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  1. Fabbisogno proteico e sintesi proteica

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    (Aggiornato al 02/03/2022)

    • Che funzioni hanno le proteine?
    • Che differenza c’è tra anabolismo e catabolismo?
    • Quanti grammi di proteine andrebbero assunti ogni giorno?
    • Qual è il fabbisogno proteico di uno sportivo?
    • Quando è necessario introdurre proteine?
    • Quando le proteine sono troppe?

    Sono solo alcune delle domande (per niente banali) che sportivi o persone attente all’alimentazione possono farsi riguardo al fabbisogno di proteine durante la giornata. In questo post cercheremo di rispondere a questi quesiti, partendo dai presupposti fisiologici che stanno alla base della sintesi proteica e riferendoci sempre alla letteratura scientifica internazionale; come sempre, cercheremo di avere un linguaggio il più facile comprensibili a tutti; buona lettura!

    COSA SONO LE PROTEINE

    Immagine tratta da http://www.chimica-online.it/organica/struttura-delle-proteine.htm

    Già nel nostro post dedicato all’alimentazione abbiamo visto come le proteine siano formate da diversi aminoacidi (che sono i “mattoni” che le compongono) uniti da legami detti peptidici; la sequenza di aminoacidi delle proteine presenti nel nostro corpo, è determinata dal codice genetico ed è definita come struttura primaria. Com’è possibile vedere dall’immagine a fianco, ogni proteina poi assume nello spazio caratteristiche geometriche date dalle interazioni degli stessi aminoacidi a formare la struttura secondaria e terziaria che le permette di avere la funzione (strutturale, enzimatica, regolatoria, ecc) biochimica per la quale è stata sintetizzata. Le proteine possono poi unirsi tra di loro (sempre per assolvere funzioni di tipo biochimico) a formare le strutture quaternaria, come ad esempio l’emoglobina. Nella slide sotto, tratta da una presentazione di Vittoria Patti, è possibile vedere le varie funzioni delle proteine.

    Tratto da https://www.slideshare.net/Pokankuni/macromolecole-biologiche-4-proteine

    Esistono 20 tipi di aminoacidi diversi che compongono le proteine, alcuni dei quali possono essere sintetizzati dal nostro corpo, mentre altri no; quest’ultimi sono 9, e sono detti essenziali, proprio perché devono essere “essenzialmente” introdotti con la dieta. Più avanti, vedremo l’importanza di questi nel considerare il fabbisogno proteico e il valore biologico. Alcuni degli altri 11 aminoacidi (quelli non essenziali) possono diventare “essenziali” in alcune condizioni patologiche o fisiologiche. È importante comprendere come le proteine ingerite con l’alimentazione vengano scomposte nell’apparato digerente in aminoacidi (o piccoli gruppi di essi); gli aminoacidi saranno poi assorbiti nell’intestino, fungendo da “mattoni” delle proteine sintetizzate “ex-novo” all’interno del nostro corpo. Esiste un continuo consumo e risintesi delle strutture proteiche del nostro organismo, che è definito turnover proteico; come vedremo di seguito, questo determina il catabolismo e l’anabolismo.

    ANABOLISMO E CATABOLISMO

    Prima di parlare di sintesi proteica, è necessario approfondire la differenza tra catabolismo ed anabolismo.

    In parole più semplici, non è altro che il processo attraverso il quale i macronutrienti (carboidrati, grassi e proteine) permettono di ripristinare l’ATP (energia), cioè la molecola che consente la contrazione muscolare, la vita e la funzionalità delle cellule. Questo processo provoca una scissione/consumo dei macronutrienti.

    Non è altro che il processo inverso del catabolismo, in grado di “ri-costruire” le sostanze disgregate durante il catabolismo.

    Basandosi sulle definizioni di sopra, il catabolismo scinde i macronutrienti per ottenere energia (ad esempio per una corsa o per una partita di calcio), fungendo da stimolo all’anabolismo che, una volta finita l’attività fisica, permette di ripristinare le scorte energetiche. Attenzione, perché la semplificazione di sopra, ha bisogno di almeno 2 importanti precisazioni:

    • La prima che nell’ambito dello sport, accanto al catabolismo è anche importante introdurre il concetto di “danno muscolare”. Se prendiamo ad esempio un calciatore o un maratoneta, dopo la partita o dopo una gara impegnativa, i loro muscoli degli arti inferiori avranno subito delle microlesioni dovute agli impatti ripetuti con il terreno e alla fatica; questi fenomeni non fanno parte del catabolismo (cioè non sono fenomeni associati al consumo energetico dei macronutrienti), ma sono importanti stimoli per l’anabolismo, cioè per “riparare” i danni creati.
    • Il secondo aspetto importante è che l’anabolismo permette di “portare” l’organismo e le sue strutture (energetiche e muscolari) ad un livello superiore di quello di partenza (supercompensazione), a patto che l’alternanza tra carico (catabolismo+danno muscolare) e il recupero (anabolismo) siano corretti. È l’esempio tipico del carico di glicogeno o della teoria dell’allenamento in toto che permette all’organismo di migliorare le proprie prestazioni a seguito di un corretto regime allenante.

    Spero che la semplificazione dell’immagine sopra permetta di comprendere al meglio la differenza tra anabolismo e catabolismo, soprattutto in relazione alla corretta metodologia d’allenamento; infatti, se l’alternanza tra carico (allenamento) e recupero non è ottimale, l’organismo non riuscirà a migliorare la propria funzionalità. Nell’immagine sotto riportiamo una semplificazione estremamente chiara (di Stelvio Beraldo tratta da bersport.org) di 3 esempi di perfetta o mancata relazione tra carico e recupero.

    Immagine tratta da http://besport.org/sportmedicina/esercizi_carico_allenamento.htm

    Concludiamo questo paragrafo con l’ultima importante annotazione; l’anabolismo indotto dall’allenamento può essere modulato anche da altri stimoli come l’alimentazione, l’ambiente (l’alta quota, l’ipertermia, la disidratazione, ecc.) ed altri fattori di natura psicologica o legati allo stato di salute.

    PROTEINE E SINTESI PROTEICA

    La sintesi proteica, si colloca all’interno del processo dell’anabolismo, in relazione alla costruzione/ricostruzione delle proteine. Andando a rivedere la seconda immagine di questo post (quella sulle funzioni delle proteine) sono ovviamente i primi 2 punti a cogliere la nostra attenzione cioè la funzione strutturale (muscoli, legamenti, ecc.) e quella enzimatica (metabolismi).

    Appare quindi chiaro come le proteine abbiano un ruolo fondamentale nell’attività fisica, sia legato alle componenti neuromuscolari che a quelle metaboliche. Di conseguenza, l’attività sportiva genera quegli stimoli catabolici in grado di indurre successivamente l’anabolismo e migliorare la struttura e la funzionalità dello sportivo.

    Ma come avviene la sintesi proteica? Senza addentrarci in approfondimenti che riguardano la biochimica, è sufficiente comprendere come i vari segnali corporei indotti dalla pratica sportiva inducono nel successivo recupero l’attivazione della sintesi proteica; questa, in vari step (in sinergia con altri sistemi come quello nervoso ed ormonale) e in presenza di un pool di aminoacidi sufficiente (ottenuti dalle proteine ingerite con l’alimentazione), indurrà la “ricostruzione” delle proteine consumate o danneggiate. Nell’immagine a fianco (tratta Proud 2008) è possibile vedere uno schema estremamente semplificato dell’interazione dei segnali che stanno alla base della sintesi proteica

    Ma facciamo un esempio legato alla sintesi di proteine contrattili muscolari; per indurre ipertrofia muscolare, è necessario sollevare pesi con una o più metodiche che abbiamo queste caratteristiche:

    • Elevata tensione MM per tempi sufficientemente prolungati, comunque tali da non esaurire precocemente le riserve di natura nervosa; in questo caso l’elevata tensione muscolare prolungata è un importante segnale per incrementare la massa muscolare.
    • Micro-danno muscolare adeguato: tensioni elevate soprattutto in regime eccentrico (mentre il muscolo si allunga) provocano delle microlesioni che fungono anch’esse da segnale per la sintesi proteica.
    • Stress metabolico: la concentrazione di diverse molecole (come l’acido lattico) ottenute dall’attivazione dei metabolismi (in particolar modo quello anaerobico) per produrre il lavoro muscolare necessario per lo spostamento dei pesi, rappresenta un ulteriore stimolo per la sintesi proteica.

    Ricordiamo che quella delle proteine contrattili (cioè quelle che determinano l’ipertrofia di un muscolo) è solo una parte della sintesi delle proteine muscolari; altre proteine infatti sono responsabili delle vie metaboliche (enzimi) e delle strutture che permettono alla cellula di organizzarsi dal punto di vista compartimentale e funzionale.

    COME SI MISURA LA SINTESI PROTEICA?

    È un aspetto estremamente importante dal punto di vista scientifico, perché permette di comprendere e confrontare in ambito sperimentale, quali sono i migliori stimoli allenamenti e i migliori regimi alimentari (e di integrazione) che favoriscano la sintesi proteica. Ovviamente la maggior parte delle ricerche tende ad approfondire gli effetti sulle proteine contrattili (quelle che determinano l’ipertrofia), perché sono quelle più facilmente misurabili. La valutazione può avvenire a diversi stadi, ma quella più importante di tutte è la misurazione della massa muscolare e del diametro dei muscoli; è ovvio che questo tipo di rilevamento è in grado di percepire cambiamenti a lungo termine della composizione corporea e muscolare, quindi ha bisogno di protocolli sperimentali piuttosto lunghi.

    Altri tipi di misurazione coinvolgono il bilancio dell’azoto (che vedremo successivamente), la concentrazione di alcuni ormoni (come testosterone o GH) e/o la concentrazione di altre molecole coinvolte nelle catene metaboliche della sintesi proteica; quest’ultime tecniche, sono comunque misurazioni indirette, in quanto non vanno verificare quella che è la crescita effettiva, ma rappresentano solamente un solo dato delle molteplici vie metaboliche che la influenzano; di conseguenza, questo tipo di misurazioni è incompleta, e di conseguenza non sufficiente ad indicare la reale sintesi proteica in atto.

    IL FABBISOGNO PROTEICO

    Arriviamo finalmente al punto di definire “quante proteine” servono per la sintesi proteica giornaliera* in base alle diverse variabili che possono influenzare questo dato (età, sesso, attività lavorativa, attività sportiva, ecc.). Il primo aspetto importante da definire, è che il fabbisogno proteico si misura in grammi di proteine su Kg di peso corporeo [g proteine / Kg di peso] necessarie al giorno.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog hanno esclusivamente scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    Mensilmente vengono pubblicate ricerche in cui viene misurato in maniera diretta o indiretta il fabbisogno proteico in base ad un determinato stile di vita; in particolar modo è l’attività fisica nelle sue sfaccettature ad attirare l’interesse dei ricercatori, anche in virtù delle diverse tipologie di proteine che possono essere ingerite con la dieta e con l’integrazione.

    • In ogni modo, è ormai universalmente riconosciuto (EFSA 2015) che per un adulto, sano e sedentario, il fabbisogno proteico (da fonti miste animali e vegetali) è di 0.83 grammi su Kg di peso corporeo. In ogni modo, studi recenti hanno confermato come il fabbisogno potrebbe essere leggermente superiore (1-1.2 grammi su Kg) di peso corporeo.  Visto che il fabbisogno è determinato principalmente dalla massa corporea, ad eccezione di quella grassa, per soggetti obesi è possibile utilizzare come peso di riferimento (per calcolare fabbisogno) quello relativo al peso ideale (normopeso) secondo sesso ed altezza.

    Ma la sedentarietà non è la condizione ideale per il proprio stato di salute, in quanto è stato ampiamente dimostrato che tramite la pratica sportiva si migliora lo stile e l’aspettativa di vita. Proprio per questo, è necessario sapere quale debba essere il fabbisogno proteico per chi fa sport. Per quanto riguarda il fabbisogno degli atleti, i maggiori organi mondiali di medicina sportiva e nutrizione, periodicamente pubblicano le linee guida aggiornate in base alle ricerche più recenti. Ad esempio, l’International Society of Sports Nutrition nel 2017 ha stabilito una quota di fabbisogno proteico per atleti di 1.4-2 grammi/Kg di peso al giorno; l’ACSM (American College of Sports Medicine) ha stabilito 1.2-2 g/Kg, come l’ Academy of Nutrition and Dietetics e Dietitians of Canada sempre nel 2017.

    • Si può quindi considerare che per gli atleti, il fabbisogno proteico giornaliero si assesti tra un valore di 1.2 e 2 g/Kg, a seconda dell’impegno energetico e anabolico della pratica sportiva. È ovvio che per atleti di un certo livello, è assolutamente necessaria la consulenza di personale qualificato in grado di personalizzare l’intero apporto dietetico in base alle caratteristiche del soggetto e dello sport effettuato.

    Queste indicazioni ovviamente vanno prese “cum grano salis”, in quanto solo personale qualificato ( dietologo, dietista o nutrizionista) è in grado, con competenze e strumentazioni adeguate, di stabilire il preciso fabbisogno alimentare di un soggetto. Ricordo che la necessità di proteine può variare in base a situazioni fisiologiche (varie fasi della crescita o dell’anzianità) o patologiche particolari; in questi casi, deve essere il medico curante o lo specialista dal quale si è in cura a fornire le linee guida essenziali.

    fabbisogno proteico sportivo

    ALTRI FATTORI CHE CARATTERIZZANO L’ASSUNZIONE

    Esistono variabili di cui ogni soggetto (soprattutto se pratica sport) deve tenere in considerazione quando si parla di apporto proteico, cioè la distribuzione della quota proteica per pasto, la qualità delle proteine e la tempistica di assunzione.

    • Qualità delle proteine: nel secondo paragrafo abbiamo visto come sia importante accertarsi di assumere tutti gli amminoacidi essenziali in una sufficiente quantità per garantire una sintesi proteica adeguata. Nel prossimo post approfondiremo proprio questo argomento.
    • Porzione di proteine realmente disponibile: nell’intestino tenue, in condizioni standard, viene assorbito circa il 95% degli aminoacidi digeriti all’interno dell’intestino, ad una velocità media di 5-10 grammi/ora, a seconda della fonte alimentare. Questi dati sono solamente indicativi, visto che l’intestino e tessuti annessi sono in grado di trattenere il 50% degli aminoacidi presenti nelle proteine ingerite; non solo, nel nostro organismo è presente anche un meccanismo di regolazione che facilita la digestione/assorbimento nel caso in cui il corpo abbia più bisogno di aminoacidi (e viceversa). In linea di massima, comunque è consigliato assumere 20-30 grammi di proteine a pasto e a porzione (quando necessarie; vedi punto successivo).
    • Tempistica assunzione e dosaggi “fuori-pasto”: soprattutto per gli sportivi, è importante la distribuzione delle proteine anche nelle finestre temporali in cui la sintesi proteica è maggiore, come dopo lo sforzo e prima di andare a letto. Nel nostro post dedicato alla tempistica di assunzione, potete trovare tutti gli approfondimenti e i consigli necessari.

