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  1. Running: come preparare un programma d’allenamento

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    Pianificare un’intera stagione di allenamenti richiede 3 particolari attenzioni: la prima è quella di effettuare un programma teorico che permetta di incrementare gradualmente la condizione, la seconda di adattare il programma alle proprie caratteristiche e la terza di riuscire a gestire gli eventuali imprevisti.

    In questo post vi daremo le indicazioni per preparare al meglio il vostro piano d’allenamento step by step; potranno trovare informazioni utili sia runner esperti che podisti che da poco hanno iniziato a dedicarsi alle competizioni.

    Ci soffermeremo particolarmente sul periodo Generale, cioè la prima fase della preparazione, nella quale l’obiettivo è creare quei presupposti su cui costruire la performance specifica aderente al proprio obiettivo. Infatti, è facile trovare online tabelle d’allenamento per preparare competizioni di diversa durata; la maggior parte di queste però si focalizzano sulla parte specifica della preparazione, trascurando quelle che sono le qualità di base del runner, come le qualità neuromuscolari e la capacità di recupero.

    Semplificazione e schematizzazione della pianificazione della stagione atletica (clicca sull’immagine per ingrandire)

    Spesso capita di osservare dal vivo le prestazioni degli atleti d’elitè e chiedersi: “ma come fanno ad essere così veloci?”. È evidente che alla base delle loro prestazioni ci sono qualità individuali che non tutti hanno, ma per essere così veloci sono necessarie anche ottime doti neuromuscolari; quanti amatori curano con particolare attenzione le doti neuromuscolari al fine di riuscire ad essere più veloci?

    Altro fattore estremamente trascurato è il miglioramento delle doti di recupero; un recupero efficiente mi permette di tollerare carichi di lavoro elevati, minimizzando il rischio di infortuni; rappresenta le fondamenta della performance, ma ci vuole tempo e pazienza per costruirle.

    Nel post precedente abbiamo visto come il periodo di preparazione possa durare (se strutturato correttamente) fino a 4-5 mesi; in questo lasso di tempo è possibile lavorare su tutte le qualità necessarie al podista per ottenere il meglio da sé stessi. Quello che è importante, è organizzare bene i vari periodi della preparazione (vedremo in questo articolo come), ottimizzando il programma in base alle proprie caratteristiche. Non mi stancherò mai di dire che per pianificare al meglio il proprio allenamento è necessario studiare, approfondire e fare tesoro della propria esperienza…ed avere pazienza!

    Le conoscenze di base di una buona programmazione

    Risalgono alla fine degli anni 90’ i primi studi che cercarono di comprendere quali fossero le differenze nei programmi d’allenamento tra i migliori runner elitè con quelli di livello inferiore. I primi 2 studi di Hewson e Hopkins (del 1995 e 1996) videro come i runner che ottenevano i migliori risultati effettuavano un periodo di preparazione Generale più lungo; come vedremo successivamente, questo periodo è particolarmente dedicato al condizionamento aerobico (che determina il recupero) e alle qualità neuromuscolari. Non solo, i migliori risultati erano ottenuti dagli atleti che effettuavano un volume maggiore di corsa ad intensità moderata ed a velocità inferiore (si parla comunque di atleti con caratteristiche abbastanza omogenee).

    Nel 2010 Stephen Seiler cominciò poi a parlare di allenamento polarizzato, indicando come la programmazione degli atleti d’elitè fosse caratterizzata da un elevato volume di allenamenti aerobici ad intensità moderata (80% del totale circa), alternato a mezzi intervallati a velocità pari o superiore al ritmo gara; estremamente rari, erano in allenamento, i ritmi gara mantenuti per periodi prolungati (come possono essere le ripetute lunghe); questa è la condizione ideale per un professionista, cioè per chi ha tutto il giorno per allenarsi.

    Negli anni successivi, si capì come gli amatori potessero attingere a diverse tipologie di esercitazioni per incrementare la propria performance (non solo quelli tipici dell’allenamento polarizzato), sfruttando tutta l’ampia gamma possibile (Paquette et al 2017 e Jarstad et al 2019).

    Gli ultimi studi (il primo e il secondo di Casado et al, entrambi nel 2019) confermarono come gli atleti di altissimo livello (rispetto a quelli di livello leggermente inferiore) effettuavano un volume di Km superiore, più allenamenti a ritmi medi (Corsa Media e Corsa Veloce), e più allenamenti intervallati; il volume d’allenamento maggiore era ottenuto soprattutto grazie al lavoro continuo ad intensità moderata.

    Ultimo studio (una revisione degli studi precedenti) che citiamo è quello di Bulluosa et al 2020, che evidenzia come a livello amatoriale, più intensità allenanti (anche ad altissima intensità) possano essere efficaci, ma l’elevato volume ad intensità moderata (corsa lenta), rappresenta una variabile fondamentale anche per questa tipologia di runner.

    Bene, dopo aver visto questi aspetti non banali, passiamo ora al prossimo capitolo, in cui approfondiremo (step-by-step) la strutturazione di una stagione atletica. Ci focalizzeremo particolarmente sul periodo Generale, quello più trascurato dai runner, che però crea i presupposti per incrementare la velocità e la capacità di gara durante il periodo Specifico.

    Come organizzare la stagione atletica

    Preparare una gara, od un insieme di gare, è come costruire una casa; più alto sarà l’edificio e migliore sarà la performance. Al fine di raggiungere la massima altezza, sarà necessario avere una corretta proporzione tra fondamenta, muri e tetto! Ma prima di iniziare a costruire il nostro edificio, sarà necessario essere certi che il terreno sia stabile; ecco, partiamo proprio dalla stabilità del terreno.

    Compatibilmente con il tempo a disposizione, consiglio sempre di effettuare parallelamente all’allenamento di corsa, il protocollo di allenamento funzionale per il core: aiuta a prevenire l’affaticamento dei muscoli del tronco nei finali di gara e migliora la spinta orizzontale.

    Il periodo di rigenerazione

    Una buona preparazione parte da un ottimo periodo di rigenerazione

    Nel post dedicato ai 5 principi dell’allenamento (nel capitolo “Durata di una stagione”), abbiamo visto come sia necessario presentarsi all’inizio della fase preparatoria in condizioni di freschezza psicofisica, al fine di potersi adattare in maniera reattiva agli stimoli allenanti. Questa fase può durare dalle 3 alle 4 settimane, e dipende da quanto si è arrivati stanchi (sempre dal punto di vista psico-fisico) nella stagione precedente.

    L’imperativo, in questo periodo, è rigenerarsi, cercando di mantenere comunque un minimo livello d’allenamento. Ad esempio, è possibile effettuare un allenamento in meno alla settimana, limitando durata ed intensità degli stessi; altra alternativa può essere quella di dedicarsi ad altri sport (come il ciclismo) adatti alla stagione ed alle condizioni climatiche del periodo. Come le altre, questa fase è da individualizzare in base alle caratteristiche del soggetto, quindi alcuni potranno aver bisogno di un periodo più lungo e di una riduzione maggiore del carico rispetto ad altri.

    Ultimo aspetto da considerare è la vita extrasportiva; un periodo di 2 settimane di vacanza, è sicuramente più rigenerante di 2 settimane di pieno lavoro.

    Ricordatevi, una rigenerazione effettuata in maniera superficiale, non permetterà poi nel periodo successivo di poter esprimere al 100% il proprio potenziale; se la performance possiamo indicarla come l’altezza di una casa, il periodo di rigenerazione rappresenta la stabilità del terreno su cui poggia l’edificio.

    Il periodo generale

    Bene, ora che abbiamo trovato un terreno stabile, possiamo cominciare a costruire la nostra casa: da dove iniziamo? Ovviamente dalle fondamenta; questa è una parte essenziale di qualsiasi immobile, magari non visibile, ma imprescindibile.

    Avete mai chiesto ad un muratore il motivo per cui si formano le crepe nei muri? La maggior parte delle volte vi risponderà che la colpa è delle fondamenta non realizzate correttamente; quindi, se non volete “crepe” nel vostro programma d’allenamento che vadano a limitare le vostre performance, assicuratevi di lavorare in maniera adeguata sulla Resistenza Aerobica. Senza scendere eccessivamente in dettagli di fisiologia, la Resistenza Aerobica è la qualità che viene stimolata ed allenata con le corse continue ad intensità moderata, come la corsa lenta (i lunghi) e la corsa lunga svelta. Si, quella che nel capitolo precedente abbiamo sottolineato come così importante sia per i Top Runner che per i runner amatori.

    Abbiamo visto poi, nel concetto di Allenamento Polarizzato, come un giusto mix di stimoli allenanti di intensità e volume siano l’ideale per ottimizzate il potenziale dell’atleta, ma ad inizio preparazione gli allenamenti a moderata intensità sono quelli che devono avere la precedenza per 3 motivi:

    • Sono più facili da recuperare, per questo motivo si può incrementare il carico con gradualità, minimizzando il rischio di infortuni.
    • Permettono di raggiungere elevati volumi d’allenamento, migliorando quindi le qualità di recupero; questo permette nei periodi successivi di tollerare alti carichi di lavoro.
    • Possono essere fatti anche in moderato stato di affaticamento

    Questi sono i motivi per i quali questi allenamenti rappresentano le fondamenta del nostro edificio, cioè della nostra performance.

    Ma quanti Km fare a settimana?

    Ovviamente dipende dal tempo che si ha per allenarsi e dal proprio background (per un runner esperto è diverso da un principiante); l’insieme di queste 2 variabili permette di comprendere quale possa essere il giusto compromesso. Quello che è fondamentale per tutti invece è la gradualità dell’incremento del carico di lavoro; infatti, una della cause principali di infortunio non è tanto il volume d’allenamento, ma l’aumento eccessivo del chilometraggio settimana dopo settimana (Nielsen et al 2014 e van Poppel et al 2018). Ad inizio preparazione l’incremento del volume d’allenamento (cioè i Km totali) può essere anche del 5-10% a settimana, ma man mano che si avvicina (o si supera) il limite massimo delle stagioni precedenti l’incremento deve essere inferiore al 5%. Non solo, è consigliabile (nei mesi in cui il chilometraggio è elevato) inserire periodicamente 1 settimana di scarico. Come spesso ripetuto, in questo periodo è necessario avere pazienza.

    È poi ovvio considerare che un runner nei primi 5-8 anni di carriera podistica, è logico possa provare ad incrementare i chilometri rispetto agli anni precedenti, mentre un runner over 50 di lunga esperienza, farebbe bene invece a mantenersi o ridurre leggermente il volume, aumentando leggermente l’intensità; l’abbiamo visto nel capitolo dedicato a running ed età.

    Quanti Km deve essere l’allenamento più lungo?

    Se l’obiettivo (cioè quello dell’intera programmazione) è quello di preparare delle corse di 10-12 Km, è sufficiente che l’allenamento più lungo sia di 90’ (ripetuto più volte). Per chi ha come obiettivo una maratonina, l’ideale è riuscire a correre tra i 18-20 Km almeno un paio di volte (sempre nel periodo generale). Per chi prepara una maratona è leggermente diverso, in quanto molto dipende dall’esperienza del runner e dall’abitudine a correre allenamenti di durata.

    Gli allenamenti neuromuscolari

    Se la resistenza aerobica costituisce le fondamenta, i muri sono costituiti dalle qualità neuromuscolari; come abbiamo detto sopra, per essere veloci in gara è necessario avere doti neuromuscolari che permettano di correre a ritmi elevati. Per questo motivo, l’altezza del nostro edificio (cioè l’entità della performance) dipenderà in buona parte da queste qualità; nel nostro post dedicato alla forza e alla velocità del runner abbiamo visto come il lavoro di forza debba precedere quello di velocità ed allo stesso tempo come dipenda anche dalle caratteristiche dell’atleta.

    Nell’articolo dedicato all’individualizzazione dell’allenamento, abbiamo affrontato questo argomento; lo riassumiamo brevemente ed in maniera semplificata prendendo spunto dall’immagine sotto.

    Atleti resistenti soffrono parecchio gli allenamenti ad alta intensità, cioè hanno bisogno di tempo per recupere questo tipo di stimoli, soprattutto ad inizio preparazione. Per questo motivo, è bene che inizino lavorando su stimoli di forza specifica (cioè la resistenza muscolare locale) che vengono meglio tollerati; non solo, per atleti deboli muscolarmente, stimoli precoci di velocità possono incrementare il rischio di infortuni. Il lavoro di forza specifica invece, aiuta a colmare queste “debolezze”, fornendo i presupposti per riuscire a tollerare al meglio gli allenamenti di velocità quando verranno fatti successivamente (seppur a volumi non elevati). In questi casi, l’ideale è l’utilizzo di mezzi allenanti con salite ed effettuare lunghi collinari; trovate l’elenco dei mezzi allenanti nel nostro post dedicato a forza e velocità. Nel caso in cui non si abbia spesso la possibilità di utilizzare salite, consiglio di inserire (anche se non ha la stessa efficacia) negli allenamenti delle variazioni di velocità di 2-4’ di Corsa Media o dei Farltek con fase attiva di 40-60” ad intensità non superiore al RG10Km.

    Gli atleti veloci invece si trovano a proprio agio con gli allenamenti di velocità sin dall’inizio stagione; malgrado questo, è consigliabile anche per loro iniziare con mezzi allenanti che abbiano incidenza anche sulla forza, ma in maniera più esplosiva, come le salite brevi e le relative varianti e nella parte finale anche qualche allenamento intervallato come le ripetute brevi. Allenamenti di forza specifica (cioè le salite), potrebbero essere introdotti nella parte finale del periodo generale, nel caso in cui si preparino gare con salite/discese, competizioni di lunghezza superiore ai 14-15 Km o nel caso si percepisca la necessità di dover lavorare su questa qualità (ad esempio se si fa particolare fatica in salita).

    Esempi di alcuni mezzi allenanti costituiti da corse finalizzati all’incremento della forza (resistenza muscolare locale) e della velocità. Potete trovare l’elenco completo nell’articolo specifico.

    Spero ora sia più facile comprendere come la conoscenza delle proprie caratteristiche (dettata dall’esperienza) permetta al runner di individualizzare al meglio il proprio allenamento; sopra abbiamo semplificato le caratteristiche degli atleti veloci e resistenti, ma è ovvio immaginare come la maggior parte dei podisti abbia caratteristiche intermedie. Per questo motivo, conoscere i possibili mezzi allenanti, essere consapevoli delle proprie caratteristiche e l’esperienza, permettono di individuare e realizzare con maggior efficacia il proprio programma d’allenamento.

    Da considerare sono anche i mezzi “non costituiti da corsa” (come può essere il potenziamento muscolare, l’allenamento funzionale, ecc.); questi rappresentano stimoli allenanti molto utili, la cui varietà di utilizzo permette di andare incontro alle caratteristiche peculiari dell’atleta, soprattutto per la prevenzione infortuni; potete trovare approfondire l’argomento leggendo il paragrafo “L’allenamento con i pesi può migliorare la forza del runner?” nel post dedicato alla forza e velocità del runner.

    Quanto deve durare il periodo Generale?

    Lo possiamo misurare in % della durata totale della preparazione, e la sua lunghezza dipende da alcuni fattori: dovrebbe avere una durata maggiore (fino al 70-80% dell’intera preparazione) per chi corre da poco, per chi è ad elevato rischio infortuni e per chi vuole incrementare il volume d’allenamento rispetto agli anni precedenti.

    Dovrebbe comporre il 40-50% dell’intera preparazione per gli atleti che inseriscono anche il periodo speciale (vedremo successivamente cos’è); questi sono solitamente i runner più esperti e che non intendono incrementare il volume d’allenamento rispetto alle stagioni precedenti. Stessa cosa vale per i maratoneti, il cui volume d’allenamento è comunque incrementato anche nel periodo specifico.

    È consigliabile gareggiare nel periodo Generale?

    L’inserimento di 1-2 gare tirate (cioè al massimo dell’impegno) è consigliabile soprattutto se questa fase occupa il 70-80% dell’intero periodo; queste sono utili per testate il livello di forma, di conseguenza, è bene farle precedere da una settimana di scarico. Altre gare possono essere inserite, a patto che vengano corse all’85-90% dell’impegno massimo, e quindi non vadano a richiedere tempi di recupero lunghi. È da ricordare che più gare si fanno (anche non al massimo impegno) e minori saranno le risorse per incrementare il proprio potenziale atletico in allenamento.

    Bene, abbiamo visto l’importanza delle fondamenta e dei muri del nostro edificio; ora andiamo a posizionare il tetto.

    Periodo Specifico

    Da non confondere con quello Speciale, durante il periodo Specifico si indirizzano gli stimoli allenanti prevalentemente verso le qualità di gara, finalizzando il potenziale motorio costruito nel periodo precedente. Ovviamente la differenziazione con il periodo precedente non è netta, ma durata ed intensità di alcuni allenamenti verranno indirizzati gradualmente verso lo stimolo di gara. Da qui è estremamente chiaro come un periodo Generale troppo corto o nel quale si è gareggiato troppo, non permetta poi di ottenere il massimo nel momento che conta.

    In questa fase si aumenterà l’utilizzo dei mezzi allenanti che utilizzano ritmi simili a quelli di gara, ma senza esagerare o stravolgere il lavoro fatto nel periodo precedente; infatti, come abbiamo visto nel paragrafo Le conoscenze di base di una buona programmazione, gli allenamenti in cui i ritmi gara vengono tenuti per tempi prolungati (come le Ripetute lunghe) sono poco utilizzati da atleti di livello medio-alto. Ciò non significa che siano deleteri, ma rappresentano stimoli che richiedono tempi di recuperi lunghi, quindi da inserire con parsimonia.

    Quando si parla di allenamento specifico, è necessario parlare di velocità di gara e capacità di gara; se un atleta ha l’obiettivo di correre a gara di 10 Km in 45’ (a circa 4’30” al Km), la sua velocità di gara sarà appunto 4’30”/Km, mentre la sua capacità di gara sarà 45’. Di conseguenza i suoi allenamenti rivolti alla capacità di gara saranno quelli che vengono corsi ad un’intensità inferiore, ma per un periodo prolungato (medi, progressivi, volume totale di corsa lenta, ecc.); quelli rivolti all’incremento della velocità di gara saranno invece corsi a velocità superiore a tale velocità, ma in maniera intervallata.

    Durante questo periodo è importante il mantenimento della Resistenza Aerobica tramite un adeguato volume di allenamenti di Corsa lenta ed eventualmente lunghi adeguati al periodo preparatorio; stessa cosa vale per il mantenimento neuromuscolare, nel caso in cui si preparino gare che richiedano ritmi bassi.

    Semplificazione della pianificazione dell’allenamento di una competizione di 10 Km

    Gli allenamenti di ripetute lunghe e le altre gare saranno gli stimoli che raggiungeranno il massimo livello di specificità, ma dovranno essere fatti con parsimonia e succeduti da un periodo di recupero maggiore.

    Ovviamente ogni distanza di gara avrà una preparazione specifica leggermente diversa; potete trovare i programmi specifici delle competizioni nel nostro post dedicati ai 4 pilastri della corsa, nel paragrafo Preparazione per le gare specifiche. Ulteriore personalizzazione del programma dovranno essere fatte in base alle caratteristiche dell’atleta.

    Non solo, è da valutare anche il numero di gare da effettuare (e il grado di impegno corrispondente) e come gestire lo scarico pre-gara delle competizioni a cui si punta maggiormente; trovate questi dettagli nel post dedicato ai 5 principi dell’allenamento nel capitolo Carico, scarico e competizioni.

    Cliccando sull’immagine sotto puoi aprire la presentazione che ho realizzato qualche tempo fa, ma che riassume in maniera abbastanza chiara i concetti esposti sopra, grazie all’analogia della costruzione dell’edificio (fondamenta/muri/tetto); in particolar modo, evidenzia le possibili conseguenze di errori nella programmazione dell’allenamento.

    Inserimento del periodo speciale

    Per i runner più esperti, è possibile inserire tra il periodo Generale e Specifico, quello Speciale; ma come deve essere strutturato? Sostanzialmente è una via di mezzo tra gli altri 2, ma a volte viene anche inserito per colmare determinate lacune o per lavorare solamente verso una “direzione allenante”, come la velocità di gara.

    Ad esempio, molti maratoneti inframezzano tra la fase Generale e Specifica un periodo Speciale nel quale lavorano prevalentemente (pur mantenendo un volume elevato, necessario per preparare una 42.195 Km) sui ritmi che vanno dai 10 Km alla maratonina, correndo alcune gare di 10 km su strada. Questa strategia permette di iniziare la fase successiva della preparazione (quella specifica) con la possibilità di concentrare l’allenamento soprattutto sulla capacità di gara (perchè la velocità di gara è stata stimolata nel periodo precedente), limitandosi al mantenimento del Ritmo Maratona.

    Per chi prepara una mezza, sarà possibile concentrare il periodo speciale sulle velocità tipiche dei 5-10 Km, mentre per chi prepara competizioni di 10-12 Km sui ritmi dei 3000-5000m.

    Clicca sull’immagine per ingrandire

    È comunque importante comprendere che questo non è un periodo slegato dagli altri 2; in altre parole, dal punto di vista metodologico deve esserci un continuo. Come abbiamo indicato sopra, questa fase può essere inserita per quei podisti che hanno una certa esperienza e non intendono incrementare il volume rispetto alle stagioni precedenti.

    Non solo, si può anche inserire per coloro che hanno la necessità di lavorare su una determinata lacuna prima di iniziare il periodo Specifico. Può essere l’esempio del Trailer che fatica a correre in salita; dedicare il periodo Speciale a colmare questa lacuna, gli permetterà poi nella fase successiva di poter lavorare sulla capacità di gara e sui ritmi gara.

    Oppure un runner con determinate lacune neuromuscolari di velocità, può utilizzarlo per migliorare questa importante variabile della performance, magari dopo aver lavorato in maniera importante sul volume d’allenamento (per migliorare il recupero) e sulla forza (con le salite) nel periodo Generale (ricordatevi sempre che il lavoro di forza deve precedere quello di velocità).

    Quello che è importante comprendere, è che il periodo speciale abbia un senso se inserito tra gli altri 2 periodi.

    Conclusioni ed applicazioni pratiche

    Malgrado le indicazioni riportate in questo articolo vadano prese “cum grano salis” (cioè con del buon senso), rappresentano comunque quelle che sono attualmente le linee guida che raggiungono il migliore compromesso tra quello che emerge dalla bibliografia internazionale e dalla pratica dei tecnici nel settore. Ovviamente non esiste una sola via metodologica per ottenere un determinato risultato, anche perché, come abbiamo spesso ripetuto, non tutti i runners sono uguali.

    Quello che è importante, è che l’atleta conosca la teoria di quelle che sono le basi della preparazione atletica; vi applichereste mai su un aspetto così importante della vostra vita che coinvolge il benessere psico-fisico, il divertimento e la socialità, senza la piena consapevolezza di quello che state facendo?

    Allora è importante approfondire l’argomento (informarsi e studiare la metodologia d’allenamento), ordinare le idee per saperle applicare all’atto pratico e fare in modo che le esperienze fatte (che dipendono anche dall’individualità del soggetto) vadano a contribuire ulteriormente ad incrementare la conoscenza dell’argomento.

    “Education is not the learning of facts, but training the mind to think”

    (L’educazione non è l’apprendimento dei fatti, ma allenare la mente a pensare)
    Albert Einstein

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     Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

  2. Fabbisogno proteico e sintesi proteica

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    (Aggiornato al 02/03/2022)

    • Che funzioni hanno le proteine?
    • Che differenza c’è tra anabolismo e catabolismo?
    • Quanti grammi di proteine andrebbero assunti ogni giorno?
    • Qual è il fabbisogno proteico di uno sportivo?
    • Quando è necessario introdurre proteine?
    • Quando le proteine sono troppe?

    Sono solo alcune delle domande (per niente banali) che sportivi o persone attente all’alimentazione possono farsi riguardo al fabbisogno di proteine durante la giornata. In questo post cercheremo di rispondere a questi quesiti, partendo dai presupposti fisiologici che stanno alla base della sintesi proteica e riferendoci sempre alla letteratura scientifica internazionale; come sempre, cercheremo di avere un linguaggio il più facile comprensibili a tutti; buona lettura!

