarsi è palesemente minore; da questo è possibile capire come sia fondamentale la ricerca del giusto compromesso tra volume ed intensità, finalizzato anche alla prevenzione infortuni.
4) SAPER PROGRAMMARE RISCALDAMENTI TECNICI A DIFFICOLTA’ ED INTENSITA’ PROGRESSIVA
Mentre la tecnica di base acquisita difficilmente viene “dimenticata”, la stabilità di questa in condizioni di fatica e rapidità deve essere costantemente allenata, affinchè il rendimento in campo sia adeguato. Il dedicare la prima parte d’allenamento a questo tipo di variabile (da parte del preparatore) a mio parere è fondamentale anche perché permette all’allenatore di potersi concentrare sulle altri parti dell’allenamento. A questo link potete vedere una trattazione più completa sull’argomento.
5) SAPERSI DISTRICARE TRA CARENZA DI MEZZI E CONDIZIONI DEI CAMPI
Condizione essenziale affinchè le carenze strutturali non diventino una “scusa”, ma uno “stimolo” a trovare soluzioni allenanti alternative che abbiano allo stesso tempo impronte significative. Tempo fa trovai in un video una frase interessante di Massimo de Paoli: “la differenza non la fanno i mezzi, ma le persone”.
Ma quali sono gli aspetti più difficili?…ma anche quale deve essere il “punto di forza” di ogni preparatore
Mi limito a riportare la mia esperienza, affinchè possa essere utile per gli altri. Il riuscire a somministrare carichi sufficientemente elevati, minimizzando il rischio di infortuni, è sicuramente la “sfida” principale del preparatore atletico; il tutto considerando sempre anche il carico effettuato dall’allenatore. Pensate a come velocemente oggi (anche solo rispetto a 15-20 anni fa) circolino i contenuti grazie al web ed ai social; l’accesso alla competenza non è più un limite come poteva esserlo una volta, quando vi erano pochi testi a disposizione su cui approfondire. Quindi è facile cercare e trovare mezzi allenanti da applicare ai propri giocatori, basta solo pensare alla mole di informazioni presente sul sito laltrametodologia.com. La difficoltà sta nel somministrare in maniera adeguata i mezzi, nel contesto di tempo e strutture a disposizione…in relazione al gruppo considerato. Infatti, aver la possibilità di lavorare più anni con la stessa società, permette sicuramente di conoscere meglio i singoli atleti e fare in modo che questi si abituino più velocemente ai carichi di lavoro. Competenza, esperienza, intuito e creatività sono sicuramente le doti maggiormente necessarie ad un preparatore.
Ma quale deve essere il punto di forza di ogni preparatore che lavora a livello dilettantistico?
A mio parere è “l’allenamento della coordinazione”; si perché in un contesto in cui il tempo a disposizione è sempre poco, lavorare su questa qualità ha ripercussioni positive su tanti aspetti della performance, come la gestualità tecnica, l’efficienza dei movimenti (e quindi la prevenzione infortuni e la potenza aerobica) e la rapidità. Non solo, molti aspetti coordinativi del movimento hanno un grado di stabilità maggiore nel tempo rispetto ad altre qualità come la potenza aerobica; per questo motivo, a mio parere, è possibile incrementare il carico di lavoro coordinativo (soprattutto tramite un aumento della difficoltà esecutiva e dell’intensità) durante la stagione, con miglioramenti evidentemente progressivi. Ma attenzione, affinchè ciò sia possibile, è da ricercare un continuo “innalzamento dell’asticella” dal punto di vista delle difficoltà richieste; questo richiede una continua ricerca ed approfondimento dei mezzi e varianti da utilizzare, che porta via diverso tempo in sede di programmazione. Per approfondire, potete leggere il nostro articolo sulla rapidità coordinativa.
Se ti è piaciuto l’articolo, connettiti al mio profilo linkedin per rimanere informato sulla pubblicazione e aggiornamenti dei nostri contenuti.
Autore dell’articolo: Melli Luca (melsh76@libero.it), istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo e Istruttore di Atletica Leggera GS Toccalmatto.
La Match analysis moderna (per intendersi, quella che utilizza i criteri della potenza metabolica) ha permesso di approfondire molti più aspetti rispetto a quella tradizionale (che si limitava a riportare esclusivamente distanze e velocità); ciò ha consentito di comprendere al meglio il modello funzionale atletico del calciatore e di fornire informazioni fondamentali per l’allenamento. Questa Match Analysis può essere considerata “quantitativa”, cioè analizza la “quantità totale delle informazioni” (in termini di potenza, velocità, % dei metabolismi utilizzati, cambi di direzione, ecc.) ed estrapola un modello funzionale estremamente dettagliato di quelle che sono (in media) le attività del calciatore in partita.
Tale approccio, non è ancora in grado di fornire dati su quelle che sono le attività “qualitative” della partita, cioè quelle che determinano le finalizzazioni (cioè le segnature). È facile comprendere che sia fondamentale e primario avere una visuale globale delle attività di un calciatore in partita (Match analysis quantitativa), ma una volta approfondito questo aspetto è anche utile avere informazioni sulle caratteristiche motorie/atletiche delle azioni che dal punto di vista delle segnature determinano le partite (Match analysis quantitativa).
Ma facciamo un esempio paradossale: supponiamo che tramite la Match analysis quantitativa emerga che in partita la stragrande maggioranza delle azioni non superi i 50w di intensità (ricordiamo che alla massima intensità, cioè un’accelerazione massimale, un calciatore può superare tranquillamente gli 80w) e che siano solamente 3 o 4 le azioni ad intensità superiori. Ad un’analisi poco approfondita, si sarebbe propensi ad ipotizzare di non dedicare tanto tempo ai mezzi dedicati allo sviluppo specifico della massima potenza; ma se dalla Match analysis qualitativa emergesse che sono proprio quelle, le azioni che determinano le segnature quelle in cui i marcatori superano i 50w, allora i dati andrebbero visti sotto un’ottica diversa.
Quello citato sopra è solamente uno scenario immaginario (e sicuramente imperfetto), ma spero dia un’idea di cosa sia la Match analysis qualitativa e di quali “informazioni” supplementari possa dare agli allenatori/preparatori. Ma passiamo ad analizzare un’interessante ricerca, per avere un po’ di “carne al fuoco”.
RICERCA DI FAUDE E COLL. (2012)
Ricordo che gli estremi della bibliografia li potete trovare in calce al post. In questa ricerca sono stati analizzati 409 gol della Bundesliga Tedesca nella seconda parte della stagione 2007/08, e scomposti dal punto di vista motorio delle gestualità (cambi di direzione, salti, rotazioni, ecc.) e delle intensità. I risultati che ritengo più significativo sono i seguenti:
L’83% dei gol è preceduta da un’azione rettilinea di intensità elevata da parte di chi segna (soprattutto se attaccante) o di chi fa l’assist.
La maggior parte (45%) delle azioni di chi segna sono caratterizzate da sprint rettilinei, il 16% da salti, 16% rotazioni e 6% Cambi di direzione.
La maggior parte degli sprint di chi segna (68%) viene effettuato senza avversario diretto a fianco e il 75% senza la palla (cioè lanciati a rete).
Il profilo dell’ultimo giocatore che passa la palla (colui che fa l’assist) è simile, ad eccezione che la maggior parte degli sprint viene effettuata con la palla.
Appare evidente che le finalizzazioni sono caratterizzate prevalentemente da elevate intensità di corsa rettilinea, sia in fase di accelerazione che di gestione della palla (guida della palla o segnature). Sono presenti in maniera minore altre gestualità come salti (colpi di testa), rotazioni e cambi di direzione. Questi dati possono offrire interessanti spunti per l’allenamento in due direzioni.