    QUANDO LE PROTEINE SONO TROPPE

    Il fatto che il fabbisogno proteico comprenda un limite minimo, è giustificato dal fatto che con quote inferiori a quelle raccomandate, non si riuscirebbe a soddisfare la necessità dell’organismo per il normale equilibrio fisiologico, per il recupero (nel caso si tratti di uno sportivo), per il mantenimento della massa magra e per la crescita. La definizione del limite massimo invece, è fondamentale per evitare che nel breve/medio/lungo termine un apporto eccessivo abbia conseguenze deleterie nei confronti dell’organismo. Essendo una materia molto discussa, abbiamo dedicato all’argomento un post intero, proprio per approfondire le argomentazioni dei detrattori delle diete iperproteiche e di chi invece le sostiene, per poi trarre le conclusioni con i dati provenienti dalla bibliografia scientifica.

    FABBISOGNO PROTEICO E PERDITA DI PESO

    I regimi dietetici finalizzati alla perdita di peso, implicano un apporto calorico giornaliero leggermente inferiore al proprio fabbisogno energetico, al fine di creare un piccolo gap calorico che nel tempo induca una perdita di peso prevalentemente a carico della massa grassa. Affinchè questo approccio sia efficace, è fondamentale che la dieta sia comunque equilibrata; in particolar modo l’apporto proteico, deve rimanere quello raccomandato in termini di “grammi/Kg di peso”, e non essere ridotto come avviene per le calorie totali. Non solo, una vasta mole di ricerche scientifiche ha dimostrato come incrementando l’apporto proteico in un regime ipocalorico, abbinato ad un lavoro con i pesi, è possibile di migliorare sensibilmente la composizione corporea (rispetto a chi assumeva meno proteine), cioè dimagrire migliorando il rapporto “massa magra/massa grassa”. La maggior parte di queste ricerche (vedi interessante review nel documento dell’Journal of the International Society of Sports Nutrition del 2017) ha utilizzato apporti proteici 2-3 volte superiori a quelli raccomandati per i sedentari, da considerare iperproteici; ricordo che preservare la massa magra in caso di dimagrimento non è solo importante ai fini estetici, ma anche per mantenere la funzionalità muscolare. Inoltre, la massa muscolare è la parte metabolicamente attiva dell’organismo, cioè quella che determina il metabolismo basale, e di conseguenza una parte significativa del consumo calorico giornaliero. Questi apporti proteici particolarmente elevati (superiori alle dosi raccomandate), se possono essere efficaci in termini di miglioramento della composizione corporea a breve termine, è possibile che possano avere effetti collaterali a medio-lungo termine, o addirittura a breve termine se esistono condizioni fisiologiche predisponenti (vedi paragrafo QUANDO LE PROTEINE SONO TROPPE). Lo stesso sito Examine.com, indica come sia fondamentale, nei regimi ipocalorici, preservare la massa magra, ma con un apporto di proteine pari a 2 g/Kg di peso (comunque inferiore ai regimi iperproteici), dando la preferenza a quelle ad alto valore biologico. A mio parere, se si vuole incrementare l’apporto proteico rispetto al proprio fabbisogno (vedi paragrafo specifico), è importante prima chiedere il parere a personale medico o specialistico (dietologo), e considerare l’attività fisica come un elemento fondamentale per il dimagrimento e per il benessere.

    Immagine tratta da http://nutrizionistamarcobagnolo.com/web/2017/03/09/non-solo-carne-per-farsi-i-muscoli-anche-le-proteine-vegetali-potenziano-la-massa-magra/

    È NECESSARIO ASSUMERE INTEGRATORI A BASE DI PROTEINE PER SODDISFARE IL PROPRIO FABBISOGNO?

    In base a quanto scritto nel nostro post dedicato all’integrazione, possiamo rispondere “dipende”! Partendo dal presupposto che prima di assumere integratori è sempre meglio sentire il parere di personale qualificato (come un dietologo o personale medico competente sull’argomento), possiamo affermare che se con l’alimentazione non si riesce a coprire il fabbisogno proteico, allora è possibile ricorrere all’integrazione. Prima di fare questo però, è necessario conoscere il proprio fabbisogno (magari chiedendo il parere di un dietologo) e cercare di coprirlo con l’alimentazione, per 2 motivi: il primo, perché in questo modo si instaurano buone abitudini (che partono dalla consapevolezza di quello che si mangia), e il secondo perché in questo modo è più facile coinvolgere e trasmettere queste competenze a chi ci sta vicino. A questo punto è facile intuire che il ricorso all’integrazione proteica diventa utile per motivi relativi alla logistica e alla digestione; in altre parole:

    • L’integrazione può tornare utile quando non si riesce a coprire, con la dieta, il fabbisogno proteico giornaliero e/o la distribuzione di esso durante la giornata.
    • Oppure quando per motivi legati alla digestione, non si riesce a mangiare una quantità sufficiente di proteine con la sola alimentazione, pur avendo la possibilità di distribuire correttamente i pasti.

    Oggi le case produttrici di integratori mettono a disposizione dell’utente anche alimenti (barrette, snack, ecc.) arricchiti di proteine, in maniera tale da non dover usare solamente le polveri. Ma quali sono i prodotti migliori? Quali tipi di proteine è meglio utilizzare nei vari momenti della giornata? Nel post dedicato agli integratori di proteine, potete trovare tutte le risposte.

    Andando alla pagina principale dedicata alla nutrizione, potrai trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione.

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it) preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  2. Maratona, alimentazione ed integrazione

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    Malgrado un’adeguata alimentazione sia fondamentale per chiunque, gli aspetti nutrizionali per un atleta che si appresta a preparare e correre competizioni di endurance, sono tanto più importanti quanto più la distanza di gara è elevata. In particolar modo le riserve e la biodisponibilità di carboidrati giocano un ruolo significativo, perché rappresentano la fonte energetica principale senza la quale è impossibile mantenere una certa intensità per l’intera gara. In questo post andremo quindi a considerare come, nella dimensione del maratoneta, l’allenamento, l’alimentazione e l’integrazione* svolgono i loro ruoli. In particolar modo, approfondiremo il “Trail Low – Compete High”, qual è la strategia integrativa migliore da assumere in gara (poi adattata alle proprie caratteristiche) e come questa si forma in allenamento.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog hanno esclusivamente scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di assumere integratori!

    ALLENAMENTO

    Rappresenta sicuramente la fase più importante della dimensione del maratoneta; senza un adeguato allenamento è inutile presentarsi alla partenza. Riportiamo sotto i link ai post che abbiamo dedicato all’argomento:

    Sotto invece potete trovare l’immagine riassuntiva degli elementi chiave per la preparazione di una maratona.

    maratona allenamento alimentazione

    ALIMENTAZIONE

    I principi base dell’alimentazione del maratoneta non sono diversi da quelli consigliati per il resto della popolazione; particolare attenzione (soprattutto chi si allena molte volte a settimana) è necessario porre all’introito calorico giornaliero che dovrà essere in grado di supportare la spesa energetica. Numerose ricerche hanno dimostrato come un insufficiente apporto di carboidrati comporti un peggioramento del rendimento in allenamento. Le linee guida di Burke e coll 2007 sono quelle di consumare 7-10 grammi su Kg di peso corporeo al giorno di carboidrati per gli atleti che effettuano elevati volumi di allenamento (professionisti) e 5-7 g/Kg al giorno per chi effettua un volume più moderato; questi numeri vanno poi adeguati alle caratteristiche e alla soggettività degli atleti. Quello che è importante comprendere, è che nel periodo in cui si prepara una maratona, non è da ricercare nessun tipo di restrizione calorica (ad eccezione dell’eventuale “Train Low – Compete High” che vedremo di seguito), in quanto potrebbe andare a compromettere il rendimento in allenamento. Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consigliamo di leggere il testo di Roberto Albanesi sulla Maratona

    Ma è consigliabile assumere integratori a base di carboidrati al di fuori del contesto di gara? La risposta è “dipende”…dipende se con l’alimentazione si è in grado di coprire il fabbisogno generale di nutrienti. A mio parere, è importante cercare prima di tutto di soddisfare il proprio fabbisogno nutrizionale con l’alimentazione, per 2 motivi principali: il primo, perché permette di acquisire corrette abitudini che si porteranno dietro tutta la vita, e il secondo perché sarà più facile trasmetterle a chi ci sta vicino. Al di fuori di questo, è ovvio che l’integrazione può aiutare quando non si riesce a soddisfare il proprio fabbisogno con la dieta.

    Cos’è il carbo-load (carico di carboidrati)? È la strategia alimentare che solitamente viene impostata nei giorni precedenti alla maratona, per massimizzare in maniera fisiologica le scorte di carboidrati all’interno del proprio corpo (glicogeno). Come tutte le altre strategie alimentari, va provata precedentemente in altre occasioni, per valutare la risposta soggettiva al protocollo ed adeguarla in base alle proprie caratteristiche. Per approfondire l’argomento, potete leggere il post dedicato al carico di carboidrati.

    Come ci si deve alimentare la mattina della gara? Nell’ultimo paragrafo del post dedicato al Vitargo e ai carboidrati ad alto peso molecolare, potete leggere delle semplici indicazioni.

    INTEGRAZIONE IN GARA

    Nell’immagine sotto riportiamo le linee guida riguardanti l’assunzione di carboidrati in sport di endurance, che potete leggere in maniera dettagliata nel post dedicato all’argomento.

    Facendo 2 conti, è improponibile ipotizzare che un maratoneta che conclude la sua gara in più di 3 ore (ad esempio), riesca ad ingerire una quota di carboidrati pari a 90 grammi all’ora (ricordiamo che un gel ne contiene circa 20-25 grammi). Di conseguenza, le linee guida riportate sopra, possono essere ottimali per un ciclista o al massimo ad un triatleta durante la frazione di bici, ma non per un runner, per il semplice motivo che è veramente difficile tollerare l’ingestione dei fluidi (e conseguentemente rifornirsi di carboidrati) quando si corre. Infatti, nell’immagine sotto sono riportati i dati ottenuti dalla ricerca di Pfeiffer e coll, 2012, in cui venne visto che in media, un maratoneta assume in gara circa 35 grammi di carboidrati all’ora. Altre fonti molto autorevoli, considerano 30 grammi come la quota che è realisticamente possibile assumere in un’ora di gara.

    Ma teoria e pratica, non sempre vanno nella stessa direzione; una ricerca molto interessante di Hansen e coll 2014, comparò il tempo finale di maratoneti amatori tra 2 gruppi sperimentali; il primo che ha seguito una strategia di integrazione pre-stabilita in almeno 60 grammi/ora di carboidrati, mentre il secondo una strategia libera. I primi, alla fine ingerirono una media di 64.7 carboidrati/ora, mentre i secondi 38 g/h; la differenza sul tempo finale medio, fù che il primo gruppo (cioè quello che ingerì più carboidrati) finì la maratona circa 11 minuti prima dimostrandosi il 4.7% più veloce. Altro aspetto importante di questa ricerca, fù che l’ingestione di fluidi tra i 2 gruppi, fù pressappoco la stessa, cioè 600-700 ml/h, in linea con le indicazioni di Noakes 2003), senza differenza significativa per quanto riguarda i disturbi gastrointestinali. Questi risultati, affermano che

    è possibile assumere in maratona fino a 60 g/h di carboidrati seguendo una strategia di rifornimento idrico compreso tra 400-800 ml/h

    (linee guida di Noakes 2003) con probabilità di incorrere in disturbi di tipo gastrointestinale “non superiori” a quelli di quote di carboidrati inferiori.

    Se però, i consumi “ad libidum” (cioè spontanei) di carboidrati si assestano in media su quote inferiori ai 40 g/h, è possibile comprendere come sia necessario prestare particolare attenzione a questo aspetto in gara (ed in allenamento) da parte dell’atleta, tenendo in considerazione che:

    • L’assunzione di carboidrati può avvenire tramite gel, borracce personalizzate e utilizzo di prodotti dei ristori.
    • È bene arrivare alla quota massima, ottimizzando l’aspetto gestionale (che è la parte più difficile) partendo da circa 30-40 g/h ed incrementando di 5-10 g/h di maratona in maratona fino ad un massimo di 60 g/h.
    • Provare precedentemente questo protocollo in gare più corte (almeno 20 Km) e/o in allenamento, utilizzando la quota “target” di assunzione di carboidrati almeno negli ultimi 60-90’ di prova.

    Per quanto riguarda l’assunzione di fluidi, molto dipende dalla temperatura ambiente; nel nostro post dedicato all’argomento, abbiamo riportato le indicazioni di Goutlet e coll 2012, che sono comunque generiche per sport di endurance. Per quanto riguarda la maratona nello specifico, consigliamo di seguire le linee guida di Noakes 2003, cioè di bere per la sete che si ha, senza andare oltre i 400-800 ml/h (a seconda della soggettività). Infatti, i climi ai quali si effettuano le maratone, solitamente non sono particolarmente caldi, ma è chiaro che oltre una certa temperatura, la necessità (e di conseguenza l’ingestione) di fluidi potrebbe essere anche maggiore, a seconda della soggettività; per un ulteriore approfondimento, vi invitiamo a leggere questo articolo di Roberto Albanesi. Ovviamente, non è da dimenticare l’assunzione di Sali, che comunque sono presenti nella maggior parte degli integratori a base di carboidrati. Nell’ultimo paragrafo del post, potete vedere alcuni esempi di linee guida per allenare la tolleranza all’ingestione di fluidi e carboidrati in gara.

    TRAINING LOW – COMPETE HIGH

    Nel concetto di carbo load, abbiamo indicato come l’ingestione di una quota di carboidrati leggermente superiore alla norma, nei giorni che precedono una maratona, comporta un maggior accumulo di questi (sottoforma di glicogeno) nei muscoli e nel fegato; questo permette di partire con una maggiore scorta di glicogeno, che è la fonte energetica principale della corsa. Ma questa strategia è efficace esclusivamente se si ha un’elevata capacità di “Immagazzinare” glicogeno nei muscoli; quest’ultima qualità è migliorabile prevalentemente tramite un elevato chilometraggio settimanale. Ciò, è anche in parte possibile tramite allenamenti che portino ad una deplezione importante di glicogeno nei muscoli. Gli allenamenti classici che inducono questo stimolo biologico sono i lunghi e le gare superiori all’ora. Questi stimoli allenanti però, richiedono diverso tempo per essere recuperati, soprattutto per le microlesioni muscolari indotte da traumi prolungati ed intensi. L’obiettivo del TRAIN LOW – COMPETE HIGH (che abbrevieremo in TLCH) invece è quello di dare un ottimo stimolo biologico nella stessa direzione (cioè di svuotare le scorte di glicogeno), minimizzando però i microtraumi muscolari.