    COSA SONO LE PROTEINE

    Immagine tratta da http://www.chimica-online.it/organica/struttura-delle-proteine.htm

    Già nel nostro post dedicato all’alimentazione abbiamo visto come le proteine siano formate da diversi aminoacidi (che sono i “mattoni” che le compongono) uniti da legami detti peptidici; la sequenza di aminoacidi delle proteine presenti nel nostro corpo, è determinata dal codice genetico ed è definita come struttura primaria. Com’è possibile vedere dall’immagine a fianco, ogni proteina poi assume nello spazio caratteristiche geometriche date dalle interazioni degli stessi aminoacidi a formare la struttura secondaria e terziaria che le permette di avere la funzione (strutturale, enzimatica, regolatoria, ecc) biochimica per la quale è stata sintetizzata. Le proteine possono poi unirsi tra di loro (sempre per assolvere funzioni di tipo biochimico) a formare le strutture quaternaria, come ad esempio l’emoglobina. Nella slide sotto, tratta da una presentazione di Vittoria Patti, è possibile vedere le varie funzioni delle proteine.

    Tratto da https://www.slideshare.net/Pokankuni/macromolecole-biologiche-4-proteine

    Esistono 20 tipi di aminoacidi diversi che compongono le proteine, alcuni dei quali possono essere sintetizzati dal nostro corpo, mentre altri no; quest’ultimi sono 9, e sono detti essenziali, proprio perché devono essere “essenzialmente” introdotti con la dieta. Più avanti, vedremo l’importanza di questi nel considerare il fabbisogno proteico e il valore biologico. Alcuni degli altri 11 aminoacidi (quelli non essenziali) possono diventare “essenziali” in alcune condizioni patologiche o fisiologiche. È importante comprendere come le proteine ingerite con l’alimentazione vengano scomposte nell’apparato digerente in aminoacidi (o piccoli gruppi di essi); gli aminoacidi saranno poi assorbiti nell’intestino, fungendo da “mattoni” delle proteine sintetizzate “ex-novo” all’interno del nostro corpo. Esiste un continuo consumo e risintesi delle strutture proteiche del nostro organismo, che è definito turnover proteico; come vedremo di seguito, questo determina il catabolismo e l’anabolismo.

    ANABOLISMO E CATABOLISMO

    Prima di parlare di sintesi proteica, è necessario approfondire la differenza tra catabolismo ed anabolismo.

    In parole più semplici, non è altro che il processo attraverso il quale i macronutrienti (carboidrati, grassi e proteine) permettono di ripristinare l’ATP (energia), cioè la molecola che consente la contrazione muscolare, la vita e la funzionalità delle cellule. Questo processo provoca una scissione/consumo dei macronutrienti.

    Non è altro che il processo inverso del catabolismo, in grado di “ri-costruire” le sostanze disgregate durante il catabolismo.

    Basandosi sulle definizioni di sopra, il catabolismo scinde i macronutrienti per ottenere energia (ad esempio per una corsa o per una partita di calcio), fungendo da stimolo all’anabolismo che, una volta finita l’attività fisica, permette di ripristinare le scorte energetiche. Attenzione, perché la semplificazione di sopra, ha bisogno di almeno 2 importanti precisazioni:

    • La prima che nell’ambito dello sport, accanto al catabolismo è anche importante introdurre il concetto di “danno muscolare”. Se prendiamo ad esempio un calciatore o un maratoneta, dopo la partita o dopo una gara impegnativa, i loro muscoli degli arti inferiori avranno subito delle microlesioni dovute agli impatti ripetuti con il terreno e alla fatica; questi fenomeni non fanno parte del catabolismo (cioè non sono fenomeni associati al consumo energetico dei macronutrienti), ma sono importanti stimoli per l’anabolismo, cioè per “riparare” i danni creati.
    • Il secondo aspetto importante è che l’anabolismo permette di “portare” l’organismo e le sue strutture (energetiche e muscolari) ad un livello superiore di quello di partenza (supercompensazione), a patto che l’alternanza tra carico (catabolismo+danno muscolare) e il recupero (anabolismo) siano corretti. È l’esempio tipico del carico di glicogeno o della teoria dell’allenamento in toto che permette all’organismo di migliorare le proprie prestazioni a seguito di un corretto regime allenante.

    Spero che la semplificazione dell’immagine sopra permetta di comprendere al meglio la differenza tra anabolismo e catabolismo, soprattutto in relazione alla corretta metodologia d’allenamento; infatti, se l’alternanza tra carico (allenamento) e recupero non è ottimale, l’organismo non riuscirà a migliorare la propria funzionalità. Nell’immagine sotto riportiamo una semplificazione estremamente chiara (di Stelvio Beraldo tratta da bersport.org) di 3 esempi di perfetta o mancata relazione tra carico e recupero.

    Immagine tratta da http://besport.org/sportmedicina/esercizi_carico_allenamento.htm

    Concludiamo questo paragrafo con l’ultima importante annotazione; l’anabolismo indotto dall’allenamento può essere modulato anche da altri stimoli come l’alimentazione, l’ambiente (l’alta quota, l’ipertermia, la disidratazione, ecc.) ed altri fattori di natura psicologica o legati allo stato di salute.

    PROTEINE E SINTESI PROTEICA

    La sintesi proteica, si colloca all’interno del processo dell’anabolismo, in relazione alla costruzione/ricostruzione delle proteine. Andando a rivedere la seconda immagine di questo post (quella sulle funzioni delle proteine) sono ovviamente i primi 2 punti a cogliere la nostra attenzione cioè la funzione strutturale (muscoli, legamenti, ecc.) e quella enzimatica (metabolismi).

    Appare quindi chiaro come le proteine abbiano un ruolo fondamentale nell’attività fisica, sia legato alle componenti neuromuscolari che a quelle metaboliche. Di conseguenza, l’attività sportiva genera quegli stimoli catabolici in grado di indurre successivamente l’anabolismo e migliorare la struttura e la funzionalità dello sportivo.

    Ma come avviene la sintesi proteica? Senza addentrarci in approfondimenti che riguardano la biochimica, è sufficiente comprendere come i vari segnali corporei indotti dalla pratica sportiva inducono nel successivo recupero l’attivazione della sintesi proteica; questa, in vari step (in sinergia con altri sistemi come quello nervoso ed ormonale) e in presenza di un pool di aminoacidi sufficiente (ottenuti dalle proteine ingerite con l’alimentazione), indurrà la “ricostruzione” delle proteine consumate o danneggiate. Nell’immagine a fianco (tratta Proud 2008) è possibile vedere uno schema estremamente semplificato dell’interazione dei segnali che stanno alla base della sintesi proteica

    Ma facciamo un esempio legato alla sintesi di proteine contrattili muscolari; per indurre ipertrofia muscolare, è necessario sollevare pesi con una o più metodiche che abbiamo queste caratteristiche:

    • Elevata tensione MM per tempi sufficientemente prolungati, comunque tali da non esaurire precocemente le riserve di natura nervosa; in questo caso l’elevata tensione muscolare prolungata è un importante segnale per incrementare la massa muscolare.
    • Micro-danno muscolare adeguato: tensioni elevate soprattutto in regime eccentrico (mentre il muscolo si allunga) provocano delle microlesioni che fungono anch’esse da segnale per la sintesi proteica.
    • Stress metabolico: la concentrazione di diverse molecole (come l’acido lattico) ottenute dall’attivazione dei metabolismi (in particolar modo quello anaerobico) per produrre il lavoro muscolare necessario per lo spostamento dei pesi, rappresenta un ulteriore stimolo per la sintesi proteica.

    Ricordiamo che quella delle proteine contrattili (cioè quelle che determinano l’ipertrofia di un muscolo) è solo una parte della sintesi delle proteine muscolari; altre proteine infatti sono responsabili delle vie metaboliche (enzimi) e delle strutture che permettono alla cellula di organizzarsi dal punto di vista compartimentale e funzionale.

    COME SI MISURA LA SINTESI PROTEICA?

    È un aspetto estremamente importante dal punto di vista scientifico, perché permette di comprendere e confrontare in ambito sperimentale, quali sono i migliori stimoli allenamenti e i migliori regimi alimentari (e di integrazione) che favoriscano la sintesi proteica. Ovviamente la maggior parte delle ricerche tende ad approfondire gli effetti sulle proteine contrattili (quelle che determinano l’ipertrofia), perché sono quelle più facilmente misurabili. La valutazione può avvenire a diversi stadi, ma quella più importante di tutte è la misurazione della massa muscolare e del diametro dei muscoli; è ovvio che questo tipo di rilevamento è in grado di percepire cambiamenti a lungo termine della composizione corporea e muscolare, quindi ha bisogno di protocolli sperimentali piuttosto lunghi.

    Altri tipi di misurazione coinvolgono il bilancio dell’azoto (che vedremo successivamente), la concentrazione di alcuni ormoni (come testosterone o GH) e/o la concentrazione di altre molecole coinvolte nelle catene metaboliche della sintesi proteica; quest’ultime tecniche, sono comunque misurazioni indirette, in quanto non vanno verificare quella che è la crescita effettiva, ma rappresentano solamente un solo dato delle molteplici vie metaboliche che la influenzano; di conseguenza, questo tipo di misurazioni è incompleta, e di conseguenza non sufficiente ad indicare la reale sintesi proteica in atto.

    IL FABBISOGNO PROTEICO

    Arriviamo finalmente al punto di definire “quante proteine” servono per la sintesi proteica giornaliera* in base alle diverse variabili che possono influenzare questo dato (età, sesso, attività lavorativa, attività sportiva, ecc.). Il primo aspetto importante da definire, è che il fabbisogno proteico si misura in grammi di proteine su Kg di peso corporeo [g proteine / Kg di peso] necessarie al giorno.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog hanno esclusivamente scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    Mensilmente vengono pubblicate ricerche in cui viene misurato in maniera diretta o indiretta il fabbisogno proteico in base ad un determinato stile di vita; in particolar modo è l’attività fisica nelle sue sfaccettature ad attirare l’interesse dei ricercatori, anche in virtù delle diverse tipologie di proteine che possono essere ingerite con la dieta e con l’integrazione.

    • In ogni modo, è ormai universalmente riconosciuto (EFSA 2015) che per un adulto, sano e sedentario, il fabbisogno proteico (da fonti miste animali e vegetali) è di 0.83 grammi su Kg di peso corporeo. In ogni modo, studi recenti hanno confermato come il fabbisogno potrebbe essere leggermente superiore (1-1.2 grammi su Kg) di peso corporeo.  Visto che il fabbisogno è determinato principalmente dalla massa corporea, ad eccezione di quella grassa, per soggetti obesi è possibile utilizzare come peso di riferimento (per calcolare fabbisogno) quello relativo al peso ideale (normopeso) secondo sesso ed altezza.

    Ma la sedentarietà non è la condizione ideale per il proprio stato di salute, in quanto è stato ampiamente dimostrato che tramite la pratica sportiva si migliora lo stile e l’aspettativa di vita. Proprio per questo, è necessario sapere quale debba essere il fabbisogno proteico per chi fa sport. Per quanto riguarda il fabbisogno degli atleti, i maggiori organi mondiali di medicina sportiva e nutrizione, periodicamente pubblicano le linee guida aggiornate in base alle ricerche più recenti. Ad esempio, l’International Society of Sports Nutrition nel 2017 ha stabilito una quota di fabbisogno proteico per atleti di 1.4-2 grammi/Kg di peso al giorno; l’ACSM (American College of Sports Medicine) ha stabilito 1.2-2 g/Kg, come l’ Academy of Nutrition and Dietetics e Dietitians of Canada sempre nel 2017.

    • Si può quindi considerare che per gli atleti, il fabbisogno proteico giornaliero si assesti tra un valore di 1.2 e 2 g/Kg, a seconda dell’impegno energetico e anabolico della pratica sportiva. È ovvio che per atleti di un certo livello, è assolutamente necessaria la consulenza di personale qualificato in grado di personalizzare l’intero apporto dietetico in base alle caratteristiche del soggetto e dello sport effettuato.

    Queste indicazioni ovviamente vanno prese “cum grano salis”, in quanto solo personale qualificato ( dietologo, dietista o nutrizionista) è in grado, con competenze e strumentazioni adeguate, di stabilire il preciso fabbisogno alimentare di un soggetto. Ricordo che la necessità di proteine può variare in base a situazioni fisiologiche (varie fasi della crescita o dell’anzianità) o patologiche particolari; in questi casi, deve essere il medico curante o lo specialista dal quale si è in cura a fornire le linee guida essenziali.

    fabbisogno proteico sportivo

    ALTRI FATTORI CHE CARATTERIZZANO L’ASSUNZIONE

    Esistono variabili di cui ogni soggetto (soprattutto se pratica sport) deve tenere in considerazione quando si parla di apporto proteico, cioè la distribuzione della quota proteica per pasto, la qualità delle proteine e la tempistica di assunzione.

    • Qualità delle proteine: nel secondo paragrafo abbiamo visto come sia importante accertarsi di assumere tutti gli amminoacidi essenziali in una sufficiente quantità per garantire una sintesi proteica adeguata. Nel prossimo post approfondiremo proprio questo argomento.
    • Porzione di proteine realmente disponibile: nell’intestino tenue, in condizioni standard, viene assorbito circa il 95% degli aminoacidi digeriti all’interno dell’intestino, ad una velocità media di 5-10 grammi/ora, a seconda della fonte alimentare. Questi dati sono solamente indicativi, visto che l’intestino e tessuti annessi sono in grado di trattenere il 50% degli aminoacidi presenti nelle proteine ingerite; non solo, nel nostro organismo è presente anche un meccanismo di regolazione che facilita la digestione/assorbimento nel caso in cui il corpo abbia più bisogno di aminoacidi (e viceversa). In linea di massima, comunque è consigliato assumere 20-30 grammi di proteine a pasto e a porzione (quando necessarie; vedi punto successivo).
    • Tempistica assunzione e dosaggi “fuori-pasto”: soprattutto per gli sportivi, è importante la distribuzione delle proteine anche nelle finestre temporali in cui la sintesi proteica è maggiore, come dopo lo sforzo e prima di andare a letto. Nel nostro post dedicato alla tempistica di assunzione, potete trovare tutti gli approfondimenti e i consigli necessari.

    QUANDO LE PROTEINE SONO TROPPE

    Il fatto che il fabbisogno proteico comprenda un limite minimo, è giustificato dal fatto che con quote inferiori a quelle raccomandate, non si riuscirebbe a soddisfare la necessità dell’organismo per il normale equilibrio fisiologico, per il recupero (nel caso si tratti di uno sportivo), per il mantenimento della massa magra e per la crescita. La definizione del limite massimo invece, è fondamentale per evitare che nel breve/medio/lungo termine un apporto eccessivo abbia conseguenze deleterie nei confronti dell’organismo. Essendo una materia molto discussa, abbiamo dedicato all’argomento un post intero, proprio per approfondire le argomentazioni dei detrattori delle diete iperproteiche e di chi invece le sostiene, per poi trarre le conclusioni con i dati provenienti dalla bibliografia scientifica.

    FABBISOGNO PROTEICO E PERDITA DI PESO

    I regimi dietetici finalizzati alla perdita di peso, implicano un apporto calorico giornaliero leggermente inferiore al proprio fabbisogno energetico, al fine di creare un piccolo gap calorico che nel tempo induca una perdita di peso prevalentemente a carico della massa grassa. Affinchè questo approccio sia efficace, è fondamentale che la dieta sia comunque equilibrata; in particolar modo l’apporto proteico, deve rimanere quello raccomandato in termini di “grammi/Kg di peso”, e non essere ridotto come avviene per le calorie totali. Non solo, una vasta mole di ricerche scientifiche ha dimostrato come incrementando l’apporto proteico in un regime ipocalorico, abbinato ad un lavoro con i pesi, è possibile di migliorare sensibilmente la composizione corporea (rispetto a chi assumeva meno proteine), cioè dimagrire migliorando il rapporto “massa magra/massa grassa”. La maggior parte di queste ricerche (vedi interessante review nel documento dell’Journal of the International Society of Sports Nutrition del 2017) ha utilizzato apporti proteici 2-3 volte superiori a quelli raccomandati per i sedentari, da considerare iperproteici; ricordo che preservare la massa magra in caso di dimagrimento non è solo importante ai fini estetici, ma anche per mantenere la funzionalità muscolare. Inoltre, la massa muscolare è la parte metabolicamente attiva dell’organismo, cioè quella che determina il metabolismo basale, e di conseguenza una parte significativa del consumo calorico giornaliero. Questi apporti proteici particolarmente elevati (superiori alle dosi raccomandate), se possono essere efficaci in termini di miglioramento della composizione corporea a breve termine, è possibile che possano avere effetti collaterali a medio-lungo termine, o addirittura a breve termine se esistono condizioni fisiologiche predisponenti (vedi paragrafo QUANDO LE PROTEINE SONO TROPPE). Lo stesso sito Examine.com, indica come sia fondamentale, nei regimi ipocalorici, preservare la massa magra, ma con un apporto di proteine pari a 2 g/Kg di peso (comunque inferiore ai regimi iperproteici), dando la preferenza a quelle ad alto valore biologico. A mio parere, se si vuole incrementare l’apporto proteico rispetto al proprio fabbisogno (vedi paragrafo specifico), è importante prima chiedere il parere a personale medico o specialistico (dietologo), e considerare l’attività fisica come un elemento fondamentale per il dimagrimento e per il benessere.

    Immagine tratta da http://nutrizionistamarcobagnolo.com/web/2017/03/09/non-solo-carne-per-farsi-i-muscoli-anche-le-proteine-vegetali-potenziano-la-massa-magra/

    È NECESSARIO ASSUMERE INTEGRATORI A BASE DI PROTEINE PER SODDISFARE IL PROPRIO FABBISOGNO?

    In base a quanto scritto nel nostro post dedicato all’integrazione, possiamo rispondere “dipende”! Partendo dal presupposto che prima di assumere integratori è sempre meglio sentire il parere di personale qualificato (come un dietologo o personale medico competente sull’argomento), possiamo affermare che se con l’alimentazione non si riesce a coprire il fabbisogno proteico, allora è possibile ricorrere all’integrazione. Prima di fare questo però, è necessario conoscere il proprio fabbisogno (magari chiedendo il parere di un dietologo) e cercare di coprirlo con l’alimentazione, per 2 motivi: il primo, perché in questo modo si instaurano buone abitudini (che partono dalla consapevolezza di quello che si mangia), e il secondo perché in questo modo è più facile coinvolgere e trasmettere queste competenze a chi ci sta vicino. A questo punto è facile intuire che il ricorso all’integrazione proteica diventa utile per motivi relativi alla logistica e alla digestione; in altre parole:

    • L’integrazione può tornare utile quando non si riesce a coprire, con la dieta, il fabbisogno proteico giornaliero e/o la distribuzione di esso durante la giornata.
    • Oppure quando per motivi legati alla digestione, non si riesce a mangiare una quantità sufficiente di proteine con la sola alimentazione, pur avendo la possibilità di distribuire correttamente i pasti.

    Oggi le case produttrici di integratori mettono a disposizione dell’utente anche alimenti (barrette, snack, ecc.) arricchiti di proteine, in maniera tale da non dover usare solamente le polveri. Ma quali sono i prodotti migliori? Quali tipi di proteine è meglio utilizzare nei vari momenti della giornata? Nel post dedicato agli integratori di proteine, potete trovare tutte le risposte.

    Andando alla pagina principale dedicata alla nutrizione, potrai trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione.

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it) preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  3. L’allenamento della maratonina per principianti

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    Correre la maratonina è un tuo desiderio, ma non hai la minima idea di come prepararla? Ti stai chiedendo qual è il chilometraggio minimo in preparazione per poter portarla a termine senza obiettivi cronometrici particolari, ma allo stesso tempo senza “arrancare” negli ultimi km? Allora sei nel post giusto; in questo articolo, ti verrà spiegato in maniera molto semplice come costruirti la tua tabella di allenamento, senza la necessità di avere particolari conoscenze o mezzi necessari per il monitoraggio dei dati. Prima di cimentarsi nel programmare una maratonina è necessario con un po’ di realismo per comprendere qual è il tempo massimo (per lo meno teorico) oltre il quale è necessario rinunciare a prepararla.

    PERCHE’ E’ IMPORTANTE STABILIRE UN TEMPO MASSIMO

    La maratonina e la relativa preparazione implicano per un principiante (cioè colui che non ha mai corso una maratonina o non ne corre una da tanto tempo) un incremento del chilometraggio, al fine di creare gli adattamenti necessari per poter correre i 21.097 Km in maniera regolare e minimizzando rischio di infortuni. Ed è proprio il rischio di infortuni a determinare un tempo massimo finale (ipotetico ovviamente), oltre al quale è meglio desistere nel preparare una mezza. Infatti, correre una maratonina oltre un certo tempo (vedremo poi quale), significa correrla troppo lentamente, con i rischi relativi al fatto di effettuare allenamenti di una certa durata, che per forza di cose saranno più lenti (in media), rispetto a quelli solitamente effettuati per preparare distanze inferiori.

    L’articolazione che a breve e lungo termine può risentire negativamente di questo tipo di stimoli è quella del ginocchio; le problematiche non sono solamente riferite a possibili infiammazioni, ma sopratutto all’incremento della sintomatologia dolorosa legata all’usura dei menischi e delle cartilagini. Infatti Nielsen e coll 2013, videro che infortuni tipici di un eccessivo volume (ovviamente di corsa lenta) sono proprio a carico del ginocchio; questo non significa che non si debba utilizzare la corsa lenta come stimolo allenante (che è un mezzo fondamentale), ma che il correre a ritmi troppo bassi per troppo tempo (come può essere il preparare una maratonina con il tempo teorico troppo elevato) può essere particolarmente deleterio. Non a caso, Petersen e coll 2015 evidenziarono come il carico cumulativo sul ginocchio a 8 Km/h è l’80% superiore rispetto a circa 16 Km/h; questo avviene perché correndo lentamente, sono necessari più passi per effettuare la stessa distanza.

    Per questo motivo, a mio parere è sconsigliabile preparare e prendere parte ad una maratonina se il tempo teorico supera le 2 ore (velocità 5’41”/Km). Ma come fare ad estrapolare il tempo teorico? È molto semplice, è sufficiente utilizzare il Foglio di calcolo di Ranucci-Miserocchi, estrapolando come tempo di riferimento una recente performance sui 10-12 Km; da questi calcoli è facile comprendere come se non si riescono a correre 10 Km in 51-54’, allora a mio parere è consigliabile desistere temporaneamente a preparare la mezza. Ovviamente in tal caso non c’è da demoralizzarsi, ma allenarsi per le gare più brevi fino a quando non si riesce ad ottenere il tempo di riferimento sui 10 Km (51-54’). Ricordo che basta effettuare anche poche gare sui 10 Km (con un allenamento adeguato e sorretti dall’idoneità a farli) per ottenere degli ottimi ed evidenti miglioramenti su tale distanza.

    COME ORGANIZZARE IL PROPRIO ALLENAMENTO

    L’essere in grado di correre 10 Km in almeno 51-54’ è una condizione necessaria, ma non sufficiente per finire la maratonina sotto le 2 ore. Ovviamente serve anche una preparazione specifica e una capacità di organizzare il proprio allenamento che andremo ora ad approfondire; a mio parere i punti focali di una preparazione sono 3:

    PUNTO 1: TROVARE IL TEMPO A DISPOSIZIONE PER ALLENARSI

    Per molti immagino sia il passo più difficile. Gli impegni familiari, il lavoro ed altri hobby portano via tempo, ma se si vuole preparare una mezza, il primo imperativo è trovare tempo per allenarsi almeno 3 volte a settimana! Altrimenti conviene desistere e rinviare il tutto ad un altro momento. Una volta effettuato questo passo, si è già a buon punto.

    PUNTO 2: I 3 ALLENAMENTI FONDAMENTALI

    • Per un principiante, l’allenamento fondamentale è il LUNGO. È importante distribuire questo allenamento nel periodo di preparazione in maniera tale da farne 2 ogni 2/3 settimane; il più “lungo” deve essere fatto 14 giorni prima della gara, e dovrebbe essere di almeno 18-20 Km. Non spaventatevi, perché l’essere umano è estremamente adattabile agli sforzi di resistenza (meno a quelli di velocità), quindi distribuendoli con distanze progressivamente superiori, è possibile arrivare a correre questa distanza con estrema gradualità. Ma facciamo un esempio; una possibile progressione di “lunghi” da inserire con la frequenza indicata sopra potrebbe essere: 12-13-14-15-17-18-20 Km in circa 9-11 settimane. Consiglio di effettuarli di corsa lenta (confortevole, alla quale è possibile anche chiaccherare), magari accelerando negli ultimi km fino a correre ad intensità media, ma solo se ci si sente particolarmente bene. Nei weekend in cui non si fanno i lunghi, sarà possibile (anzi, consigliabile) fare delle gare di 10-12 Km, senza correrle tutte al massimo delle proprie possibilità.
    • L’ALLENAMENTO DI VELOCITA’ (seconda tipologia di allenamento settimanale) invece ha lo scopo di preservare le doti neuromuscolari, che tenderebbero a deteriorarsi correndo i lunghi; l’allenamento ideale è il fartlek, che consiste nell’alternare 30” veloci (leggermente più intensi del ritmo che si terrebbe in una gara di 10 Km) a 1’ di corsa blanda di recupero. Il totale di minuti di fartlek varia dai 9’ (le prime volte) fino ai 21’-24’ della penultima settimana di allenamento; la durata totale di questo allenamento (Fatlek + corsa lenta), va dai 40’ (prime settimane) ai 60’ (ultime settimane).
    • La TERZA TIPOLOGIA DI ALLENAMENTO è quella in cui il runner deve saper adattare lo stimolo in base alle condizioni di fatica; se si è stanchi, è sufficiente fare l’intero allenamento di corsa lenta (anche molto lenta), se invece ci si sente bene, è possibile fare una leggera progressione, fino al ritmo medio (nella terza parte dell’allenamento), cioè la velocità più alta alla quale non si va in affanno respiratorio. In ogni modo, è sempre bene iniziare l’allenamento di corsa lenta e poi orientare il tutto in base alle proprie sensazioni. Ricordo che questo è un allenamento molto importante, perché permette di bilanciare il carico di allenamento degli altri 2 (una sorta di “allenamento cuscinetto”); in altre parole, se si ha bisogno di “smaltire” dei carichi di lavoro, si correrà tranquillamente, mentre se i precedenti stimoli allenanti non hanno portato affaticamenti, è possibile fare una seduta in leggera progressione. Per la durata di questo allenamento, valgono le stesse considerazioni di quello precedente.