La prima è data dal punto di vista atletico, cioè che è fondamentale, per gli attaccanti (oltre a tutti i giocatori che vengono spesso a trovarsi in condizione di segnatura) riuscire ad accelerare in maniera rettilinea con elevati livelli di potenza e saper gestire (tirare ed eventualmente condurre) a tali intensità la palla; di conseguenza è anche necessario saper reiterare tali sforzi più volte nella partita.
La seconda è relativa alle caratteristiche che deve avere un allenamento di natura tecnico-tattica per le finalizzazioni; conoscendo le caratteristiche di queste azioni può aiutare l’allenatore a stabilire quali siano i mezzi più idonei (tenendo in considerazione l’intera casistica con le giuste proporzioni) ad allenare la componente offensiva, oltre a capire quanto, in allenamento, un’azione è più o meno “aderente” al contesto di partita. Ciò non fornisce indicazioni utili esclusivamente per “gli attaccanti”, ma per tutti i reparti coinvolti nel gioco, compresa la difesa (che deve essere in grado di contrastare questa tipologia di azioni).
CONCLUSIONI ED APPLICAZIONI PRATICHE
Malgrado le interessanti conclusioni della ricerca, i dati sono da contestualizzare all’interno dell’intero modello funzionale del calciatore. Ad esempio, malgrado l’elevato numero di accelerazioni rettilinee che caratterizzano le finalizzazioni, non significa che non sia importante l’allenamento dei cambi di direzione nel calcio; questi determinano l’abilità dei giocatori non solo di essere “rapidi” nel breve, ma anche efficienti dal punto di vista metabolico (che abbiamo visto essere la qualità metabolica maggiore che distingue un professionista da un dilettante). Un altro aspetto che sarebbe interessante da analizzare, è la gestualità atletica/motoria che precede l’azione intensa delle segnature; in altre parole, chi è coinvolto nelle finalizzazioni, accelera da velocità molto basse? Accelera dopo cambi di direzione (ad esempio contromovimenti)? Un’altra considerazione importante da fare è la contestualizzazione della ricerca; i dati riportati sono del campionato 2007/2008 (anche se pubblicati nel 2012) e della Bundesliga….ciò non significa che siano specularmene validi per altri ambiti, come campionati dilettantistici o per la Champions League.
Spero che la ricerca di Faude e colleghi possa contribuire a mettere un piccolo tassello nella conoscenza gestuale/motoria ed atletica delle finalizzazioni, senza comunque far perdere la visuale specifico/complessiva del modello funzionale del calcio (di cui abbiamo parlato più volte). Spero anche che sia di spunto per gli staff (sopratutto dei settori dilettantistici) per creare un database di questa tipologia di azioni (anche in relazione all’analisi della squadra avversaria da affrontare) per cominciare ad approfondire anche in maniera statistica “il come si prende gol” e “il come lo si fa” senza andare “ad occhio ed a memoria” come si è sempre fatto fino ad oggi.
N.B.: per chi fosse interessato, ricordiamo anche i 2 post (prima parte, seconda parte) dedicati all’aspetto atletico/biomeccanico del tiro in porta.
Riferimento bibliografico principale
Faude O, Koch T, Meyer T. Straight sprinting is the most frequent action in goal situation in professional football. J Sports Sci. 2012;30(7):625-31
Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)
Lo studio e l’approfondimento delle neuroscienze applicate al calcio tende sempre più a confermare l’importanza di un corretto inserimento di esercizi a finalità coordinativa nel calcio. Questo non rappresenta una novità, in quanto già nel 2008 lo studio di Venturelli et al 2008 dedicato al legame tra coordinazione tecnica e rapidità permise di comprenderne i potenziali benefici.
Quello che sappiamo oggi, è che non bastano semplici esercitazioni con la “scaletta” (Padròn-Cabo et al 2020), ma è necessario un organizzato approccio metodologico, che tenda in considerazione i mezzi finalizzati ad un’adeguata mobilità/estensibilità delle catene cinetiche, ad un’appropriata resistenza muscolare locale, ma soprattutto ad una capacità di controllo dei movimenti (coordinazione) che permetta al calciatore di essere efficiente (rapido, preciso e con basso rischio di infortunio) in tutte le situazioni che gli si vengono a proporre.
Come evince spesso dai i post di Sergio Rossi su linkedin, il lavoro di prevenzione (mobilità/estensibilità e resistenza muscolare locale) non è sufficiente se non si mette in condizione il sistema motorio di controllare efficacemente i gesti.
A sostegno di queste tesi, viene la pubblicazione di Cordo et al 2004, nella quale viene esposto come un livello di mobilità elevata, predispone all’effettuazione di gesti più efficienti; questo immagino sia scontato per tutti, ma è essenziale ricordare come un’ampia flessibilità predispone anche ad una maggiore instabilità. Allora è necessario che le catene muscolari siano anche forti e resistenti (resistenza muscolare locale) ad ampi range articolari proprio per garantire stabilità e tolleranza all’allungamento. Allo stesso tempo questo non è sufficiente, in quanto il sistema motorio deve anche essere in grado di contrarre e decontrarre la muscolatura con il giusto ritmo, accoppiando e combinando correttamente i movimenti; è qui che entra in gioco l’aspetto coordinativo.
Ma facciamo un esempio per chiarire meglio; durante un contromovimento (o un cambio di direzione prossimo ai 180°) è fondamentale che il calciatore sia in grado di ampliare la sua base di appoggio (mobilità delle catene) al fine di orientarsi verso la direzione di corsa finale; allo stesso tempo, le catene muscolari devono essere in grado di tollerare il grado di allungamento (ad esempio gli adduttori) ed applicare un livello adeguato di forza (nel core) per inclinare il busto nella nuova direzione di corsa. Le condizioni elencate sopra, non saranno sufficienti se l’atleta non sarà anche in grado di controllare il movimento, reclutando la muscolatura con la giusta sequenzialità, intensità e precisione, sfruttando i feedback percettivi nel migliore dei modi.
In questo post andremo ad analizzare una tipologia di esercitazioni (rapidità coordinativa) che, tra le altre, ritengo allenante per la coordinazione dei movimenti.
Cosa si intende per rapidità coordinativa e per cos’è utile
Personalmente utilizzo questo termine per tutte quelle esercitazioni specifiche a secco in cui la complessità (difficoltà motoria) dei movimenti richiesti è elevata, e vengono svolti a livello massimale o submassimale.
Per fare un esempio, una navetta massimale 10+10m non lo inserisco in questa categoria, quanto invece la metto tra le esercitazioni di rapidità analitica. Una navetta 10+10m con un miniostacolo in prossimità del cambio di direzione (da affrontare sia all’andata che al ritorno), la considero invece un mezzo di rapidità coordinativa in quanto la presenza dell’attrezzo aumenta il tasso di difficoltà dei movimenti richiesti. È comunque una suddivisione mia personale, di natura metodologica, che chiunque può modificare; quello che è importante comprendere, sono gli effetti o i benefici. Ne elenco alcuni sotto:
Riscaldamento: se affrontati con difficoltà ed intensità progressiva durante l’allenamento, aiutano l’organismo a prepararsi per le fasi successive e a prevenire gli infortuni.
Tecnica e rapidità: qualsiasi preparatore atletico che ha conseguito la laurea in Scienze Motorie è a conoscenza del fatto che la coordinazione è la base della tecnica e della rapidità dei movimenti; questo vale dalla scuola calcio, fino alle prime squadre.
Recupero post-infortuni: se correttamente inseriti, permettono di riprogrammare la funzionalità dei movimenti dopo una lesione e/o un periodo di stop. Citando Sergio Rossi, il recupero della forza e delle mobilità non è sufficiente se anche il controllo del movimento non viene ripristinato con la piena efficienza.