    In poche parole, si tratta di iniziare la seduta d’allenamento TLCH con una riserva di glicogeno inferiore rispetto alla norma; la conseguenza è che necessiteranno meno km (rispetto ad un lungo) per svuotare tali scorte, e di conseguenza per avere lo stimolo biologico adeguato. Il beneficio principale, sarà quello di avere un input allenante ottimale con un allenamento più breve (rispetto ad un lungo), quindi fattibile anche infrasettimanalmente (per chi lavora).

    Ma com’è possibile “limitare le scorte di glicogeno” prima dell’allenamento?

    Nel pasto (o nei 2 pasti) che precede l’allenamento si limita il consumo di carboidrati (le cui fonti sono pane, pasta, dolci, patate, ecc). In questo modo le scorte di glicogeno muscolari saranno inferiori alla norma e di conseguenza saranno necessari meno Km per “svuotare le riserve” ed avere lo stimolo voluto. Ovviamente le calorie che in questi pasti non si introducono con i carboidrati, andranno introdotte tramite altri macronutrienti, preferibilmente tramite grassi “buoni”, come quelli derivati dalla frutta secca (a patto che non si abbiano intolleranze o allergie a tali alimenti); le altre abitudini dietetiche (frutta, verdura, quota proteica, quota calorica totale, ecc.) devono rimanere le stesse per evitare di aver ripercussioni negative sul bilancio energetico.

    Ma quanto deve essere lungo l’allenamento?

    Attualmente non esiste una formula universalmente riconosciuta per stabilire la durata di questo stimolo; comunque, a mio parere, un allenamento della lunghezza pari a 3/4 dell’ultimo lungo, potrebbe permettere di avere uno stimo allenante sovrapponibile con ovvie differenze dovute alla soggettività ed al grado di allenamento. Ad esempio, se l’ultimo lungo è della lunghezza di 20 Km, potrebbero bastare 15 Km per avere uno stimolo biologico paragonabile, ma con un affaticamento muscolare ridotto. Ciò non significa che tutti gli allenamenti di TLCH devono essere di una lunghezza tale da comportare una deplezione significativa delle scorte di glicogeno, ma che a pari distanza, un allenamento con strategia alimentare TLCH comporta un maggior deplezione di glicogeno rispetto ad un approccio nutrizionale standard.

    Prima di effettuare questo tipo di allenamenti sono da fare 2 importanti considerazioni:

    1) GRADUALITA’: questi tipi di stimoli sono da introdurre con estrema gradualità, sia dal punto di vista delle modificazioni alimentari, che dal punto di vista dei chilometraggi. Infatti non tutti i podisti reagiscono a questo protocollo allo stesso modo, per questo motivo le eventuali variazioni nei pasti che precedono l’allenamento considerato, devono esser estremamente graduali. Anche lo stesso allenamento, dovrà essere corso prevalentemente di corsa lenta, con eventuale progressione finale solo nel caso in cui non ci si senta affaticati. In altre parole, questa è una strategia che può essere fatta periodicamente (esempio una volta a settimana), ma non deve modificare le corrette abitudini alimentari!

    2) PERIODO DELLA STAGIONE: a mio parere, per un maratoneta amatore, questo tipo di allenamento deve essere affrontato nel periodo che precede i lunghissimi e non nel periodo specifico dei lunghissimi; infatti, è importante seguire la regola secondo la quale sarebbe meglio non fare più di un allenamento a settimana che causi una deplezione di glicogeno particolarmente significativa.

    Di conseguenza, quando i lunghissimi cominciano ad avere proporzioni importanti, questi devono essere gli unici allenamenti che, settimanalmente, comportano una deplezione particolarmente significativa delle scorte di glicogeno. Ovviamente i lunghissimi, devono essere iniziati con le riserve di glicogeno adeguate e con eventuale integrazione durante l’allenamento; questo sia per abituarsi ai protocolli integrativi di gara, che per evitare di finire questi allenamenti in condizioni tali da necessitare troppo tempo per recuperarli. Quello che è importante comprendere, è che il TLCH rappresenta un’eccezione (gradualmente inserita) nella normale routine alimentare, e non la prassi, altrimenti il rendimento in allenamento calerebbe e incrementerebbe il rischio di infortuni.

    CONCLUSIONI

    Concludiamo dando uno sguardo allo studio di Stellingwerff 2012, che contestualizza molto bene gli aspetti approfonditi sopra, seppur in un contesto va adattato al mondo amatoriale; infatti, nella ricerca viene analizzata la preparazione e l’aspetto alimentare/integrativo di 3 maratoneti d’elitè; nell’immagine sotto, è possibile vedere il numero medio di sedute settimanali dedicate al TLCH nei vari periodi d’allenamento (colonne blu) e quelli in cui viene ricercata l’abitudine/tolleranza all’ingestione di fluidi/carboidrati (colonne rosse).

    Immagine tratta da Stellingwerf T 2012; Int J Sport Nutr Exerc Metab

    Tenendo in considerazione che gli atleti in questione effettuavano circa 13 allenamenti settimanali, è possibile notare come nel periodo generale/specifico, 1 allenamento su 5 era sottoforma di TLCH; per quanto riguarda invece l’abitudine alla tolleranza dei fluidi, vennero date le seguenti linee guida:

    • In ogni allenamento (periodo generale/specifico) di durata superiore alle 2 ore, assumere circa 30-60g di carboidrati per ora, e bere 400-600 ml/h di acqua, pesandosi prima e dopo, per comprendere se in questo modo si riusciva a contenere nel 2-3% la perdita di peso.
    • Nelle ultime 3 settimane, veniva consigliato lo stesso protocollo, ma per tutti gli allenamenti della durata superiore ai 75’.

    Ricordiamo che i 3 atleti della ricerca, in questo modo riuscirono ad ingerire il giorno della gara circa 60 g/h di carboidrati in circa 600 ml/h di liquidi, in linea con le indicazioni date nei precedenti paragrafi.

    Ovviamente questi dati vanno presi “cum grano salis” (in quanto un amatore ha tempi diversi rispetto ad un Top Runner), ma fanno capire come l’inserimento del TLCH sia un’eccezione alla normale routine (vedi indicazioni del precedente paragrafo) e come sia importante abituarsi alla gestione organica dei rifornimenti, cercando la migliore strategia integrativa ed idrica per avere un giusto apporto di carboidrati (vista l’importanza che può avere sul tempo finale) e non perdere più del 2-3% del peso corporeo. In questo modo, il giorno della gara si sarà in grado di gestire con più padronanza e consapevolezza i rifornimenti, e di conseguenza la propria performance.

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    Autore dell’articolo: Melli Luca, Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo. Email: melsh76@libero.it

  3. Vegani o carnivori: chi ha veramente ragione?

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    (Aggiornato al 09/04/2021)

    Il dibattito tra vegani e carnivori sta assumendo sempre di più i connotati di un “diverbio acceso” tra tifosi di squadre opposte…cioè un qualcosa sostenuto più dall’emotività della propria scelta, che da ragioni razionali. Questi tipi di dibattiti, molto aspri e poco costruttivi, non aiutano a comprendere sempre a pieno le giuste motivazioni delle varie posizioni. Però l’argomento è di importanza rilevante, per il fatto che coinvolge tutti gli ambiti della vita di un individuo, e non solo quello alimentare; con questo post, cercheremo di affrontare il dibattito nella maniera più razionale e scientifica possibile.

    Indipendentemente dal fatto che siate carnivori, onnivori, vegetariani o vegani, troverete interessante questo post, in quanto la risposta alla domanda del titolo è formata da 2 semplici parole….cioè SALUTE e SOSTENIBILITA’! Buona lettura!

    ALCUNI CHIARIMENTI PRIMA DI INIZIARE

    Sarebbe più corretto definire il regime alimentare tipico dell’uomo come onnivoro, piuttosto che carnivoro; questo perché l’uomo tende a cibarsi sia di alimenti vegetali che animali. Un vegano invece, per scelta propria, non si nutre di animali (carne e pesce) o di loro prodotti; anche il vegetariano non si nutre di animali, ma mangia i loro prodotti come latte, latticini, uova e miele.

    Gli approfondimenti degli effetti della carne sulla salute (vedi il legame tra Alimentazione e Tumori), impongono di differenziare (con dovute semplificazioni) questa in 3 categorie principali:

    • Carni lavorate: carni che hanno subito un processo di lavorazione (stagionatura, affumicatura, salatura o aggiunta di conservanti) che ne prolunghi la conservazione o ne alteri il gusto. Questo tipo di alimenti è stato riconosciuto ufficialmente dall’OMS come causa di tumori.
    • Carni rosse: carni da animali da macello come manzo, bue, vacche, cavallo e pecora. Queste sono riconosciute come cause probabili (ma non certe) di tumore, per cui se ne consiglia un consumo moderato, cioè non oltre (secondo il World Cancer Research Fund International) i 350-500g a settimana. Come vedremo nel successivo paragrafo, l’allevamento di questo tipo di carne, è quello con il maggior impatto ambientale.
    • Carni bianche: carne da animali da cortile come pollo, tacchino, coniglio, maiale, agnello, vitello, e capretto. Queste carni (se “non lavorate”) non sono riconosciute come cause di tumori e comportano (a parte il vitello) un impatto ambientale inferiore rispetto alle carni rosse.

    LE RAGIONI DEL VEGANESIMO

    Le ragioni principali che spingono una persona a diventare vegana sono fondamentalmente 3:

    • Etica e rispetto per la vita degli animali: è la motivazione che, più di altre, nasce da principi di natura personale, quindi non opinabili su base individuale.
    • Impatto sulla salute: malgrado i vegani siano convinti che il loro stile alimentare sia più salutistico perché non presenta la carne nella loro dieta, questa convinzione è errata. Infatti è scientificamente provato che è più facile seguire le linee guida alimentari corrette da onnivori piuttosto che da vegani; infatti, rinunciando alle fonti animali, si corre il rischio di andare incontro a carenze di diverse sostanze (prima di tutte, la vitamina B12). Per questo motivo, i vegani devono seguire un’integrazione adeguata (prescritta da personale medico) per supplire a queste carenze.
    • Ragioni legate allo sfruttamento e degradazione dell’ambiente: questa motivazione, è probabilmente la più interessante, perché evidenzia concetti che coinvolgono tutti (soprattutto le generazioni future) e non solo i vegani. Approfondiremo queste ragioni nel prossimo paragrafo.

    CONSUMO DI CARNE ED AMBIENTE

    Secondo il PNAS (Proceedings of the National Accademy of Sciences) e l’ONU, per produrre 1 Kg di carne di Manzo servono più di 15000 litri d’acqua, 15 Kg di cereali e 34 Kg di CO2. Questi sono i dati secondo i quali si stabilisce l’impronta ambientale della veganiproduzione e lavorazione di un alimento. Non solo, sempre per nutrire 1 Kg di carne rossa da macello, serve in media una superficie coltivabile 30 volte più grande rispetto a polli e maiali, e si inquina 5 volte di più; questo sfruttamento del territorio provoca un’occupazione di suolo (con ripercussioni sulla deforestazione) 15-20 volte superiore, rispetto allo sfruttamento necessario per le coltivazioni necessarie per nutrire esclusivamente l’uomo. Tutto questo, ha importanti ripercussioni sul surriscaldamento globale, con i danni a cui giornalmente assistiamo.

    Tutti questi dati suggeriscono che indipendentemente dal fatto di essere vegani o meno, i consumi medi di 90 Kg all’anno di carne per un Italiano (125 Kg all’anno per un Americano) sono eccessivi, soprattutto per la carne da allevamenti di bovini, anche in virtù del legame tra l’eccesso di questa e tumori.

    CONSUMO DI PESCE E AMBIENTE

    Attualmente in Europa il consumo pro capite di pesce è di 23 kg l’anno, circa il doppio di 50 anni fa; praticamente consumiamo più pesce di quanto l’oceano ne possa produrre (fonte WWF).

    Questo sfruttamento, in aggiunta all’inquinamento mette in pericolo gli ecosistemi marini e le comunità di pescatori locali che vivono grazie a questo sostentamento.

    Inoltre, l’acquacoltura non è una soluzione, in quanto rischia di danneggiare l’ambiente marino e produce scarichi dannosi per l’ambiente.

    All’interno di questo contesto, è comunque possibile un consumo sostenibile delle specie ittiche, anche soddisfacendo il fabbisogno di pesce consigliato dalle linee guida (2-3 porzioni a settimana); questo è possibile seguendo alcune indicazioni, sintetizzate e semplificate nell’immagine sotto.

    Clicca sull’immagine per ingrandire

    Per approfondire, consigliamo di leggere il nostro articolo Omega 3, sport e sostenibilità.

    QUAL’E’ LA SCELTA IDEALE?

    Con questo post non si vuole demonizzare in maniera assoluta il consumo di carne rossa, ma guidare verso una scelta che tenga in considerazione 2 parametri principali, cioè la SALUTE e l’IMPATTO AMBIENTALE. Se la parte relativa alla salute l’abbiamo abbondantemente sviscerata nel post specifico, ci teniamo ad approfondire il concetto di Sostenibilità e Sovranità alimentare. Infatti, privilegiando la stagionalità, la varietà, l’agricoltura ed allevamenti locali si ha un minor impatto sull’ambiente, con gesti che permettono, nel lungo termine, una maggior salvaguardia dell’ambiente! Purtroppo invece, l’economia alimentare odierna tende a bruciare le risorse e spingere al consumo, basta notare la trattative per il TTIP, che mirano ad abbassare gli standard e le regole sanitarie/fitosanitarie dell’Europa per facilitare i profitti. Per questo, si rende più che mai necessaria un’Educazione alimentare che parte dal basso (sin da età scolare), e che dia indicazioni non solo sulla salute, ma anche sulla sostenibilità di quello che si mangia. Tutto questo, affinchè le generazioni future possano rispettare il lavoro e l’ambiente, con positive ripercussioni sulla loro vita. Se invece si continuerà a bruciare le risorse, esclusivamente per produrre guadagni, si lascerà ai nostri figli e nipoti una pesante eredità che non avrebbero mai voluto e non ci avrebbero mai chiesto! A completamento di questo concetto, vi invito a vedere l’intervista a Carlo Petrini, il fondatore di Slow food.