    PUNTO 3: SCARICO

    Arriviamo all’ultimo punto, solitamente il più trascurato da molti runner. È importante comprendere come l’ultima settimana debba essere dedicata a lasciare che la fatica delle precedenti lasci spazio agli adattamenti che permettono all’organismo di migliorarsi. Quindi, la Domenica prima della gara si correranno 13-14 Km, l’allenamento “cuscinetto” sarà di soli 30-40’ di corsa lenta, come l’allenamento di velocità (nel quale sarà possibile fare non più di 12-15’ di fartlek).

    INTEGRAZIONE IN GARA

    Per sforzi superiori all’ora come la mezza, è possibile trarre un vantaggio prestativo da un utilizzo adeguato di integratori a base di carboidrati in gara; nel precedente post dedicato alla preparazione per la maratonina potrete trovare il paragrafo dedicato all’integrazione idrica e di carboidrati in gara.

    CONCLUSIONI

    Il benessere che accompagna la corsa e la pratica sportiva in generale, è ancor maggiore quando è condiviso, e magari associato ad un obiettivo a medio/lungo termine come la partecipazione ad una maratonina; ciò implica l’avere un’idoneità medica e una preparazione adeguata. È quindi necessario avere un approccio “sano”, cioè basato sulle reali possibilità di correrla entro un tempo limite. Spero che le indicazioni fornite siano sufficientemente chiare a tutti; ho cercato di semplificare al massimo le tipologie di allenamenti, affinchè possano essere comprensibili anche a chi non ha esperienza in ripetute, ritmi gara, progressivi, ecc. Ovviamente per qualsiasi dubbio o necessità di chiarimenti, non esitate a chiedere. Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico ASD Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  4. L’allenamento della coordinazione nel calcio: dagli Esordienti fino alla Prima Squadra

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    (aggiornato al 22/09/2021)

    Se l’allenamento della coordinazione, nei primi anni della Scuola Calcio, è di importanza universalmente riconosciuta, poco si conosce su quanto e come questa vada allenata dagli Esordienti in poi. Rappresentando, le capacità coordinative, i presupposti delle abilità tecniche, tattiche ed atletiche, anche in queste fasce d’età devono essere allenate, nelle modalità caratterizzate dalle categorie di riferimento. In questo post continueremo il percorso iniziato nel precedente (dedicato ai Piccoli Amici e ai Pulcini), descrivendo quali sono gli stimoli più adeguati, partendo sempre dai presupposti dei precedenti articoli, cioè che le capacità coordinative nel calcio possono essere divise in 3 grandi gruppi (vedi immagine sotto). Potranno trovare utile questo articolo sia preparatori atletici che allenatori.

    L’ALLENAMENTO DELLA COORDINAZIONE NELLA CATEGORIA ESORDIENTI E GIOVANISSIMI

    Ho accorpato queste 2 categorie perché comprendono un periodo dello sviluppo fisico molto delicato, cioè la spinta puberale. Questa è caratterizzata da un’importante crescita staturale e muscolare, che nell’anno di massima crescita può arrivare ad essere di 10 cm e di 8.5 Km (Philippaerts e coll 2006); basti pensare che l’incremento di massa muscolare media fino alla pubertà è di circa dello 0.6% annuo, mentre nei 2 anni che caratterizzano questa crescita può arrivare al 29%. La spinta puberale ha una durata media di circa 2 anni e ha il tasso di massima crescita tra il 13° e 14° anno di età, ma con differenza di anche di qualche anno tra soggetto e soggetto; infatti, alcuni inizieranno tale fase nella categoria Esordienti, mentre altri nella categoria Giovanissimi. Per comprendere l’importanza dell’allenamento della coordinazione in queste fasce d’età, è prima fondamentale capire quali sono le modificazioni fisiologiche (oltre alla statura e massa muscolare) a cui va incontro il giocatore in queste 2 categorie.

    Come detto prima, le qualità fisiologiche ed anatomiche che subiranno un rapido incremento sono la statura, la massa muscolare e di conseguenza anche la forza e la potenza aerobica. Facendo un paragone un po’ irriverente, è come se in poco tempo il giocatore si trovasse a guidare una moto, essendo sempre però stato abituato ad usare la bicicletta. È ovvio che le performance fisiche miglioreranno, ma sarà lecito aspettarsi (anche se con gradi differenze tra soggetto e soggetto) che inizialmente possano esserci alcune difficoltà nel gestire i movimenti in maniera fine; infatti i rischi maggiori a cui si va incontro a quest’età sono:

    • Difficoltà maggiore nel padroneggiare la tecnica calcistica: questo è dovuto al repentino incremento della forza e delle leve muscolari. La tecnica fine raggiunta nel periodo pre-puberale, può (con ovvie differenze tra giocatore e giocatore) subire un leggero peggioramento dovuto ai nuovi “parametri” anatomici e fisiologici.
    • Maggior rischio di infortuni: questo è dovuto in particolar modo al veloce incremento dell’allenabilità della forza che avviene a livello muscolare, in una struttura in cui però i tendini e ossa sono più lenti ad adattarsi. In questo modo, in particolar modo se non si lavora sull’aspetto coordinativo dei movimenti, incrementa il rischio di infortuni; l’esempio più lampante è la Sindrome di Osgood-Shlatter.

    In questo contesto il lavoro coordinativo è quello di permettere al giocatore di scoprire/riscoprire i propri parametri fisiologici ed anatomici, evitando di perdere la tecnica acquisita nel periodo precedente e prevenendo gli infortuni.

    In una riunione con dei genitori, ho sentito accusare gli allenatori del fatto che, facendo poco stretching, i giocatori correvano “male”. Il problema ovviamente non era lo stretching, ma la coordinazione e la necessità di lavorare sui presupposti dello stile di corsa tipico del calciatore (corsa rettilinea, accelerazione/decelerazione e cambi di direzione). I lavori che personalmente consiglio in questa fascia d’età sono quindi rivolti al mantenimento (o al perfezionamento) della tecnica calcistica, al consolidamento della rapidità e della tecnica di corsa, e alla prevenzione degli infortuni.

    Nell’immagine sopra è possibile vedere una semplificazione di tutte le dinamiche che coinvolgono crescita e attività calcistica,

    • Mantenimento della coordinazione e tecnica calcistica: accanto alle esercitazioni di tecnica analitica tipica della gestualità tecnico/tattica della categoria, è opportuno lavorare sulla rapidità coordinativa, proprio per “ripassare” continuamente l’ABC del movimento.
    • Consolidamento della tecnica di corsa e miglioramento della rapidità: consideriamo la tecnica di corsa del giocatore non solo nella dimensione rettilinea, ma nell’intera gestualità del gioco del calcio (cambi di direzione ed intensità). Per questo motivo, accanto ad esercitazioni atte a sensibilizzare la tecnica di corsa (vedi prima e seconda parte dell’approccio metodologico), vanno affiancate quelle per i cambi di direzione. Ricordiamo che proprio da una recente ricerca (Schuurmas e coll 2017) è stato visto che il rischio di infortuni ai posteriori della coscia era correlato alla tecnica di corsa.
    • Lavoro di prevenzione infortuni: già sopra abbiamo ribadito come l’incremento di forza e lunghezza delle leve tipico della pubertà, comporta una maggior rischio di infortunio all’apparato passivo di sostegno. Proprio per questo motivo sono da evitare carichi eccessivi in torsione e flessione della colonna vertebrale e allungamenti passivi prolungati ed intensi sull’articolazione dell’anca. Un corretto allenamento funzionale (e di allungamento funzionale), partendo dal core e progressivamente finalizzato al miglioramento della forza delle catene muscolari agli angoli articolari estremi della disciplina, permette di limitare il rischio di infortuni, fermo restando che l’analisi di vizi posturali, paramorfismi e dismorfismi, deve essere fatto da personale qualificato.

    Concludo con una necessaria disamina di quello che è anche l’aspetto motivazionale; la pubertà è un’età in cui è lecito aspettarsi cali motivazionali da parte dei giocatori, per molti fattori che non stiamo qui ad approfondire; in particolar modo nei settori dilettantistici, l’aspetto teorico sopra esposto, dovrà essere gestito da parte dell’allenatore e dello staff in maniera il più possibile consona alle caratteristiche psicologiche del gruppo.

    L’ALLENAMENTO DELLA COORDINAZIONE NELLA CATEGORIA ALLIEVI

    Con l’adolescenza, la crescita si stabilizza e il giocatore tende a “riappropriarsi” più facilmente dal punto di vista coordinativo dei propri gesti motori. Non a caso, questa è considerata la “seconda età aurea” per lo sviluppo della coordinazione e della tecnica. Malgrado questo, in troppi ambienti c’è l’errata convinzione che a quest’età sia ormai tardi per migliorare la tecnica; niente di più sbagliato, ma sicuramente in questa categoria bisogna avere un approccio diverso da quello che si è avuto nella “prima età aurea”, cioè quella della categoria Pulcini. Malgrado la frequenza dei movimenti è allenabile particolarmente in età pre-puberale, durante l’adolescenza è possibile richiedere, ottenendo buoni adattamenti, movimenti di estrema finezza ad intensità progressivamente elevata (agilità). A mio parere sono le esercitazioni di rapidità coordinativa ad essere le fonti metodologiche fondamentali, a patto che l’allenatore sia in grado di proporre progressioni esecutive estremamente motivanti. Accanto a queste, altri mezzi a carattere maggiormente ludico e tecnico possono (se effettuate con la giusta serietà da parte dei giocatori) essere ottimi stimoli per l’allenamento della rapidità e tecnica, come:

    Questo proprio perché la coordinazione, in questa fascia d’età, è particolarmente legata a tecnica e alla rapidità! Non a caso, i vecchi centri formazioni Francesi (da cui uscirono i campioni che vinsero il Mondiale del 1998 e il successivo Europeo) lavoravano proprio su questi aspetti, trascurando in parte la tattica, ma fissando gli stimoli allenanti (in questa fascia d’età) prevalentemente sulla tecnica. Indipendentemente dalla scelta metodologica (lavorare più su tattica o tecnica), è fondamentale comprendere che

    nella categoria Allievi è ottenibile un’elevata finezza (precisione e velocità) tecnica, ma solo se c’è alla base un’elevata destrezza coordinativa

    I legami tra rapidità e coordinazione invece si possono individuare nella frequenza dei passi e nella capacità di gestire gli appoggi in tutte le direzioni; gestire in maniera disinvolta gli spostamenti “nello stretto”, permette di padroneggiare al meglio tecnica e rapidità. L’allenamento della coordinazione (sempre tramite mezzi multilaterali di rapidità coordinativa) sarà il presupposto dell’allenamento analitico per la rapidità e, per chi ne ha la possibilità, anche per i movimenti specifici per ruolo (vedi quelli del difensore).

    Ultimo aspetto che ritengo importante tra coordinazione e prestazione atletica è in relazione all’esplosività dei movimenti; se in età puberale (vedi sopra categorie precedenti) si è lavorato adeguatamente sulla tecnica dei balzi in maniera graduale ed estensiva, si potrà procedere in questa categoria al lavoro di intensità, migliorando in maniera significativa l’esplosività (accelerazione) e lo schema motorio della corsa del calciatore. La differenza (seppur solamente concettuale) tra rapidità ed esplosività in questo contesto, è dovuta al fatto che la rapidità mi permette di essere agile e preciso negli appoggi, mentre l’esplosività mi consente di gestire l’intensità neuromuscolare in maniera tale da effettuare contrazioni di entità elevata in un minimo tempo ed essere quindi anche veloce.

    Ricordo che parallelamente a questo tipo di lavori, va continuato quello dedicato alla prevenzione infortuni iniziato nella categoria precedente; durante l’adolescenza le strutture passive diventano più resistenti e di conseguenza il calciatore può tollerare allungamenti maggiori. Questa è anche un’età fondamentale per comprendere l’eventuale presenza di paramorfismi, dismorfismi e vizi posturali, per effettuare i giusti interventi correttivi e preventivi.

    L’ALLENAMENTO DELLA COORDINAZIONE NELLA CATEGORIA JUNIORES E PRIMA SQUADRA

    Si presume che dal punto di vista coordinativo, il calciatore una volta entrato nella categoria Juniores, possa essere considerato “maturo”. Ciò non significa che questa qualità non sia più migliorabile, soprattutto per atleti che hanno iniziato tardi a giocare a calcio, o che hanno avuto correzioni posturali in età adolescenziale che ne hanno migliorato successivamente la disponibilità all’allenamento motorio.

    Dal punto di vista metodologico, le indicazioni possono essere le stesse della categoria precedente, ma è ovvio, che molto dipenderà dalla categoria (e di conseguenza dal numero di allenamenti) di militanza. L’allenamento della coordinazione (prevalentemente grazie ed esercitazioni di rapidità coordinativa) dovrebbe rimanere all’interno del training settimanale per il mantenimento di questa qualità, e se possibile per il miglioramento della stessa.  Infatti non tutti i giocatori avranno avuto gli stessi stimoli allenanti (se provenienti da società diverse) nelle categorie giovanili, quindi è lecito aspettarsi anche dei miglioramenti da chi ha lavorato poco su questo aspetto….ricordandosi, che se una qualità non viene allenata, si tende a perderne l’abilità!

    La coordinazione inoltre, influisce sull’efficienza energetica, che è una delle discriminanti principali  delle qualità aerobiche tra dilettanti e professionisti.

    Soprattutto nelle prime squadre dei settori dilettantistici, il “non allenamento” della coordinazione può portare all’incremento del rischio di infortuni; infatti oltre i 28-30 anni, le capacità di recupero tendono a diminuire e di conseguenza devono acquisire importanza quei mezzi allenanti (come le esercitazioni di rapidità coordinativa ed allenamento funzionale) che vanno a lavorare sulle strutture anatomiche e sul controllo del movimento.

    PER APPROFONDIRE

    Se i giochi e le attività ludiche sono fondamentali fino alla categoria Pulcini per lo sviluppo della capacità coordinative, dagli Esordienti in poi prendono sempre più importanza le esercitazioni per la rapidità coordinativa; l’efficacia di questi mezzi allenanti, non può prescindere da una progressiva difficoltà esecutiva annuale, accoppiata ad un’elevata variabilità delle proposte e dei mezzi utilizzati (coni, paletti, scaletta, ostacoli, cerchi, ecc.), anche per motivare continuamente i giocatori a migliorarsi. Per questo motivo, a mio parere è fondamentale fornirsi di una o più fonti, dalle quali attingere idee e spunti sui quali costruire il percorso allenante che accompagnerà i giocatori per tutta la stagione; allo stesso tempo, è importante annotarsi tutte le progressioni proposte e l’effettiva efficacia percepita dopo averle somministrate. Personalmente consiglio questo testo di Cuzzolin e Durrigon: 103 Esercizi di Agility con la Speed-Ladder. È sufficiente leggere le recensioni per rendersi conto della bontà del testo; prendendo spunto dai movimenti proposti, è possibile inoltre strutturare “percorsi” con altri attrezzi (senza necessariamente usare la scaletta) come coni, cerchi, paletti, ostacoli, ecc.

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    preparazione atletica dilettanti

    Autore dell’articolo: Melli Luca (melsh76@libero.it), istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo e Istruttore di Atletica Leggera GS Toccalmatto.

  5. Stretching o allungamento funzionale?

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    (Aggiornato al 09/04/2020)

    Nel corso della storia della metodologia dell’allenamento, sullo stretching (o allungamento muscolare) si sono viste diverse posizioni, dalle più critiche alle più entusiaste; tutto questo avveniva a seconda degli esiti delle ricerche scientifiche che, di anno in anno, si susseguivano. Con l’avvento dell’allenamento funzionale, la conoscenza su questo argomento, si è potuta convergere verso la direzione più costruttiva e sintetica possibile, cioè la funzionalità! Per questo, d’ora in avanti, abbiamo deciso di utilizzare il termine Allungamento funzionale tutte le volte che con l’allenamento si va ad agire sulla capacità delle catene muscolari non solo di “estendersi”, ma anche di gestire le posizioni di allungamento tipiche della disciplina praticata con disinvoltura (efficacia, rendimento atletico e benessere). Questo post è quindi rivolto agli allenatori, istruttori, atleti ed amanti del fitness che vogliono migliorare la conoscenza sull’argomento ed avere i mezzi per gestire i propri “movimenti allenanti” nella direzione più funzionale possibile alla propria disciplina e al proprio benessere.

    ALLUNGAMENTO FUNZIONALE E FISIOLOGIA

    Prima di passare all’aspetto pratico dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti) cenno alla fisiologia dell’allungamento. Nel post dedicato all’allenamento funzionale, abbiamo approfondito 2 aspetti molto importanti:

    • I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella flessoria, ecc.

    Infatti, all’interno del corpo umano, abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce connettivali; questi sono embricati tra di loro (cioè sovrapposti ed organizzati) in diverse catene muscolari, che possiamo definire come un insieme di muscoli e tessuti responsabili di determinate direzioni di forza (movimenti).

    • Il cervello umano riconosce il movimento delle catene muscolari e non le azioni solate di un singolo muscolo.

    Questo significa che anche l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento, affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene muscolari nel loro complesso. Infatti, il grado di allungamento di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente assunte in allenamento. In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli allenanti a determinare l’allungabilità di una catena muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.

    CATENE MUSCOLARI immagine tratta da www.giovanniferrariosteopata.it

    Spero che adesso sia più chiaro comprendere come per gestire angoli articolari estremi della propria disciplina (o solamente della vita quotidiana) è necessario allenarsi a determinati angoli, e non solo “allungare” le catene muscolari.

    PERCHE’ UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?

    La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”; ma è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento. Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:

    Perché un determinato soggetto non riesce a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?

    Le cause potrebbero essere diverse:

    • Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide: la rigidità solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal fatto di avere una semplice vita sedentaria. Ad esempio il classico lavoro “da scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.
    • Perché uno o più muscoli sono troppo deboli: un muscolo debole fa fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo. La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.

    DALL’ALLENAMENTO FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE

    Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli dell’allenamento funzionale.

    Nell’immagine sopra, sono elencati i movimenti dell’allenamento funzionale che abbiamo sintetizzato e semplificato (dalla versione originale) nel post dedicato all’argomento. Di conseguenza, è ovvio che i movimenti dedicati all’allungamento in ogni disciplina, andranno presi da questi e dalle loro variabili.

    Ma come fare a strutturare un corretto programma di allungamento funzionale?

    Ovviamente (com’è stato per l’allenamento funzionale) il punto di partenza è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di gara. Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi” della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da strutturare sempre con gradualità e progressività.

    Ogni disciplina deve quindi avere il suo protocollo di allungamento, che tiene in considerazione della funzionalità! Nell’immagine sotto, ad esempio, sono riportati gli allungamenti funzionali di un runner che effettua corsa su strada; come potete vedere, all’interno di questi è inglobato anche un protocollo di allenamento funzionale per il core, che è necessario per la funzionalità del “core” e di conseguenza per la gestione dei muscoli stabilizzatori, delle “cerniere” tra le varie catene anche in funzione del miglioramento della performance.

    Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Allungamenti-funzionali-1.png

    Un calciatore invece, rispetto ad un runner, si trova a dover gestire più movimenti legati ai cambi di direzione e alle rotazioni. Di conseguenza, l’esempio della figura sopra dovrà essere arricchito da affondi laterali e in diagonale, meglio se accoppiati a torsioni del busto. Gli stessi movimenti per la catena posteriore, dovranno essere gestiti anche a catena cinetica aperta, visto il rischio di infortuni a cui si può andare incontro quando si calcia il palone in condizioni di affaticamento. Sotto riportiamo alcune domande e risposte che possono insorgere alla luce di queste considerazioni sull’allungamento funzionale.

    • In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto l’allungamento funzionale? A mio parere il momento migliore è nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.
    • Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo stertching “classico” va abbandonato? Se parliamo di “Stretching dinamico”, credo che possa coesistere con profitto con l’allungamento funzionale in sport di squadra come il calcio. Personalmente in allenamento, inserisco lavori di stretching dinamico nelle esercitazioni di rapidità coordinativa, in cui i movimenti vengono vincolati da attrezzi (ostacoli, coni, nastro, ecc.) e di conseguenza è possibile (col tempo) richiedere maggiore precisione e velocità. L’utilità dello “stretching statico” è ormai relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione di forma; in queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni). Altra eccezione a mio parere lo può fare il prepartita, per soggetti che presentano un ipertono dovuto alla tensione pre-gara; in questi casi può essere utile (soprattutto dal punto di vista psicologico) allungare in maniera blanda i muscoli percepiti come più “rigidi”.
    • È consigliabile, quando possibile, individualizzare anche i protocolli di allungamento funzionale? Ovviamente si, soprattutto in base alla propensione agli infortuni e per i soggetti con una o più catene muscolari deboli o rigide. In questi casi, è da prendere in considerazione anche la ginnastica posturale come il Metodo Mezieres (che per prima ha sviluppato il concetto di catena muscolare), particolarmente mirato al recupero della lunghezza e dell’estensibilità delle catene; oltre a questo, sono da considerare anche protocolli di potenziamento muscolare mirati al rinforzo di catene o compartimenti muscolari deboli. Di conseguenza, eventuali paramorfismi o dismorfismi devono assolutamente essere inquadrati nella soggettività dell’atleta, per offrire la metodologia d’allenamento più appropriata.
    • Quali punti in comune e quali differenze hanno l’allenamento e l’allungamento funzionale? Il maggior punto in comune sono i movimenti di partenza sui quali strutturare i protocolli. Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune situazioni può essere sovrapponibile; ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare sia la forza che la mobilità della catena antero/interna. Se invece voglio lavorare sulla catena posteriore per allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita) utilizzerò il nordic hamstring stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò il single leg deadlift.

    CONCLUSIONI

    Il miglioramento dell’articolarità può avvenire per stimolo intensivo (cioè accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro muscolare). È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da preferire. Solo fondendo la funzionalità e la specificità con il principio dell’allungamento è possibile ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della disciplina praticata.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  6. Running: l’utilizzo del Ritmo Gara dei 5000m per migliorare sui 10Km

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    La stagnazione della perfomance sui 10 Km per un atleta esperto e ben allenato può essere dovuto a 2 fattori: il primo, relativo a carenze neuromuscolari, il secondo relativo al poco lavoro sulla velocità di gara. Ovviamente qualità neuromuscolari e velocità di gara sono intimamente legate, ma sono solitamente si allenano in momenti diversi della stagione. Ad esempio, nell’immagine sotto è possibile vedere una banale semplificazione della sequenzialità dei lavori di forza, velocità e ritmi gara all’interno di una stagione.

    Se alle componenti neuromuscolari abbiamo già dedicati diversi post, in questo articolo andremo a vedere come e perché l’utilizzo del Ritmo Gara 5000m (che abbrevieremo a RG5000m) può fornire degli stimoli biologici appropriati per migliorare sui 10 Km.

    PROTOCOLLO ORIGINALE

    Partiamo subito dal presupposto che un 5000m è un ottimo stimolo per sviluppare la velocità e la capacità di gara, senza provocare gli affaticamenti tipici delle gare di 10 Km. Infatti un 5000m si recupera abbastanza velocemente, e dopo pochi giorni è già possibile eseguire sforzi aerobici (cioè di intensità non elevata) anche abbastanza prolungati. Ma come fare a correre questo tipo di distanza, se non ci sono gare di 5000m in calendario?