Defaticamento: personalmente uso le varianti sottomassimali più semplici della pre-atletica (skip, calciata, aperture, ecc.), alla fine degli allenamenti più impegnativi, in fase di preparazione estiva e richiamo invernale. Se a fine seduta vengono utilizzate spesso posizioni per detendere le catene muscolari, a mio parere è utile abbinare anche le varianti coordinative indicate sopra.
Preparare il giocatore a movimenti “inconsulti” in uno sport in cui la variabilità dei movimenti è particolarmente elevata, aiuta ad essere più efficienti (perché si ha un maggior controllo del corpo) e a prevenire gli infortuni. Quest’ultimo campo credo sia molto importante, in virtù del peso che questi possono avere sull’esito delle partite.
Oggi grazie ad una più accurata comprensione del modello funzionale del calcio, si ha una maggiore conoscenza dell’efficacia dei vari stimoli allenanti per il calciatore; quello che invece è meno conosciuto, è il “come” prevenire gli infortuni. Questo perché l’individualità gioca un peso fondamentale nella predisposizione; di conseguenza un approccio di natura scientifico (o anche solo sperimentale), che tiene conto di un “livello medio”, non va completamente incontro alle esigenze dovute alle singolarità dei vari atleti.
Un lavoro coordinativo impostato correttamente (vedremo sotto qualche esempio) aiuta il giocatore ad essere maggiormente “a proprio agio” nel contesto dell’ampia variabilità dei movimenti del calcio. Ma scendiamo maggiormente nel dettaglio.
Aspetto metodologico
Le variabili delle esercitazioni di rapidità coordinativa sono la difficoltà esecutiva (sempre comunque relazionata al gioco del calcio) che può essere più o meno elevata, e l’intensità, che può essere massimale o sottomassimale. Nell’immagine sotto potete vedere una semplificazione dei possibili campi di applicazione ed obiettivi.
Esercitazioni a bassa intensità ed elevata difficoltà esecutiva
Utilizzo questo metodo principalmente il Mercoledì (dilettanti, 3 sedute totali). Preparo 5 minicircuiti della durata di 5-12” (a seconda dell’intensità); ogni circuito viene occupato da 4-5 giocatori che lo svolgono con continuità (ripetendolo anche 5-7 volte nell’arco dei 2’) con i giusti recuperi. Ogni 2 minuti i gruppi di giocatori cambiano il circuito.
In questi inserisco:
Movimenti che stimolino la frequenza dei movimenti (esempio scaletta, cerchi, paletti, ecc.) in condizioni di difficoltà.
Movimenti che stimolano l’adduzione/abduzione dell’anca e l’allungamento della catena posteriore (classici esercitazioni di “risveglio muscolare” o scivolamenti laterali). Caratteristica di questa tipologia è lo svolgimento di movimenti ampi e lenti.
Andature atletiche con riferimenti (varie forme di skip tra ostacoli) o esercizi propedeutici a movimenti esplosivi.
Ovviamente quella dei circuiti non è l’unica soluzione, ma ne esistono diverse; quello che è importante, è una corretta variabilità e progressività esecutiva durante l’anno per avere sempre uno stimolo allenate sufficientemente elevato. Il dosaggio delle ripetizioni è particolarmente importante: ogni circuito dovrà sempre essere eseguito senza che la fatica ne comprometta la corretta tecnica esecutiva, ma che allo stesso tempo lo stimolo coordinativo (difficoltà) sia sufficientemente profondo (anche per numero di ripetizioni ed intensità).
Quello che è importante capire, che i miglioramenti saranno dipendenti dalla variabilità delle esercitazioni; Frans Bosch nel suo libro Allenamento della forza e coordinazione, indica come un’elevata variabilità degli stimoli motori sia necessaria affinche l’organismo riesca a percepire quali sono gli elementi stabili e quelli variabili del movimento, per sapersi adattare nel miglior modo possibile alla complessità della disciplina.
Non solo, sarà necessario (per fare un buon lavoro) “alzare l’asticella delle difficoltà durante tutta la stagione” per mantenere livelli di difficoltà tali da essere allenanti. In questo contesto, una continua ricerca dei movimenti sempre più impegnativi può dare, a mio parere, molte soddisfazioni; questo perchè della coordinazione è possibile incrementare continuamente il carico allenante senza incrementare il rischio di affaticamenti ed infortuni come invece avviene per la qualità condizionali (forza, velocità e resistenza)
Sotto trovate un ottimo video con tantissime esercitazioni con la scaletta (di difficoltà progressiva), ed a questo link un’alternativa con i coni (intensità leggermente superiore).
Esercitazioni ad elevata intensità ed elevata difficoltà esecutiva
Solitamente sono circuiti in cui viene gestita la coordinazione in condizioni di rapidità esecutiva, che richiedono un elevato turnover delle gambe (cioè una frequenza molto elevata dei movimenti), oltre ad una difficoltà superiore a quella che si incontra mediamente in partita. Questo perché la percezione di una difficoltà elevata, induce una maggior attivazione corticale del movimento (Verkhoshansky N. 2012, pag 42), fornendo uno stimolo allenante maggiore.
Personalmente effettuo 2 serie/circuiti da 4 ripetizioni il Mercoledì (nella fase finale del riscaldamento) e sempre 2 serie/circuiti da 4 ripetizioni il Venerdì prima della rapidità “classica”. Potete trovare alcuni esempi sfruttando l’utilizzo di cerchi, cinesini, traiettorie curvilinee o le Wicket runs.
Altri spunti molto interessanti è possibile trovarli nel libro La corsa del calciatore, Didattica, tecnica, esercitazioni per giovani e adulti di Toffolutti e Di Luca. In questo testo è approfondita la teoria alla base della tecnica di corsa del calciatore, ma soprattutto è possibile vedere diversi esempi per modificare ed ottimizzare le andature, per fornire al giocatore la capacità di adattare lo schema motorio della corsa alla variabilità delle richieste che si presentano in partita; tutto ciò permette al calciatore di adattarsi nel modo migliore ai gesti ad alta intensità, le cui caratteristiche sono quelle che caratterizzano le segnature. Questo è possibile modificando la difficoltà e l’intensità delle esercitazioni; nel testo sono riportate le immagini delle esercitazioni, ma è anche possibile vedere tutti i video grazie ai QR code presenti.
Esercitazioni ad elevata intensità e bassa difficoltà esecutiva
Rappresentano un gruppo di mezzi allenanti più ristretto, ma che a livello di prevenzione infortuni sta raccogliendo sempre più consensi. Faccio l’esempio di molti studi usciti in questi ultimi anni (Malone et al 2018ed altri citati di seguito) che mettono in evidenza come i metri percorsi in allenamento a velocità medio-alta (rettilinei), se progressivamente dosati, sono correlati con un numero inferiore di infortuni ai posteriori della coscia. Questa è in parte una novità in quanto fino a poco tempo fa si era convinti che gli “allunghi” fossero la causa principale delle lesioni a questo gruppo muscolare. Oggi invece si tende ad affermare come siano allo stesso tempo “la causa e la soluzione” (Edouard et al 2019, Hegyi et al 2019, McCall et al 2020); questo perché è stata vista un’elevata eterogenicità del reclutamento dei singoli muscoli che compongono questo comparto dell’arto inferiore tra soggetto e soggetto (Higashihara et al 2017). Di conseguenza gli sprint rappresentano le forme allenanti principali per reclutare in maniera specifica questi gruppi muscolari, più di quanto facciano movimenti funzionali come il single leg deadlift, l’hip trust, il nordic hamstring, ecc.