    CONCLUSIONI FINALI

    Con questo post, speriamo di aver chiarito che, la diatriba tra “Carnivori” e Vegani, andrebbe posta ad un livello superiore, che non tenga in considerazione il solo consumo di carne e derivati. Sicuramente, ridurre il consumo di carne rossa da macello (per chi ne mangia una quantità eccessiva) ha ripercussioni positive su vari aspetti della vita, ma è necessario avere la consapevolezza di tutto quello che si mangia e di quello che si compra quando si va a fare la spesa.

    Sostenibilità e Sovranità alimentare

    Ma come avere le indicazioni per fare una spesa consapevole?

    Purtroppo oggi non esistono norme sull’etichettatura dei prodotti che facilitano questo tipo di scelte; questo perché, contrariamente a quello che accade per l’alimentazione, le istituzioni tardano a dare regole che seguono questo tipo di mentalità. Fortunatamente la FAO ha fornito le 10 regole per un’alimentazione sostenibile, che tutti possono comprendere e seguire; inoltre il Barilla Center for Food & Nutrition ha prodotto il concetto di Doppia piramide alimentare (accessibile a tutti i livelli di conoscenza), che tiene in considerazione l’impatto dei cibi, sia dal punto di vista salutare che dal punto di vista della sostenibilità ambientale.

    doppia piramide ambientale alimentare

    Non rimane altro che decidere, quotidianamente e in maniera responsabile, che priorità dare non solo alla propria salute, ma anche all’eredità di chi verrà dopo di noi!

    Se ti è piaciuto l’articolo e vuoi dare un’occhiata agli altri articoli su alimentazione e integrazione nel nostro sito, ti invitiamo ad andare alla pagina principale dedicata all’argomento.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  4. Alimentazione e tumori

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    Dopo aver analizzato il rapporto tra attività fisica a tumori, oggi approfondiamo il legame tra questa malattia e l’alimentazione. Il testo è di Giuseppe Cucinotta, tratto dal numero 10/2016 di Runners & Bikers Magazine. Dopo una chiara trattazione dei diversi legami tra le caratteristiche degli alimenti e i fattori predisponenti i tumori, l’articolo si conclude con le linee guida del World Cancer Research Fund, cioè un vero e proprio decalogo per la prevenzione! BUONA LETTURA!

    Parlare di alimentazione e patologie tumorali oggi può risultare quasi rischioso: l’enorme sviluppo dei sistemi di informazione, primo tra tutti il web, ha purtroppo scatenato la nascita di numerose correnti di pensiero più o meno scientifiche (spesso addirittura bufale) che dibattano sull’argomento. Carne si? Carne no? Latticini? Vegetariani e vegani? Chi ha ragione?

    La verità, o ciò che più si avvicina ad essa, risiede ancora nella letteratura scientifica: grazie ad essa, oggi sappiamo con certezza che esiste una precisa relazione tra dieta e cancro. L’American Institute for Cancer Research ha calcolato che le cattive abitudini alimentari sono responsabili di circa tre tumori su dieci.Runners e Bikers Italian Live SportsIn generale gli studi epidemiologici hanno dimostrato che un’alimentazione troppo ricca di grassi (saturi) e proteine animali (che vedono accresciuta la loro pericolosità perché accompagnate spesso da sostanze cancerogene come in nitriti e i nitrati o quelle sviluppate durante la cottura alla griglia) favorisce la comparsa della malattia, mentre la preferenza per gli alimenti ricchi di fibre, vitamine e minerali, come cereali integrali, legumi e verdure, sembra avere un effetto protettivo.

    Sebbene vi siano tumori più sensibili di altri agli effetti del cibo (i tumori dell’apparato gastrointestinale), gli studi più recenti hanno messo in evidenza che l’azione degli alimenti sul rischio di cancro è molto più estesa: il tipo di alimentazione influisce infatti sullo stato di infiammazione che può predisporre a ogni forma di cancro e sull’equilibrio ormonale che può favorire od ostacolare lo sviluppo dei tumori della prostata nell’uomo e del seno, dell’ovaio e dell’endometrio, nella donna.

    incurabileUna dieta sana ed equilibrata evita per esempio che si creino nel sangue eccessivi livelli di insulina e di altri ormoni, come l’ormone della crescita, che possono favorire la proliferazione tumorale delle cellule. Ad alcuni alimenti si attribuisce invece un’azione antinfiammatoria che potrebbe intervenire nelle prime fasi della genesi di molti tumori: l’effetto benefico di frutta e verdura dipende perlopiù dal contenuto in fibre e sostanze antiossidanti. Le prime infatti facilitano il transito intestinale, riducendo il tempo di permanenza nell’intestino di eventuali tossine, mentre gli antiossidanti, come le vitamine e gli oligoelementi, neutralizzano i cosiddetti radicali liberi, capaci di danneggiare il DNA cellulare scatenando l’attivazione neoplastica.

    stop-cancro

    La dimostrazione dell’effetto preventivo di frutta e verdura nei confronti del cancro ha spinto moltissimi gruppi di ricerca a verificare se lo stesso risultato si poteva ottenere somministrando vitamine e antiossidanti sotto forma di integratori. I risultati non confortanti (l’effetto può addirittura essere controproducente, soprattutto quando se abusa) suggeriscono che negli alimenti, l’effetto benefico sia prodotto più dall’azione sinergica delle varie sostanze, che non dall’azione della singola vitamina. Inoltre non è probabilmente trascurabile il ruolo delle fibre e di altri elementi presenti anche soltanto in tracce.

    Oltre alla qualità di cibo assunta quotidianamente, conta molto anche la quantità. Molte ricerche hanno evidenziato il legame tra il cancro e l’obesità, tanto che gli esperti dell’International Agency for Researchon Cancer (IARC) ritengono che dall’eccesso di peso, conseguenza di un’alimentazione sbilanciata e dalla scarsa attività fisica, possa dipendere dal 25 al 30 per cento di alcuni dei tumori più comuni, come quelli del colon e del seno.

    CARNI, VEGETALI E CANCRO

    aircNel mese di agosto del 2009 la rivista American Journal of Clinical Nutrition ha pubblicato alcune conclusioni del progetto EPIC, la più vasta indagine epidemiologica (ha coinvolto 520.000 persone provenienti da 10 Paesi europei) il cui scopo è quello di investigare i rapporti tra dieta, fattori ambientali e stili di vita, con l’incidenza di cancro e di altre malattie croniche. In particolare un’analisi recente ha mostrato che non c’è una relazione diretta tra quantità di carne, uova o latticini consumati e rischio di sviluppare un cancro del seno, mentre esiste con altri tipi di tumore, come quello del colon (soprattutto in relazione alla carne). Solo la carne lavorata (insaccati, carne in scatola) sembra accrescere il rischio delle donne di ammalarsi anche di carcinoma mammario. Per contro, un aumentato apporto di fibre è un fattore protettivo sia nei confronti del cancro del colon sia di quello del seno. Studi su popolazioni strettamente vegetariane mostrano come il rischio di ammalarsi di cancro diminuisca, a seconda delle ricerche effettuate, dal 10 al 25 per cento. Il notevole numero di soggetti esaminati (oltre 60.000) dà notevole peso ai dati ottenuti.

    Un altro dato interessante: il gruppo che ha mostrato il maggior guadagno in generale (18% di riduzione nell’incidenza di tutti i tipi di tumore) è quello di coloro che non mangiano carne ma mangiano pesce, a riprova del fatto che nel pesce vi sono sostanze importanti per la prevenzione dei tumori, in particolare degli acidi grassi omega-3.

    I cardini per la prevenzione oncologica possono essere quindi sintetizzati citando “Il decalogo dellasalute” del World Cancer Research Fund che ha concluso nel 2007 un’opera di revisione di tutti gli studi scientifici sul rapporto tra alimentazione e tumori

    Il decalogo della salute

    Articolo di Giuseppe Cucinotta (Dietista specializzato in alimentazione e nutrizione applicata allo sport, docente di alimentazione e dietologia) tratto dal numero 10/2016 di Runners & Bikers Magazine

  5. Alimentazione: le domande più frequenti

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    (Aggiornato al 15/12/2022)

    Integratori, veganesimo, omega 3, incremento massa muscolare, recupero fisico e “diete alla moda”! Sono tutti argomenti su cui possono insorgere quesiti quando si cerca di approfondire un argomento vasto come l’alimentazione (di cui abbiamo dato le linee guida su base scientifica nel precedente post). Questo post lo dedicheremo proprio alle domande più frequenti, cercando di andare incontro (in maniera chiara) alle curiosità di chi vuole approfondire una tematica fondamentale per la salute e il benessere. Ma iniziamo subito con il primo quesito*.

    *ATTENZIONE: le informazioni contenute sul nostro blog sono esclusivamente a scopo informativo, e in nessun caso possono costituire o sostituire parere e prescrizione medica e specialistica. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico curante e/o di specialisti prima di modificare il proprio regime alimentare e di integrazione!

    alimentazione, domande

    Gli integratori alimentari sono veramente necessari? Quali integratori sono realmente utili?

    Poco più di 10 anni fà, scrissi un libro sugli integratori con un mio collega; cercammo di avere un approccio esclusivamente scientifico, cioè valutando l’efficacia concreta di un integratore, in base a quello che emergeva allora dalle ricerche scientifiche. In sostanza, tra le 150 sostanze (cioè prodotti) rigorosamente analizzati, veramente poche sono risultate quelle effettivamente efficaci e solo in alcuni casi. Quindi è da prestare attenzione a chi propone prodotti con la presunzione di risolvere problemi o aiutare chissà quale funzione fisico/energetica; allo stesso tempo, alcuni soggetti possono presentare carenze fisiologiche tali da necessitare di assumere un certo tipo di integratori. Allora come fare? La prima cosa da fare è seguire uno stile di vita adeguato (alimentazione, attività fisica, esami regolari, ecc.) e seguire le indicazioni del proprio medico, che è in grado di prescrivere le giuste sostanze solo in caso di necessità!

    Per chi fa sport (o vegano, come vedremo in un paragrafo sotto), può essere anche utile rivolgersi ad un dietologo (che ricordiamo essere un Medico Chirurgo con la specializzazione di 4 anni in Scienza dell’alimentazione) per valutare la necessità di integrare con la dieta alcune sostanze. Il “fai da te” a mio parere è sconsigliato! L’unica eccezione è rappresentata da chi fa sport di endurance a livello agonistico e, durante sforzi particolarmente prolungati (maratone/ultramaratone, granfondo ciclistiche, ecc.), ha bisogno di integrare con prodotti a base di carboidrati; in questi casi ogni manifestazione ha (per regolamento federale) punti ristoro lungo il tracciato che forniscono alimenti o integratori per sostenere le riserve energetiche dei partecipanti. Alcuni, in questi casi, preferiscono portarsi dietro gel energetici (o preparare borracce personalizzate), comodi da assumere e leggeri da trasportare; per chi volesse approfondire l’argomento, lo invitiamo a leggere il nostro post dedicato agli integratori energetici da assumere in gara. Per chi invece volesse farsi una cultura approfondita sull’argomento, consigliamo questo testo scritto da Roberto Albanesi e Daniele Lucarelli o di leggere le nostre recensioni sulle sostanze che potete trovare al post dedicato agli integratori alimentari.

    Per chi è vegano, a quali aspetti dovrebbe prestare attenzione per rischiare di non avere lacune da un’alimentazione evidentemente limitata?

    Nel precedente articolo abbiamo evidenziato (nel secondo Step) quanto sia importante la varietà degli alimenti. Eliminare totalmente (per motivi personali) tutte le fonti animali (carne, pesce, uova, latte, ecc.) porta a lacune nutrizionali, a cui il vegano deve prestare attenzione per colmarle in maniera adeguata. In particolar modo:vegani

    1. Non mangiando carne/pesce viene a mancare un apporto proteico di qualità (le proteine “non di fonti animali” sono meno complete, ma in modo diverso, quindi vanno assolutamente abbinate tra di loro per colmarne le lacune); per ogni pasto, è opportuno quindi abbinare fonti vegetali diverse (l’abbinamento più comune è “legumi” + “cereali”) per colmare la necessità di tutti gli amminoacidi essenziali all’organismo.
    2. Non mangiando pesce, viene a mancare un insieme di altri elementi fondamentali per la salute, cioè gli omega-3 della serie EPA-DHA. Questi non sono “essenziali”, ma tra gli omega-3 rappresentano le fonti più bioattive, responsabili di tantissime funzioni vitali. Chi è vegano sarebbe bene monitorasse (tramite personale competente) lo status fisiologico degli omega-3 al fine di comprendere la necessità o meno di intervenire sulla propria dieta (anche tramite fonti vegetali di EPA e DHA), per colmare eventuali carenze nutritive associate agli omega-3. Potete trovare un approfondimento nel nostro post dedicato a omega-3, sport e sostenibilità.
    3. La rinuncia totale alle proteine animali, determina assolutamente la necessità di assumere alimenti fortificati (o integratori) di Vitamina B12, presente quasi esclusivamente nel mondo animale. Anche in questo caso, i dosaggi dovrebbero essere prescritti da un medico o da un dietologo.

    Quelle sopra sono le raccomandazioni più comuni a cui può andare incontro chi scegliere di essere vegano; altre carenze a cui può andare incontro sono quelle della Vitamina D, Calcio e Ferro. Concludiamo affermando che anche chi è adulto e vegano (con opportuni accorgimenti), può beneficiare di una dieta corretta, a patto di farsi seguire almeno nella fase iniziale da personale medico (il Dietologo sarebbe la figura professionale più corretta) competente. Per soggetti in fase di crescita (bambini e ragazzi) è assolutamente necessario il consulto del pediatra prima di intraprendere questo stile alimentare (vedi approfondimento).