    La ricerca di Babineau e Leger del 1997 fà proprio al caso nostro; lo scopo dei 2 ricercatori francesi fu quello di trovare un test che nel periodo preparatorio (cioè senza la necessità di fare lo scarico pre-gara) permettesse di predirre nel miglior modo possibile il tempo di un 5000m fatto in gara (dopo lo scarico pre-gara). Il protocollo valutativo, doveva quindi produrre uno stimolo paragonabile a quello della gara, ma con uno stress psico-fisico inferiore; suggerirono quindi di dividere il 5000m in più frazioni, ma con delle micropause, la cui durata era pari a 1/5 della fase attiva: per i loro atleti, proposero quindi i seguenti 3 protocolli:

    • 12 x 400m con 15” di riposo
    • 6 x 800m con 30” riposo
    • 3 x 1600m con 60” di riposo

    I ricercatori trovarono delle ottime analogie tra i ritmi medi ottenuti durante le fasi di corsa di questi protocolli (sopratutto il 6x800m) e il ritmo gara sui 5000m affrontato dopo un periodo di scarico. Ritengo che, per la maggior parte dei runners, questo protocollo possa essere utile non tanto per testare il proprio ritmo sui 5000m (che credo interessi relativamente), ma per allenarsi in maniera efficace per migliorare la propria velocità di gara sulle distanze superiori. Infatti se un 5000m è un ottimo stimolo allenante e se questo test riproduce abbastanza fedelmente (in condizioni di carico) lo sforzo di questa distanza, allora fa proprio al caso nostro!

    ORGANIZZAZIONE DEL PROTOCOLLO D’ALLENAMENTO

    È possibile usare tutte e 3 le varianti indicate sopra (magari preferendo le distanze sui 400 e 800m) organizzando:

    • La fase di corsa, circa 10-15”/Km più veloce del ritmo dell’ultima gara sui 10 Km.
    • Rimanendo fermi (o corricchiando) per le pause, per la durata di circa 1/5 della fase di corsa.

    Ma facciamo un esempio per chiarirci meglio: un podista che corre i 10 Km in 50’, ha un ritmo al Km di 5’/Km (cioè impiega 5’ a fare un Km in gara). Quindi la velocità di corsa nel nostro protocollo sarà indicativamente di 4’45” e 4’50”/Km; i 400m saranno quindi corsi in 1’54”-1”56” e il recupero sarà di circa 23”. Se invece vorrò fare il protocollo degli 800m, questi dovranno essere corsi in circa 3’50”, con pause di circa 46”.

    A questo link potete scaricare un foglio di calcolo (semplice, ma essenziale) in cui riportare esclusivamente il tempo (in minuti e secondi) sui 10 Km nelle caselle gialle; il programma poi calcolerà tutte le andature e le pause delle ipotetiche sedute. Ovviamente i tempi riportati sono indicativi e possono avere qualche secondo di margine/tolleranza durante la seduta.

    CONCLUSIONI E CONSIGLI FINALI

    Questo protocollo va effettuato in condizioni di riposo (cioè non affaticati da allenamenti precedenti), in una fase avanzata della preparazione e dopo che si ha già lavorato sulle componenti aerobiche (essere in grado di correre almeno 90’ di CL) e neuromuscolari (salite, allunghi, ecc)…e magari si ha già corso una gara di 10 Km per avere un’indicazione sui ritmi.

    Ma quale delle 3 sedute utilizzare? A mio parere è sempre meglio partire da quella più breve (come in tutte le progressioni metodologiche di ripetute) per poi passare 7-10 giorni dopo a quella sugli 800m e dopo ulteriori 7-10 giorni a quella sui 1600m. È sempre importante iniziare la seduta con un ottimo riscaldamento (con qualche allungo).

    Questa seduta richiede 36-48h per essere recuperata, ma è importante che l’allenamento impegnativo successivo sia dedicato esclusivamente a ritmi aerobici. Infatti, se questa seduta è un ottimo stilo per la velocità di gara, non bisogna dimenticare che per avere una buona tenuta in gara, è necessario lavorare anche sulla capacità di gara, allenabile preferibilmente con Medi, Lunghi variati e Progressivi.

    Ma è possibile utilizzare questo tipo di sedute per preparare gare su pista? Una preparazione meticolosa delle gare brevi, richiede ovviamente una programmazione altrettanto accurata, ma per il runner (abitualmente abituato a far gare su strada) che vuole provare a cimentarsi su distanze inferiori, può sicuramente trarre vantaggio nell’effettuare questo tipo di allenamento.

    Se avete domande sul protocollo, non esitate a chiedere. Se ti è piaciuto l’articolo, condividilo sul tuo social network preferito (basta utilizzare uno dei pulsanti sotto); a noi farà piacere e ci fornirà un’importante indicazione su quali sono gli argomenti più letti del nostro blog, per andare incontro alle esigenze dei nostri lettori. Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore dell’articolo: Melli Luca (melsh76@libero.it), istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  7. Allenamento running: il Progressivo

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    (Aggiornato al 07/06/2023)

    Avrei potuto intitolare questo post anche “come evitare i cali nei finali di gara”; infatti il Progressivo è lo stimolo principale che allena proprio questa qualità! Se molti runner hanno dei cali negli ultimi Km (pur impostando un ritmo gara corretto) allora probabilmente gli serve qualche “progressivo” per colmare questo tipo di lacuna. In questo post vi spiegheremo come si struttura un progressivo e come lo si inserisce in un programma di allenamento per gare di lunghezza che arrivano fino ai 21 Km; non solo, spiegheremo anche in maniera chiara a tutti il vantaggio fisiologico nell’utilizzo di questo tipo di allenamento.

    LE RAGIONI FISIOLOGICHE DEL PROGRESSIVO

    Nell’articolo dedicato al metabolismo energetico dei carboidrati, abbiamo visto come elevate intensità e/o lunghe durate possono far calare le concentrazioni di glicogeno (che è il carburante di prima qualità nei muscoli) facendo insorgere la fatica; le condizioni che si verificano nei finali di gara sono proprio queste, cioè la necessità di mantenere un ritmo elevato malgrado l’insorgenza della fatica. Quando cala il Glicogeno muscolare cala, il muscolo per mantenere andature medio-alte tende ad utilizzare in proporzioni elevate anche glucosio (proveniente dal sangue) e lattato (proveniente da fibre muscolari adiacenti); man mano che il glicogeno cala, l’organismo deve avere la capacità di sfruttare al meglio il glucosio e il lattato.

    Le ultime ricerche scientifiche relative alla fatica hanno permesso di comprendere come questo effetto allenante non avvenga solamente a livello del metabolismo muscolare (vedi immagine sopra), ma coinvolga l’intera unità psicofisica, organica, biomeccanica ed ormonale del soggetto. A chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consiglio di leggere il libro di Luca Speciani e Pietro Trabucchi intitolato Mente e Maratona.

    COME PROGRAMMARE UN PROGRESSIVO

    Abbiamo appena visto che questa tipologia di allenamenti (cioè di correre in progressione) allena l’organismo a sfruttare al meglio le risorse psico-fisiche disponibili nel finale di una corsa, evitando (o limitando al minimo) il calo di intensità. Andiamo ora a vedere quali sono i parametri che lo definiscono in relazione alla preparazione di gare delle lunghezza di 10-21 Km.

    • LUNGHEZZA TOTALE DELL’ALLENAMENTO: a seconda del periodo della stagione, si consigliano 12-18 Km per la maratonina e 9-15 km per la preparazione di gare di 10 Km.
    • LUNGHEZZA E RITMI DELLE FRAZIONI: solitamente si divide in 3 parti che si succedono senza soluzione di continuità: il 50% di Corsa Lenta, il 25-35% di Corsa Media e il 15-25% al Ritmo gara (o Corto Veloce). Il ritmo gara sarà ovviamente quello della maratonina (per chi sta preparando una maratonina) o quello dei 10 Km se si sta preparando un 10000m. Per vedere a quanto corrispondono le intensità di corsa Lenta e Media, è sufficiente visionare la tabella sotto; per eventuali dettagli, leggi i nostri articoli sulla Corsa Lenta e sulla Corsa Media.
    • GIORNI DI RECUPERO NECESSARI: per questo dato si intendono i giorni dopo i quali è possibile seguire un altro allenamento di carico impegnativo. Solitamente è di 1 giorno ogni 6-9 Km di Progressivo (a seconda del livello di allenamento). Ovviamente non è un mezzo particolarmente stressante (come le ripetute lunghe) in quanto la parte impegnativa è solamente nella seconda fase dell’allenamento.

    Ma qual è l’importanza di questo all’interno della preparazione per gare su strada? Partiamo dal presupposto che il Progressivo è un allenamento per la Capacità di Gara, cioè finalizzato al miglioramento della capacità dell’organismo di tenere il ritmo gara fino alla fine della competizione. È quindi un mezzo fondamentale, insieme agli allenamenti per la Velocità di gara, cioè quelli (ad esempio le ripetute o allenamenti di velocizzazione) che permettono di elevare il ritmo medio che si tiene in una competizione. Infatti non ha senso avere una velocità di gara elevata senza la capacità di mantenerla a lungo….e viceversa.

    È ovvio che il Progressivo sia l’allenamento principale per la maratonina, proprio perché in questo tipo di competizioni è fondamentale il mantenimento di una velocità di poco inferiore a quella dei 10 Km (10-20”/Km in più), ma per una distanza pari al doppio. Sarà invece un allenamento complementare per i 10 Km in quanto il calo prestativo in questo tipo di competizioni (se si imposta correttamente il ritmo gara) può avvenire solamente negli ultimi Km.

    Per quanto riguarda la maratona invece il discorso è più complesso, soprattutto per gli amatori; infatti, come abbiamo visto nell’ultimo post dedicato alla maratona, gli elementi principali da tenere in considerazione quando si prepara questo tipo di gara sono il chilometraggio totale e la velocità media degli allenamenti. Il progressivo classico, finirebbe ad una velocità superiore a quella della maratona, quindi non sarebbe considerato un mezzo per la capacità di gara, ma per la velocità di gara, quindi complementare, rispetto ad altri allenamenti più importanti come i lunghi e gli allenamenti a ritmo maratona.

    VARIANTI DEL PROGRESSIVO

    Le varianti di questo mezzo solitamente vengono introdotte per:

    • Allenare anche le capacità neuromuscolari
    • Renderlo più semplice e motivante (meno noioso)
    • Inserire più tratti a ritmo gara (diventando anche allenante per la velocità di gara)

    La prima variante per eccellenza sono le Rollercoaster; nel post dedicato ai Lunghi variati, le abbiamo definite Lunghi con saliscendi finali. Si tratta di correre la parte finale di Lunghi (non troppo impegnativi) ad intensità fisiologica di corsa media, ma su dei circuiti o dei tratti di saliscendi, in maniera che ad ogni cambio di pendenza vengano particolarmente sollecitate le qualità neuromuscolari in condizione di fatica.

    Per rendere invece meno impegnativo questo mezzo allenante (quando non si è ancora in forma o non si è ancora in grado di fare un Progressivo standard) è possibile:

    • Effettuarlo in maniera piramidale, correndo la progressione nella parte centrale della seduta e non quella finale. Potete leggere la descrizione originale di questo mezzo nell’articolo che ho scritto per il sito it. Com’è possibile vedere nella figura a fianco si dividere l’allenamento in 5 step: lo step 1-5 sono di CL, gli step 2-4 di CM e lo step 3 di Corto Veloce.
    • TRIS di Massini: è un mezzo allenante veramente interessante ideato da Fulvio Massini, uno degli allenatori più preparati in Italia. La versione di base consiste nel correre 3 volte (senza soluzione di continuità) “12’ di CL + 6’ di CM + 2’ di CV”. Fondamentalmente in questo allenamento ci sono 3 progressivi (senza interruzioni) di 20’ ciascuno; per incrementarne le difficoltà, è possibile aumentare le porzioni di CM/CV o effettuare 4 tratti. Potete vedere una descrizione più dettagliata nel testo scritto proprio da Fulvio “Andiamo a correre”.

    Per lavorare maggiormente sulla velocità di gara (per chi prepara distanze di 10 Km), è possibile utilizzare la stessa variante sopra di Massini, ma effettuare delle miniprogressioni di 10’ (anziché di 20’) con la parte finale al ritmo dei 10000m; ad esempio 5 x 10’ (4’ di CL + 4’ di CM + 2’ di RG10Km).

    Altra variante per la velocità di gara è il super-progressivo, mentre per il mantenimento delle abilità di gara il mini-progressivo; li trovate entrambi in questo articolo dedicato alle varianti del progressivo.

    CONCLUSIONI

    Spero con questo post di aver chiarito l’importanza del progressivo, ed in particolar modo l’efficacia allenante del correre in finale di allenamento a ritmo gara in condizioni di fatica. Ovviamente non è un allenamento completo, ma proprio per questo, permette di essere recuperato in un tempo accettabile per poterlo inserire (senza troppi giorni di intervallo) nel proprio programma di allenamento. Ovviamente se alla fine di un Progressivo non si riesce a correre alla velocità prestabilita non è un problema, in quanto lo stimolo allenante è dato dalla ricerca del mantenimento del ritmo (nonostante la fatica), più che dal ritmo stesso. Ai link sotto, potete trovare le pagine dedicate alla preparazione delle singole discipline:

    Se vuoi approfondire ulteriormente il mondo dell’allenamento del running, iscriviti gratuitamente al nostro Canale Telegram mistermanager_running nel quale troverai approfondimenti, aggiornamenti e materiale di studio. In più potrai scaricare la nostra guida sulla scelta delle scarpe da running in base alle proprie caratteristiche.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  8. Allenamento Running: siete atleti veloci o resistenti?

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    “E se i pregi fossero il prolungamento dei difetti?”

    Come ottimizzare l’allenamento in base alle proprie caratteristiche

    Chi corre da qualche anno si sarà fatto un’idea abbastanza chiara sul tipo di gara/distanza preferita; c’è infatti chi adora le gare di 10 Km (o qualcosa meno) o chi invece trova grande benessere nel correre maratonine e maratone.

    Ma da cosa è determinata questo tipo di preferenza?

    La maggior parte delle volte è determinata da motivi “fisiologici”; cioè ogni organismo è diverso da un altro ed è quindi portato per un tipo di distanza piuttosto che un’altra…..non solo, questa “efficacia” è percepita positivamente dall’atleta (inteso come unità mente-corpo) a tal punto da creare una “preferenza” anche psicologia del tipo di distanza.

    Ma in base al tipo di caratteristica del soggetto, è giusto “preferire” alcuni allenamenti rispetto ad altri per “esaltare” le proprie qualità?

    Ovviamente la risposta è affermativa, e sono le conclusioni a cui spesso si arriva dopo tanti anni di allenamento. In questo post cercheremo di comprendere come la conoscenza dei punti forti e dei punti deboli di ogni runner, possa dare indicazioni precise sulla personalizzazione dell’allenamento, e di conseguenza acquisire conoscenza per migliorare le proprie performance e prevenire gli infortuni. Come sempre per dare una connotazione scientifica al nostro approccio, partiremo dalle conoscenze scientifiche sull’argomento.

    FIBRE LENTE E FIBRE VELOCI

    fibre-muscolariAndando a vedere la composizione delle fibre (colorando le cellule come nella figura a fianco) che compongono il muscolo, appare evidente che all’interno di ogni muscolo esistono fibre muscolari con caratteristiche diverse. Non solo, la proporzione con le quali sono distribuite può variare da muscolo a muscolo e da soggetto a soggetto. Tutto questo contribuisce a creare quella “diversità” tra soggetto e soggetto in termini prestativi e di risposta all’allenamento. Ovviamente tutto questo ha molto stimolato (fino a qualche anno fà) la ricerca scientifica, al fine di aiutare a comprendere:

    • Quali sono le caratteristiche di fibre muscolari diverse.
    • Se questo tipo di conoscenza può contribuire ad orientare un atleta verso una determinata disciplina/distanza e a determinare gli stimoli allenanti principali
    • Se, come e quanto queste caratteristiche possono essere modificate con l’allenamento

    Lo studio delle caratteristiche delle fibre muscolari è sicuramente quello che ha avuto maggiori approfondimenti; senza inoltrarsi eccessivamente nella biochimica dell’esercizio, è stato riscontrato che le cellule muscolari (cioè le fibre) potevano essere raccolte in 2 gruppi principali, presentate nell’immagine sotto.fibre-lente-veloci

    Queste andavano a comporre il muscolo in una proporzione tale da ipotizzare di rendere un atleta più portato per le distanze brevi, intermedie o lunghe. I successivi approfondimenti hanno permesso di scoprire altre tipologia di fibre, soprattutto di caratteristiche intermedie tra le 2 presentate sopra. La difficoltà etiche dovute all’impossibilità di indagare sperimentalmente la tipologia di fibra per tutti (dovute al fatto che servirebbero esami invasivi come le biopsie, non consentite ai fini sportivi dalla legge Italiana) e la complessità della performance sportiva (non asservibile esclusivamente alla tipologia di fibra) ha un po’ messo da parte questi tipi di studi, che ha comunque dato un importante contributo alla conoscenza della fisiologia sportiva. Ma è il terzo punto (tra quelli elencati sopra), che ha mio parere ha dato le risposte più interessanti a livello sperimentale e anche sportivo, cioè quello relativo al quesito: quanto possono essere cambiate le caratteristiche muscolari di un soggetto con l’allenamento”?

    La risposta è che è più facile far acquisire caratteristiche resistenti, piuttosto che caratteristiche veloci.

    Ciò è dimostrato dai tanti mezzofondisti (tra gli ultimi Kenenisa Bekele che ha sfiorato il record del mondo alla maratona a Berlino del 2016) di livello mondiale che ad un certo punto della propria carriera passano in maniera estremamente proficua alla maratona. Ciò rafforza il vecchio detto “velocisti si nasce, maratoneti si diventa”.

    A QUALE TIPOLOGIA DI RUNNER APPARTENGO?

    primaAlla luce di quanto scritto sopra, cominciamo ora a dividere (in maniera ovviamente semplificativa) i runners amatori in 3 grandi famiglie:

    1) Atleti resistenti: podisti che solitamente prediligono le distanze lunghe (dai 15-20 Km in su) e gli allenamenti lunghi o con salite.

    2) Atleti veloci: podisti che gradiscono gare corte su strada (8-12 Km) prevalentemente in pianura, e che hanno un ottimo rendimento in discesa.

    3) Atleti con caratteristiche intermedie: atleti con ovvie qualità mediane, rispetto a quelle indicate sopra.

    QUALE TIPO DI STIMOLO ALLENANTE SI DEVE PREFERIRE IN BASE ALLE PROPRIE CARATTERISTICHE?

    È ovvio che il tipo di conoscenza delle proprie caratteristiche non deve andare a stravolgere quella che è la metodologia e la periodizzazione dell’allenamento universalmente riconosciuta, ma deve andare a personalizzarla per ottimizzare il rendimento dell’atleta. Per comprendere come individualizzare gli stimoli allenanti è prima necessario chiarire la differenza tra forza e velocità nell’ambito della corsa. Infatti da punto di vista neuromuscolare, riconosciamo prevalentemente queste 2 qualità:

    • FORZA: nell’ambito del podismo, non è importante avere un livello di Forza assoluta particolarmente elevato, ma che il sistema neuromuscolare sia in grado di mantenerla per un determinato livello nel tempo, senza che la fatica ne comprometta il livello. Non a caso (a seconda degli autori), è detta anche Resistenza Muscolare Locale. Viene allenata prevalentemente da tutti quei mezzi in cui viene richiesto un tempio di appoggio del piede prolungato, come le salite affrontate ad intensità non massimale, ma medio-elevata.
    • VELOCITA’: al runner non è richiesta un Velocità assoluta paragonabile a quella di un velocista, ma la capacità di avere un Ritmo Gara elevato, determinato (a livello neuromuscolare) dalla capacità di esprimere sufficienti livelli di Forza in brevi periodi di tempo nella giusta direzione. Stiffness (che determina il ritorno elastico) e spinta orizzontale (che determina lo spostamento) sono 2 elementi essenziali che determinano questa qualità, che per un runner viene stimolata da quei mezzi in cui viene richiesto (in pianura) un’intensità superiore a quella che si tiene in una gara di 5000m.

    Nel nostro post dedicato alla Forza e alla Velocità del runner, potete trovare un’approfondimento dettagliato dell’argomento.

    immagine-forza-velocita

    Come si ottimizza la tipologia di allenamento in base a questa suddivisione? Senza addentrarci in discorsi che riguardano la biochimica e la fisiologia, possiamo affermare che il tipo di potenziamento preferito in base alle proprie caratteristiche sia il seguente (vedi anche immagine sopra):

    • I podisti resistenti traggono maggiore beneficio (cioè rispondono bene a questo stimolo allenante) da contrazioni muscolari con tempo relativamente prolungato, cioè negli allenamenti Lunghi, Medi e soprattutto con salite (allenamenti di Forza)
    • I podisti veloci invece traggono beneficio da stimoli più brevi/intensi (allenamenti di Velocità) come Fartlek, Salite brevi, Intermittenti, Allunghi e Ripetute.
    • I podisti con caratteristiche intermedi invece hanno, dal punto di vista metodologico, una maggior “libertà di movimento”, ma non è escluso che possano (con l’esperienza) acquisire la preferenza di alcuni mezzi rispetto ad altri.

    periodizzazioneOvviamente le indicazioni date vanno prese “cum grano salis” (cioè usando la testa), inserendo queste considerazioni nel piano d’allenamento stagionale che deve sempre seguire i corretti canoni metodologici. Nell’immagine sopra potete vedere uno schema semplificato di periodizzazione, tratto dal nostro Audio/Video dedicato all’argomento, in cui sono descritti i vari momenti allenanti della stagione (se non volete vedere il video, potete scaricare anche solo la presentazione). Come potete vedere, nella parte inziale della stagione sono da preferire stimoli prevalentemente aerobici, mentre nella parte finale i ritmi gara (allenamento Specifico); questi 2 aspetti sono fondamentali e valgono per tutti i podisti.

    Quella che può essere individualizzata è proprio la parte Neuromuscolare (fascia azzurra dell’immagine sopra), che a sua volta può essere divisa in 2 parti: la prima dedicata prevalentemente alla Forza e la seconda prevalentemente alla Velocità. Nell’immagine sotto è rappresentato uno scema esemplificativo in cui sono stati tolti i carichi di natura aerobica (Corsa lenta, Corsa Media, Lunghi, ecc.) e lasciati i carichi neuromuscolari (i lavori di Forza devono sempre precedere quelli di Velocità) e i Ritmi specifici (Gare tirare o RL).carichi-forza-velocitaIn questo contesto, quello che può cambiare da un atleta veloce e quello resistente è la distribuzione dei carichi neuromuscolari. Nel dettaglio:

    • I Runner resistenti dovrebbero ampliare la porzione dedicata alla Forza
    • I Runner veloci dovrebbero ampliare la porzione dedicata alla Velocità
    • I Runner con caratteristiche intermedie invece possono orientarsi verso il modello proposto nell’immagine.

    Ma quali sono, nel dettaglio, i mezzi che allenano prevalentemente la Forza, la Velocità o entrambi (cioè i mezzi a caratteristiche miste)?

    MEZZI CHE ALLENANO PREVALENTEMENTE LA FORZA

    MEZZI CHE ALLENANO PREVALENTEMENTE LA VELOCITA’

    MEZZI A CARATTERISTICHE MISTE

    CONCLUSIONI

    questionRiporto sotto una domanda che spesso mi vien fatta:

    “se sono un atleta resistente, che a fatica riesco a migliorare la mia velocità di gara nelle competizioni brevi, devo dedicare più tempo ai lavori di Forza o di Velocità?”

    Risposta:

    Gli atleti resistenti (ma non veloci) per colmare le proprie lacune dovrebbero dedicare gli allenamenti neuromuscolari primariamente alla forza (e solo in un secondo momento alla velocità), perché è la carenza di forza che li rende “non veloci”. Il concetto da comprendere è che la “forza è la base della velocità”…..e lavorare sulla velocità senza aver prima creato i presupposti con la forza (soprattutto per una certa tipologia di atleti), incrementa il rischio di infortuni o di avere degli affaticamenti che perdurano per molto tempo. Quindi, gli atleti resistenti devono lavorare prima molto sulla forza, poi (senza esagerare) sulla velocità e infine (nel periodo finale della stagione) in maniera specifica.

    Spero, con il post odierno, di aver fatto chiarezza su un aspetto della periodizzazione che permette di ottimizzare l’allenamento del podista. Nel caso in cui abbiate dubbi o desideri di delucidazioni, è sufficiente che mi mandiate una mail all’indirizzo riportato sotto. Se ti è piaciuto l’articolo, condividilo sul tuo social network preferito (è sufficiente utilizzare i bottoni sotto); per noi sarà un importante indicazione per programmare le pubblicazioni future.