Personalmente propongo gli sprint (tra i 30-40m) in maniera estremamente graduale il Mercoledì (dilettanti). Affinchè abbiano un buon impatto coordinativo, chiedo che vengano svolti ad intensità quasi massimale (ma non al 100%), con particolare attenzione alla fase lanciata, durante la quale il piede “deve” impattare il più possibile sotto il baricentro.
Infatti, i movimenti del calciatore (fatta di accelerazioni/decelerazioni e cambi di direzione) tendono nel tempo a sviluppare in maniera preponderante i muscoli della coscia, facendo assumere a questi un “peso” eccessivo nel gesto della corsa. In questo modo, il calciatore tende a perdere efficienza in altri gruppi muscolari come i glutei e quelli del polpaccio.
Stimolando invece una corsa ad alta intensità, focalizzandosi con l’appoggio del piede il più possibile sotto al baricentro, si riescono a reclutare anche i gruppi muscolari che meno sono utilizzati nella frequente gestualità del calciatore, limitando parte degli squilibri che possono generarsi (Sannicandro et al 2020); non solo, in questo modo si tende ad anticipare l’attivazione degli estensori dell’anca nel momento che precede l’impatto del piede al suolo, garantendo una maggior spinta orizzontale (Morin et al 2015).
Potete approfondire la metodologia e l’importanza degli sprint in allenamento nel nostro post dedicato alla corsa del calciatore.
Altri movimenti che hanno un’ottima efficacia allenante, sono tutte le andature di pre-atletica ad alta intensità come gli skip (basso/alto, avanti/indietro) nelle varie forme, la corsa calciata, la corsa balzata (alle varie distanze), ecc…purchè introdotte in maniera graduale nel processo d’allenamento.
Esercitazioni a bassa intensità e bassa difficoltà esecutiva
Sono le stesse andature atletiche citate sopra, ma ad intensità più basse; a mio parere hanno un ottimo impatto defaticante a fine seduta, soprattutto se precedute da allungamenti posturali. Per queste “andature” ho preso spunto dal “giro di skip” del metodo Rosser.
La bassa intensità con la quale sono svolte, non comporta nessun affaticamento aggiuntivo, ma aiuta (a mio parere) a terminare l’allenamento con uno stimolo coordinativo che può lasciare le catene muscolari meno “contratte”. Solitamente li propongo durante i periodi in cui si incrementa il carico di lavoro (pre-campionato o richiamo invernale) e in tutte le condizioni in cui c’è la necessità di fare un defaticamento particolarmente efficace, come negli allenamenti inframezzati tra le partite infrasettimanali.
le ritengo utili anche nel riscaldamento/attivazione, quando le condizioni del campo non consentono altri tipi di lavori coordinativi.
Riassunto conclusivo ed applicazioni pratiche
Nei settori dilettantistici, quello che differenzia la coordinazione da altre capacità generali, è la possibilità di migliorarla durante tutta la stagione; mi spiego meglio. Se, ad esempio, per le qualità aerobiche il lavoro è orientato ad un aumento progressivo del carico nella preparazione e nella fase iniziale della stagione (perché migliora la qualità di recupero); nelle fasi successive si tende generalmente a mantenere la condizione con una stabilità del carico allenante o ad un lieve aumento dovuto ad una maggior conoscenza del contesto.
Per quanto riguarda la coordinazione invece, a mio parere è possibile (a pari tempo dedicato) aumentare continuamente il carico, tramite un incremento della difficoltà delle esercitazioni; infatti, i miglioramenti a cui va incontro la coordinazione sono piuttosto stabili, e necessitano molto meno “mantenimento” rispetto alle qualità condizionali (potenza aerobica e qualità neuromuscolari).
Considerando poi che le capacità coordinative sono legate anche alle qualità condizionali (potenza aerobica e rapidità) e tecniche, i potenziali progressi del calciatore durante l’anno diventano possibili, in particolar modo nei settori dilettantistici dove i margini di miglioramento sono maggiori.
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Ti piacerebbe allenarti con le stesse competenze di un professionista, realizzando la tua migliore performance nella gara che preferisci? A chi non piacerebbe! Ma le variabili che incidono sulla performance sono veramente tante, e non è semplice padroneggiarle tutte.
A chi non è capitato di essere particolarmente in forma in un determinato momento della stagione e poi vedere calare inspiegabilmente la propria condizione e la motivazione? Oppure di prepararsi con il massimo impegno per una gara, e non riuscire a dare il meglio di sé? E quanti runner si sono semplicemente infortunati, dovendo interrompere per un certo periodo il rapporto con la corsa?
Certi errori capitano anche a livello professionistico, basta pensare a Stefano Baldini, costretto al ritiro alle Olimpiadi del 2000 a Sidney, a causa di una microfrattura da sovraccarico dovuta probabilmente ad una preparazione errata. Non si demoralizzò, cercò (insieme al proprio tecnico) di fare tesoro degli errori fatti e…dopo 4 anni alle Olimpiadi di Atene le cose andarono molto diversamente.
Questo per far capire come nel programmare il proprio allenamento sia necessario seguire alcune leggi generali (che vedremo in questo post), ma allo stesso tempo adattarle alla nostra individualità, perché non tutti i runner sono uguali.
Non solo, quello che è importante, è riuscire a dare il peso maggiore a ciò che può avere l’incidenza più significativa sul modo con cui viviamo la corsa (un po’ come per il Teorema di Pareto). In questo modo eviteremo gli errori che danno origine a inefficienze che possono compromettere (anche solo parzialmente) la performance, oppure incrementare il rischio di infortuni o modificare il rapporto che abbiamo con la corsa.
Per spiegare quest’ultimo concetto, facciamo un esempio riferito alla maratona: recenti studi hanno dimostrato come il tempo finale sui 42.195 Km per un amatore sia maggiormente correlato alla media Km settimanali e alla velocità media degli allenamenti (Tanda 2013); ininfluente è risultato il chilometraggio massimo dei lunghi effettuati. Questo non significa che non siano importanti i lunghi in maratona, ma che nell’impostare la preparazione, la precedenza va data alla possibilità di correre un congruo (per quelle che sono le possibilità dell’atleta) chilometraggio settimanale ed alla velocità con la quale si riesce a correre.
Bene, dopo questo esempio vediamo quali sono elementi fondamentali che hanno maggiore peso sulla performance del podista, che racchiuderemo nei “5 principi delle programmazione del runner”; questi sono:
Durata di una stagione
Carico, scarico e competizioni
Allenamento polarizzato
Periodizzazione
Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner
Nell’immagine sotto, potete vedere come questi principi si collocano in un contesto più ampio, cioè i 4 pilastri del runner.
Prima di andare a vedere i 5 principi sopra elencati, ci tengo a precisare che per i concetti espressi useremo sempre come riferimento i risultati della bibliografia internazionale, aspetto fondamentale per avere nozioni che abbiano una base il più possibile scientifica; malgrado questo, è possibile che determinati concetti vadano individualizzati in base alle caratteristiche dell’atleta. Vi consiglio pertanto di leggere un principio alla volta e poi confrontarlo con quella che è la vostra esperienza, per effettuare eventualmente un “saggio upgrade” delle vostre competenze. Buona lettura!
1) Durata di una stagione
A chi prende parte a molte gare, immagino sia capitato di arrivare a fine stagione abbastanza demotivato, con la sensazione di avere “poca benzina nelle gambe” e con un calo di condizione; questo accade in particolar modo a quei runner che gareggiano frequentemente, soprattutto nei periodi più caldi della stagione o a fine anno.