    Malgrado alcune diete si discostino (in maniera maggiore o minore) dal modello alimentare equilibrato, come mai sono diventate così famose?

    gattiÈ da tenere in considerazione che quando si ascoltano delle singole testimonianze (magari a volte dubbie, basate su interessi commerciali) queste non hanno validità statistica, anche se riportate in buona fede. Mi spiego meglio, fa sicuramente più notizia una persona che riesce a perdere 10 Kg con la dieta a Zona, che altre 10 persone che l’hanno abbandonata perché l’hanno ritenuta insostenibile perché troppo restrittiva. Quello che ha approfondito la scienza dell’alimentazione (che si basa su fondamenta statistiche fatta per la maggior parte di sperimentazioni su campioni di migliaia di persone) l’abbiamo approfondito nel post precedente; a mio parere, il motivo per cui alcune diete, per un certo periodo di tempo, sono particolarmente seguite sono:

    1. Chi ottiene risultati da questo tipo di regimi, proviene da uno stile alimentare completamente sballato, peggiore di quello rappresentato dalla dieta di moda del momento. È stato l’esempio della Dieta a Zona agli inizi di questo secolo; chi passava a quel regime erano persone poco sportive (la maggior parte) che mangiavano molti carboidrati e poco pesce (quello che era la tendenza di quel periodo); passando ad un regime ipocalorico (quale la Dieta a Zona), con una sufficiente quota proteica è ovvio che trovassero beneficio rispetto a prima. Il fatto è che la Dieta a Zona ha poi ulteriori “regole” che in questi anni non sono state sorrette dall’evidenza scientifica.
    2. Molte volte, le diete rappresentano un vero e proprio businnes; dietro a questi modelli alimentari ci sono vendite di prodotti, libri, blog e consulenze, la cui attività è resa visibile da strategie di marketing efficaci (in questi casi il marketing è molto più produttivo della dieta stessa). Purtroppo invece, le linee guida per una dieta corretta e un approccio efficace e realista all’attività fisica non rappresentano un businness (o lo rappresentano in parte minore), e quindi hanno meno visibilità!
    3. Alcune diete rappresentano una speranza (puntando sull’emotività delle persone)! Cioè la speranza di tante persone che venga trovato o svelato qualcosa che permetta di dimagrire velocemente e senza fatica o restrizioni. Puntando su questo aspetto diversi regimi alimentari od integratori (soprattutto!) basano la propria strategia. Sarebbe sufficiente spiegare alla gente che l’acquisizione di un regime alimentare equilibrato, abbinato ad una corretta attività sportiva nel momento iniziale può sicuramente rappresentare un approccio “faticoso e/o restrittivo” (soprattutto se non se è seguiti da linee guida qualificate), ma a lungo termine alimenta un circolo virtuoso che porterà ad un miglioramento evidente della propria aspettativa di vita! A questo punto riportiamo sotto una tabella che permette di identificare e confrontare i punti chiave di un’alimentazione basata sull’evidenza scientifica e un modello alimentare “X”.
    4. Altre possono portare benefici in alcuni ambiti della salute e della performance sportiva, ma solo se strettamente individualizzate (con la collaborazione di personale esperto) o per periodi brevi. Il caso più banale è il carico di carboidrati per chi pratica discipline di endurance.A proposito di discipline di resistenza, Dervin-Lampir et al 2021 effettuarono una revisione di studi scientifici pubblicati dal 1983 al 2021 su 5 modelli popolari di “diete alternative” e i relativi effetti su salute e performance. Tra queste, videro come diete vegane/vegetariane comportassero un rischio di carenza di micronutrienti e proteine, e le diete ricche di grassi (high-fat diet) un aumento dell’affaticamento e dei sintomi gastrointestinali. Anche regimi alimentari come il Low-FODMAP (la cui efficacia nei confronti della riduzione dei sintomi gastrointestinali è comprovata) tende a peggiorare la composizione del microbiota. Per ultima, il digiuno intermittente ha l’effetto di aumentare il livello di disidratazione e peggiorare la qualità del sonno. Quelle citate sopra, non sono semplici “diete alla moda”, ma regimi alimentari con diverse pubblicazioni alle spalle. Questo significa che “uscire dal seminato” di una dieta equilibrata, spesso limitando la variabilità degli alimenti, è un passo da fare solamente se i vantaggi (per il periodo in cui si effettuano i cambiamenti) possono sopravanzare le possibili contrindicazioni. In questi casi, solo l’intervento di personale qualificato (dietologo, nutrizionista, dietista) è in grado di valutare con competenza la modifica delle abitudini e l’individualizzazione del regime alimentare nuovo o provvisorio.

    valutazione dieta

    Dopo un allenamento impegnativo, a quali macronutrienti è necessario dare la precedenza?

    Dopo lo sforzo, la prima cosa da riprendere è l’idratazione; il “quanto” bere dipende da quanta acqua si è persa con la sudorazione; tale valore è influenzato dall’entità dello sforzo (durata/intensità) e dalla temperatura esterna. Se si vuole essere “superpignoli” è sufficiente pesarsi prima e dopo la corsa…quello che si è perso è quasi esclusivamente liquidi, e quindi si sa quanto bere. Per quanto riguarda i macronutrienti, in linea teorica, per massimizzare il recupero post-sforzo, dopo la gara/allenamento andrebbero ingeriti circa 1.2 g di carboidrati per Kg di peso e 20 grammi (in tutto) di proteine. Ciò ovviamente vale per i professionisti, che si allenano dalle 8 alle 12 volte a settimana, che devono assolutamente sfruttare il più possibile i margini di tempo per recuperare tra uno sforzo e l’altro. Per chi si allena 3-4 volte a settimana, è possibile essere molto meno maniacali, partendo da questi 2 presupposti:

    • Dopo lo sforzo è il momento migliore per reintegrare i sdrinkcarboidrati, e questa “finestra favorevole” dura circa 2 ore.
    • Un reintegro precoce delle proteine favorisce il recupero (per favorire la sintesi proteica), ma non necessariamente deve essere fatto con integratori. Negli anni passati, la letteratura scientifica si è concentrata sugli effetti del latte al cacao in questo contesto…e si è rilevato particolarmente efficace! Per fare un esempio pratico, lo Sdrink della Granarolo nel brik da 200 ml fornisce 7.2 grammi di proteine ad alto valore biologico e 25 grammi di carboidrati! Altre buone alternative sono gli yogurt (quelli da bere sono molto comodi), i savoiardi (se si preferisce qualcosa di solido) e le meringhe. Per approfondire, ti invitiamo a leggere il post sulla tempistica di assunzione delle proteine.

    Per chi effettua sport ad alta intensità alla mattina (gare podistiche, in bici, nuoto, ecc.), come dovrebbe fare colazione?

    L’aspetto primario è quello di esser sicuri aver terminato la digestione prima di partire! Il “cosa” e quanto mangiare dipende dal tempo che trascorre tra la fine del pasto e l’inizio della gara:

    • Nel caso in cui ci sia la possibilità di finire di mangiare 3-4 ore prima della gara, si può introdurre fino a 1-3 grammi (è molto soggettivo) di carboidrati per Kg di peso corporeo, a patto che si ingeriscano cibi facilmente digeribili (pane, pasta, riso, fette biscottate, biscotti secchi, ecc) con pochissimo (o addirittura senza) condimento.
    • Nel caso in cui si abbia meno tempo, diventa tutto più soggettivo; il latte (soprattutto se abbinato al caffè) è da evitare! In questo caso la digeribilità di quello che si ingerisce è fondamentale: thè zuccherato, biscotti secchi e yogurt magro sono gli alimenti che apportano carboidrati di veloce digestione. La quantità dipende dalla vicinanza alla gara e dall’abilità digestiva del soggetto.

    Alcuni ingeriscono anche dei gel appena prima di partire, ma è da prestare attenzione, perchè l’uso eccessivo di questi (visto che poi probabilmente se ne utilizzano anche in gara nelle manifestazioni di durata) può dare problemi gastrointestinali.

    Per chi invece pratica sport di natura Intermittente come il calcio, consigliamo di leggere in nostro post specifico.

    Come influenza la salute (e la performance) il microbiota intestinale?

    Era il 2001 quando fu per la prima volta utilizzato il termine Microbiota, per indicare tutti quei micro-organismi (soprattutto batteri, ma anche funghi, virus e protozoi) che vivono in simbiosi con l’uomo. La parte intestinale è sicuramente quella più studiato, ma il microbiota riveste tutta la parte esterna del nostro corpo (cioè la cute), ma anche la bocca, gli organi urogenitali, gli occhi, l’orecchio esterno e in parte anche i polmoni. Il peso totale può aggirarsi da 1 a 2.7 Kg e stringe legami funzionali con diversi organi e funzioni del nostro organismo, non per ultimo il sistema nervoso centrale.

    funzioni microbiota

    È inoltre importante sottolineare come nel Microbioma (cioè l’insieme dei geni del nostro Microbiota) risiede il 99% della varietà genetica totale del nostro corpo (la varietà del genoma umano è solo l’1% di esso). Non solo, il nostro Microbioma dipende in gran parte da quello che è stato il nostro stile di vita dai primi istanti della nostra esistenza fino ad ora, ma è modificabile cambiando il nostro stile di vita.

    Questo dovrebbe far riflettere su come il benessere, il decorso di eventuali malattie, l’invecchiamento e la performance possano essere influenzati anche dalla salute del nostro microbiota. Lo studio dei microorganismi che vivono in simbiosi con noi, è probabilmente uno degli ambiti della biologia che in futuro potrà avere un maggiore impatto sulla conoscenza del nostro benessere. Se vuoi approfondire come convivere al meglio con il tuo Microbiota, ti invito a leggere il nostro post sull’argomento. Per le persone attive e gli sportivi, consigliamo il post dedicato a Microbiota e performance atletica.

    Ma esistono alimenti in grado di avere un impatto particolarmente positivo sul nostro microbiota?

    Partendo dal presupposto che l’intero stile di vita ha influenza sul nostro “ospite”, alcuni cibi fermentati sono da sempre considerati come “benefici” nei confronti della salute intestinale. Malgrado manchino rigorosi approfondimenti scientifici in materia, attualmente solo gli effetti del kefir sono sorretti dalle evidenze. Potete approfondire l’argomento leggendo il nostro post dedicato ai benefici del kefir per gli sportivi.

    Altro elemento della nostra vita che è influenzato dalla salute del microbiota è il sonno; accanto all’ovvia regola “un’alimentazione corretta aiuta a dormire meglio“, esistono indicazioni che riguardano alimenti ed abitudini che possono influenzare la qualità del sonno; trovate tutto nel capitolo specifico all’interno dell’articolo dedicato al rapporto tra sonno e recupero nello sport.

    Chi pratica body-building (soprattutto ad alto livello) e ha una massa magra superiore alla norma, difficilmente rientra in un IMC inferiore a 26, pur avendo (in alcuni casi) una massa grassa paragonabile a quella di un soggetto magro. In questi soggetti, si utilizzano altri indici per valutare la composizione corporea.

    BMI

    La domanda scaturisce dalle considerazioni fatte nel nostro post sull’attività fisica, in cui veniva indicato come 26, il valore di IMC (Indice Massa Corporea, vedi formula nell’immagine sopra) oltre il quale si andava incontro ad una diminuzione dell’aspettativa di vita per motivi legati al sovrappeso/obesità. Ricordiamo che l’IMC è un indice estremamente facile da ricavare (è sufficiente una bilancia, un metro e una calcolatrice), e rappresenta un valore abbastanza attendibile della percentuale della massa grassa, che è il reale responsabile delle problematiche relative alla salute associate al peso. In altre parole, è la quantità di massa grassa che rappresenta il “rischio” per la salute e l’IMC è un indice indiretto attendibile per la quasi totalità della popolazione. La valutazione diretta della massa grassa è un protocollo particolarmente complesso e si effettua con la pesata idrostatica (vedi immagine sotto), non accessibile a tutti; fortunatamente esistono altri metodi indiretti (plicometro, bioimpedenziometria, ecc.) che possono dare un valore abbastanza attendibile, a patto che si sappia interpretare i dati.

    pesa idrostatica

    Fatta questa breve premessa, per body builder o in sport in cui l’evidente l’aumento di massa muscolare è una conseguenza/richiesta dell’allenamento andrebbe valutata la massa grassa (seppur indirettamente) piuttosto che il IMC. Purtroppo non esistono studi approfonditi che correlano la massa grassa all’aspettativa di vita; è comunque ragionevole ipotizzare che un uomo si possa considerare in sovrappeso con un valore oltre il 12%, mentre una donna oltre il 20%.

    ultima immagine

    Speriamo di aver interpretato almeno una parte, dei dubbi che può avere chi cerca di avere una dieta corretta abbinata ad un’attività fisica ottimale. Se vuoi approfondire ulteriormente l’argomento, ti invitiamo ad andare alla pagina principale dedicata alla nutrizione, potrai trovare l’indice delle nostre risorse su alimentazione ed integrazione. 

    Se invece vuoi rimanere aggiornato sulle nostre pubblicazioni, collegati al mio profilo  linkedin.

    Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it) preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  6. Sport, Alimentazione e Benessere: qual è lo stile di vita ideale?

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    (Aggiornato al 14/07/2020)

    Diete, integratori, attività fisica, trattamenti “miracolosi” e tanto altro…on-line si trovano veramente tante “ricette” (per “Vivere meglio”) con diversi punti in comune, ma anche peculiarità che originano da motivi commerciali, istituzionali o semplicemente legati alla tradizione. L’approfondimento di un concetto così complesso deve ovviamente prevedere un approccio top-down linee guida(cioè partendo da una visione generale del sistema, per poi scendere nel dettaglio nelle sue parti). Di conseguenza, con questo post (e con quelli che seguiranno) è nostra intenzione condividere (senza sostituirci al parere di specialisti in materia) gli elementi che emergono dalla bibliografia scientifica internazionale per ottimizzare lo stato di salute. Ma da dove partire per organizzare le informazioni scientifiche? Quali fonti scientifiche e/o governative preferire?…cominciamo rispondendo alla prima domanda:

    SCELTA DELLE INFORMAZIONI

    Partiamo con il definire il concetto di Salute…già dal 1948, l’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) ha definito la Salute come

    lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia.

    Quindi già nel secondo dopoguerra, viene riconosciuto a livello istituzionale l’unità psico-fisica! Per iniziare il nostro approfondimento partiamo quindi da presupposti un po’ macabri, ma essenziali: cioè le cause di morte! Gli ultimi dati dell’Istat risalgono al 2012; sotto riportiamo il grafico riassuntivo dell’ISTAT

    Cause di morte italia

    Com’è possibile vedere, le principali cause di morte sono connesse in primis a problematiche di natura cardiovascolare, poi i tumori e in misura sempre significative le malattie di origine cognitiva e quelle di natura respiratoria, ecc. Il secondo passo quindi è quello di analizzare le variabili evidenziate (soprattutto a livello preventivo) dagli Organi Governativi per evitare di andare incontro a queste problematiche. Le nostre fonti saranno:

    • America Heart Association: l’associazione cardiologica Americana, probabilmente l’organo mondiale più importante riguardo lo studio di queste malattie.
    • Centers of Disease Control and Prevention: il centro Americano per il controllo e la prevenzione di tutte le malattie: cancro, diabete, malattie infettive, diabete, malattie trasmesse sessualmente, ecc.
    • Alzheimer’s Association: l’associazione Americana per l’Alzheimer.
    • AIRC: l’efficiente Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro.

    racolta informativaLE LINEE GUIDA

    Ovviamente è impossibile dare delle linee guida esaustive sulla salute in un unico post, ma è importare far notare che tutte queste, si possono raggruppare in 3 gruppi principali.