    Ti ricordo che puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  9. La preparazione atletica del difensore (prima parte)

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    L’atteggiamento posturale del difensore (in fase di non possesso) e il modo di muoversi deve essere appreso in maniera analitica, pena la perdita di istanti fondamentali nell’azione di gioco!

    Questo è un presupposto fondamentale per la preparazione (atletica, tecnica e tattica) del difensore. In questo post approfondiremo i 3 step fondamentali per la formazione atletica specifica del difensore, per fornire tutti i mezzi necessari per svolgere al meglio questo ruolo. L’articolo è rivolto a tutti gli staff che lavorano con le categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva, e per tutti coloro che, nelle categorie successive, si occupano del reparto difensivo.

    difesa posizionePartiremo dal presupposto con il definire l’abilità tecnico/atletica difensore come un insieme di componenti neuromuscolari, posturali ed attitudinali specifiche di ruolo. In particolar modo al difensore viene richiesto:

    • In fase di non possesso deve avere una postura dinamica (antero/posteriore) che permetta rapidamente di correre in avanti, all’indietro, lateralmente e “scivolare” (vedi figura a fianco).
    • Non deve essere solamente rapido ed esplosivo, ma saper accompagnare (passo accostato o passo incrociato) l’azione del portatore di palla nella direzione voluta e in maniera tale da essere sempre pronto per accelerare.
    • Avere scelta di tempo e capacità di intervento.
    • Saper effettuare i movimenti di reparto.

    Analizzeremo i primi 3 punti (che sono quelli più connessi ad aspetti coordinativi e atletici), tramite Step didattici progressivi per ottimizzare l’allenamento di uno dei ruoli più importanti nel calcio.

    STEP N° 1: presupposti coordinativi e atletici

    Per “presupposti” si intendono tutte quelle qualità motorie che permettono di apprendere e sfruttare al meglio le abilità specifiche difensive; per facilitare la didattica, consideriamo i mezzi allenanti generali che utilizza tutta la squadra, perché sono importanti per tutti i ruoli (e di conseguenza vengono svolti insieme al resto dei compagni). La formazione del difensore inizia ovviamente (come tutti gli altri ruoli) sin dal settore giovanile (Piccoli Amici, Pulcini ed Esordienti) lavorando su presupposti fondamentali come l’1c1, il contrasto e la coordinazione. Dalla categoria Giovanissimi (e in parte dall’ultimo anno Esordienti), è poi necessario lavorare su:

    • Rapidità coordinativa: solitamente sono esercitazioni in circuito ripetute più volte con lo scopo principale di incrementare la coordinazione, la frequenza dei movimenti, l’attitudine ad una postura di attesa corretta e prevenire gli infortuni. È importante inserire i presupposti dell’esplosività, andature varie variando orientamento di corsa, piede di frenata e di partenza. Sono proposti solitamente nel secondo allenamento settimanale, ed eventualmente anche nel primo.
    • Lavoro per la resistenza muscolare locale: in questo caso risulta fondamentale l’allenamento funzionale, in particolare i percorsi finalizzati alla stabilità articolare, alla prevenzione infortuni e all’incremento dell’accelerazione; nel post dedicato alla programmazione dell’allenamento funzionale, potete vedere 2 protocolli (i primi 2 esempi) per questi obiettivi. Ricordiamo che l’allenamento funzionale non è utile solo per la prevenzione infortuni, ma anche per ridurre la spesa energetica dei movimenti meno consueti. Solitamente viene somministrato nella prima (ed eventualmente nella seconda, se si effettuano 3 allenamenti) seduta settimanale.

    preparazione atletica settimana

    • Lavoro per l’esplosività e rapidità: si intendono tutti quei lavori eseguiti insieme al resto della squadra; a questo link potete vedere il lavoro analitico per la rapidità, a questo link la raccolta di lavori globali (rapidità del Venerdì) e a questo il protocollo per l’esplosività. Solitamente la rapidità viene inserita nell’ultima seduta settimanale, mentre l’esplosività (quando somministrata) nella seduta centrale.

    STEP N° 2: lavoro analitico dei movimenti difensivi

    A differenza del primo step didattico (che è rappresentato da esercitazioni fatte con il resto della squadra), questa fase è spostamenti difesaspecifica per i difensori. Il nostro riferimento principale in questo step è il testo di Claudio Donatelli, attualmente il libro che affronta l’argomento in maniera più approfondita. Il termine di tecnica difensiva (malgrado non si utilizzi la palla) credo quello più corretto per identificare questo tipo di lavori, che nella fase iniziale deve comprendere esercitazioni analitiche per acquisire la giusta postura dinamica del difensore e la tecnica delle andature; nei dettagli:

    • La postura in fase di non possesso deve essere in posizione antero/posteriore con il baricentro abbassato (per facilitare l’accelerazione) e il busto eretto. Questa postura deve essere mantenuta anche in situazioni dinamiche (cioè in movimento) quando la palla non è nelle immediate vicinanze (per essere pronti a “scappare” o “accorciare”), ma comunque in possesso della squadra avversaria.
    • Spostamenti: ricordiamo che in caso di 1c1 il difensore deve facilitare la corsa dell’avversario verso l’esterno (o sul piede debole se ci si trova in zona centrale). Per mantenere la giusta reattività (quindi una postura dinamica il più possibile simile a quanto indicato sopra) può adottare 3 tipi di andature a seconda della velocità dell’avversario: la prima è il passo postero/laterale accostato (detto anche scivolamento laterale all’indietro), utilizzato solitamente quando si è “puntati” dall’attaccante e/o si indietreggia. Il secondo è il passo laterale incrociato: (vedi figura sotto) questo permette di spostarsi lateralmente abbastanza velocemente rimanendo frontali all’attaccante; solitamente è utilizzato nell’1c1 sulle fasce laterali. Ultimo tipo di movimento è la normale corsa rettilinea in accelerazione (massima intensità), solitamente utilizzata quando la velocità di spostamento della palla e dell’avversario è elevata.

    Immagine tratta da http://www.allfootball.it/blog/crescere-da-numero-uno/23-4-2015/impariamo-il-passo-incrociato
    Immagine tratta da http://www.allfootball.it/blog/crescere-da-numero-uno/23-4-2015/impariamo-il-passo-incrociato

    È ovvio che il primo di questi è il più lento (passo postero/laterale accostato), ma allo stesso tempo quello che permette di essere più reattivi di fronte alle intenzioni dell’attaccante. Il secondo (passo laterale incrociato) permette di spostarsi più velocemente, ma nel momento in cui si incrocia il passo, si è meno reattivi di fronte ad un eventuale cambio di direzione dell’attaccante. Incrementare l’efficienza e la velocità con la quale vengono affrontate queste 2 andature è lo scopo di questo step! In questo modo, sarà possibile utilizzare le andature più efficaci (cioè che permettono di mantenere una maggior livello di reattività) anche a velocità di spostamento elevate!

    N.B.: ricordiamo che per “reattività” intendiamo il grado di prontezza con la quale si può rispondere ad un cambio di direzione e velocità. La postura dinamica corretta, ovviamente è quella con il baricentro abbassato e base d’appoggio sufficientemente larga.

    infografica-dei-3-passi

    Struttura N° 1

    preparazione-difensore-1

    Rappresenta sicuramente il tipo di esercitazione più “didattica” tra quelle proposte. Si tratta di eseguire dei tratti di 10 metri nelle 2 andature indicate sopra con partenze ed arrivi in posizione antero-posteriore (destro o sinistro).

    preparazione-difensore-2

    Successivamente si possono combinare questi movimenti tra di loro e con andature rettilinee. Inizialmente vanno eseguite a secco focalizzandosi sulla precisione, secondariamente sulla velocità. Successivamente, sulla stessa struttura si utilizza come riferimento un compagno che guida la palla (vedi figura sopra).

    tabela-excel-con-varianti

    Struttura N° 2

    Questo tipo di esercitazioni può essere svolto fino a 4 giocatori contemporaneamente; si prepara una struttura come nella figura sotto (4 quadrati di 10x10m accostati) con un cono centrale ad ogni quadrato e 4 cinesini colorati ai lati. Precisiamo che questa è un’esercitazione di tecnica difensiva, e non di tattica di reparto, quindi ogni giocatore dovrà focalizzarsi solamente sul proprio compito. L’allenatore indicherà un colore e i giocatori dovranno arrivare il più velocemente possibile al colore del cinesino (o cono) indicato e posizionarsi nella postura dinamica corretta; successivamente indicherà un altro colore e i giocatori dovranno spostarsi di conseguenza. Lo spostamento potrà essere effettuato nelle 3 andature indicate sopra (passo accostato, incrociato o corsa rettilinea), sempre dopo specifica dell’allenatore.

    preparazione-difensore-3

    Affinchè la postura sia corretta, è necessario dare riferimenti ai giocatori; di conseguenza, la posizione della palla sarà l’allenatore, l’avversario sarà il cinesino colorato e come porta si potrà utilizzare quella del campo. Ulteriori varianti sono relative al segnale dell’allenatore (alzare un cinesino colorato piuttosto che dirne il colore) e la frequenza con la quale indica i colori.

    CONCLUSIONI

    allenamento difesa
    Nell’immmagine sopra, potete vedere uno schema riassuntivo dei 3 step che abbiamo proposto. Nel prossimo post andremo ad analizzare l’applicazione pratica della tecnica difensiva in situazione; questo per permettere al difensore di “trasformare” le abilità acquisite in contesto di gioco. Ricordiamo che un ottimo testo per approfondire l’argomento è quello di Claudio Donatelli, di cui potete trovare un’ampia recensione a questo link. Nella seconda parte, approfondiremo l’applicazione in situazione tattica di quanto sviluppato in questo post.

    Se ti è piaciuto il contenuto dell’articolo e vuoi approfondire la preparazione atletica per i dilettanti, scarica gratuitamente il nostro mini e-book accedendo al canale telegram Preparazione atletica dilettanti; in più, settimanalmente pubblicheremo contenuti esclusivi e tutti gli aggiornamenti del nostro sito.

    preparazione atletica dilettanti

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  10. Iniziare a correre: tutto quello che il principiante deve sapere

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    (Aggiornato al 02/01/2022)

    Avete finalmente deciso di iniziare a correre ma non sapete come iniziare? Avete già iniziato a correre, ma dopo 5-10’ avete la “lingua fuori”? Vorreste iniziare a fare attività fisica, ma fate più fatica a gestire il tempo a disposizione che a correre 5 Km? Bhè, questo articolo fa proprio per voi! Non ci limiteremo a darvi una semplice tabella per principianti (come ce ne sono altre nel web), ma cercheremo di fornire consigli importanti su tutto quello che gira intorno al mondo della corsa e soprattutto sulla gestione del tempo da dedicare all’attività sportiva. Alla fine del post alcuni link interessanti per approfondire le metodiche legate alla corsa.

    PERCHE’ E’ COSI’ BELLO CORRERE!!!

    benefici corsa principiantiIn un precedente post abbiamo approfondito dal punto di vista scientifico quali siano i benefici fisiologici (che sono veramente importanti) dell’attività sportiva e della corsa. Allo stesso tempo, credo che una delle risposte più frequenti alla domanda “perché corri?” sia “perché mi fa stare bene!”. Per chi non fa regolarmente attività fisica, credo sia difficile comprendere a pieno la frase “perché mi fa stare bene”; questo perché non è solo un fatto di rilevanza scientifica, ma anche di percezione psicofisica di uno stato di benessere pieno e vigoroso. Un giorno un mio collega mi disse di arrivare a fine giornata sempre molto stanco; si convinse di iniziare a correre con regolarità e gradualità, e questo progressivamente lo aiutò ad arrivare meno stanco a fine giornata…meravigliandosi del fatto che il fare fatica lo ha aiutato ad essere meno stanco! L’unico modo per comprendere lo stato di benessere psicofisico e sociale associato alla corsa, è quello di iniziare a correre! Quello che scopriremo nei prossimi 2 paragrafi è che non esistono scuse all’impossibilità nel praticare un’adeguata attività sportiva; inoltre, vi daremo consigli e suggerimenti per implementare al meglio lo sport nella vostra vita. Se invece non sei ancora convinto dei benefici che è in grado di apportare la corsa alla tua vita, ti invitiamo a leggere la revisione su base scientifica apparsa su Sport Fitness Advisor.

    LA VITA E LA CORSA

    nulla-cambia-se-non-cambi-nullaPartiamo dal presupposto principale che l’attività sportiva fa bene, a patto che venga affrontata con la giusta gradualità e in misura adeguata all’idoneità di ognuno! Una volta ottenuta l’idoneità e trovato il programma che più si adatta al proprio livello di allenamento (o livello di “non allenamento”), l’unica cosa che rimane è individuare i momenti della settimana da dedicare alla corsa. Per un principiante, 3 (massimo 4) allenamenti alla settimana sono il compromesso ottimale. Le difficoltà che solitamente un principiante può andare incontro, sono di 3 tipi:

    1. Difficoltà legate al tempo a disposizione per allenarsi
    2. Difficoltà legate alla fatica
    3. Difficoltà legate a timori che solitamente non hanno ragione di esistere: vergogna, pigrizia, paure legate all’età, ecc.

    Qualcuno si identifica con questi tipi di ostacoli? Bene, se continuerete a leggere questo post, vi daremo gli strumenti per superarli!

    DIFFICOLTA’ N° 1: NON RIESCO A TROVARE IL TEMPO PER ALLENARMI

    È comprensibile che esistano momenti della propria vita in cui è difficile trovare il tempo per fare tutto; ma la maggior parte delle volte sono situazioni temporanee, che una volta risolte, non bellezza correrelasciano alcuna scusa! Ricordiamo che 3 sedute di circa 1 ora, sono sufficienti per avere un miglioramento tangibile del proprio stato di benessere, quindi ritagliarsi per 3 volte alla settimana il tempo per allenarsi è possibile!

    Se si è consapevoli (elemento fondamentale) del benessere psicofisico indotto da un regolare allenamento, allora non esistono ostacoli nel prendere questo tipo di scelta….ricordandosi, che ogni buona abitudine, inizia proprio da una SCELTA! Sotto riportiamo alcuni punti fondamentali per realizzare al meglio la propria SCELTA!

    • Affidarsi ad un programma d’allenamento per principianti: ne esistono molteplici su internet, e ne forniamo uno anche noi a fine di questo post. Seguire un programma prestabilito elimina tutti i dubbi e le incertezze di natura metodologica (quanti minuti fare, quanto camminare, quanto correre, ecc.) che possono insorgere a chi non è ancora abituato ad allenarsi con regolarità.
    • Stabilire un obiettivo: questo ovviamente deve essere “realizzabile”. Ad esempio, per un principiante il primo obiettivo potrebbe essere quello di riuscire a seguire pienamente il proprio programma; in un secondo momento potrebbe essere quello di riuscire a correre per 1 ora, ecc. Non riesco a raggiungere il mio obiettivo?…nessun problema, si passa al piano B! Ad esempio, per un principiante che non è riuscito a seguire il proprio programma, è possibile (piano B) cercare un programma più semplice.
    • Trovare il tempo necessario: se si fa fatica a ritagliarsi i propri spazi, è necessario prendere delle decisioni. Il primo aspetto è cercare di capire quali sono gli aspetti, nella propria vita, più importanti e quelli meno importanti della corsa (tenendo in considerazione il benessere che ne deriva). Una volta compreso questo aspetto, è facile capire come tutte le abitudini legate agli aspetti meno importanti della corsa, possono essere tranquillamente eliminate fino a trovare il tempo necessario per correre. Per chi volesse leggere un articolo molto interessante sull’acquisizione delle abitudini, vi consiglio questo post di Andrea Giuliodori.
    • Ottimizzare il tempo delle attività giornaliere: è evidente che il saper organizzare al meglio i propri impegni facilita la ricerca dei momenti da dedicare allo sport.
    • Regola dei 30 giorni: prima di avere un’idea se la propria SCELTA (o insieme di scelte) è stata o meno corretta, aspettare almeno 30 giorni! Dopo un mese di “prova” avrete le idee più chiare!
    • La prova dei 90 giorni: è il tempo medio necessario affinchè un’abitudine venga consolidata nel proprio stile di vita. Questo tempo vale soprattutto per chi ha tempo di allenarsi alla mattina presto o alla sera. Cambiare le proprie abitudini riguardanti il sonno richiede diverso tempo; bisogna quindi essere consapevoli che chi si allena in orari poco usuali possa richiedere qualche mese affinchè questa abitudine diventi consolidata e non risulti un “peso” nel proprio stile di vita. Ne vale la pena?…dopo 90 giorni saprete darvi una risposta!

    infografica corsa principianti

    DIFFICOLTA’ N° 2: FACCIO TALMENTE TANTA FATICA A CORRERE, CHE DOPO DUE MINUTI DEVO FERMARMI!

    Non ci stancheremo mai di dire che la prima cosa da fare quando si decide di fare sport dovrebbe essere quella di fare una visita di idoneità a tale scopo. Per esperienza personale l’ideale sarebbe farsela prescrivere dal proprio medico presso un Medico dello fallimentoSport che sia anche Cardiologo. Ovviamente l’idoneità deve essere non solo di natura cardiovascolare, ma anche di natura Ortopedica; ad esempio, chi è in evidente sovrappeso (ma idoneo) può iniziare facendo un paio di mesi di solo cammino a passo svelto e bici, per poi passare ai programmi più semplici come il Couch to 5 Km (dal divano a 5 Km di Corsa). Ricordiamo che tutti i programmi per principianti prevedono l’alternanza di fasi di cammino a fasi di corsa, proprio per evitare di doversi fermare dopo pochi minuti di attività. L’incremento del carico (cioè di difficoltà) in questi programmi è estremamente graduale, perché per un sedentario, il correre rappresenta già un esercizio di resistenza, forza e velocità (contrariamente ad un runner che deve variare i parametri della seduta per allenare anche solo una di queste qualità). Se un programma è troppo difficile, allora si opta per uno più semplice; quindi si può accettare tranquillamente di aver sbagliato la scelta del programma, ma non di aver fatto la scelta sbagliata nel fare sport!

    DIFFICOLTA’ N° 3: TIMORI DOVUTI ALLA PIGRIZIA, DOVUTI ALL’ETA’, ECC.

    Riportiamo sotto la definizione di Pigrizia:

    è la mancanza di determinazione nel compiere un’azione di cui si riconosce l’importanza.

    corsa motivazioneÈ ovvio che non c’è bisogno di fare ulteriori commenti. Quello che non si deve confondere è la “pigrizia” con la “stanchezza”; non è raro che un sedentario arrivi stanco a fine giornata, a seguito di fattori maggiormente legati allo stress mentale piuttosto che fisico. Correre 3-4 volte a settimana vedrete che vi farà sentire meno stanchi, perché uno degli adattamenti all’attività fisica è proprio il miglioramento della capacità di fronteggiare la stanchezza e lo stress.

    Gli ostacoli legati all’età possono insorgere dopo i 50 anni per una perdita di forza muscolare dovuto a fattori anagrafici; proprio per questo continuiamo a ribadire l’importanza dell’idoneità fornita da personale medico qualificato in materia. Se inizialmente non si ha l’idoneità per correre, è consigliabile chiedere se è possibile camminare o usare la bici (e a che intensità); dopo un anno (o 6 mesi) sarà possibile effettuare un’altra visita per valutare se dopo questo periodo i presupposti sono cambiati ed è possibile iniziare a correre. Ricordiamo che se si ha la costanza per fare un’attività fisica adeguata e graduale, sono poche le variabili mediche che nel tempo possono negare ad un soggetto l’idoneità a correre. Se non si potrà correre, si potrà avere l’idoneità a camminare, o andare in bici….attività piacevoli ed efficaci tanto quanto la corsa!

    accettare-che-non-sono-pazzo

    ISTRUZIONI PER L’USO

    Gradualità e semplicità sono le parole chiave di un programma di corsa per principianti. Sotto riportiamo alcuni consigli per ottimizzare al meglio l’approccio in base alle variabili che possono insorgere durante l’effettuazione del programma.

    • Dolori, dolorini e doloretti: non necessariamente un fastidio muscolare/articolare è indice di infortunio. Per un sedentario, soprattutto dopo le prime sedute è possibile (anche se il programma è estremamente graduale) avere qualche fastidio muscolare; quello che è importante, è il passare alla seduta successiva, solo quando tale fastidio è completamente passato. L’alternativa (in caso di fastidio) è sostituire la seduta di corsa con una di solo cammino. Ciò faciliterà (in quanto l’azione muscolare del cammino è inferiore rispetto alla corsa) la circolazione e la rigenerazione dei tessuti.
    • Stretching: l’utilità dello stretching è proporzionale alle rigidità muscolari che si hanno. A mio parere, per un runner principiante vale la pena farlo nei momenti (sopratutto a fine allenamento o al limite dopo il riscaldamento) in cui si sente la muscolatura irrigidita.
    • Terreno su cui correre: in un recente studio, è stato visto come il “ruotare” le scarpe che si usano a correre (cioè non usare sempre le stesse) riduce il rischio di infortunio. Ciò avviene perché le scarpe hanno una certa influenza sul tipo di appoggio, e di conseguenza, cambiare questa variabile riduce lo stress sulle stesse componenti anatomiche. Ovviamente per variare il tipo di appoggio non è necessario cambiare il tipo di calzature, ma è sufficiente correre su terreni diversi e (quando possibile) anche su pendenze diverse. Se invece vuoi capire quale possa essere la scarpa ideale per correre per le tue caratteristiche, iscriviti gratuitamente al nostro Canale Telegram cliccando sul banner in fondo all’articolo; oltre a ricevere consigli per diventare un runner migliore, potrai scaricare la nostra “guida per la scelta delle scarpe per correre“.
    • Cosa mangiare prima e dopo: ti rimandiamo al nostro post sulle domande più frequenti sull’alimentazione per approfondire l’argomento. In ogni modo, è sufficiente comprendere come prima di correre sia essenziale aver terminato la digestione e che dopo l’allenamento il primo obiettivo dovrebbe essere quello di reidratarsi in maniera adeguata.
    • L’iscrizione in una società podistica: le manifestazioni podistiche si dividono in “agonistiche” (per chi è tesserato FIDAL o presso un altro Ente riconosciuto; necessariamente con idoneità agonistica) e “non competitive” (aperte a tutti). Indipendentemente dal grado di competitività di ognuno, il prendere parte a queste manifestazioni aiuta molto a vivere il rapporto con la corsa con estremo entusiasmo e convivialità. Ad esempio, il nostro gruppo sportivo (GS Toccalmatto), è presente in tutte le manifestazioni del nostro territorio facendo da collante per l’entusiasmo e la socialità di tutti i nostri tesserati. Consigliato a tutti i runner di iscriversi ad una società podistica!
    • Correre al caldo: nel periodo estivo viene solitamente
      correre-neveconsigliato di correre nelle ore più fresche del giorno. In aggiunta (per ridurre la sensazione di calore) viene consigliato di indossare abiti chiari e leggeri, bagnarsi la testa se la sensazione di caldo è elevata, bere molto e a piccoli sorsi, correre in zone all’ombra, proteggersi dalle radiazioni solari e (se si è agonisti) ridurre le aspettative di performance. Potete approfondire l’argomento leggendo il nostro post dedicato al correre al caldo.
    • Correre al freddo: in linea teorica i capi d’allenamento moderni (se adeguati) evitano che il freddo diventi un limite per chi corre. L’unico limite, a mio parere è dato dal ghiaccio; per evitare di scivolare, consiglio sempre di correre nelle ore del giorno in cui a terra non c’è ghiaccio. Per il rapporto qualità prezzo degli indumenti ed accessori, molto potete trovare da Decathlon e Sportshoes. Il primo offre prodotti propri con i prezzi più bassi ma di buona qualità; Sportshoes invece propone capi di marca, ma a prezzi estremamente convenienti, sopratutto nella sezione dedicata alle promozioni. Ma se il tuo problema (come il mio) è il freddo alle mani, allora va nel nostro post dedicato ai regali per i runner (alla sezione “accessori“) e troverai quelli che attualmente sono i guanti ideali per correre al freddo.
    • Idee regalo: potrà capitare di dover e voler fare un regalo ad un amico o familiare appassionato di running. In questo caso, fa per voi il nostro post dedicato alle idee regalo.

    IL NOSTRO PROGRAMMA

    Una volta ottenuta l’idoneità a correre, è il momento di iniziare! Ricordati che il programma è strutturato per essere tarato sulle caratteristiche di ogni soggetto: per questo motivo, la progressione che proponiamo sotto, può essere “aggiustata” (poi spiegheremo come) per rendere il programma alla portata di tutti i soggetti idonei.