Gli appassionati delle due ruote, immagino che rivedano la stessa situazione nel ciclismo professionistico; infatti, i ciclisti professionisti programmano un picco di forma in concomitanza delle gare più importanti (che possono essere le classiche, un grande giro o i mondiali) e finalizzano tutto il lavoro (di allenamenti e di gare) in funzione di quello. Di conseguenza, dopo un grande giro (soprattutto il Giro e il Tour) chi ha lottato per le posizioni di vertice (cioè ha profuso più energie degli altri) ha un calo di forma che viene assecondato con un periodo di rigenerazione ed assenza dalle gare.
Ma perché ciò accade? Ma perché dopo un certo periodo la condizione cala drasticamente e l’organismo non risponde più prontamente agli stimoli allenanti, limitando la performance?
Semplice, perché l’atleta esaurisce la sua “energia adattativa”. Già dal 1936 Hans Selye (definito il padre della “Sindrome Generale d’Adattamento”) scoprì che i topi, sottoposti a determinati stimoli di stress (come può essere l’esercizio fisico) erano in grado di tollerare sollecitazioni progressivamente superiori, aumentando la loro capacità di adattarsi ad essi (documento originale). È un po’ come avviene con l’allenamento; se i carichi allenanti sono correttamente dosati, con il passare del tempo il runner incrementa il proprio livello di forma (cioè la capacità di tollerare carichi più elevati).
Lo stesso Selye però, vide che dopo un certo periodo di tempo (1-3 mesi) i topi perdevano e peggioravano la capacità di adattarsi agli stimoli stressanti; questo fenomeno ha attinenza con il calo di condizione atletica che avviene dopo un periodo di allenamento in cui viene incrementato il carico atletico.
Selye nel 1938, definisce questo fenomeno con la perdita di “energia adattativa”; in altre parole, dopo un periodo in cui determinati stimoli sono stati incrementati (oltre un certo livello ovviamente), l’organismo non reagisce più ad adattarsi come prima, perché diminuisce la sua “energia adattativa” in riferimento a quello stimolo.
Malgrado questo fenomeno sia conosciuto sin dal 1938 (ed è sotto gli occhi di tutti quelli che occupano di preparazione atletica), non è ancora misurabile a livello numerico; in ogni modo si sa che non è possibile incrementare la propria condizione fino all’infinito e si pianifica il proprio allenamento di conseguenza:
in altre parole, quando si programma la propria stagione, è importante stabilire un inizio, una fine ed un picco di forma
È da precisare che questo principio vale per chi effettua carichi di lavoro finalizzati ad ottenere il meglio (in relazione alle proprie possibilità ed al tempo per allenarsi) in funzione di un obiettivo o per chi gareggia molto. Chi effettua jogging 3-4 volte a settimana per rimanere in forma non risente di modificazioni dell’energia adattativa.
Quante settimane dovrebbe durare una “stagione atletica”?
Per chi corre a livello amatoriale, l’ideale è compreso tra le 16 e le 20 settimane; questi 4-5 mesi, sono un lasso di tempo ideale per programmare in maniera efficace una competizione (o un gruppo di competizioni), senza correre il rischio di andare incontro a cali prestativi. Per chi prepara gare di 5-10 Km, il periodo può essere accorciato anche a 12 settimane.
Ovviamente queste sono solamente indicazioni di base riferite ad una programmazione effettuata correttamente; affinchè ciò sia possibile, è necessario seguire alcuni concetti di base:
Aumentare con gradualità gli stimoli allenanti; questo perché è stato visto come incrementi troppo repentini del carico allenante (come può essere il chilometraggio settimanale o l’intensità degli allenamenti/gare) possono portare ad un rapido incremento di forma, ma allo stesso tempo un calo altrettanto veloce ed anticipato; in più si incrementa il rischio di infortuni (Damsted 2019). In altre parole, è necessario avere pazienza!
Più gare sono effettuate al massimo dell’impegno e più precoce sarà il calo della condizione; lo vedremo meglio nel prossimo capitolo.
Come sempre, è da rispettare l’individualità dell’allenamento; non tutti i runner sono uguali, quindi alcuni possono concedersi stagioni più lunghe, ed altri più corte.
Iniziare la stagione in condizioni di elevata freschezza atletica (aspetto non banale).
Mi soffermo brevemente sull’importanza di quest’ultimo punto; solitamente l’inizio della stagione coincide con la fine del periodo di rigenerazione, cioè una fase in cui il carico allenante è molto basso (o ci si riposa). Questa fase permette di recuperare le energie psicofisiche, quella che Selye ha definito “energia adattativa”; infatti, cosa succederebbe se dopo la fine della stagione precedente si iniziasse immediatamente la successiva? Succederebbe che il fisico non reagirebbe in maniera funzionale agli stimoli allenanti con la conseguenza di “fare tanta fatica per nulla”. Con un adeguato periodo di rigenerazione invece, si recuperano le energie psico-fisiche ed alla ripresa degli allenamenti il fisico sarà reattivo (cioè si adatterà velocemente) nei confronti degli stimoli allenanti.
“Quando la tua mente è rilassata e in forma, la parte fisica può andare avanti tranquillamente”
Eliud Kipchoge
Ovviamente questa non è la pratica di tutti i Top Runner, altri riposano per periodi inferiori; quello che è importante capire è che
il primo passo per una buona stagione atletica è un ottimo periodo di rigenerazione!
Ovviamente un amatore non può permettersi di riposare senza correre per un mese (altrimenti la condizione scenderebbe oltremodo), ma sarà fondamentale ridurre il carico di lavoro (meno allenamenti e/o più leggeri) o effettuare sport alternativi.
Nel prossimo capitolo vedremo l’importanza dell’alternanza degli stimoli allenanti.
2) Carico, scarico e competizioni
Tutti sanno che solo una corretta alternanza tra carico e recupero permette di migliorare nel tempo la propria condizione; nell’immagine sotto potete vedere una semplificazione del concetto di supercompensazione.
È da precisare che gli allenamenti di “carico” sono quelli che permettono di dare all’organismo un adeguato stimolo allenante in grado di innalzare la sua condizione dopo il recupero successivo. La “fase di recupero” invece è il periodo di tempo che intercorre tra 2 allenamenti di “carico”. Ovviamente durante la fase di recupero è possibile allenarsi, ma facendo carichi che per l’atleta siano leggeri, permettendo di facilitare il recupero. Preciso che la supercompensazione (cioè l’incremento di condizione) non dipende solamente dalla durata del tempo di recupero, ma anche da quanto è stato impegnativo l’allenamento e da come l’atleta gestisce questa fase. Nel nostro articolo dedicato al recupero, potrete vedere tutte le variabili che influenzano questa fase importante.
“Run hard in your hard days and run easy in your easy days”
Questa frase è spesso ripetuta nei siti americani che parlano di allenamento per la corsa, e credo incarni piuttosto bene il concetto di come nei giorni di carico sia importante dare uno stimolo allenante che permetta di incrementare la condizione, ma allo stesso tempo, nei giorni in cui sono previsti allenamenti leggeri si limiti l’intensità dello sforzo (indipendentemente dalla durata).
Nella figura a fianco, è possibile vedere come un’adeguata alternanza tra carico e scarico (grafico a) permetta di incrementare la condizione, mentre recuperi inadeguati (grafico b) in relazione al carico effettuato, non permettano adattamenti adeguati. Nel grafico c invece è possibile vedere cosa succede quando i carichi di allenamento sono troppo distanti o inefficaci.
Appare quindi evidente come sia errata la convinzione che “spingere” ad ogni allenamento possa essere produttivo; non solo, un incremento troppo rapido del chilometraggio settimanale può aumentare il rischio di infortuni (Boullosa et al 2020 e Damsted et al 2019).