    • Modulazione dei “Comportamenti”: alimentazione, attività sportiva, mantenimento del peso corporeo, sono solo alcuni degli elementi della vita di ognuno di noi, che vanno “Modulati” al fine di ottimizzare da questi lo stato di salute e benessere.
    • Evitare comportamenti dannosi: se alcune variabili della vita vanno modulate (quelle sopra), altre sarebbe meglio evitarle completamente (o per lo meno rimanere sotto un livello di “soglia”). Tra queste troviamo il fumo, l’esposizione ad agenti inquinanti, le dipendenze, ecc.
    • Monitorizzazione delle variabili definite “a rischio”: i punti sopra non sono completamente sufficienti a garantire una salute e benessere completo, perché esistono alcune predisposizioni individuali (legate al proprio codice genetico) che facilitano l’insorgenza di problematiche anche in assenza di atteggiamenti dannosi. Proprio per questo, per diverse patologie esistono esami o screening che hanno lo scopo di individuare precocemente l’insorgenza di malattie, ad uno stadio in cui è più efficace la cura.

    Nei paragrafi successivi andremo analizzare in maggior dettaglio i 3 punti indicati sopra.

    1) MODULAZIONE DEI COMPORTAMENTI

    corsa e stile di vitaIl documento che più ci aiuta a definire al meglio questo punto è il “THE 2020 IMPACT GOAL”, il progetto a medio termine dell’American Hear Association (Associazione Americana per la salute Cardiovascolare), che si pone di ridurre del 20% (in cinque anni, dal 2015 al 2020) le morti e gli infarti nella popolazione Americana. Il progetto prevede 7 punti, alcuni del quali possono essere annoverati in quello che noi consideriamo “Modulazione dei comportamenti”, “atteggiamenti dannosi” e “Monitorizzazione delle variabili a rischio”. Tra i 7 punto del programma vediamo:

    • Pratica attività fisica: gli effetti dell’attività fisica sono dose dipendenti, cioè gli effetti benefici sono proporzionali al tempo dedicato fino ad una certa soglia (limite, diverso da persona a persona). Nel programma “THE 2020 IMPACT GOAL” sono consigliati almeno 150’ di attività moderata (o 75’ di attività vigorosa) per averne un beneficio minimo. Come poi vedremo nel post dedicato, la soglia oltre la quale i benefici si stabilizzano è da considerare da 2 a 5 volte la “dose minima” (Samits e coll 2011 e Arem e coll 2015), e arrivando anche oltre 10 volte questa dose, non si verificano problemi alla salute. A questo link potete vedere un’analisi dettagliata.
    • Segui una dieta corretta: vedi il nostro post dedicato all’argomento

    • Cura la quantità e la qualità del sonno: le evidenze che emergono dalla bibliografia internazionale confermano in via definitiva come un quantità inadeguata di sonno possa essere la causa di numerose malattie come il diabete, l’ipertensione, l’obesità e problematiche di tipo psichiatrico-comportamentale. Molte persone non conoscono quante ore dovrebbero dormire a notte per ottimizzare la propria salute, quali sono le corrette pratiche di igiene del sonno e non sanno riconoscere i segni e i sintomi del disturbo del sonno o che indicano che si sta dormendo troppo poco. Un adulto sano infatti, dovrebbe dormire (non semplicemente rimanere a letto) tra le 7-9 ore a notte, con ovvie differenze tra soggetto a soggetto. Nel nostro post dedicato all’argomento potete trovare tutte le indicazioni essenziali per ottimizzare questa importante fase della giornata.
    • Mantieni un peso adeguato: indicativamente viene consigliato di mantenere un BMI al di sotto di 25: il BMI (Body Mass Index, in Italiano l’Indice di Massa Corporea) si ottiene dividendo il peso (in Kg) per l’altezza (in metri) al quadrato. Alcuni autori indicano come tale limite dovrebbe essere leggermente inferiore e differenziato tra maschi e femmine. Questo indice è utilizzato per indicare come non si debba andare oltre una certa soglia di peso, per evitare di sfociare nel sovrappeso e nell’obesità, che sono 2 fattori di rischio per molte malattie.
    • Tieni controllata la pressione arteriosa: l’ipertensione è una malattia detta “silenziosa” perché non manifesta sintomi, ma ha gravi conseguenze a lungo termine. Una corretta alimentazione, un’attività fisica adeguata sono 2 variabili che influenzano positivamente la pressione arteriosa, ma è importante monitorarla perché esiste anche una componente di familiarità. È necessario il consulto medico quando le pressioni minima (diastolica) e massima (sistolica) vanno oltre un certo livello (rispettivamente 80/120 mmHg).
    • Mantieni la glicemia sotto i livelli di guardia: malgrado il diabete vada ad influenzare negativamente diversi organi, l’84% degli over65 diabetici muoiono per malattie cardiovascolari. “Fortunatamente” il diabete è una malattia che (se si individuano precocemente alcuni segni/sintomi) è facile da preventivare e da curare, se si tiene uno stile di vita (soprattutto alimentazione ed attività fisica) adeguato e una corretta terapia farmacologica.
    • Cercare di avere uno stile di vita sereno e felice, cercando di fronteggiare lo stress nella maniera più opportuna; non ci addentriamo ulteriormente in questo argomento perché richiederebbe diversi interventi da parte di personale qualificato in materia.

    2) EVITARE COMPORTAMENTI DANNOSI

    comportamenti dannosiEsistono comportamenti che andrebbero assolutamente evitati per evitare che certe variabili vadano a compromettere la propria salute. Sempre riferendoci al “THE 2020 IMPACT GOAL”, al “Piano di controllo e prevenzione Statunitense” e ai consigli dell’AIRC. riportiamo:

    • Evitare di fumare!
    • Mantenere il consumo di alcol sotto una certa soglia giornaliera: solitamente definita come l’equivalente di 120ml di vino (un bicchiere) per le donne e 260 ml per gli uomini; alcune tipologie di persone (donne incinta, bambini, adolescenti, ecc.) non dovrebbero consumarne, come non andrebbe consumato in determinate situazioni (prima di mettersi alla guida, ecc.). Ricordiamo comunque che anche questi introiti minimi possono far permanere l’alcol nel sangue per 4-5 ore, con conseguenti limitazioni per il recupero per chi fa sport.
    • Controllare l’esposizione al sole: malgrado i raggi ultravioletti abbiano importanti effetti benefici, è necessario (a seconda di diverse variabili) proteggersi in maniera adeguata.
    • Evitare l’uso di droghe e di sostanze dopanti.
    • Evitare rapporti sessuali “rischiosi” non protetti.
    • Quando possibile evitare l’esposizione ad inquinanti atmosferici, allo smog e al fumo da sigaretta.
    • Proteggersi al lavoro dagli agenti cancerogeni e tossici, rispettando le norme di protezione.

    3) MONITORAGGIO DELLE VARIABILI DEFINITE “A RISCHIO”

    efficienzaEccoci arrivati al terzo punto della nostra raccolta informativa; esistono variabili di natura genetica che possono influenzare il “destino” della salute di un individuo. Per questo motivo, le varie associazioni governative consigliano e progettano esami, screening e valutazioni a scopo preventivo, nei confronti di quelle malattie che in base all’età, sesso, familiarità ed altri elementi possono essere individuate (e curate) precocemente. Ovviamente riporteremo solo alcuni delle raccomandazioni più importanti; consultarsi con il proprio medico è fondamentale per il monitoraggio delle variabili a rischio. In base a quanto raccomandato dalle istituzioni governative già citate sopra (AHA, CDC e AIRC) elenchiamo:

    • Monitorizzazione di glicemia, pressione arteriosa (già citate sopra) e colesterolo.
    • Screening antitumorali: i più comuni sono quelli per il tumore del seno, del collo dell’utero, del colon-retto.
    • Tutti gli esami/accertamenti prescritti da personale medico che per età, sesso e situazioni particolari possono rilevarsi importanti per comprendere lo stato di rischio e salute del soggetto.

    CONCLUSIONI

    Con questa raccolta informativa abbiamo voluto dare una dimensione di quelle che possono essere le raccomandazioni per una vita salutare, considerando l’organismo umano nella sua unità mente-corpo. Ovviamente queste indicazioni vanno prese “cum grano salis” e non sostituiscono il parere e la prescrizione di personale medico; infatti non è stato tenuto in considerazione tutto lo spettro delle malattie possibili (mancano quelle di natura cognitiva, le malattie rare, ecc.), ma speriamo di aver stimolato la curiosità nell’approfondire quello che ci fa stare meglio. Abbiamo preso come esempio principale il “THE 2020 IMPACT GOAL” proprio perché in maniera semplice (con indicazioni che tutti possono seguire), stimola ad adottare quegli atteggiamenti che aiutano a vivere meglio. Ovviamente la conoscenza di questi elementi non è sufficiente, ma è assolutamente necessario avere il coraggio di fare scelte e proseguire verso la giusta direzione, anche quando sembra tutto tremendamente difficile.

    Di conseguenza è fondamentale per tutti i professionisti che lavorano nell’ambito della salute, far comprendere (con realismo e fiducia) alle persone con cui interagiscono, i piccoli e i grandi risultati ottenuti.

    Autore dell’articolo:  Melli Luca, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 (melsh76@libero.it) e Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto.

  7. L’allenamento estivo del calciatore

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    (Aggiornato al 11/05/2022)

    Chi allena nel calcio dilettantistico di oggi sa benissimo che solo dopo 7-14 giorni dall’inizio del periodo preparatorio c’è la possibilità di affrontare la prima partita ufficiale (di coppa). È quindi evidente l’esigenza di avere dei giocatori che si presentino già con un livello minimo di condizione al primo allenamento. Nel post odierno cercheremo di comprendere come debba essere fatto un programma di allenamento estivo (da affrontare individualmente da parte dei giocatori) di pre-preparazione. Vi daremo poi la possibilità di scaricare un programma standard (che potrete modificare inserendo anche i dati e logo societario) sia per la parte di corsa che per il lavoro di potenziamento muscolare da fare a casa.

    CARATTERISTICA DELL’ALLENAMENTO ESTIVO

    Affinchè comporti effettivi benefici (nel periodo preparatorio), come deve esser strutturato l’allenamento estivo? Sotto diamo le nostre indicazioni:

    • Deve essere possibile effettuarlo ovunque, anche in vacanza: un programma semplice, che non richieda attrezzature (un cronometro è sufficiente) o riferimenti metrici (ma riferimenti di tempo) è possibile svolgerlo al mare, a casa o in montagna.
    • Non deve essere troppo impegnativo: idealmente una durata di 40-50’(compreso riscaldamento e defaticamento) sono un giusto compromesso tra un efficace allenamento di base e un qualcosa di non “troppo difficile” da effettuare.
    • Deve essere tale da poter essere effettuato anche in piccoli gruppi; ciò aumenta la probabilità che più giocatori possibili effettuino le sedute motivandosi a vicenda e “facendo gruppo”.
    • Fornire anche un protocollo di potenziamento muscolare orientato allo sviluppo della resistenza muscolare locale tramite movimenti funzionali; questo, se effettuato correttamente, permette di ridurre l’incidenza di infortuni, di aumentare la forza del calciatore e di diminuire il rischio di affaticamento (o il solito “mal di gambe”) tipico della preparazione. Nel prossimo capitolo vedrete i dettagli di questo programma.

    Sotto riportiamo il link per scaricare un esempio di base (sempre per le categorie dilettantistiche) di un piano di corsa di 15 o più sedute; ve lo lasciamo in formato Word per poter modificare intestazione e le sedute a vostro piacimento.

    Nell’immagine sotto è possibile vedere come integrarlo eventualmente con il programma di potenziamento (ne parleremo nel prossimo capitolo).

    allenamento calciatori estate

    Per chi volesse fare solo la parte di corsa, è consigliabile iniziarlo a metà Luglio, programmando 3-4 allenamenti a settimana, in maniera tale da concluderlo qualche giorno prima dell’inizio della preparazione.

    Scarica il programma di corsa dell’allenamento estivo per word

    Scarica e visiona il programma in pdf

    ALLENAMENTO DI FORZA E PREVENZIONE INFORTUNI

    Una metodologia d’allenamento intelligente, deve assolutamente tenere in considerazione anche la prevenzione degli infortuni. Ovviamente nel periodo estivo è difficile lavorare su questi aspetti, perchè questo tipo di interventi dovrebbe essere seguiti dallo staff della squadra.

    Come per il protocollo di corsa, è comunque possibile dare un programma semplice ai giocatori finalizzato alla al miglioramento della forza generale.

    Questo perché l’estate è un ottimo momento per lavorare su questo tipo di qualità, le quali non sempre si ha l’opportunità, ed il tempo, di allenarle durate la stagione a livello dilettantistico. Le caratteristiche di questo programma devono essere:

    • La facilità di esecuzione: i movimenti allenanti devono essere abbastanza semplici, ma soprattutto spiegati bene (anche con video tutorial). In questo modo gli errori esecutivi verranno minimizzati; ricordatevi che è meglio fare bene un esercizio semplice, che male un esercizio complesso.
    • Prevedere l’utilizzo di pochi attrezzi: per il nostro protocollo è necessario 1 Kettlebell ed una corda per saltare.
    • Prevedere l’utilizzo di movimenti funzionali orientati allo sviluppo della resistenza muscolare locale: in questo caso si riusciranno ad ottenere gli obiettivi ideali del periodo estivo (miglioramento della forza generale, aumento della mobilità e stabilità articolare, ecc.).
    • Considerare che alcuni calciatori possono necessitare di personalizzazione: per questo motivo, prima di iniziare il programma è sempre meglio avere l’OK da parte dello staff medico/fisioterapico od al limite dal preparatore.

    Per chi volesse seguire un semplice protocollo di potenziamento muscolare da fare a casa potete trovare il nostro programma per allenare la forza del calciatore.

    Altro protocollo interessante per i calciatori dilettanti sono le 4 posizioni per favorire il recupero; queste, fatte al di fuori dell’allenamento o alla fine di questo, aiutano a facilitare il recupero (tenendo conto che questo dipende comunque da tanti tanti altri fattori) allungando quei gruppi muscolari che vanno facilmente incontro a rigidità ed accorciamento.