    RISCALDAMENTO: partiamo con una parte fondamentale dell’allenamento, grazie al quale si prepara l’organismo alla fase più importante della seduta. Per un principiante, l’ideale sono 5-10’ di camminata (progressivamente a passo svelto), per poi iniziare la parte di corsa che vediamo sotto.

    SEDUTE: il nostro programma è strutturato in 3 allenamenti settimanali, con almeno 1 giorno di riposo tra ogni seduta. Il passaggio alla settimana successiva, va fatto solo se si riesce a “fare con margine” tutte le sedute della settimana in corso. Cosa significa “fare con margine”? Significa finire le sedute avendo ancora energie per proseguire. Se si finisce invece affaticati (al limite), non è un problema; in questo caso, la settimana successiva si ripropone lo stesso programma, per dare la possibilità al proprio organismo di adattarsi al meglio allo step che si sta compiendo. Quello che consiglio, è il variare il più possibile i percorsi, in maniera tale che se anche si effettuerà lo stesso programma, si avrà comunque l’impressione di aver fatto un allenamento meno monotono!

    Settimana introduttiva: la settimana introduttiva la consiglio soprattutto a chi non ha mai corso. Malgrado le prime sedute di corsa siano particolarmente semplici, è possibile, per chi non ha mai corso, sentire un po’ di affaticamento muscolare i giorni successivi, per il fatto di non aver mai abituato i muscoli a tale sforzo. Questa settimana consiste in 4 sedute (una di 40’, una di 50’ e due di 60’) di cammino a passo svelto; queste sedute contribuiranno a dare un minimo di resistenza muscolare locale, utile per smaltire le prime sedute di corsa. Se invece si ha già corso nei giorni che precedono l’inizio del nostro programma, allora si può saltare questa settimana.

    Nell’immagine sotto, potete vedere il nostro programma; nel caso in cui volessi stamparlo, potete scaricarlo in versione-pdf-a-colori e in bianco-e-nero.

    tabella corsa principianti

    CONCLUSIONI E CONSIGLI FINALI

    Chiudiamo con un consiglio fondamentale, relativo alla velocità alla quale correre le varie sedute. Visto che i primi obiettivi saranno quelli di riuscire a portare a termine correttamente le sedute è importante tenere una velocità che consenta di raggiungere tale scopo. L’errore da evitare è quello di partire troppo forte, con il rischio di esaurire precocemente le riserve energetiche.

    Non sei un principiante, ma non riesci a correre ancora per 1 ora? Prova a partire da un punto intermedio della tabella; l’ho divisa in 3 settori colorati proprio per facilitare la comprensione delle difficoltà.

    Quale passo successivo?

    Se sei riuscito a correre i primi tuoi 60′, allora prima di tutto goditi questa personale soddisfazione, magari regalandoti qualcosa che possa servirti per il tuo futuro da runner. Ma se vuoi continuare a diventare un runner migliore, magari frequentando l’ambiente podistico, l’obiettivo successivo potrebbe essere quello di correre la tua prima competizione. Nel nostro post dedicato alla prima gara sui 10 Km troverai tutte le informazioni utili per prepararti al meglio.

    Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi ricevere consigli su come ottimizzare la tua corsa e diventare un runner migliore, allora accedi gratuitamente al nostro Canale Telegram; in più, potrai scaricare la nostra guida su “come scegliere le scarpe per correre“.

    come scegliere scarpe corsa

    Autore dell’articolo: Melli Luca, Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo. Email: melsh76@libero.it

  11. Fartlek mp3 (le playlist)

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    Nel precedente post abbiamo dato le linee guida per l’utilizzo del Fartlek mp3 come mezzo allenante per i runner di qualsiasi livello (e per i diversi periodi della stagione agonistica). Abbiamo anche analizzato le basi scientifiche che ci hanno portato a concludere l’utilità del correre ascoltando la musica, riportando che:

    • Correre con musica piacevole, aiuta a ridurre le tensioni e lo stato di stress associato alla fatica.
    • Induce una maggiore motivazione nell’allenarsi
    • È maggiormente efficace per le donne e tanto minore è il livello d’allenamento.
    • Ascoltata dopo la corsa, aiuta nel recuperare più velocemente lo stato di quiete/rigenerazione

    Nella tabella sotto, sono presentate la varianti possibili (adeguate al podista di ogni livello e periodo della stagione); nel prossimo paragrafo, 3 playlist del nostro Cristian Morelli.

    Fartlek mp3

    Importante: consiglio anche di leggere l’inizio del precedente post in cui vengono indicate le situazioni nelle quali è vietato l’uso degli auricolari.

    LE PLAYLIST

    Partiamo dal presupposto che ognuno ha i propri gusti musicali, ma volendo un consiglio esperto, niente di meglio di un runner con un passato da DJ. Visto che l’hip-pop è sicuramente il genere di musica più adeguata (per la maggior parte delle persone), per trovare il compromesso tra intensità e volume, riportiamo sotto la prima playlist:

    1. Aerials – Sistem of a Down
    2. Go – The Chemical Brothers
    3. Smack my bitch up – Prodigy
    4. Chissenefrega Remix – Club Dogo
    5. What’s my age again – Blink 182
    6. Summertime Sadness – Lana Del Rey
    7. Surfin Bird – The Trashmen
    8. Bring me to life – Evanescence
    9. Funzioni Primarie – Velvet
    10. Born to Run – Bruce Springsteen.

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    Come potrete ben intuire, non sono tutte canzoni con ritmi particolarmente alti; questa è una scelta voluta, per dare al runner una giusta alternanza di carica emotiva e senso di rilassatezza….per finire in crescendo con il Boss! Se invece si vuole rimanere su elevati ritmi emotivi per tutta la seduta, ecco la seconda playlist:

    1 This is the last time – Keane
    2 Surfin Usa – Beach Boss
    3 Livin on a Prayer – John Bon Jovi
    4 Seven Nation Army – White Stripe
    5 Learn to Fly – Foo Fighters
    6 Stop the Rock – Apollo 440
    7 Freedom – Pharrel Williams
    8 Starlight – Muse
    9 L’unica – Perturbazione
    10 Bad Romance – Lady Gaga

    Ricordiamo che su Spotify c’e la sezione running alla quale è possibile accedere gratuitamente ed ascoltare le playlist degli altri runner giá suddivise per argomento; altra ottima alternativa è Amazon Music Unlimited (gratis i primi 30 giorni) con 50 milioni di brani a disposizione da ascoltare ovunque e in qualsiasi momento su tutti i tuoi dispositivi preferiti: smartphone, tablet, PC/Mac e Fire, il tutto senza pubblicità. Grazie alla modalità offline puoi scaricare la tua musica preferita ed ascoltarla senza connessione ovunque tu sia. Amazon Music Unlimited impara a conoscerti, riceverai suggerimenti personalizzati in base alla musica che ascolti.

    L’ultima playlist è per tutti gli amanti del Rock a 360°!

    1. Paradise City – Gun’s Roses
    2. Somewhere I Belong – Linkin Park
    3. Thunderstrack – AC DC
    4. Tutti i miei sbagli – Subsonica
    5. Viva la Vida – Coldplay
    6. Parallele Universe – Red Hot Chili Peppers
    7. Don’t stop me now – Queen
    8. Song 2 – Blur
    9. Paranoid – Black Sabbath
    10. 1979 – Smashing Pumpkins

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    ACCESSORI

    Se vuoi vedere i migliori accessori per ascoltare la musica mentre corri, ti consigliamo di leggere l’ultima parte del primo articolo sul Fartlek mp3; potrai trovare i migliori prodotti (per qualità prezzo) relativi alle fasce fa braccio portacellulare e cuffie bluetooth.

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  12. Il Fartlek mp3

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    (Aggiornato al 03/12/2022)

    Oggi analizziamo un mezzo d’allenamento estremamente motivante; se piace correre con la musica o se semplicemente si vuole provare ad utilizzare le “cuffie” in allenamento, questo è il mezzo ideale! Possiamo considerare il “Fartlek mp3” come un allenamento che unisce i vantaggi del “correre in libertà” (tipici del Fartlek) a quelli della corsa con la musica. Se le caratteristiche del fartlek le abbiamo già sviscerate nel post specifico, nel prossimo paragrafo andremo ad approfondire quelle che sono le evidenze scientifiche sull’allenamento con la musica. Affronteremo poi 3 varianti di questo “ingrediente dell’allenamento”, per poi dare qualche consiglio sulle apparecchiature che possono essere utilizzate per ascoltare la musica mentre si corre. Nel post successivo invece, vi forniremo alcune playlist del nostro runner (ed ex DJ) Cristian Morelli.

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    N.B.: attualmente il codice della strada vieta l’uso delle cuffie quando si corre o si cammina sulla carreggiata! In gara è vietato nelle gare su pista; nelle competizioni su strada è vietato per gli atleti che sono in lizza per piazzamenti di rilievo, premi, titoli o classifiche a squadre.

    BIBLIOGRAFIA INTERNAZIONALE: ASCOLTARE LA MUSICA MENTRE SI CORRE

    Gli studi che approfondiscono questa materia, sono particolarmente recenti. Il primo studio condotto su atleti risale al 1998 (Szmedra e coll) e ha rilevato che a basse intensità di corsa, il correre ascoltando la musica, riduce la tensione muscolare incrementando il flusso ematico nei muscoli promuovendo lo smaltimento del lattato. Gli studi successivi sono arrivati solo dopo il 2010, primo dei quali, quello di Baldari e coll 2010, in cui si vide che ascoltare la musica mentre si corre, riduce lo stato di stress che si correla con lo stato di fatica; questo ha come conseguenza quello di indurre una maggiore motivazione nell’allenarsi in soggetti poco allenati (Alter e coll 2015). Ulteriori studi hanno confermato che gli effetti positivi della musica sono maggiori quanto minore è il livello di allenamento dei soggetti (probabilmente perché i soggetti allenati percepiscono il correre meno “stressante”) e nelle donne (Cole e coll 2015, Van Dick e coll 2015). Per ultime, citiamo 2 ricerche che hanno evidenziato gli effetti della corsa sulla performance di 5 Km (Bigliassi e coll 2015, Lee e coll 2014).

    2

    Dai dati sopra citati (che sono comunque ancora pochi per avere conclusioni definitive), possiamo concludere che ascoltare la musica mentre si corre contribuisce a ridurre la percezione dello sforzo (e in alcuni casi può migliorare la performance); tale effetto è evidente nei soggetti meno allenati e nelle donne. Gli effetti positivi, sono maggiori nei primi minuti dello sforzo, dopo lo sforzo (miglioramento del recupero) e se si corre lentamente. È consigliabile comunque non utilizzare le cuffie in gara (in passato sono state anche vietate, considerate come doping) perché possono distrarre l’atleta mentre corre in mezzo ad altri, incrementando il rischio di infortuni. Una volta giunti a queste conclusioni è lecito chiedersi:

    può essere proficuo (e come) ascoltare la musica in allenamento?

    Sotto riportiamo un mezzo d’allenamento che riteniamo interessante per i runner di qualsiasi livello!

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    IL FARTLEK mp3

    Il Farlek (che in Svedese significa “Gioco di velocità”) è una metodica d’allenamento in cui si variano le velocità per incrementare la capacità dell’organismo di lavorare ad intensità (muscolari e metaboliche) elevate. La forma più elementare è quella nella quale vengono utilizzate (nella parte fondamentale della seduta) 2 velocità.

    La VERSIONE DI BASE (del Fartlek mp3) è dedicato ai principianti e agli amanti della corsa che si allenano senza pretese prestative. La fase centrale (il riscaldamento andrebbe fatto con musica rilassante o senza musica) consiste in una playlist di 10-12 canzoni di circa 3-4’, in cui si corre a velocità medio/alta nei primi 2’ (senza andare in affanno respiratorio) e a velocità lenta nel restante periodo della canzone. Il defaticamento va fatto di 5-8’ con musica rilassante. L’indicazione sulla velocità da tenere è comunque grossolana, visto che non è un mezzo dedicato a chi corre per gareggiare; è consigliabile anche per gli agonisti, nel periodo di rigenerazione o nelle prime fasi della preparazione quando non si hanno ancora dei ritmi gara di riferimento (e non si è ancora in forma)….praticamente tutte le volte in cui la condizione atletica è indefinita e di conseguenza, la monitorizzazione del carico è affidata principalmente alle sensazioni soggettive!

    5La VERSIONE INTEMREDIA è dedicata ai runner agonisti, quindi la palylist è da programmare con attenzione, con musica particolarmente “carica” e piacevole. La playlist è di 10-15 canzoni (dipende dalla condizione di forma) di 3-4’ e si corre velocemente nei primi 2’ (RG10Km-RGmaratonina) e di corsa lenta/blanda nel restante periodo della canzone. Com’è possibile vedere, rispetto alla variante di base, la parte intensa è più definita, cioè compresa tra il Ritmo gara dei 10 Km e quello della maratonina; se si ha alle spalle (nel breve periodo) una sola delle 2 gare, è sufficiente scalare 15”/Km. Ma facciamo un esempio per chiarire meglio.

    Se ho alle spalle una gara di 10 Km (all’interno dello stesso periodo preparatorio) corsa in 40’, il mio RG10Km sarà di 4’00”/Km. Di conseguenza il ritmo intenso da tenere nella fase intensa del Fartlek mp3 sarà compresa tra 4’00” e 4’15”/Km. A questo link potete scaricare un utilissimo foglio di calcolo (basato sulla formula di Ranucci-Miserocchi) per estrapolare i Ritmi gara (compreso il RG10Km) da distanze varie.

    La VERSIONE AVANZATA invece è da preferire in quei periodi in cui si vuole lavorare sui ritmi gara specifici… mantenendo le impostazioni di base del Fartlek, cioè senza riferirsi a ritmi troppo precisi, ma regolati in parte dalle sensazioni soggettive. Oltre ai ritmi più specifici, anche il tempo delle canzoni sarà più specifico (esistono dei programmi scaricabili gratuitamente online che permettono di “tagliare” le canzoni nel punto che si preferisce). Riportiamo sotto, 3 esempi:

    • Preparazione gare di 5 Km: 8/10 canzoni di 3’-3’30”, correndo 2’ al RG 5Km e il restante di corsa blanda.
    • Preparazione gare 10 Km: 12/15 canzoni di 3’-3’30”, correndo 2’ al RG 10Km e il restante di corsa blanda.
    • Preparazione maratonine: 15/18 canzoni di 3’30”-4’, correndo 3’ al RGmaratonina e il restante di corsa blanda.

    Ma quali mezzi utilizzare per la monitorizzazione dello sforzo? GPS? Fatica percepita? Lo “spirito” del Fartlek è quello di regolare l’intensità dello sforzo secondo la fatica percepita, quindi l’indicazione principale è questa; poi, chi ha a disposizione un GPS è possibile gestire il ritmo dei tratti intensi al ritmo Gara Teorico (vedi sopra citazione della formula Ranucci-Miserocci) “più o meno” 5-7”/Km. Per quanto riguarda la variante riguardante la maratonina, consigliamo di regolarsi prevalentemente sulla “fatica percepita”, perché (come già segnalato nel documento sulle corse continue) a ritmi intensivi/estensivi perdurati nel tempo (la parte centrale della seduta può durare anche più di 1 ora) il rischio di partire ad intensità troppo elevate, può compromettere la parte finale della seduta.
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    RIASSUNTO CONCLUSIVO

    Le 3 varianti del Fartlek mp3 vanno incontro ad ogni tipologia di podista (in diversi momenti del periodo della stagione), direzionando lo stimolo allenante verso la Velocità di Gara in maniera più o meno specifica. Il vantaggio, rispetto alle normali Ripetute, è relativo all’aspetto emotivo (indotto dall’ascolto della musica) che è in grado di indurre (soprattutto nei soggetti meno allenati e nelle donne) una minore percezione dello sforzo. Lo svantaggio è relativo al fatto che “sostituisce” solo una parte dello spettro allenante delle Ripetute (cioè quello indotto dalle Ripetute Medie).

    ACCESSORI

    I benefici della corsa con la musica sono legati anche alla qualità del dispositivo che si utilizza mentre si corre; purezza del suono, ingombro minimo e stabilità degli auricolari sono elementi fondamentali affinchè l’esperienza dell’allenamento risulti gradevole. Non tutti hanno la stessa conformazione del padiglione auricolare, quindi è possibile che alcuni device siano ottimi per alcuni soggetti, mentre non lo siano per altri. Di seguito elencheremo quelli che attualmente sono i migliori prodotti per le diverse esigenze.

    Mentre una volta, si utilizzavano principalmente i lettori mp3, oggi la maggior parte delle persone tiene le canzoni nello smartphone, quindi può tornare utile l’abbinamento di fascia da braccio portacellulare a cuffie bluetooth leggere.

    fascia braccio running haisskyPer le fasce sportive da braccio è fondamentale utilizzare modelli specifici per il proprio smartphone; è quindi bene controllare sempre se la fascia è portata per le dimensioni del modello del proprio cellulare. Inoltre, è importante che la regolazione della fascia permetta di tenere fermo il portacellulare al braccio, che le cuciture siano resistenti e la parte elastica del prodotto non si sfibri velocemente. I migliori modelli attualmente in commercio, utilizzano anche pellicole protettive che permettono di poter effettuare operazioni touch sullo schermo del proprio smartphone senza rimuoverlo dalla custodia. L’impermeabilità è una caratteristica molto importante, per impedire che il sudore e l’umidità entrino all’interno dell’involucro; per quanto riguarda invece l’impermeabilità dagli agenti atmosferici (soprattutto pioggia forte), a mio parere, è impossibile garantirla. In base a quello che attualmente offre il mercato, per rapporto qualità prezzo, consigliamo la fascia sportiva da braccio Haissky.

    Per quanto riguarda le cuffie bluetooth, è fondamentale che non siano ingombranti, che rimangano ben fissate, che tengano bene la carica e che abbiano una buona qualità audio (riduzione del rumore).

    cuffie bluetooth runningAttualmente il prodotto con il miglior rapporto qualità/prezzo sono le Cuffie Bluetooth Sport Rulefiss; la qualità principale è l’utilizzo della tecnologia Bluetooth 5.3, caratterizzata da un accoppiamento che garantisce una trasmissione più efficiente dei dati audio. Gli stessi componenti acustici, offrono uno stereo HiFi particolarmente stabile.

    L’appartenenza alla Classe energetica A+++ caratterizza queste cuffie di un’alta efficienza, che consente 42 ore di riproduzione. L’adattabilità all’anatomia dell’orecchio è facilitata da ganci morbidi e flessibili, e dalla dotazione di 3 diversi tappi in silicone.

    Ma la tecnologia oggi si è spinta ancora più avanti, verso la ricerca di prodotti che vanno incontro alle esigenze più accurate dei runner; con gli Auricolari a conduzione ossea è possibile avere l’orecchio libero (non ci si isola dall’ambiente circostante) perché si appoggiano anteriormente al padiglione, risultando più comode ed igieniche.

    auricolari conduzione ossea corsaLe Shokz OpenRun appartiene all’8° generazione di questi prodotti (PremiumPitch 2.0+) che nel tempo ha notevolmente perfezionato la qualità audio rispetto le prime versioni. Le caratteristiche principali sono il fatto di essere leggere (26g) ed impercettibili mentre si fa sport. Come la maggior parte di questi apparecchi, hanno una lunga autonomia (8 ore) e sono impermeabili (comunque non adatti al nuoto). Inoltre, il marchio è partner riconosciuto dall’England Athletic, a dimostrazione dell’elevata qualità del prodotto.

    Cuffie o auricolari a conduzione ossea?

    Immagino che possa sorgere questo dubbio; le cuffie rappresentano una soluzione più tradizionale, che ha portato ad incrementare, nel tempo, il rapporto qualità/prezzo. In altre parole, garantiscono una migliore qualità del suono ed hanno costi più contenuti.

    Ma gli auricolari a conduzione ossea nascono prevalentemente come esigenza alternativa, cioè per coloro che non si trovano a proprio agio con le cuffie. Non solo, questi prodotti sono particolarmente consigliati in quei casi in cui è importante sentire anche i rumori ambientali (come quando si corre per strada) per ridurre qualsiasi tipo di rischio.

    Nel prossimo post, alcune playlist del nostro runner/DJ Cristian Morelli.

    Se ti è piaciuto l’articolo rimani in contatto con tutte le nostre pubblicazioni (ed aggiornamenti) iscrivendoti gratuitamente al nostro Canale Telegram mistermanager_running; oltre a poter leggere contenuti esclusivi (per isoli iscritti al canale), potrai scaricare la nostra guida sulla scelta delle scarpe da running.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  13. Correre ed Allenarsi in quota

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    Il post di oggi lo dedichiamo alla mia Tesi di Specializzazione di Laurea (Scienze Motorie) del 2004. Gli argomenti (strettamente collegati) sono 2:

    • Il primo è relativo all’approfondimento della disciplina dello Skyrunning (ma molti concetti sono assimilabili anche al “mondo Trail”) e all’allenamento per le competizioni.
    • Il secondo è relativo all’allenamento in quota per migliorare le prestazioni a livello del mare.

    skyrunning_Plaid-ZebraEssendo una tesi del 2004, alcuni concetti possono risultare poco aggiornati, ma altri sono più che mai attuali. Le pagine sono 82, e l’indice iniziale può sicuramente aiutare a “sfoltire” (nella lettura) le parti più o meno interessanti. Ovviamente, il linguaggio è scientifico, ma credo che la maggior parte dei lettori possa avere le basi per comprendere quanto scritto. Sotto riportiamo alcuni estratti ed immagini delle parti che ritengo più interessanti ed attuali. In fondo al post sarà comunque possibile scaricare la Tesi in formato integrale, e se qualcuno vorrà interagire portando il proprio contributo (o semplicemente chiedere spiegazioni) potete mandarmi una mail o commentare in fondo.

    PRIMA PARTE (Lo skyrunning)

    Inizialmente vengono analizzate le caratteristiche delle prove del SKYRUNNER WORLD CHAMPIONSHIP del 2004 per analizzare quelle che sono le richieste “oggettive” a cui va incontro uno Skyrunner; è un’analisi che viene fatta in tutte le discipline, per definire quello che è il Modello funzionale di uno sport. Successivamente si analizza la risposta (a riposo e sottosforzo) di un organismo impegnato in gare di endurance in situazione di alta quota, che non tiene solo in considerazione dell’ipossia (cioè alla carenza di ossigeno dovuta alla rarefazione dell’aria), ma anche di tutto il contesto ambientale/atmosferico. La parte successiva riguarda il contesto tecnico/atletico che va a formare il Modello funzionale, finendo con gli aspetti medici, sociali e psicologici della disciplina. Ultima parte rappresenta ovviamente la programmazione dell’allenamento, dalla strutturazione della stagione, alle singole sedute che andranno a formare l’intero programma. Sotto riportiamo le conclusioni alla prima parte:

    Tabella dei fattori ritenuti importanti per la prestazione dello Skyrunner
    Tabella dei fattori ritenuti importanti per la prestazione dello Skyrunner

    L’ipossia comporta un abbassamento della saturazione di ossigeno nel sangue con un peggioramento delle prestazione di endurance oltre i 2 minuti di durata. Le modificazioni che incontra l’organismo a seguito di un’esposizione ad alta quota dipende da molti fattori tra i quali la quota considerata, il grado di allenamento, l’abitudine all’altura, il tipo di allenamento svolto in altitudine, il tempo di esposizione ed eventuali tratti genici acquisiti, l’etnia considerata oltre a differenze interindividuali. Con il passar dell’esposizione l’organismo, tramite i processi di aggiustamento/acclimatazione/adattamento, riesce a compensare (anche se mai del tutto) le conseguenze di una ridotta pressione parziale di ossigeno. L’esposizione cronica, in particolare a quote medio alte, non supportata da un allenamento aerobico ad alta intensità comporta un peggioramento degli elementi molecolari responsabili della produzione aerobica di energia.

    Copyright (C) 2012 Hendrik Bottger
    Copyright (C) 2012 Hendrik Bottger

    I fattori che possono influenzare maggiormente la performance dopo periodi di acclimatazione possono essere considerati il miglioramento del sistema respiratorio (risposta ventilatoria ipossica, rendimento dei muscoli respiratori, ecc.) e l’aumento della quantità circolante emoglobina.

    Lo skyrunning si può quindi considerare come una disciplina relativamente giovane, di endurance a importante componente tecnico/tattica che in alcuni casi può assumere connotati di “sport estremo”.