Di conseguenza, chi si allena oltre un certo livello d’impegno, è bene inserisca ogni 2-3 settimane, una settimana più leggera detta di “scarico”. Per chi invece ha molto tempo e voglia di allenarsi, piuttosto che incrementare in maniera errata il carico, è consigliabile dedicarsi anche ad attività complementari come il cross training.
Lo scarico pre-gara
Le gare a cui si tiene particolarmente è necessario farle precedere da un periodo di scarico (cioè di allenamenti più leggeri) che permettano di attuare con certezza la supercompensazione; infatti, non tutti i sistemi dell’organismo recuperano alla stessa “velocità”. Facciamo un esempio: gli elementi cellulari responsabili della produzione di energia (cioè legati al metabolismo) recuperano più velocemente rispetto agli elementi contrattili delle fibre muscolari; questo perché più un sistema biologico è complesso, tanto più necessita di tempo affinchè avvenga la supercompensazione. Non a caso, nelle tabelle d’allenamento c’è sempre alternanza tra stimoli di intensità (fartlek, ripetute, ecc.) e di durata (lunghi, medi, ecc.).
È quindi logico comprendere come prima di una gara che si reputa importante, sia necessario qualche giorno in più di recupero rispetto al solito; più è lunga la gara e più lungo deve essere lo scarico. Nella nostra pagina principale dedicata al running potete trovare i programmi d’allenamento dedicate alle varie distanze.
Il periodo di scarico pre-gara, in letteratura internazionale viene definito “Tapering”; di norma, in questo intervallo di tempo c’è una riduzione del volume d’allenamento (cioè dei Km) a tutte le intensità. Praticamente è come se la settimana d’allenamento tipo venisse svolta “in miniatura”. Il vantaggio di questo approccio (rispetto al normale mantenimento del proprio regime d’allenamento) è stato quantificato in media del 2-3% (Latter 2014) di incremento prestativo, qualcosa come 65-70” sul tempo finale, per un runner che corre i 10 Km in 45’. Esiste comunque una certa differenza tra podista e podista; sono portati a beneficiare maggiormente del tapering, runner di caratteristiche veloci, piuttosto che runner di caratteristiche resistenti.
Massimo numero di gare
Correre al 100% a troppe gare rende difficoltoso e lungo il tempo di recupero, non permettendo di svolgere correttamente gli allenamenti settimanali e quindi impedendo il costante incremento dello stato di forma.
Partecipare ad una competizione cercando di dare il meglio di sé stessi, permette al proprio organismo di mobilitare al meglio tutte le proprie risorse energetiche ed ottimizzare il regime di contrazione muscolare; per questo motivo in gara, quando si è particolarmente motivati, si riesce a dare molto di più che in allenamento. Questo vale per tutti gli sport, e potete vederne un esempio lampante in questo video.
L’altra faccia della medaglia (soprattutto se la gara è lunga) è che queste situazioni richiedono un maggiore tempo di recupero perché mobilitano una quantità elevata di risorse ormonali (adrenalina, noradrenalina, ecc.) e nervose, maggiori di quelle mobilitate in allenamento.
Inoltre, il gareggiare spesso al massimo delle proprie possibilità, porta ad una desensibilizzazione agli stimoli adrenergici, una sorta di “assuefazione” agli stimoli della competizione, che faranno sentire l’atleta più spossato e meno motivato, oltre ad incrementare il rischio di infortuni.
Per questo motivo, è ragionevole ipotizzare come 4-5 gare al massimo delle proprie possibilità siano la condizione ideale per ogni stagione. Ovviamente il numero può variare in base alla distanza di ognuna (ad esempio non si possono correre 4-5 maratone nell’arco di 4-5 mesi), dal tipo di preparazione affrontata e dalla tipologia di atleta.
Non rientrano in questo “conteggio” le gare effettuare “non al massimo del proprio impegno”; infatti, il correre una competizione all’85-90% delle proprie possibilità, avvicina questa alle caratteristiche di un allenamento, permettendo di dare comunque stimoli specifici ed allo stesso tempo relativamente brevi da recuperare.
Nell’immagine sotto potete vedere lo schema riassuntivo dei concetti espressi, con in aggiunta altri interessanti consigli.
3) L’allenamento Polarizzato è l’ideale anche per gli amatori?
Nel 2010 Stephen Seiler pubblicò uno studio intitolato What is Best Practice for Training Intensity and Duration Distribution in Endurance Athletes? (Qual è la soluzione ideale in termini di distribuzione di volume ed intensità per gli atleti di endurance?).
Questo studio divenne un vero e proprio punto di riferimento per l’allenamento degli sport di resistenza. In questa ricerca Seiler cercò di capire quali fossero le caratteristiche che accomunavano i programmi di allenamento di diverse discipline di endurance di atleti professionistici (10-13 allenamenti a settimana), arrivando a queste conclusioni:
Circa l’80% dell’allenamento totale è svolto ad intensità inferiori alla soglia delle 2 mM (millimoli/litro di lattato), in altre parole, a ritmi medio-bassi.
Circa il 20% invece, è svolto tramite allenamenti intervallati ad intensità pari o leggermente superiori a quelle di gare della durata di circa 40’ (Ripetute brevi e medie); circa 2 allenamenti a settimana avevano queste caratteristiche.
Questi dati (rappresentano ovviamente una media) fanno riflettere come gli atleti di alta qualificazione diano grande importanza ad un elevatissimo volume di allenamento, che per forza di cose deve essere effettuato a ritmi medio-bassi. L’alta intensità invece viene effettuata a ritmi pari o leggermente superiori a quelli di gara, in maniera intervallata, per dare qualità all’allenamento limitando lo stress. Visto che la predominanza degli allenamenti viene fatta agli “estremi” dei ritmi possibili, prese il nome di allenamento polarizzato.
Nell’immagine sopra, è riportato uno schema presente nello studio di Laursen 2010, nel quale viene evidenziato come a livello biologico sia gli allenamenti di durata che quelli ad alta intensità (in forma intervallata) vadano a stimolare il potenziale aerobico. Questo spiega molto bene il senso dell’allenamento polarizzato, che sfrutta tutti gli stimoli biologici disponibili per migliorare la potenza aerobica del runner.
Ma l’allenamento polarizzato è necessario anche per gli amatori?
A livello di ricerca, è stato visto che runner non professionisti possono raggiungere (in media) livelli di allenamento paragonabili tra di loro, utilizzando mezzi diversi tra loro, come i ritmi medi, i ritmi gara, gli allenamenti intervallati (Paquette et al 2017 e Jarstad et al 2019) o quelli ad altissima intensità come la speed endurance. Questo significa che anche per gli amatori è quantomai importante:
Variare gli stimoli allenanti, in maniera tale da non stressare univocamente il proprio organismo, utilizzando sia le intensità tipiche dell’allenamento polarizzato che altri ritmi allenanti. In altre parole, non fate sempre gli stessi allenamenti…informatevi e studiate al fine di migliorare la vostra competenza!
Utilizzare comunque un programma progressivamente strutturato e finalizzato alla distanza che si vuole preparare (vedi prossimo capitolo).
Adattare l’allenamento alle caratteristiche ed all’età del soggetto; questa condizione è quantomai necessaria, visto che tra i podisti troviamo soggetti delle più svariate caratteristiche neuromuscolari e metaboliche.
Quanti Km a settimana?
Ovviamente non è possibile dare una risposta univoca per tutti, ma si può indicare una soglia minima (cioè necessaria) in base a quelli che sono gli obiettivi di ogni runner.
Principianti: per chi non ha mai corso e sta iniziando, o vuole iniziare, gli imperativi sono 2: gradualità ed idoneità. Gradualità perché per chi non ha mai corso è fondamentale iniziare alternando corsa e cammino come nel nostro programma per principianti. Idoneità, perché una visita medica è fondamentale per comprendere se le intensità della corsa sono o non sono adeguate al proprio stato di salute.