    ALTRI CONSIGLI ED ALIMENTAZIONE

    È realistico ipotizzare che non tutti i giocatori effettuino il protocollo; ovviamente la percentuale di aderenza al programma è maggiore nelle categorie superiori e se il programma è stato presentato adeguatamente dall’allenatore, facendone capire l’importanza. Un’ultima considerazione la facciamo per quelle squadre che sono “costrette” ad effettuare la prima partita ufficiale dopo soli 7-10 giorni di preparazione; in questi casi (in base alla mia esperienza), il rischio maggiore di infortuni corrisponde alla settimana di allenamento successiva alla prima partita ufficiale. Questo perché se il carico in allenamento è possibile incrementarlo gradualmente, in partita non è così, di conseguenza è frequente trovare molti giocatori particolarmente affaticati i giorni che seguono il primo match. Per questo motivo:

    • È consigliabile non effettuare carichi di intensità elevata (con e senza palla), ma solo moderata, nei giorni successivi alla prima partita ufficiale.
    • È consigliabile, la prima settimana di allenamento, strutturare le esercitazioni aerobiche senza palla con un volume medio di cambi di direzione a velocità sottomassimale (vedi i fartlek), per abituare i giocatori ai movimenti ai quali sono stati meno avvezzi nel periodo estivo.

    Vai al nostro post dedicato alla PREPARAZIONE PRECAMPIONATO.

    alimentazione calciatore

    Alimentazione del calciatore: insieme al documento sull’allenamento estivo, è possibile dare anche qualche dritta sull’alimentazione. Questo per fare in modo che i giocatori non prendano troppo peso nella pausa e perché in tale periodo hanno più tempo da leggere ed approfondire certi argomenti. A questo link potete scaricare un breve documento con le indicazioni di massima (con uno schema estremamente semplice da seguire) per l’alimentazione di base, e alcuni consigli per l’alimentazione pre-partita, pre-allenamento e post-partita.

    L’allenamento estivo per il mister e per il prof

    Anche per allenatori e preparatori atletici l’estate è un momento in cui non bisogna “non stare fermi”. È il periodo ideale per rivedere i propri principi metodologici in base all’esperienza dell’annata precedente, ma soprattutto aggiornandosi, leggendo libri che permettano di fare uno step avanti delle proprie conoscenze; questo non solo permetterà di migliorare le proprie competenze, ma stimolerà la creatività e l’entusiasmo dello staff, che inevitabilmente si rifletterà positivamente sulla mentalità dei giocatori. Ogni membro dello staff dovrebbe ricordarsi che sono particolarmente apprezzate le persone propositive e che dimostrano di applicare con entusiasmo le proprie competenze.

    Aggiornarsi nella pausa estiva, rappresenta uno dei presupposti ideali per migliorare la propria professionalità.

    Se vuoi scaricare gratuitamente il nostro “ricettario” per l’allenamento atletico nei dilettanti, accedi al nostro Canale Telegram dedicato all’argomento; in più, ogni settimana pubblicheremo post riassuntivi o esclusivi (per i soli iscritti al canale) sulla preparazione atletica nei settori dilettantistici.

    preparazione atletica dilettanti

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  8. Quale regime dietetico per il calciatore? Ecco alcuni consigli!

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    (Aggiornato al 19/03/2023)

    All’inizio della stagione, il mister della società per la quale faccio il preparatore mi ha chiesto di preparare per i ragazzi della prima squadra (Prima Categoria) un Documento con alcune linee guida di base per l’Alimentazione. Contrariamente a quanto accade a livello professionistico, dove gli atleti sono accuratamente seguiti da dietologi che ne curano l’aspetto alimentare, nei dilettanti sta primariamente alla cura del singolo giocatore seguire un giusto ed adeguato regime alimentare. Allo stesso tempo, è lecito attendersi una risposta eterogenea (cioè diversa tra soggetto e soggetto) in relazione all’attenzione sull’argomento. Per questo motivo, si è cercato di creare un documento semplice da comprendere, con una parte estremamente schematica (per chi ha poca voglia di approfondire l’argomento, ma vuole leggere solo le indicazioni di base) e una leggermente più dettagliata (per chi ha voglia di documentarsi in maniera un po’ più dettagliata, anche senza avere le basi). Qui sotto potete scaricare il documento:

    Scarica il documento

    Importante: ovviamente non ci si vuole sostituire ai consigli/indicazioni di un dietologo esperto, ma dare delle indicazioni di base (in particolar modo per evitare errori grossolani), basandosi sulle linee guida fornite dalle associazioni governative (basate sulle evidenze che emergono in bibliografia internazionale). Non sono approfonditi aspetti medici e clinici (come le intolleranze, allergie e l’alimentazione in stati patologici) in quanto sono esclusivamente di competenza medica.

    Ulteriori aggiornamenti potete trovarli nei seguenti post:

    Se sei un tecnico o un preparatore atletico, troverai spunti interessanti nei nostro canale Telegram dedicato alla preparazione atletica per i dilettanti, dal quale potrai scaricare gratuitamente il nostro documento con le linee guida, oltre a rimanere informato su aggiornamenti, nuove pubblicazioni e contenuti esclusivi per i soli iscritti al canale.

    Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

  9. La dieta post gara e post allenamento

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    Al termine di una competizione sportiva, l’alimentazione continua ad avere un ruolo importante, pari a tutte le fasi che hanno preceduto la preparazione di una gara.

    È evidente che, le varie competizioni agonistiche, possono richiedere una differente calibrazione degli apporti nutrizionali post-gara. Così come, talune discipline, non necessitano di una particolare attenzione nell’immediata conclusione di un evento agonistico.

    Questo accade quando, per la natura stessa della gara, l’impegno fisico è di durata estremamente breve, anche a fronte di una intensità massimale. Ad esempio in alcune discipline dell’atletica. In questi casi il ruolo preponderante (o esclusivo) è legato a come ci si alimenta prima dell’impegno sportivo e nel corso degli allenamenti.

    Per altri tipi di competizioni invece, il ruolo dell’alimentazione al termine di una gara diviene fondamentale. Si pensi alle discipline di fondo di media e lunga durata ad esempio. Sono eventi che sottopongono l’intero organismo ad un carico di lavoro di grande intensità, e pertanto è opportuno analizzare cosa sia fondamentale reintegrare al termine della competizione.

    Come è facilmente intuibile, le perdite di liquidi che accompagnano questo tipo di eventi, possono essere assai copiose. Essendo difficile un corretto e adeguato processo di reintegro nel corso della competizione, è opportuno valutare il corretto ripristino al termine dell’impegno fisico.

    nani_tartaruga_ninja_ansa

    Se, in situazioni estreme, qualsiasi tipo di bevanda può essere utile per tamponare un’emergenza, l’ideale è l’apporto di acqua con l’aggiunta di una piccola quantità di sostanze glucidiche (es.: maltodestrine) ed eventualmente di sali minerali e/o di una piccola quantità di bicarbonato di sodio, che esercita un ruolo tampone nei confronti dell’acidità gastrica che a volte segue un impegno di endurance.

    La presenza di sali permette il ripristino degli elettroliti e, l’aggiunta di sostanze glucidiche, agevola il ricostituirsi delle scorte di glicogeno epatomuscolare che, quando si è sottoposti a simili impegni, possono impiegare anche diversi giorni per tornare alle condizioni di normalità. In ogni caso non meno di 24 ore. L’assunzione nell’immediato post-gara di sostanze glucidiche accelera efficacemente questo processo, utile anche a mantenere un quadro di piena efficienza fisica per chi sostiene frequenti allenamenti di media/grande durata, ed impegno sul piano aerobico.

    Questi accorgimenti dunque non sono utili esclusivamente al termine di una gara, ma anche a conclusione di qualsivoglia ciclo di allenamento che impegni in maniera significativa le strutture muscolari di un individuo.

    La risintesi di glicogeno è uno degli elementi più importanti nel panorama metabolico di uno sportivo. Alcuni autori sostengono che anche nel caso di competizioni o allenamenti che hanno l’accento prioritario sull’intensità e/o sulla velocità, sia necessario calibrare adeguatamente l’alimentazione post-gara.
    La presenza di carboidrati diviene quindi un fattore determinante, capace di accelerare in maniera significativa il processo di rigenerazione del glicogeno muscolare. Si stima che, l’assunzione di glucidi nel corso delle 2 ore successive all’impegno agonistico, possa sostenere una velocità di ripristino del glicogeno pari al 7% del totale per ciascuna ora. Un ritardo nella somministrazione di carboidrati, che vada oltre le 2 ore, rallenta tale processo ad una velocità di circa il 4% per ciascuna ora(1). Ovviamente in caso di completa assenza di reintegro glucidico, tale processo sarebbe ulteriormente rallentato. Evenienza non tollerabile per un agonista, o per uno sportivo che pratica assidui allenamenti.

    L’ideale modalità di somministrazione glucidica appare quella di fornire 1grammo di carboidrati complessi per ciascun Kg di peso corporeo dell’atleta, entro il più breve, e ragionevole, lasso di tempo possibile. Proseguendo poi nelle ore successive a fornire ulteriori e graduali apporti glucidici.

     

    (1) J. L. Ivy et. Al, Muscle glycogen storage after different amounts of carbohydrate ingestion. J. Appl. Physiol., 65, 2018-2003 (1988)

    Fonte: www.nonsolofitness.it

  10. L’accumulo di grasso localizzato

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    Molte persone ai nostri giorni si iscrivono in palestra per veder scendere l’ago della bilancia, tuttavia, a volte, anche dopo aver ottenuto dei buoni risultati di perdita di peso, non sono ancora soddisfatte, perché guardandosi allo specchio notano alcune parti del loro corpo dove il grasso sembra proprio non voler andare via, insomma alcune parti dove la massa grassa sembra resistere di più nonostante i loro continui sforzi in palestra.

    Questo accade generalmente negli uomini a livello addominale e nelle donne sui fianchi, glutei e cosce. Per questo spesso si chiede all’istruttore di fitness se magari sia il caso di aumentare gli esercizi per quella determinata zona corporea dove il grasso sembra più resistente; ma quasi sicuramente come risposta dirà che:

    “Per dimagrire in una determinata zona del corpo non serve a niente allenare i muscoli che corrispondono a quella regione, perché non c’è comunicazione tra il muscolo ed il tessuto sottocutaneo adiposo soprastante; i muscoli utilizzano l’energia che deriva dal glicogeno e dal grasso intramuscolare e se mai successivamente dagli zuccheri e dagli acidi grassi che provengono dal sangue e che derivano dalla lipolisi indotta dagli ormoni lipolitici (glucagone, adrenalina), prodotti dall’allenamento indifferentemente da quale parte del corpo sia stata allenata. La perdita del grasso localizzato è legata solo alla morfologia individuale e a caratteristiche genetiche”

    Questa risulta ancora essere la tesi ufficiale della moderna fisiologia, ma un recente studio ha dimostrato che esiste un effetto locale dell’esercizio sui depositi di tessuto adiposo situati immediatamente al disopra del muscolo.

    Quindi, lo scopo di queste pagine è fare il punto della situazione sul dimagrimento localizzato attraverso esercizio (spot reduction), mettendo a confronto gli studi pubblicati a riguardo e vedere se la perdita di grasso localizzato attraverso esercizio esista davvero e se si possa trasferire in campo pratico nei programmi di allenamento in palestra.

    L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce l’obesità come una

    “condizione caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire sullo stato di salute”
    Il metodo tutt’ora più usato per valutare un individuo che soffre di questa patologia oppure no è il Body Mass Index BMI (kg/mD) = peso/(altezza)D, anche se risulta non applicabile agli adolescenti con il loro corpo ancora in formazione, agli atleti con muscolatura particolarmente sviluppata e alle donne in gravidanza.

    BMI (KG/M2) CLASSIFICAZIONE OMS RISCHIO
    <18,5 sottopeso aumentato
    18,5-24,9 normale minimo
    25,0-29,9 sovrappeso aumentato
    30,0-34,9 obesità grado 1 alto
    35,0-39,9 obesità grado 2 molto alto
    ≥40,0 obesità grado 3 estremamente alto

    go running bilanciaIl grasso si localizza differente negli uomini e nelle donne. C’è un’obesità androide caratterizzata dalla distribuzione del tessuto adiposo nei distretti corporei superiori e una obesità ginoide con accumulo della massa grassa nella metà inferiore del corpo (Vague j, 1956). La prima presenta fattori di rischio molto maggiori, infatti nella prima abbiamo un accumulo di grasso anche nella zona addominale; specialmente in quella addominale viscerale (Vague J., 1956) si hanno maggiori fattori di rischio per quanto riguarda l’insorgere di: malattie all’apparato cardiovascolare (Piro et Al., 2008), dislipidemia (Kissebah et al., 1976), ipertensione (Cassano et al., 1990), diabete di tipo 2 (Carey et al., 1997), apnea nel sonno (Schafer et al., 2002), calcolosi biliare (Vague J., 1956) e anomalie della fertilità.

    L’obesità addominale viscerale è calcolata mediante il rapporto WHR (rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi); le linee guida europee affermano che la circonferenza vita non dovrebbe superare i 102 cm negli uomini e gli 88 cm nelle donne.

    Il rapporto vita/fianchi dovrebbe essere inferiore a 0,95 per gli uomini e 0,8 nelle donne. Il rischio di sviluppare tali patologie aumenta con l’aumentare del WHR, come risulta da uno studio scandinavo (Ohlsson et al., 1988). Il grasso viscerale a livello addominale risulta essere davvero pericoloso, i depositi omentali e periferici altamente lipolitici riversano acidi grassi e delle sostanze che causano anomalie metaboliche, nella vena porta che poi finiscono direttamente nel fegato alterando la sintesi delle lipoproteine (Jensen, 2008).

    Le cellule del tessuto adiposo viscerale liberano “acidi grassi liberi” nel sangue (FFA), e maggiore sarà la quantità di tessuto adiposo maggiore sarà questa liberazione (Roust, Jensen, 1993). Gli FFA si metteranno nel sangue in concorrenza con il glucosio e verranno dunque utilizzati al suo posto. Questo porterà al fatto che il glucosio non verrà bruciato e ci sarà quindi un aumento della glicemia, che si ripercuoterà sulle cellule pancreatiche che produrranno così maggiori dosi di insulina (Mason et al. 1999), un’iperinsulinemia sarà aggravata dall’insulino resistenza, causata dalle cellule del tessuto adiposo che producono l’ adipochina RBP4 (Retinol Binding Protein-4) molecola che potrebbe essere importante nel determinare lo stato di insulino-resistenza (Yang et al., 2005).

    Con l’iperinsulinemia aumenterà la ritenzione di acqua e di sodio a livello renale, in questo modo aumenterà il volume plasmatico circolante; si attiverà il sistema nervoso simpatico, che aumenterà la produzione di adrenalina e noradrenalina responsabili di una maggiore vasocostrizione; alcuni fattori di crescita verranno stimolati, e ciò indurrà una proliferazione delle cellule muscolari lisce, determinando un ispessimento della parete delle arteriole, e tutto questo provocherà un aumento della pressione tanto da arrivare all’ipertensione (Laakso et al., 1990) (Stepniakowsky et al., 1996) (Steinberg et al., 1994).