    SECONDA PARTE (Allenamento in altitudine)

    Se la prima parte era rivolta a tutti i podisti (di qualsiasi livello) che si cimentano in Skyrace e Trail, questa seconda è dedicata a chi si allena in quota per ottenerne benefici a livello del mare. Malgrado questa sia una pratica abbastanza diffusa, a livello scientifico l’evidenza degli effetti è molto modesta, dovuta al fatto che la strutturazione dell’allenamento in tali condizioni deve essere particolarmente individualizzato. Tra le varie strategie, il Living-High Training-Low (cioè risiiedere in alta quota e allenarsi a quote inferiori) è sicuramente la più efficacie, visto che minimizza la penalizzazione dell’allenamento in quota (che determina un ovvio scadimento della capacità prestativa), ma mantiene lo stimolo della produzione mi emoglobina. Nei vari capitoli, ovviamente viene analizzata anche la programmazione dell’allenamento di atleti di alto livello e soprattutto la valutazione della condizione atletica e di salute in risposta allo stress ambientale dell’alta quota. Sotto riportiamo le conclusioni alla prima parte:

    Tabella riassuntiva e semplificata dei concetti fondamentali da tenere in considerazione per la strategia di allenamento in altitudine
    Tabella riassuntiva e semplificata dei concetti fondamentali da tenere in considerazione per la strategia di allenamento in altitudine

    “L’ipotesi scientifica sull’efficacia dell’allenamento in altitudine per migliorare la capacità di prestazione a livello del mare parte dal presupposto che una tale carenza di ossigeno (ipossia) di lieve entità rappresenta uno stimolo di allenamento aggiuntivo e/o che l’acclimatazione all’altitudine sollecita un incremento della capacità di prestazione.”
    L’allenamento in altitudine rappresenta quindi una riserva di prestazione, poiché con esso possono essere prodotti stimoli allenanti superiori a quelli prodotti dai normali metodi di allenamento, anche se la priorità spetta al carico di allenamento. Nonostante questo per ottimizzare il controllo dell’allenamento in altitudine sono necessari ulteriori ricerche con atleti di altissimo livello con adeguati gruppi di controllo. Il fatto maggiormente certo è che la predisposizione individuale all’allenamento in altitudine riveste un ruolo significativo sull’esito del successo di tale strategia. Un buon stato di salute e di freschezza psicofisica sono condizioni necessarie prima di intraprendere un periodo di allenamento in altura.

    Il metodo di esposizione all’ipossia maggiormente utilizzato oggi in Italia è quello del “living-high training-high” anche se molte volte le tipologie di soggiorno/allenamento possono subire delle variazioni a seguito di fattori climatici e logistici. Dal punto di vista scientifico invece la metodologia più efficace sarebbe la “living-high/training low”. Questi 2 metodi sono quelli su cui si hanno le maggiori rilevanze statistiche; ne esistono altri soprattutto con l’uso di tende o camere che necessitano ancora di ulteriori studi.

    SCARICA LA TESI

    PER CHI VUOLE APPROFONDIRE

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

     

  14. MOVIMENTO SPECIFICO FUNZIONALE: Recensione

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    L’anno scorso, mi venne chiesto da un collega (allenatore di Esordienti, II° anno) del materiale riguardante la gestualità tecnico/coordinativa del difensore; infatti, quando si inizia la didattica della difesa non è sufficiente focalizzare l’apprendimento sul “quando” muoversi, ma anche sul “come” muoversi. MSF (Movimento Specifico Funzionale, di Claudio Donatelli; Calzetti e Mariucci editori) rispendeva proprio a questa esigenza!

    L’atteggiamento posturale del difensore (in fase di non possesso palla) e il modo di muoversi deve essere appreso in maniera analitica, pena la perdita di istanti fondamentali nell’azione di gioco

    Ovviamente è necessario lavorare prima sui prerequisiti coordinativi e motori, e successivamente anche sull’applicazione di questa gestualità (analitica) in situazione.

    MSF bottone jpeg

    Il libro di Claudio Donatelli affronta proprio tutti questi aspetti, partendo dallo sviluppo delle catene muscolari attraverso esercizi di Resistenza Muscolare Locale specifici (come gli affondi ed andature), passando dagli elementi coordinativi (frequenza dei passi) per poi iniziare ad affrontare la gestualità analitica del difensore. Il tutto, viene poi “trasformato” con esercitazioni situazionali (fase tattica)!

    Ma il testo non è utile solamente per la didattica difensiva; all’interno sono presenti veramente tanti spunti sia per l’allenamento analitico, che globale della rapidità (per tutti i ruoli)! Elemento fondamentale è il DVD, (47’ con ottima definizione ed audio) che permettere di comprendere al meglio le esercitazioni proposte dall’autore. Ricordiamo inoltre che l’autore ha deciso di devolvere i propri proventi a Save The Children!

    MSF (Movimento Specifico Funzionale) è indispensabile per tutti gli staff delle categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva; non è comunque un libro di nicchia, ma veramente utile a tutti allenatori e preparatori che curano l’aspetto neuromuscolare del calciatore a secco e con palla. Qui sotto riportiamo la Tabella riassuntiva dei giudizi:

    MSF

    ORIGINALITA’ DEI CONTENUTI: la parte più interessante del video è proprio l’apprendimento della gestualità analitica dei movimenti difensivi, che sinceramente non ho mai trovato in altri testi.

    GRADO DI APPROFONDIMENTO DEI CONTENUTI: i contenuti più “curati” (soprattutto nel video) sono proprio gli elementi difensivi; di pregio, il link tra l’aspetto analitico dei movimenti a quello “situazionale!.

    FACILITA’ DI APPLICAZIONE DEI CONTENUTI: tutti i mezzi affrontati nel libro/video sono applicati in campo, quindi non richiedono nessuna attrezzatura esterna che non siano palloni e cinesini. Inoltre tutti i concetti sono spiegati con la massima chiarezza.

    RAPPORTO QUALITA’/PREZZO: anche non essendoci la versione digitale del libro i 20 Euro del formato cartaceo+DVD sono ottimamente spesi. Comprandolo su Amazon, si può avere un discreto sconto. Clicca sul pulsante qui sotto per acquistarlo su Amazon

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    RECENSIONI DI ALTRI PRODOTTI

    Importante: i giudizi dei libri che recensiamo riflettono quello che è la nostra opinione. Di conseguenza recensiamo solamente testi che abbiamo letto, approfondito e soprattutto che ci sono piaciuti.

    • L’ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA
      VELOCITA’
      : analisi del metodo d’allenamento per la forza basato sul “Tempo sotto tensione muscolare”. Gli effetti sono su tutti i tipi di forza, con elevato impatto sulla prevenzione infortuni e rapido recupero funzionale dopo la seduta.
    • STUDIARE GLI AVVERSARI….E SE STESSI: il testo aiuta a comprendere come la Match Analysis può aiutare a migliorare l’allenamento e l’approccio alla partita.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  15. Recensioni libri: ALLENAMENTO DELLA FORZA A BASSA VELOCITA’

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    Inauguriamo oggi una nuova rubrica dedicata alla recensione di “utility” per chi si occupa delle materie trattate nel nostro blog, cioè calcio, corsa e alimentazione. Iniziamo con la recensione di un testo del 2012, cioè l’Allenamento della Forza a bassa velocità (di Giampietro Alberti, Maurizio Garufi e Nicola Silvaggi), i cui principi sono già stati già approfonditamente sviscerati nei post specifici (prima e seconda parte). In questi post abbiamo confrontato questo approccio con gli Esercizi Alberti_AllenamentoForza_copertina_4luglioStatico Dinamici, trovando parecchie analogie, malgrado l’origine dei 2 metodi fosse completamente diversa. Riportiamo sotto le conclusioni a cui eravamo giunti:

    Nello specifico è stata riscontrata la capacità di incrementare/mantenere i vari indici di forza (massa muscolare, forza massima, esplosività, ecc) di entrambe le fibre muscolari, accoppiate ad un basso rischio di infortuni (da sovraccarico ed acuto) e un rapido recupero funzionale.

    Il testo è rivolto prevalentemente a: preparatori atletici, studenti di Scienze Motorie, istruttori di palestre, appassionati di pesistica/body building e allenatori che curano (nella loro attività) anche l’aspetto atletico. Il capitolo più interessante è sicuramente l’ottavo, perché illustra la variante (del metodo) più semplice, riportando la contestualizzazione nell’allenamento di atleti (tra i quali Nicola Vizzoni) di livello mondiale.

    ORIGINALITA’ DEI CONTENUTI

    L’allenamento della forza a bassa velocità descrive un metodo che sfrutta prevalentemente un singolo tipo di adattamento (cioè quello miogeno), rispetto agli altri metodi che sfruttano anche quello neurogeno.

    GRADO DI APPROFONDIMENTO DEI CONTENUTI

    Il testo sviluppa in maniera estremamente dettagliata sia la teoria (cioè l’aspetto fisiologico) che la pratica (diversi riscontri da parte di atleti di livello mondiale) di questo metodo.

    FACILITA’ DI APPLICAZIONE DEI CONTENUTI

    Tra i 2 metodi descritti, cioè la Serie Lenta a Scalare e la Forza a Bassa velocità, il secondo è sicuramente quello più facile da applicare nell’allenamento quotidiano, perché non richiede assistenza nei sollevamenti.

    RAPPORTO QUALITA’/PREZZO

    Purtroppo non esiste la versione digitale del libro (probabilmente perché è di 4 anni fà), ma i 20 Euro del formato cartaceo sono più che spesi bene; inoltre, comprandolo su Amazon, si può avere un discreto sconto. Clicca sull’immagine qui sotto per acquistarlo su Amazon

    ALTRI PRODOTTI RECENSITI:

    Importante: i giudizi dei libri che recensiamo riflettono quello che è la nostra opinione. Di conseguenza recensiamo solamente testi che abbiamo letto, approfondito e soprattutto che ci sono piaciuti.

    • MFC (Movimento Specifico Funzionale): indispensabile per tutti gli staff delle categorie giovanili (in particolar modo Giovanissimi ed Esordienti) che per prime affrontano la didattica difensiva; non è comunque un libro di nicchia, ma veramente utile a tutti allenatori e preparatori che curano l’aspetto neuromuscolare del calciatore a secco e con palla.
    • Studiare gli avversari…e se stessi: un libro per dilettanti e professionisti del calcio.

     

  16. Running: alleniamo le componenti neuromuscolari con i ”saliscendi”

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    Come approfondito nella variante Rollercoster dei Lunghi (Lunghi con saliscendi finali), l’alternare salite e discese a ritmi medi è un forte stimolo allenante per tutte le componenti neuromuscolari del podista (Forza e Velocità), unitamente alle componenti metaboliche. Se nel mezzo sopra citato, i saliscendi a ritmi medi venivano affrontati nel finale di corsa, oggi approfondiamo un mezzo che sfrutta questo stimolo per tutto l’allenamento.

    Senza nome

    Scarica il Documento sui SALISCENDI

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  17. Allenamento Running: la Velocizzazione dei Ritmi

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    La volontà di incrementare i propri ritmi di gara con l’inserimento in allenamento di prove ripetute non sempre sortisce effetti positivi (si può andare incontro ad affaticamenti o infortuni), soprattutto se queste vengono protratte nel tempo senza un adeguato criterio di prerequisiti e progressività. Infatti le prove ripetute (soprattutto quelle superiori al Km) sono allenamenti che sollecitano in maniera importante tutte le componenti della performance (metabolica, neuromuscolare e soprattutto ormonale), necessitando diversi giorni di recupero tra una seduta (di questo tipo) e l’altra. Ancor più delicato è il discorso quando si gareggia; le gare comportano per l’organismo un impegno ancor maggiore di quello delle ripetute. Allora quali sono le leggi dell’allenamento e i mezzi che permettono di lavorare al meglio sulla velocità di gara, minimizzando il rischio di infortuni e di affaticamenti che non sortirebbero gli effetti allenanti voluti?

    Senza nome

    Nel documento odierno cercheremo di analizzare alcuni mezzi che possono fare al nostro caso che abbiamo già approfondito in passato come:

    • Fartlek
    • Ripetute Brevi e medie

    aggiungendo altri 2 protocolli come:

    • Le Ripetute Brevi di Salazar
    • Il test di Yasso per la maratona

    Scarica il documento sulla Velocizzazione dei ritmi

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  18. Le varianti “LUNGO” del Runner

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    I “Lunghi” sin dall’epoca di Arthtur Lydiard, rappresentano alcuni degli ingredienti fondamentali (insieme al Fartlek, alle ripetute, alle Salite, ecc.) del podista. L’evoluzione dell’allenamento ha portato nel tempo a perfezionare questo “ingrediente”, in particolar modo in relazione al periodo della preparazione, al tipo di gara preparata e agli obiettivi complementari che si vogliono dare a questo tipo di sedute. Nel documento odierno, cercheremo di partire dalla visione più “classica” del “lungo” per poi contestualizzarlo in maniera opportuna in base alle proprie esigenze. Già nel documento dedicato alle Corse continue abbiamo dato alcune indicazioni su come inserirlo e strutturarlo all’interno della stagione. Infatti, nella prima parte di stagione (fase Generale) è un mezzo che contribuisce ad innalzare il potenziale Aerobico di base del runner, ma è nelle fasi successive che acquisisce una specificità nei confronti della gara preparata. Preparare una gara di 10 Km è diverso da preparare una maratona, e i “lunghi” utilizzati ovviamente differiscono per lunghezza, intensità e variabilità dei percorsi.

    Schema lunghi

    Ovviamente non ci addentreremo in approfondimenti già effettuati per le distanze specifiche, ma cercheremo di elencare le varianti che possono “tornare utili” nei vari periodi della stagione. Per rendere l’approccio più schematico ed intuitivo, cercheremo, per ogni mezzo, di indicarne “l’Utilità” (definendo quello che allena…oltre al Potenziale Aerobico), il “Quando” inserirlo nel programma d’allenamento e il “Come” effettuare l’allenamento (cioè quali devono essere le caratteristiche della seduta).

    Scarica il documento dedicato ai Lunghi variati

    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  19. Natural running e scarpe minimaliste (seconda parte)

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    Dopo aver analizzato (nella prima parte) gli esiti delle ricerche sull’argomento e le proposte delle case produttrici ASICS e INOV, andremo a trarre alcune conclusioni ed indicazioni per l’allenamento con questo tipo di calzature.

    Il concetto di base è che l’utilizzo di scarpe minimaliste comporta uno stimolo allenante aggiuntivo, che da un lato può incrementare le qualità neuromuscolari, mentre dall’altro può (se lo stimolo indotto è eccessivo per le qualità strutturali e muscolari dell’atleta) incrementare il rischio di infortuni.

    Da qui la necessità (per chi volesse provarle) di un approccio graduale e personalizzato! Ma esiste la garanzia che con l’introduzione in allenamento di queste scarpe ci sia un miglioramento della performance? Nel documento odierno alcune argomentazioni interessanti.

    scarpa

    Scarica il documento

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    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  20. Quanto incidono gli infortuni sul risultato finale?

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    Oggi affrontiamo un argomento molto importante (l’influenza sul risultato degli infortuni nel calcio), approfondendo una ricerca del 2013 che si prefigge di valutare se esiste correlazione tra tasso di infortuni e risultato nel calcio (vedi in fondo alla pagina i dettagli bibliografici). Diverse ricerche in passato avevano trovato correlazione tra infortuni e risultati con maggiore incidenza nei campionati delle nazioni calcisticamente più evolute, mentre non era stata trovata correlazione in tornei di nazionali giovanili e ai campionati di nazionali calcisticamente meno evolute.

    ricerca

    CARATTERISTICHE DELLA RICERCA

    Allo studio hanno partecipato le maggiori 27 squadre che hanno partecipato con regolarità alla UEFA Champions League dal 2001 al 2012. Il “risultato” era definito in base a 3 variabili:

    • Coefficiente UEFA
    • Media punti per partita
    • Classifica finale del campionato a cui si partecipa

    Le variabili relative agli infortuni invece erano le seguenti:

    • Numero di infortuni
    • Assenza in allenamenti e partite causa infortuni
    • Disponibilità dei giocatori nelle partite di Campionato e Coppe.

    L’unicità di questa ricerca ricerca (in confronto alle precedenti), è che correla 3 indici che caratterizzano gli infortuni con 3 indici che caratterizzano la performance, fornendo un’idea ben più vasta del fenomeno (proprio perché si basa su più variabili), rispetto alle precedenti indagini.

    RISULTATI

    Risultato 1: venne trovata una correlazione significativa tra un basso rischio di infortuni e le classifiche finali del campionato nazionale e competizioni europee per club. In altre parole, maggiore è il tasso di infortuni e minore è la probabilità di giungere ai primi posti dei campionati/tornei a cui si partecipa.

    Risultato 2: tramite l’utilizzo di più indici si è anche compreso che gli infortuni possono avere anche un “peso” diverso; cioè quelli che determinano una più lunga fase di ritorno alle competizioni sono quelli che maggiormente penalizzano le classifiche finali; quindi c’è da prestare particolare attenzione agli infortuni più gravi, come le lesioni ai posteriori della coscia, pubalgie e lesioni capsulo/legamentose (ginocchio e caviglie).

    squadre

    I risultati possono apparire scontati, ma ciò non lo è, visto che dai risultati di passate ricerche, i risultati erano contrastanti. Grazie all’analisi di più variabili, questo studio ha permesso di avere un approccio per la prima volta più approfondito. Il limite ovviamente è che “il campione della ricerca” erano i Top Team europei, quindi non è detto che tali considerazioni possano essere estese anche a livelli inferiori. In ogni modo è possibile ipotizzare che

    maggiore è l’omogeneità prestativa (tecnico-tattico-atletica) in un determinato contesto (campionato, torneo, ecc.) e maggiore sarà la differenza che l’approccio agli infortuni apporterà nei confronti dei risultati stagionali.

     

    CONCLUSIONI E SPUNTI APPLICATIVI

    penultimaPurtroppo l’analisi statistica della ricerca non evidenza la regressione tra performance ed infortuni, cioè di quanto (in termini di punti in un campionato o torneo) un determinato infortunio può influire. La significatività della correlazione dei 2 fenomeni (performance ed infortuni) è fondamentale per considerare, per i Top Club europei, l’investimento delle proprie risorse verso un corretto approccio a questo fenomeno!

    A tutti i livelli (compresi quelli dilettantistici), il rapporto tra performance ed infortuni implica un approccio multifattoriale che tenga in considerazione i seguenti aspetti:

    • Prevenzione primaria: pratica orientata alla prevenzione generale (cioè indifferenziata) degli infortuni. Già nel post dedicato al ruolo del preparatore atletico abbiamo trattato come questo aspetto sia di primaria competenza del preparatore.
    • Prevenzione secondaria: pratica preventiva individualizzata e finalizzata a quelle strutture anatomiche a rischio di recidive. Le recidive più frequenti sono le distorsioni (caviglie), lesioni muscolari (in particolar modo ischiocrurali), pubalgie (adduttori/diassetti del bacino), gonalgie (instabilità ginocchio) e le varie patologie da sovraccarico (come le tendinite).
    • Individuazione precoce dell’aumento del rischio: se alcuni infortuni possono avvenire (apparentemente) improvvisamente, per altri la sintomatologia ha un decorso progressivo (basti pensare alle pubalgie). Se a livello professionistico questo aspetto è abbastanza preciso e standardizzato (essendoci più figure professionali e metodi di indagine medica), a livello dilettantistico molto viene lasciato all’improvvisazione e all’esperienza. Chi si occupa dell’aspetto atletico (preparatore, massaggiatore, ecc.) deve avere un’accurata sensibilità nell’individuazione precoce dei fattori di rischio, cosa che prevede anche una “comunicazione” adeguata tra personale/giocatore e coraggio nel fermare un atleta a rischio, mettendo al secondo posto l’esigenza del risultato.
    • Intervento tempestivo post-infortunio, adeguata e veloce rieducazione-riabilitazione senza rischi di recidive: è un fattore che coinvolge più figure professionali (da chi soccorre l’atleta a chi si occupa della rieducazione), la cui “professionalità” e competenza determina il successo di un ritorno in campo senza rischi di recidive, con un protocollo di prevenzione secondaria (vedi secondo punto sopra) adeguata.
    • Massima collaborazione da parte dell’atleta: sembra un fattore secondario, strettamente dipendente dal “carattere” ed esperienza del giocatore. Se però, chi si occupa della parte fisico-atletica si dimostra competente, attento e professionale, sicuramente otterrà il massimo ascolto e disponibilità da parte dei giocatori!

    Concludo ribadendo che un corretto e professionale approccio (a qualsiasi livello) agli infortuni non è solo un fatto che riguarda “il risultato”, ma qualcosa che dimostra primariamente rispetto verso l’atleta che ripone speranze e fiducia nei confronti di chi lo prepara per raggiungere i propri obiettivi sportivi.

    ultima

    Bibliografia

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico US Povigliese (melsh76@libero.it)

  21. Natural running e scarpe minimaliste (prima parte)

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    Il Natural Running e l’utilizzo di scarpe minimaliste sta diventando un argomento sempre più attuale; nato da una moda (quello del correre scalzi) e i cui elementi son successivamente stati approfonditi a livello scientifico al fine di comprendere se questo tipo di approccio alla corsa sia più o meno funzionale (dal punto di vista della performance e prevenzione infortuni) del comune approccio alle calzature sportive. Nel Documento odierno (la seconda pubblicata prossimamente) approfondiremo:

    • La visione concettuale del natural running
    • L’esito delle ricerche al fine di avere riscontri pratici
    • Proposte delle case produttrici in termini di calzature ed adattamenti

    natural

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    Puoi trovare l’indice di tutti i nostri post ed articoli sulla corsa nella nostra pagina dedicata al Running.

    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  22. Percorso tecnico coordinativo

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    Esercizio tecnico, coordinativo e atletico

    Il giocatore A parte palla al piede e raggiunge i due cinesini in A1, scarica sul compagno B che si è portato in B1 con uno sprint fino alla sagoma, si smarca e riceve (1). B1 effettua una finta su una sagoma e scarica su D che va incontro in D1 (2).

    Nel frattempo, A1 ha effettuato una corsa nella scaletta (o degli skip) e va in A2 battendo il cinque a C che parte con una corsa nei cerchi, uno sprint fino al conetto e un allungo in C1. D1 ricevuta palla effettua uno slalom tra i conetti, uno sprint con palla sino agli conetti altro slalom e sprint in coda ad E che nel frattempo ha ricominciato con C1. B1 si è portato in B2.

    L’esercitazione può essere usata anche come parte atletica di un allenamento agendo sulle distanze e sugli obiettivi da raggiungere.

    Gli slalom sui conetti, possono essere eseguiti in modo diverso, ad esempio uno con il solo piede destro e l’altro con il sinistro; con la suola; ecc.

     

    PERCORSO TECNICO COORDINATIVO

    ss-logo

    A cura di Nicola Amandonico

  23. Allenamento running: “La sporca dozzina” (seconda parte)

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    Pubblichiamo la seconda parte del documento tratto dall’articolo “La sporca dozzina” (visibile a questo link). Come nella prima parte, non ci limiteremo ad una semplice traduzione, ma cercheremo di approfondire i punti che riteniamo più interessanti con citazioni scientifiche correlate. Nel documento odierno approfondiremo i seguenti errori:

    • ERRORE N° 7: rifiutarsi di modificare l’allenamento in caso di carente (e inaspettata) condizione di forma
    • ERRORI 8 E 9: utilizzare sempre lo steso mezzo di allenamento o provarne ogni giorno uno diverso
    • ERRORE 10: non attuare un piano di prevenzione per gli infortuni
    • ERRORE N° 12: non considerare le gare all’interno del proprio piano di allenamento

    sporc doz 2

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    Autore: Melli Luca, istruttore atletica leggera GS Toccalmatto (melsh76@libero.it)

  24. Errori da evitare nella corsa: la sporca dozzina

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    (Aggiornato al 30/04/2023)

    Infortuni e sottoprestazioni sono prevalentemente dovuti ad errori nell’allenamento; spesso si è alla ricerca di scarpe, accessori, integratori o del metodo più innovativo per essere più veloci, trascurando invece come siano gli errori nell’allenamento a non permetterci di esprimere il nostro potenziale.

    Ad esempio, abbiamo visto come la caffeina in media possa incrementare la performance di corsa dell’1,1%, ma ha poco senso parlarne se si è sempre infortunati o ci si allena male.

    È quindi necessario un approccio che parta dai presupposti che hanno maggiore incidenza sul modo con cui viviamo la nostra passione per la corsa; in altre parole, un approccio top/down (dalle cose che contano di più…fino a quelle che contano meno) è sicuramente il più efficace, e la prima cosa è proprio quella di evitare gli errori più comuni!

    Per scrivere questo contenuto, ho preso spunto dall’articolo the dirty dozen (“Quella sporca dozzina”) di Pete Magill, il cui tutolo prende spunto proprio dal film del 1967. Ho comunque cercato di semplificare e raggruppare alcuni degli “errori” per rendere più agevole la lettura.