Correre per stare bene: per chi fa sport con regolarità, correre almeno 150’ alla settimana (suddivisi in 3-4 sedute) è il requisito essenziale per ottimizzare il proprio stato di salute. Compatibilmente con la propria idoneità (attestata da personale medico) si possono inserire anche tratti più intensi all’interno degli allenamenti.
Preparazione di gare di 10 Km: in questo caso, valgono le stesse indicazioni del punto precedente, con in più l’assoluta necessità (per legge) di avere l’idoneità agonistica e riuscire a correre i 10 Km in meno di 1 ora.
Preparazione maratonine: in questo caso i requisiti sono più complessi del semplice chilometraggio settimanale. Infatti, si dovrebbero effettuare una serie di lunghi di distanza progressiva per arrivare a correre con disinvoltura i 21.097 Km in gara ed avare un tempo sui 10 Km inferiore ai 51-54’; potete trovare tutti i requisiti necessari e le indicazioni per l’allenamento nel nostro post dedicato alla preparazione per la maratonina per principianti.
Preparazione maratona: in questo caso i requisiti minimi sono diversi e più complessi. Leggi il nostro post dedicato all’allenamento per la maratona.
4) Periodizzazione, ovvero come pianificare la stagione
Abbiamo visto che l’organismo, se correttamente allenato, è in grado di incrementare la propria condizione nel tempo, migliorando la capacità di tollerare carichi di lavoro crescenti. Ma con quale “ordine” devono essere somministrati i vari carichi? È meglio partire con ritmi lenti e poi incrementare l’intensità? Oppure mantenere la stessa tipologia di allenamento, ma aumentando solo i volumi?
Come abbiamo spesso ripetuto, non tutti gli atleti sono uguali, quindi è possibile che alcuni si possano trovare meglio con una determinata progressione allenante, mentre altri con un altro approccio. Malgrado questo, alcune leggi fondamentali devono essere comuni a tutte le programmazioni:
Legge N° 1: l’allenamento di volume deve precedere quello di intensità: infatti l’incremento dei ritmi allenanti deve essere supportato da un’elevata capacità di tollerare lo sforzo, sviluppata nella parte Generale della stagione (vedremo poi meglio sotto).
Legge N° 2: l’utilizzo dei ritmi gara (o genericamente intensi) è possibile solamente se le qualità neuromuscolari del soggetto sono adeguate: in altre parole, per migliorare la velocità alla quale corro in gara, è necessario essere sufficientemente forti e veloci.
Legge N° 3: le gare o gli allenamenti che sviluppano per periodi prolungati il ritmo gara (come le ripetute lunghe) richiedono più tempo per essere recuperate rispetto agli allenamenti intervallati o a quelli a ritmi medio-bassi. Questo spiega anche il motivo dell’allenamento polarizzato che utilizza poco gli allenamenti a ritmo gara, se non in forma intervallata.
Seguendo queste 3 regole elementari (oltre a considerare l’individualità dell’atleta), diventa più semplice programmare una stagione atletica; in maniera semplificata, la divideremo nel periodo Generale e Specifico.
Periodo Generale e Specifico
Se il mio obiettivo realistico è di correre 10 Km in meno 40’, significa che la mia velocità di gara sarà di almeno 4’/Km per una capacità di gara di almeno 40’; soddisfatti questi requisiti, riuscirò raggiungerò il mio obiettivo.
I miei 2 periodi (Generale e Specifico) saranno quindi orientati ad incrementare queste 2 mie qualità (velocità e capacità di gara) nella maniera più efficiente e con il minor rischio di infortuni. Nel post dedicato alla programmazione dell’allenamento potete leggere in dettaglio come pianificare la stagione. Ma cerchiamo comunque di fare un esempio per comprendere meglio i concetti, preparando un’ipotetica gara di 10 Km.
Nel periodo Generale, l’obiettivo sarà quello di incrementare la capacità di correre a lungo per migliorare le qualità di recupero e permettere all’organismo di tollerare successivamente gli allenamenti per la capacità di gara, come ad esempio i medi ed i progressivi. Parallelamente, si dovrà lavorare sulle qualità neuromuscolari (partendo da volumi relativamente bassi) per acquisire la forza e velocità necessarie per poi innalzare la velocità di gara.
Nel periodo Specifico, la capacità di gara sarà stimolata prevalentemente da allenamenti che utilizzano ritmi medi o progressivi; parallelamente, gli allenamenti per le qualità neuromuscolari saranno sostituiti dalle varie tipologie di allenamenti intervallati per innalzare la velocità di gara. Nella parte finale del periodo specifico, altre gare (non sempre corse con il massimo impegno) e qualche allenamento a ritmo gara specifico (di una certa durata) permetteranno di indirizzare le risorse dell’atleta in maniera specifica al fine di ottenere il proprio obiettivo.
Ovviamente i 2 periodi indicati sopra non seguono una divisione netta, ma modulata (“sfumata” per dare meglio l’idea) al fine di ottimizzare gli stimoli allenanti. Non solo, a seconda della tipologia di atleta, alcuni mezzi allenanti del periodo generale (Lunghi o salite brevi, per fare un esempio) possono essere riproposti anche nel periodo specifico per il mantenimento delle qualità aerobiche o muscolari.
Le periodizzazioni più sofisticate (e che possono godere di una lunghezza maggiore) inframezzano il periodo Speciale tra quello Generale e Specifico; senza rendere più complesso il concetto di quello che sia già, questo periodo è una sorta di via di mezzo (come caratteristiche) degli altri 2. Per fare un esempio, la velocità di gara viene allenata come se si stesse preparando una competizione più corta di quello che è il proprio obiettivo.
Prendiamo un podista che in autunno deve preparare una maratona; esso dedicherà assolutamente l’autunno per finalizzare il ritmo gara e la capacità di gara (soprattutto, perché si tratta di una gara molto lunga), ma nella parte finale dell’estate si concentrerà sulla preparazione di qualche gara su strada di 10 Km per dare uno stimolo allenante importante alla velocità di gara. Ovviamente non sarà lo stesso allenamento di chi prepara solo le gare di 10 km, perché dovrà continuare a lavorare sulla capacità di gara, anche se in maniera meno “importante” rispetto al periodo Specifico.
Per chi invece dovrà preparare una maratonina, potrà dedicare il periodo Speciale alle gare di 5-10 Km, come chi prepara una gara di 10 Km, potrà dedicarsi alle competizioni di 3-5 Km.
In ogni modo per chi non è ancora esperto in termini di programmazione della propria stagione, consigliamo di organizzarsi considerando solamente il periodo Generale e Specifico; quando conosceranno meglio le proprie caratteristiche ed avranno migliorato la propria competenza in termini di programmazione, potranno inserire anche il periodo Speciale.
5) Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner
Questo “principio” (il quinto ed ultimo) è importante non tanto per sapere “quanto corro più lentamente ogni anno che passa”, ma per comprendere se ed in che modo l’invecchiamento influenza la performance e come poter influire sul decadimento prestativo. Ma iniziamo rispondendo ad una prima domanda:
Da che età incomincia a peggiorare la performance?
Si contano sulle dita di una mano gli studi che hanno approfondito questa tematica con gruppi di atleti particolarmente elevati.
Nell’immagine sotto è possibile vedere il tempo medio associato all’età dei partecipanti maschili della maratona di Stoccolma (312,342 finisher) in un lasso di tempo di 35 anni (dal 1979 al 2014).