    Inoltre nonostante le elevate quantità di insulina, le cellule, diventate insulino resistenti, porteranno alla comparsa del diabete di secondo tipo (Lillioja et al., 1993) (vedi anche Diabete mellito di Pierluigi De Pascalis). Come un cane che si morde la coda, l’azione liposintetica e antilipolitica dell’insulina porterà ad un aumento dei depositi di grasso, che a sua volta determinerà ancora un’iper-produzione di insulina. Ancora grazie a questa condizione aumenterà la quantità di colesterolo LDL, che tende ad accumularsi nelle pareti dei vasi provocando aterosclerosi e diminuirà la percentuale di colesterolo HDL (Lewis et al. 1995).

    Ma non finisce qui, il tessuto adiposo addominale viscerale è responsabile della produzione della proteina Tumor Necrosis Factor (TNF) e di interleuchina 6 (IL-6) ad elevate concentrazioni, che induce la produzione nel fegato della proteina C reattiva, queste proteine infiammatorie sono precursori dell’insulino resistenza, dell’infarto cardiaco e di malattie epatiche (Fontana et al., 2007).

    Questi e altri danni qui non elencati: come la possibilità dell’insorgenza di tumori, o l’insufficienza respiratoria, possono essere causati dall’eccesso di insulina e dall’ eccesso di tessuto adiposo viscerale addominale. Il tessuto adiposo addominale sottocutaneo e anche tutto il tessuto adiposo presente nell’obesità ginoide non comportano la stessa elevata quantità di rischi rispetto al grasso addominale viscerale. Sebbene quindi le donne tendano ad accumulare maggiori quantità di grasso nella parte inferiore del corpo, ciò non esclude che possa capitare che vadano incontro ad uno sviluppo dell’ obesità a livello addominale e questo comporterà anche per loro elevati rischi per la salute.

    Fonte: nonsolofitness.it

  11. Informazioni nutrizionali: scelte più salutari con dati sull’attività fisica

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    piramide-motoriaIncludendo nelle etichette alimentari informazioni relative ai livelli di attività fisica richiesti per smaltire le calorie introdotte sarebbe possibile guidare il pubblico in scelte alimentari più coscienziose. Di questo sono convinti i ricercatori americani dell’University of North Carolina at Chapel Hill, i quali hanno potuto dimostrare in un recente studio pubblicato sulla rivista Appetite l’efficacia di questa strategia.

    In breve, il team di medici ha assegnato casualmente un gruppo dei partecipanti al consumo di menu fast-food che differivano unicamente nel tipo di etichetta: priva di informazioni nutrizionali, contenente solo informazioni sul contenuto calorico, contenente informazioni sulle calorie e sui minuti di passeggio richiesti per bruciare tali calorie oppure contenente informazioni sul contenuto in calorie e la distanza da coprire passeggiando per consumare le calorie introdotte.

    Ebbene, gli autori hanno potuto riscontrare che il tipo di etichetta influenzava l’assunzione di calorie tra i partecipanti: in assenza di informazioni, il consumo di calorie raggiungeva mediamente 1002, mentre nel caso delle informazioni dettagliate sui livelli di attività fisica richiesti per smaltirle l’assunzione calorica era pari a 826, una differenza importante. Quest’ultimo tipo di etichetta risultava infatti più efficace nel guidare scelte alimentari ipocaloriche.

    I ricercatori hanno infine potuto riscontrare una preferenza da parte dei partecipanti per questo tipo di etichetta alimentare rispetto a quelle contenenti solo informazioni nutrizionali. Sarà questo vero anche nella realtà quotidiana oltre che nella situazione sperimentale? Decisamente varrebbe la pena provare.

    diagramma alimentare

    Fonte: Dowray S, Swartz JJ, Braxton D et al. Potential effect of physical activity based menu labels on the calorie content of selected fast food meals. Appetite. 2013 – obesita.it Immagini: athlonsport.it – giorgiopasetto.it

  12. La tua squadra perde? Attento a cosa mangi!

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    Ci può essere una relazione tra il risultato ottenuto in campo dalla squadra del cuore e le proprie scelte alimentari? A quanto pare sarebbe possibile stando allo studio condotto dalla francese Insead Business School di Fontainebleau con un articolo pubblicato sulla rivista “Psychological Science”.

    I campionati hanno ormai preso il via, per la gioia dei tifosi e degli assidui frequentatori dei campi sportivi, per questo motivo è bene fare attenzione all’alimentazione se il proprio team dovesse disgraziatamente perdere. Gli studiosi d’oltralpe avvertono che la sconfitta della propria squadra del cuore coincide con un maggior consumo di cibi poco salutari a base di zuccheri e grassi durante il giorno seguente alla competizione sportiva. Parlando di calcio, a rischio solitamente i lunedì dunque.

    La ricerca ha studiato il comportamento alimentare dei tifosi di diverse città all’indomani delle partite della National Football League (lega professionista del football made in USA).

    Ne è emerso che i tifosi della squadra perdente mostravano un incremento nel consumo di zuccheri e grassi del 16%, mentre coloro i quali avevano assistito alla vittoria del proprio team vedevano scendere al 9% tale percentuale.

    Stessa analisi in Francia, medesimi risultati. Ai tifosi è stato chiesto di scrivere un diario sul cibo consumato durante il giorno successivo alla competizione agonistica della propria squadra.Biscotti

    Da ciò si è evinto che nel caso di sconfitta i cibi maggiormente consumati erano stati patatine, dolciumi, caramelle, cibi grassi e fritti, mostrando di non preferire cibi sani.

    Più la sconfitta o la vittoria avveniva negli ultimi minuti della partita, più la tendenza a mangiare male o in maniera sana risultava marcata.

    Nervi saldi quindi e occhio a cosa bolle in pentola!

    Fonte: www.agendaonline.it

    Scopri il triangolo della salute!

     

  13. Tempo di tornei e di spareggi: qualche consiglio per non farsi sorprendere dal caldo

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    Con l’avvio della stagione calda e l’incombenza delle fondamentali partite di play off e play out diventa importantissimo per gli sportivi il modo di alimentarsi per non farsi ritrovare durante la gare in piena crisi. Vista l’importanza dell’integrazione nell’alimentazione abbiamo chiesto qualche consiglio ad un esperto di integrazione idroalimentare per come non farsi sorprendere dal caldo durante la partita.
    Quali sono le sostanze necessarie per giocare con questo caldo? Perchè ricorrere agli integratori?
    L’integrazione ormai fa sempre più parte della nostra quotidianità. E’ infatti risaputo che molti dei cibi normalmente in commercio, a causa sopratutto di condizioni di stoccaggio e magazzinaggio non sempre conformi presso i punti di vendita, perdono le loro proprietà – e molto spesso anche il loro originale sapore – a scapito della qualità delle caratteristiche che possono offrire, a seconda della tipologia di cibo. Questo in particolare succede per la frutta e la verdura, molto spesso di scarsa qualità a causa di congelamenti conservativi presso i magazzini frigoriferi dei vari centri di distribuzione, e per questo a volte non correttamente inserita nella nostra normale nutrizione quotidiana. 

    Quali sono gli alimenti che i calciatori dovrebbero privilegiare?
    Frutta e verdura sono di vitale importanza per il nostro organismo e la nostra salute, e dalla loro qualità dipende molto il nostro benessere, in quanto il nostro organismo ha molto bisogno di vitamine e sali che troviamo in esse.
    Vitamine e sali, dicevamo, che aiutano a combattere vari aspetti negativi per l’organismo: – I vari gruppi di vitamine ( B, C, E, ecc..) servono a combattere e contrastare i pericolosi radicali liberi, agenti che tendono ad indebolire le normali difese organiche; durante le partite gli sportivi sono esposti a stress fisico e mentale ed altre situazioni pericolose, e tutto questo scatena l’attività negativa dei radicali, i quali prendono il sopravvento sulle nostre difese immunitarie, indebolendo tutto l’organismo.
    L’effetto delle vitamine non è solo di difesa contro i radicali liberi, ma la loro corretta assunzione comporta un generale rinforzo di tutto il nostro organismo, aiutandoci cosi a sentirci sempre in forma con un conseguente senso di benessere e forza.
    I sali minerali invece aiutano a rinforzare ossa, denti, capelli, ecc. Basta, per esempio, pensare anche solo al magnesio ed al calcio; il magnesio forma, con il calcio e con il fosforo, il tessuto osseo, mentre solo una piccola quota è localizzata nei liquidi intracellulari e nel plasma. Il fabbisogno giornaliero per l’adulto ammonta a 300-500 mg. Il magnesio è presente in tutti i vegetali verdi (è infatti parte integrante della clorofilla).
    Da qui deduciamo quindi la reale importanza della frutta e della verdura per la nostra salute. Spesso, proprio a causa di quanto sopra citato e quindi della scarsa qualità del prodotto in commercio, si ricorre all’integrazione di vitamine e sali minerali. 

  14. Ahi, il crampo!

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    Capita a volte, praticando l’attività sportiva, di avvertire un dolore al polpaccio, alla parte posteriore della coscia o al piede, improvviso e spesso molto acuto. E’ un dolore intenso e lancinante, che non scompare e impedisce il protrarsi dell’attività fisica stessa; questa situazione si chiama “crampo”.

    I crampi sono delle contrazioni muscolari violente, involontarie ed improvvise che solitamente si presentano durante uno sforzo, o perfino durante la notte, nel sonno. Queste contrazioni sono favorite dalla perdita di liquidi e sali minerali che avviene con la sudorazione durante l’attività fisica.

    In effetti, quando si suda durante un allenamento, si crea uno squilibrio elettrolitico nei muscoli, dovuto proprio alla perdita di liquidi e sali minerali contenuti nel sudore. Questi elementi vanno, quindi, reintegrati al più presto possibile. Se ciò non accade, è possibile andare incontro ai crampi.

    I crampi però possono essere evitati, innanzitutto praticando stretching prima e dopo l’attività fisica e prolungando le sedute di allenamento ogni volta un po’ di più, in modo che il corpo si abitui gradualmente allo sforzo fisico. Abbinate a questa pratica anche un immediato reintegro di liquidi e sali minerali con appositi cibi o bevande che contengano le giuste quantità di sodio, magnesio, calcio e potassio.

    Può essere utile anche, prima di iniziare l’allenamento, bere del succo di frutta e dell’acqua minerale, che serviranno a contrastare la successiva perdita di liquidi. Evitate di assumere diuretici, antistaminici o alcolici prima dell’allenamento perché i primi aumentano la perdita di liquidi mentre i secondi favoriscono la disidratazione.

    Evitate anche di fare attività fisica subito dopo aver mangiato, poiché la digestione utilizza la maggior parte del sangue in circolo sottraendolo a tutto il resto del corpo, quindi anche ai muscoli, predisponendo più facilmente all’insorgenza dei crampi. Anche l’abbigliamento può essere d’aiuto: non indossate nulla di scuro, ma preferite indumenti chiari perché questi assorbono meno calore e quindi vi fanno sudare di meno.

    Inoltre assicuratevi che il materiale con cui sono fatti gli indumenti che utilizzate per l’allenamento siano capaci di far traspirare la pelle, garantendovi così la giusta temperatura; evitate quindi indumenti “plastificati”, che alterano la termoregolazione (e non servono a far dimagrire!). Per quanto riguarda le calzature evitate le scarpe troppo strette o di stringere troppo i lacci.

    Non vi sono cure particolari per i crampi. L’unica soluzione è quella di reintegrare immediatamente i liquidi persi e di agire direttamente sul muscolo colpito. Se il crampo vi ha colpito al polpaccio, sedetevi a terra con la gamba dolorante tesa e l’altra piegata, afferrate le dita del piede e tirate verso di voi finché non sentite che la rigidità del muscolo diminuisce.

    Se il crampo, invece, ha colpito la coscia, dovete ricorrere all’aiuto di qualcuno che vi alzi il calcagno e spinga forte il ginocchio verso il basso, mentre voi massaggiate il muscolo colpito. Entro pochi secondi tutto dovrebbe passare. Se il crampo colpisce il piede, fate come per il polpaccio, tirate verso di voi le dita e spingete il calcagno in avanti; se colpisce la mano, congiungete la mano dolorante con quella che non vi fa male e spingete le dita verso il polso.

    Tutte queste tecniche, così come lo stretching, servono ad allungare il muscolo ed evitare che questo si contragga più del dovuto, o a riportarlo ad una lunghezza normale quando viene colpito dal crampo. E’ importante eseguire queste azioni di “allungamento” in maniera dolce e graduale: un movimento “brusco” potrebbe accentuare la contrattura del muscolo invece di favorire la scomparsa della stessa.

    Fonte: Paginemediche.it

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  15. La dieta del calciatore

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    Lo chef Gabriele Santolin consiglia

    L’alimentazione e la dieta del calciatore, così come per tanti altri sport, dovrebbe essere varia, equilibrata e specialmente attenta all’assumere determinati alimenti nei momenti giusti della giornata. Questo non basterà forse a diventare come Maradona, ma almeno aiuterà a sostenere gli sforzi fisici che la preparazione atletica e la partita richiedono.
    Da studi effettuati è emerso che molti giovani, anche nel giorno della partita, saltano la colazione, che è il pasto più importante della giornata e che è anche l’unico sostanzioso prima della gara. Questo, come è facile intuire, può facilmente portare a cali di prestazione durante la partita per la mancanza di “combustibile” all’interno della macchina-organismo, proprio perchè il nostro corpo è come un’auto e, senza benzina, non va lontano.
    Bisogna ricordarsi che è fondamentale non solo “cosa” si mangia ma anche “quando”. Prima di una partita, ad esempio, ci alimenteremo in modo leggero e con sostanze di rapido smaltimento che non stiano quindi a richiamare troppo sangue allo stomaco inficiando così la prestazione sportiva.
    Durante e dopo lo sforzo, ci preoccuperemo di riequilibrare i sali minerali che saranno andati perduti con acqua ad alto contenuto salino.
    Questa può essere una tabella alimentare da seguire per i calciatori, sia dilettanti che professionisti, ricordando che dosi e quantità vanno regolate in base al peso e all’altezza di ogni atleta.

    Colazione
    Cereali, pane (meglio se integrale) con miele o marmellata, latte con fiocchi d’avena, caffè o thè zuccherato.

    Spuntino
    Della frutta.

    Pranzo
    Una porzione di verdure crude di stagione come antipasto e dopo della pasta o del riso.

    Spuntino pomeridiano
    Della frutta.

    Cena
    Verdure crude, magari prima di una porzione di legumi, carne o pesce.

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