    Nell’immagine sotto sono rappresentati gli errori più comuni dei runner in maniera tale da farvi selezionare i capitoli che ritenete per voi più interessanti.

    Corsa errori da evitare

    Ricordatevi che per essere dei runner migliori non bisogna “soffrire di più”, è invece primario fare scelte intelligenti in sede di programmazione, allenamento e stile di vita.

    Errore N° 1: iniziare gli allenamenti con eccessiva intensità

    È l’errore tipico a cui si può andare incontro quando ci si allena in gruppo in sedute lunghe, oppure per chi si allena poche volte a settimana.

    Prendete ad esempio Eliud Kipchoge per il quale viene riportato come inizi alcuni allenamenti di “rigenerazione” (18-20 Km) correndo anche a 6’/Km!

    Le conseguenze deleterie di iniziare gli allenamenti troppo velocemente sono diverse: la prima è che comporta un più rapido dispendio di carboidrati (cioè i substrati energetici responsabili dei ritmi più elevati), che invece sarebbero risparmiati con un inizio più soft.

    Il secondo è che non asseconda l’esigenza dell’organismo di incrementare il lavoro fisico gradualmente; questo non solo farà percepire più fatica, ma porterà anche eventuali irrigidimenti muscolari che possono essere (nel lungo termine) cause di acciacchi ed infortuni.

    Per questo motivo il riscaldamento non dovrebbe essere solamente graduale, ma comprendere allungamenti funzionali che permettono di detendere e tonificare allo stesso tempo la muscolatura.

    Riscaldamento corsa

    L’immagine sopra è presa dal nostro post dedicato al nostro protocollo di riscaldamento per la corsa, che prevede 3 movimenti di allungamento funzionale ed uno di attivazione per preparare al meglio le catene muscolari all’allenamento.

    Errore N° 2: trasformare ogni allenamento in un medio

    Una corretta metodologia d’allenamento prevede l’alternanza di giornate di carico a una o più giornate di scarico; le prime, comprendono allenamenti che per intensità o durata vanno a stimolare reazioni biologiche in grado di “migliorare nel tempo” (se opportunamente dosate), mentre le seconde danno al corpo il tempo di attuare le risposte biologiche desiderate (tramite riposo o allenamenti molto leggeri).

    Di conseguenza è nelle giornate di scarico che la condizione incrementa.

    Recupero corsa

    L’errore comune di diversi podisti è quello invece di uniformare la velocità di tutti gli allenamenti ad intensità media; questo avviene per diversi motivi, come la paura di non allenarsi sufficientemente, il fatto di voler sfogare lo stress accumulato durante la giornata, ecc. Le conseguenze sono 2 (soprattutto se ci sia allena 4 volte o più alla settimana):

    • La prima, quella più ovvia, è quella di non dare al corpo il tempo di recuperare, in quanto un allenamento corso ad intensità media non permette all’organismo di assecondare le normali esigenze di ripristino della fatica.
    • La seconda è quella di dare all’organismo sempre gli stessi stimoli allenanti; come vedremo nei prossimi paragrafi, il runner deve inserire nel suo programma sia stimoli di intensità che di durata. Questo permette di ottenere miglioramenti da tutti i margini di guadagno prestativo.

    Nelle tabelle degli atleti che alleno, spesso scrivo la frase “a volte, per essere veloci in gara è necessario avere il coraggio di andare piano in allenamento”; questa frase è ovviamente riferita alle sedute di corsa lenta di rigenerazione, cioè quelle che aiutano a recuperare adeguatamente gli sforzi fatti nelle sedute impegnative.

    Ad esempio, per i top runner che effettuano più di 10 allenamenti settimanali, solo 3 sedute sono impegnative (per volume ed intensità). Quindi per chi si allena 3-5 volte a settimana, solo 2 sedute devono essere impegnative, considerando sempre l’incremento graduale del carico di lavoro durante la stagione. Consigliamo il nostro articolo sulla programmazione dell’allenamento per chi vuole approfondire l’argomento.

    Errore N° 3: evitare ritmi intensi

    La preferenza esclusiva ai ritmi lenti e medi non serve ad altro che abituarsi ad andare più piano.  È il rischio principale che si corre quando si preparano maratone o addirittura gare più lunghe esclusivamente tramite ritmi medi e lenti; questo porta ad una perdita di tono muscolare e di efficienza di corsa a tutte le velocità di corsa.

    Ma non solo: alcuni muscoli come il gastrocnemio (la parte alta della muscolatura del polpaccio) hanno caratteristiche tali (cioè molte fibre veloci), che vengono stimolate quasi esclusivamente con i ritmi veloci ed intensi.

    Allenamento polarizzato
    (Clicca sull’immagine per ingrandire)

    A fianco riportiamo un’immagine estremamente interessante (in rosso ho aggiunto le spiegazioni in Italiano): viene mostrato come sia gli allenamenti di alta intensità che di durata concorrono a migliorare il Potenziale aerobico del soggetto, cioè le qualità che permettono di correre veloce a lungo.

    Ovviamente è la corretta programmazione dei ritmi (lenti, veloci e di gara) che, unita al giusto recupero, permetterà di ottimizzare al meglio il potenziale del corridore.

    Nel nostro articolo dedicato alla programmazione abbiamo visto come nel periodo Generale sono da preferire i ritmi lenti/moderati alternati a stimoli di forza e di velocità; nel periodo Specifico invece, i ritmi di alcuni allenamenti si avvicineranno maggiormente a quelli di gara per indirizzare le proprie capacità verso il modello prestativo della competizione.

    Non solo, gli allenamenti di alta intensità dovrebbero essere inseriti anche assecondando le caratteristiche del runner; ad esempio, un atleta con caratteristiche prevalentemente resistenti dovrebbe preferire (nella prima parte della stagione) lavori di forza soprattutto con salite. Un runner con caratteristiche veloci invece, potrebbe esaltare le proprie caratteristiche neuromuscolari con un moderato allenamento di forza ed un lavoro più importante di velocità.

    Potete approfondire questa tematica nell’articolo dedicato all’individualizzazione dell’allenamento.

    Errore N° 4: non recuperare adeguatamente

    Come abbiamo visto nel secondo punto, è importante far passare un arco di tempo adeguato tra gli allenamenti più impegnativi.

    Carico scarico corsa

    Nella figura a fianco viene semplificato come un recupero insufficiente possa far calare la condizione anziché migliorarla; nel grafico in mezzo (quello rosso) gli stimoli allenanti significativi sono troppo ravvicinati (di conseguenza il tempo di recupero è troppo breve) e di conseguenza la condizione atletica cala invece di crescere…in altre parole “si fa tanta fatica per nulla”. Questo solitamente accade agli amatori che fanno troppi allenamenti impegnativi a settimana.

    Il grafico verde invece, prevede una giusta alternanza (ne abbiamo parlato anche sopra) tra carico e recupero.

    In quello in basso (nero) è rappresentata una condizione atletica stabile, caratteristica di chi si allena meno di 3 volte a settimana.

    Ma attenzione, non è solamente il tempo che intercorre tra uno stimolo impegnativo e l’altro a definire l’entità del recupero (come abbiamo visto sopra); anche gli allenamenti di rigenerazione/volume (se adeguatamente inseriti) facilitano questo processo, portando allo stesso tempo un contributo allenante (Resistenza aerobica).

    Questo è il motivo per cui i top runner effettuano settimanalmente non più di 3 allenamenti veramente impegnativi (di fronte ai 10-13 totali), ma tutto il resto è occupato da stimoli che vanno ad incrementare drasticamente il volume di Km, ma ad intensità lente/moderate e di rigenerazione.

    Ma esistono altre variabili che influenzano il recupero, e sono relative allo stile di vita; l’alimentazione, il sonno e la gestione dello stress quotidiano sono variabili significative per recuperare al meglio.

    È inutile allenarsi duramente se poi lo stile di vita non è in grado di assecondare il carico di lavoro; a volte è meglio tenere un carico di lavoro più basso (e ridimensionare gli obiettivi) e gestire con maggiore intelligenza la propria quotidianità. Per chi non è un Top runner, la corsa deve aiutare a vivere meglio, e non a rendere più “difficili” le giornate.

    Per chi vuole approfondire consiglio di leggere il nostro articolo sul recupero.

    Errore N° 7: non modificare l’allenamento in caso di carente (e inaspettata) condizione di forma

    Uno degli errori più gravi (soprattutto per chi si allena 5 o più volte a settimana) è quello di non voler aggiustare gli allenamenti durante l’esecuzione degli stessi. Alcune variabili inaspettate come modificazioni atmosferiche, affaticamenti a lungo termine e stress extrasportivi possono richiedere aggiustamenti “in corso d’opera”. Riportiamo sotto 2 esempi molto semplici:

    • Quando la temperatura è elevata (o tende ad essere superiore rispetto alle normali condizioni) è necessario rallentare l’andatura dei vari ritmi di allenamento, perché l’organismo tende a “limitare spontaneamente” le intensità per evitare di andare precocemente in crisi. Il non assecondare queste esigenze (senza rallentate opportunamente i ritmi di allenamento) comporta un esaurimento precoce delle energie.
    • Stessa cosa vale per l’esecuzione delle ripetute: se dopo un certo numero di esecuzioni non si riesce più a tenere il ritmo prestabilito (che deve ovviamente tenere in considerazione delle condizioni esterne) allora conviene fermarsi (o ridimensionare la seduta), senza intestardirsi nel voler finirle a tutti i costi; quest’ultimo atteggiamento infatti, porterebbe a prolungare oltremodo i tempi necessari per il recupero. Alcuni allenamenti come i fartlek basano invece le intensità allenanti sulla percezione dello sforzo, venendo incontro a quelle che sono le eventuali esigenze di modificare i ritmi in base alle sensazioni.

    Concludendo, è necessario comprendere che gli allenamenti sono il “mezzo” attraverso il quale si costruiscono i risultati della gara, e non il fine di ogni corridore. Affidandosi alla propria esperienza ed alla percezione dello sforzo è possibile ottimizzare il proprio allenamento in base alla propria situazione giornaliera.

    Errore 8 e 9: utilizzare sempre lo stesso mezzo di allenamento o provarne ogni giorno uno diverso

    Alcuni atleti si focalizzano sempre lo stesso metodo di allenamento, mentre altri ne provano sempre dei nuovi, senza rendersi conto degli effetti (stimoli allenanti) che ogni mezzo ha sul proprio corpo. Ma dove sta la giusta misura?

    Ovviamente sta nel compromesso, dato prima di tutto dalla propria esperienza, e successivamente dalle acquisizioni che si hanno provando anche nuove tipologie di training.

    Ogni atleta, con il passare della sua vita sportiva dovrebbe consolidare (tramite l’esperienza) e acquisire (tramite un’adeguata e controllata “sperimentazione”) la corretta metodologia di allenamento per il proprio organismo; il tutto tramite tanti piccoli step.

    Per la fase di acquisizione gioca un ruolo fondamentale lo studio e l’approfondimento della materia; permette di accelerare la competenza da mettere in pratica. L’esperienza è sicuramente quella che invece garantisce di evitare errori nel tempo.

    Ovviamente non è possibile migliorare all’infinito perché l’invecchiamento riduce il potenziale biologico dell’atleta, ma studiando e facendo tesoro della propria esperienza è possibile diventare runner sempre più consapevoli e togliersi diverse soddisfazioni.

    Corsa esperienza studio

    Per tutti i runner amatori che vogliono studiare contenuti facilmente comprensibili a tutti (anche per chi non ha competenze di biologia e fisiologia) consiglio il nostro canale telegram gratuito (mistermanager_running) nel quale troverete tutte le novità ed aggiornamenti del nostro sito, più articoli esclusivi per gli iscritti al canale.

    Errore 10: non attuare un piano di prevenzione per gli infortuni

    Diversi studi hanno accertato che tra il 50-80% dei corridori si infortunano almeno una volta l’anno. Diversi allenatori americani puntano sul fatto che l’esecuzione di determinati esercizi di riscaldamento/tonificazione (formati da esercizi di potenziamento a carico naturale e di allungamento muscolare) abbiano un ottimo effetto preventivo.

    Di questi, ne trovate diversi nel nostro sito; abbiamo quelli da fare nel riscaldamento, quelli dell’allenamento funzionale del core e quelli per prevenire i danni da iper-pronazione.

    Infortuni corsa

    Questi sono tutti approcci generali e non individuali; in altre parole aiutano a ridurre il rischio di infortuni ma non sono individualizzati.

    In alcuni casi (chi si infortuna con maggiore frequenza) è necessario individualizzare l’approccio preventivo; questo consiste nell’individuare i punti deboli del runner per poi andare ad agire con un allenamento mirato sulle specifiche carenze. In questo modo il programma preventivo diventa più efficace.

    Il primo passo è quello di un’attenta valutazione funzionale del runner (compresa di analisi di corsa), in grado di dare informazioni fondamentali a personale esperto che realizzerà un protocollo individualizzato.

    Errore N° 12: non considerare le gare all’interno del proprio piano di allenamento

    Alla partenza di una competizione i livelli motivazionali sono maggiori rispetto ad un allenamento: l’adrenalina ed altri neurotrasmettitori riducono la percezione della fatica e migliorano le performance dei vari tessuti più di quanto accade in allenamento.

    Questo porta a ad essere più performanti quando si indossa un pettorale!

    Ciò rappresenta anche un ottimo stimolo allenante per le gare successive, perché offre sollecitazioni estremamente specifiche al nostro organismo.

    Ma attenzione, gareggiare troppo spesso può comportare ad un precoce ristagno della prestazione; infatti, stimoli particolarmente elevati (come una gara) hanno bisogno di un maggior tempo di recupero rispetto ad un allenamento impegnativo.

    Non solo, tutti quegli stimoli neuro-ormonali che permettono di ottenere il massimo dal proprio fisico (ne abbiamo parlato ad inizio paragrafo), possono andare incontro ad una sorta di assuefazione.

    La conseguenza è che non si riesce più a dare il 100%.

    Questo accade ai runner che gareggiano spesso con il massimo impegno; dopo poche gare la condizione si stabilizza e non si hanno più miglioramenti; nel peggiore dei casi si può andare incontro a periodi di demotivazione o infortuni.

    Nel nostro articolo dedicato al numero di gare abbiamo visto come questa condizione si possa verificare in media dopo 4-5 competizioni fatte al 100%.

    Gareggiare troppo corsa

    Questo dovrebbe dare indicazioni importanti su come inserire le gare nel proprio piano d’allenamento. Ciò non significa che si debba gareggiare pochissimo, ma considerare alcune manifestazioni come “gare d’allenamento”, correndole all’85-90%.

    Lo so, non è facile andare con il limitatore quando si ha addosso un pettorale…ma torniamo alla frase scritta sopra “a volte per andare forte è necessario avere il coraggio di andare piano”.

    Per chi, ad esempio, corre le gare di campionato per la propria categoria, la consapevolezza di rischiare di andare incontro ad un ristagno/peggioramento rappresenta un dato fondamentale; aiuterà ad organizzare l’allenamento per dare il 100% solo in alcune manifestazioni, cercando di gestirsi (senza forzare) nelle altre.

    Se fatto con intelligenza, questo processo aiuterà ad avere un incremento progressivo della performance evitando ristagni della condizione o sottoprestazioni inaspettate.

    Conclusioni: esperienza ed apprendimento

    Partiamo da un presupposto: ottimizzare la propria corsa non significa necessariamente essere più veloci in gara. Significa essere dei runner migliori grazie ad una gestione più intelligente della propria vita e delle variabili che influiscono sulla corsa.

    Vuole dire correre con più piacere, senza stop dovuti ad infortuni e beneficiare dei vantaggi psicologici e sociali che la corsa offre…e si, anche migliorare le prestazioni, ma considerando sempre che queste sono definite anche dall’età e dalle caratteristiche intrinseche del podista (i top runner sono pochi).

    Se invece ci focalizziamo esclusivamente sulla performance o su battere il compagno d’allenamento, allora le scelte che faremo in sede di vita e di allenamento saranno dettate da una motivazione estrinseca che nel tempo non porterà a nulla di buono e duraturo.

    Se invece siamo mossi da una motivazione intrinseca, saremo in grado di migliorare le nostre competenze, di sperimentare e di approcciare intelligentemente alla corsa, indipendentemente dal vincolo di pressioni esterne. Questo avviene grazie alla presenza di valori e nel trovare piacere in quello che si fa, indipendentemente dal risultato.

    Ricordatevi sempre il motivo principale per il quale correte e per il quale volete correre per più anni possibile della vostra vita.

    All’interno di questo contesto gioca un ruolo importante l’esperienza, data principalmente dagli errori da evitare…quegli errori che impediscono ai runner di godersi appiano la propria corsa. In questo articolo nel abbiamo visti alcuni tra i più frequenti.

    Ma per chi vuole accelerare le proprie competenze è necessario studiare ed approfondire il mondo della corsa e tutto quello che gli ruota intorno (alimentazione, stile di vita, ecc.). Nel nostro canale telegram mistermanager_running trovate gratuitamente tutti gli aggiornamenti del nostro sito per quanto riguarda il running, compresi i nuovi articoli e la revisione di quelli già presenti. All’interno pubblicherò anche contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale e potrete scaricare la nostra guida sulla scelta delle scarpe da running in base alle vostre caratteristiche.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico ASD Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  25. L’allenamento dell’esplosività nei dilettanti (seconda parte)

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    (Aggiornato al 06/03/2021)

    Nel post precedente abbiamo analizzato le caratteristiche ideali che deve avere l’allenamento per l’esplosività per i dilettanti; è stato anche introdotto il PRIMO STEP, tramite balzi in appoggio monopodalico prolungato per strutturare la Resistenza Muscolare Locale in maniera specifica (con un rapido Transfert) e con una corretta prevenzione degli infortuni. Nel post odierno presenteremo i 2 STEP successivi e le modalità di introduzione di questi mezzi nella programmazione dell’allenamento.

    figura 1

    SECONDO STEP (salti monopodalici intensivi ed estensivi)

    Una volta appresa corretta dinamica esecutiva e sviluppate le varianti del primo step, si può passare al secondo step. Anche in questo caso sono presenti più varianti:

    • Diagonale Hop con appoggio non prolungato: si esegue l’esercizio dello step precedente con la durata d’appoggio necessaria (quindi non forzatamente prolungata) per la giusta coordinazione del movimento in base alla distanza tra i cerchi. La distanza tra i cerchi dovrà essere tale da attivare in flessione dell’arto libero (cioè quello non appoggiato) facendo avvicinare il movimento ad un’andatura di corsa balzata in diagonale. È consigliabile predisporre almeno 2 percorsi con distanze leggermente diverse tra i cerchi, in maniera da adattare l’esercitazione all’altezza e all’esplosività dei giocatori; fondamentalmente, lo stimolo allenante viene dalla corretta esecuzione del movimento piuttosto che dalle distanze raggiunte.
    • Corsa balzata tra ostacoli bassi (estensivi): in questo caso, la corsa è lineare (1 appoggio ogni ostacolo) e i riferimenti ideali sono ostacoli bassi posti ad una distanza tale (si inizia da circa 2-2.5 metri) da stimolare una tipologia di corsa balzata (come specificato sopra). A differenza della variante precedente, si agisce maggiormente sulle catene muscolari responsabili della capacità di accelerazione e meno su quelle responsabili dei cambi di direzione. Le varianti sono relative al N° di ostacoli (8-12, a seconda della distanza tra ostacoli), alla distanza (che può essere costante, progressiva o degressiva) e alla presenza o meno della rincorsa (permette di utilizzare distanze maggiori). Anche in questo caso è consigliabile predisporre almeno 2 percorsi con distanze leggermente diverse.
    • Corsa tra ostacoli alti (intensivi): a differenza della variante precedente si lavora maggiormente sulla componente Esplosiva (accelerazione) e in misura minore sulla Resistenza Muscolare Locale (prevenzione infortuni). Il N° di ostacoli è limitato (idealmente 4-6) e l’altezza deve essere tale da stimolare una corsa balzata corretta, cioè con l’arto che attacca l’ostacolo in piena flessione (senza rotazione) e quello di stacco che si estende totalmente (senza rotazione con una rotazione minima). La distanza (indicativamente da 1.5 a 2.5m) tra gli ostacoli dipende dalla loro altezza e dalle qualità esplosive di chi effettua l’esercitazione. L’altezza degli atleti e la loro esplosività influenza fortemente la tipologia di ostacoli utilizzati, per questo è opportuno utilizzare almeno 3 percorsi di difficoltà diverse.

    figura 2

    TERZO STEP (pliometria varia di natura monopodalica)

    Viene mantenuta la natura monopodalica delle esercitazioni, ma si eliminano i riferimenti (cerchi ed ostacoli) per conferire maggior multilaterlità e variabilità alle esercitazioni. Non approfondiamo tutte le varie tipologie di gesti utilizzati (perché sono veramente tante), ma precisiamo che la priorità deve sempre essere data alla correttezza esecutiva del gesto proposto. Proprio per questo motivo, ritengo consigliabile passare a questo step solamente dopo che si è appresa la tecnica della corsa balzata e strutturate le catene muscolari con adeguati livelli di Esolosività e di Resistenza Muscolare Locale nei primi 2 step. Rientrano in questa tipologia di mezzi tutte quelle esercitazioni a carattere misto in cui balzi monopodalici sono alternati ad andature o azioni veloci a secco. Ricordiamo che il concetto di fondo è sempre quello di

    eseguire gesti monopodalici che presentano la completa estensione delle 3 articolazioni dell’arto inferiore (anca/ginocchio/caviglia), sviluppando nel minor tempo, la maggior forza possibile con quel determinato movimento.

    figura 3

    CONCLUSIONI ED APPLICAZIONI PRATICHE

    Il training per i dilettanti deve tenere in considerazione un adeguato rapporto tra allenamento Generale e Specifico, per garantire i giusti stimoli allenanti in funzione della partita, preservando dagli infortuni. Il minor tempo a disposizione (rispetto ai professionisti) obbliga a garantire un certo livello di specificità anche per i lavori a carattere Generale (come possono essere i balzi); considerando anche un aspetto preventivo nei confronti degli infortuni (specificità e Resistenza Muscolare Locale), l’utilizzo dei 3 STEP presentati in questi 2 post la ritengo la soluzione ottimale per lo sviluppo delle componenti esplosive del movimento. Mentre il I° STEP lo considero un elemento fondamentale per tutte le categorie (che può essere anche utilizzato come stazione in mezzi per la Rapidità coordinativa), l’introduzione dei 2 successivi, dipende fortemente dal tempo a disposizione e dagli obiettivi di ogni squadra:

    • Se ci si allena 3 volte a settimana è possibile introdurre esercitazioni del II°-III° step nella seconda seduta (dopo che si è lavorato nel periodo precedente sul I° STEP) tenendo in considerazione che è un mezzo di importanza Generale.
    • Le pause tra le partite ufficiali che superano i 10 giorni (sospensioni per maltempo, pausa invernale, pausa Pasquale, ecc.) sono il periodo ideale per affrontare questo tipo di esercitazioni (II° e III° step).
    • Un corretto lavoro settimanale finalizzato alla Resistenza Muscolare Locale a carico naturale (affondi, Nordic Hamstring Stretching, potenziamento muscolatura del tronco, ecc.) riduce sicuramente il rischio di infortuni, e crea i presupposti anatomici per affrontare con minor rischio il lavoro per l’esplosività.

    Concludiamo ribadendo che la correttezza esecutiva dei gesti durante le esercitazioni rivolte allo sviluppo dell’esplosività deve avere la precedenza rispetto agli altri parametri (altezza e lunghezza di salto). Solo in questo modo il transfert nei gesti specifici del calciatore (accelerazione, cambi di direzione e a mio parere anche economia del movimento) sarà ottimale; l’aumento del carico di lavoro a mio parere è da preferire sul versante dell’intensità (piuttosto che sul volume), in quanto il volume, gia di per sè, si ottiene con l’allenamento specifico (N° di cambi di direzione, N° di accelerazioni, ecc.).

    Per chi vuole approfondire l’argomento della pliometria, consigliamo il Webinar di Andrea Gobbi Plyometric Training; nel webinar viene inizialmente analizzato lo stimolo fisiologico che caratterizza questi mezzi allenanti, per poi passare all’aspetto pratico, considerando progressioni esecutive adattabili agli atleti.

    Puoi accedere a questo ed altri Webinar sottoscrivendo uno dei piani d’abbonamento mensili ed annuali a Performance Lab (garanzia 14 giorni). Applicando il Codice Promozionale MISTERMANAGER al momento dell’acquisto, avrai lo sconto del 10%.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

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