Osservando il grafico, si potrebbe ipotizzare che a 34 anni (in media) si raggiunga il minore tempo finale in maratona, cioè la migliore performance. Per verificare questa ipotesi, ovviamente è necessario trovare altri studi che ne confermino o meno i risultati. Una ricerca osservazionale analoga, è quella di Zavorsky et al 2017 che analizzarono i tempi finali delle maratone di Boston-New York-Chicago dal 2011 al 2016; questi realizzarono come l’età media dei vincitori fosse di 28.3 anni (tutti compresi in un range di 25-34 anni).
Le prime conclusioni ci portano quindi ad indicare come probabilmente, dal punto di vista biologico il “declino” della performance possa iniziare dai 34 anni.
Ma altri fattori incidono sulla performance, non solo l’età: l’esperienza nell’allenarsi, la motivazione e lo stile di vita sono solo alcuni fattori che possono avere un peso sulle performance, anche maggiore; infatti, se si comparano fasce d’età di 5-10 anni alla volta, sia nella ricerca di Zavorsky et al 2017 che in quella di Letho 2016 (quella del grafico sopra), il declino della performance avviene in particolar modo dalla categoria 40-50 anni.
Risultati analoghi, furono visti da Celie et al 2010, che analizzarono 12 anni (dal 1995 al 2007) di arrivi (194560 partecipanti) di una gara di 15 Km, la Nijmegen Seven Hills Run in Olanda. Non fatevi “spaventare” dal nome della competizione (“la gara delle 7 salite di Nijmegen”), in quanto ha un percorso particolarmente veloce, visto che nel 2018 venne stabilito su questo tracciato il record del mondo su strada dei 15 Km. Evidentemente in Olanda hanno un concetto di “salita” diverso dal nostro. Scherzi a parte (era una battuta), lo studio Olandese osservò come in meda ci fu un peggioramento dello 0.2% annuo della performance a partire dai 40 anni; secondo questi calcoli, un runner che corre i 10 Km in 40’, è presumibile che rallenti di 0.5”/Km all’anno dopo i 40 anni.
Ultimo studio rilevante fu quello di Leyk et al 2007, che videro (405515 runners Tedeschi) come la performance in maratona ed in mezza maratona il calo iniziasse dopo i 50 anni con un peggioramento del 2.6-4.4% per decade. Le differenze con lo studio precedente probabilmente erano dovute alla diversa analisi statistica dei dati e della distanza di gara di riferimento.
Quello che è importante comprendere da questi studi, è che il calo prestativo in un runner è da attendersi dai 40-50 anni circa, ma con un tasso di decrescita estremamente basso (solo 0.2-0.5% annuo). Ma il dato più interessante, è che l’età è in grado di “spiegare” solo il 4.5% della prestazione (Letho 2016); il restante 95.5%, è attribuibile all’allenamento, allo stile di vita, alla motivazione, allo stato di salute, ecc. È tanto il 4.5%? Se l’obiettivo è quello di vincere le gare, ovviamente è tanto, perché trai i primissimi le differenze prestative spesso sono inferiori all’1%; ma se l’obiettivo è quello di correre per stare bene, divertirsi (anche gareggiando) o dare il meglio di sé stessi, allora l’età non è una scusa!
L’aspetto a cui prestare invece più attenzione è un altro, cioè come il nostro organismo cambia con il passare degli anni e quali sono i fattori che con l’invecchiamento peggiorano le nostre performance; questo ci permette di capire come modificare il nostro allenamento in funzione dell’età. Ma andiamo per ordine indicando i punti più importanti:
Con il passare degli anni, soprattutto dopo i 50, si tende a perdere in particolar modo forza muscolare e flessibilità. Il tasso di infortuni tende ad incrementare.
Il decadimento prestativo è maggiore se non si segue uno stile di vita adeguato; ad esempio un incremento di 1 Kg di massa grassa, corrisponde ad un peggioramento dell’1% della prestazione (Cureton et al 1978 e Barnes et al 2015): ciò equivale a circa 2.4”/Km per chi corre i 10000m in 40’. Per “stile di vita” non si intende solamente l’alimentazione, ma tutti i fattori che incidono sulla salute psicofisica ed il recupero.
La motivazione può calare e dopo diversi anni si tende a correre soprattutto per “stare bene” e meno per “migliorare le proprie performance”.
Unico aspetto in controtendenza con l’età, è che con il passare degli anni si impara a conoscersi meglio, e si fanno meno errori nell’allenamento; questo è un fattore positivo.
Bisogna quindi essere consapevoli che i sintomi dell’invecchiamento possono essere “rallentati” mantenendo il soggetto (non solo atleticamente) “più giovane”. Riportiamo di seguito le indicazioni di base per mantenere il più possibile l’efficienza fisica; sotto potete vedere anche l’infografica.
Ridurre leggermente il chilometraggio settimanale, non diminuendo i lavori di intensità. Preferire un numero minore di competizioni lunghe.
Mantenere uno stile di vita corretto (salvaguardando salute e peso corporeo), consapevoli che con il passare degli anni aumenta la necessità di riposarsi e curare maggiormente il recupero.
Mantenere elevata la motivazione a fare sport per la salute e per il piacere di farlo, utilizzando il cross training, trovando compagni di corsa e stabilendo anche obiettivi diversi, ma pur sempre realistici.
Sfruttare la propria esperienza e la conoscenza di sé stessi per individualizzare al meglio gli allenamenti.
Un doveroso riassunto
Sono sicuro che i principi illustrati in questo post potranno aiutarvi a pianificare con attenzione il vostro allenamento; ma facciamo un breve riassunto, per organizzare le idee:
Durata di una stagione: abbiamo visto il concetto di “energia adattativa” dedotto da Seyle sin dal 1938, e come questo implica il fatto che una stagione atletica debba essere organizzata per avere un inizio ed una fine (massimo 4-5 mesi), unita a gradualità (e pazienza) nell’incrementare il carico allenante.
Carico, scarico e competizioni: la giusta alternanza tra carico e recupero permette di incrementare nel tempo la condizione di forma. Affinchè ciò avvenga, le gare effettuate al massimo impegno devono essere “razionate” per non avere impedimenti nella realizzazione del proprio programma come infortuni, demotivazione o cali della condizione.
Allenamento polarizzato: questo concetto indica come il miglioramento del potenziale aerobico possa avvenire a ritmi lenti come ad intensità particolarmente elevate, fornendo al runner (soprattutto amatore) un ampio spettro di intensità e mezzi, per diversificare l’allenamento ed adattarlo soprattutto alle proprie caratteristiche. Abbiamo anche visto il chilometraggio minimo in base ai propri obiettivi.
Periodizzazione e pianificazione della stagione: il passaggio (non netto) da un periodo caratterizzato da una forma di allenamento generale ad uno più specifico, permette di innalzare il potenziale dell’atleta per poi indirizzarlo in maniera specifica. L’inserimento del periodo speciale può rappresentare quel qualcosa in più nel momento in cui si avrà una certa esperienza nel programmare la propria stagione.
Come l’invecchiamento modifica le prestazioni del runner: abbiamo visto come dai 40-50 anni è presumibile attendersi un peggioramento della performance, ma come questo possa essere un declino quantomai lieve quando si approccia con il giusto modo alla gestione fisica e mentale dell’allenamento e del proprio stile di vita.
Bene, spero che le informazioni contenute in questo articolo possano esserti utili per migliorare la conoscenza del processo d’allenamento ed individualizzare sempre al meglio il vostro training; il mio consiglio è di leggere l’articolo sempre prima della stesura della tua programmazione ed alla fine della stagione, in maniera tale da verificare e confrontare la tua esperienza con la parte teorica. In questo modo acquisirai una maggior consapevolezza ed esperienza; ricordati che il miglioramento della propria performance, passa anche attraverso la conoscenza della scienza dell’allenamento…e di se stessi.
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Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto,istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.